Sei quel che mangi

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INTRODUZIONE

Nella prima parte di questo volume ho analizzato le ricerche che mostrano il ruolo svolto da un’alimentazione a base di prodotti di origine vegetale, ricca di particolari cibi, nel prevenire, curare e persino invertire il decorso delle quindici patologie che causano la morte. A chi è già stata diagnosticata una o più di queste malattie, le informazioni contenute nella prima parte del libro possono salvare la vita. Ma per tutti gli altri (tra cui magari vi sono persone che temono di ereditare la familiarità verso una certa malattia o che semplicemente vogliono preservare salute e longevità attraverso la dieta), la questione fondamentale riguarda le scelte alimentari da compiere ogni giorno. Ho tenuto oltre mille presentazioni e una delle domande che mi sento rivolgere più spesso è: «E lei che cosa mangia, dottor Greger?» La seconda parte di questo libro è la mia risposta alla domanda. Non ho mai avuto una gran passione per i cibi dolci, ma per quelli grassi sì: pizza ai peperoni, ali di pollo fritte, patatine con panna acida e cipolle, un cheeseburger al bacon di Hardee quasi tutti i giorni quando andavo alle superiori. Mi piaceva qualsiasi cosa fosse unta e grassa, e la innaffiavo con Dr. Pepper ghiacciata. Be’, allora mi sa che avevo anche una certa passione per il dolce. Andavo matto per i donut ricoperti di glassa alla fragola.


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Anche se il miracoloso recupero di mia nonna dalla malattia cardiaca mi ha indotto a intraprendere la carriera medica, non ho cambiato alimentazione finché, nel 1990, è stato pubblicato il fondamentale Lifestyle Heart Trial del dottor Ornish. Alle superiori ero così secchione da passare le vacanze estive nella biblioteca di scienze dell’università. E fu lì che, tra le pagine della rivista medica più prestigiosa del mondo, trovai la dimostrazione che la storia di mia nonna non era stato un colpo di fortuna: le patologie cardiache potevano regredire. Il dottor Ornish e la sua équipe avevano esaminato le radiografie delle arterie dei soggetti prima e dopo l’esperimento e avevano dimostrato che potevano essere ripulite senza angioplastica, senza alcun intervento o farmaco miracoloso. Bastavano una dieta a base di prodotti vegetali e altri salutari cambiamenti dello stile di vita. Fu questo a indurmi a cambiare dieta e a dare il via al mio amore ormai venticinquennale per la scienza dell’alimentazione. Da quel momento ho deciso di far sapere a tutti che il cibo ha la capacità di farvi stare in salute, di conservare la salute e, se necessario, di ripristinarla. Ai fini di questo volume, ho utilizzato due semplici strumenti per aiutarvi a integrare tutto ciò che ho scoperto nella vostra vita quotidiana: 1. il semaforo, per identificare rapidamente le opzioni più salutari e 2. la lista dei Magnifici dodici alimenti quotidiani, che vi aiuterà a scegliere i cibi che ritengo essenziali per una dieta ideale. Quindi, quali sono i cibi che fanno bene e quali quelli che fanno male? Sembra una domanda piuttosto semplice. In realtà, non è così facile rispondere. Ogni volta che durante una presentazione mi viene chiesto se un alimento fa bene oppure no, mi trovo a replicare: «Rispetto a cosa?» Ad esempio, le uova sono un cibo sano? Rispetto ai fiocchi


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d’avena, certo che no, ma rispetto alle salsicce con cui si ritrovano fianco a fianco sul vassoio della colazione, sì. E che dire delle patate? Sono verdure, quindi devono essere sane, giusto? Qualcuno me lo ha chiesto qualche anno fa, quando un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha fatto presente alcune questioni relative alle patate al forno e al purè di patate.1 Allora, sono sane o no? Rispetto a quelle fritte, sì. Rispetto alle patate dolci fatte al forno o in purè, no. Mi rendo conto che se uno vuole semplicemente sapere se mangiare o meno le stramaledette patate queste non sono risposte soddisfacenti, ma l’unica risposta che abbia un senso consiste nel valutare le altre opzioni disponibili. Se ad esempio vi trovate in un fast food, le patate al forno potrebbero essere l’alternativa più sana. La domanda «Rispetto a cosa?» non è soltanto un esercizio di apprendimento socratico che ho utilizzato con i miei pazienti e studenti. Mangiare è in sostanza un gioco a somma zero: nel momento in cui scegliete un alimento, in genere ne state scartando un altro. Certo, potreste tenervi la fame, ma il vostro organismo riequilibrerà le cose mangiando di più in seguito. Pertanto ogni cibo che decidiamo di mangiare ha un costo opportunità. Ogni volta che mettete in bocca qualcosa, perdete l’opportunità di mangiare qualcosa di più sano. È come se aveste 2000 dollari sul vostro conto corrente calorico. Come volete spenderli? Per le stesse calorie, potete mangiare un Big Mac, cento fragole o l’equivalente in volume di 18 litri di insalata. Ovviamente queste tre opzioni non rientrano nella stessa nicchia culinaria: se volete un hamburger, volete un hamburger, e non credo che le fragole entreranno presto nel menu dei fast food, ma questo è solo un esempio dei diversi valori nutrizionali che si possono ottenere consumando le stesse calorie.


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Il costo opportunità non è dato soltanto dalle sostanze nutritive che potreste assumere con una scelta diversa, ma anche dalle componenti dannose che potreste evitare. Dopotutto, quando è stata l’ultima volta che qualcuno dei vostri amici ha avuto il kwashiorkor, lo scorbuto o la pellagra? Si tratta di alcune delle tipiche malattie da carenza di sostanze nutritive sulle quali sono stati fondati gli studi sull’alimentazione. Ancora oggi, nutrizionisti e dietologi professionisti continuano a focalizzarsi sulle sostanze che potrebbero mancarci, ma gran parte delle malattie croniche ha a che fare più con le sostanze che assumiamo in eccesso. Conoscete nessuno che soffra di obesità, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 o ipertensione?

MA QUANTO COSTA MANGIARE SANO?

I ricercatori dell’Università di Harvard hanno confrontato il costo e la salubrità di vari alimenti in tutti gli Stati Uniti, a caccia dei prezzi migliori. Hanno scoperto che in termini di valore nutrizionale rispetto alla spesa, la gente dovrebbe comprare più semi, cibi a base di soia, legumi e cereali integrali, e meno carne e latticini. Hanno concluso che «l’acquisto di prodotti di origine vegetale può costituire il migliore investimento per una dieta sana».2 I cibi meno sani battono quelli più sani solo per quanto riguarda il costo a caloria, un modo di misurare il prezzo degli alimenti che si usava nel diciottesimo secolo. A quei tempi era importante avere calorie a basso costo, a prescindere da come le si ottenevano. Quindi, anche se i legumi e lo zucchero all’epoca avevano lo stesso prezzo (cinque centesimi alla libbra), il Dipartimento dell’agricoltura americano (USDA) sosteneva lo zucchero, in quanto economicamente più vantaggioso come «carburante».3 Possiamo scusare l’USDA per aver trascurato la differenza fra legumi e zucchero bianco in termini nutrizionali. Dopotutto, le vitamine non erano ancora state scoperte. Oggi ne sappiamo di più e possiamo confron-


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tare il costo degli alimenti sulla base del loro contenuto nutritivo. Una porzione media di verdure può costare circa un quarto della porzione media di cibo spazzatura, ma si calcola che le verdure abbiano in media ventiquattro volte più sostanze nutritive. Quindi, confrontandole in base al «costo per sostanze nutritive», per ogni dollaro offrono sei volte più nutrimento rispetto agli alimenti lavorati. La carne costa il triplo delle verdure eppure contiene sedici volte meno sostanze nutritive calcolate su un insieme di nutrienti.4 Dal momento che nutre di meno e costa di più, le verdure vi forniscono quarantotto volte le sue sostanze nutritive per ogni dollaro speso. Se il vostro obiettivo e cacciarvi nello stomaco quante più calorie possibili con la minima spesa, allora i cibi salutari perdono, ma se volete assumere più sostanze nutritive spendendo il meno possibile, non andate oltre il reparto ortofrutta. Spendere appena cinquanta centesimi in più al giorno per comprare frutta e verdura può far diminuire del 10% la mortalità.5 Questo sì che è un affare! Pensate se esistesse una pillola in grado di diminuire del 10% le vostre probabilità di morte nel prossimo decennio, e se avesse soltanto effetti positivi. Quanto credete che la farebbero pagare, le case farmaceutiche? Direi più di cinquanta centesimi.

Mangiare con il semaforo Le Linee guida alimentari per gli americani del governo contengono (al momento in cui sto scrivendo questo volume) un capitolo intitolato «Elementi della dieta da limitare», che elenca specificamente gli zuccheri aggiunti, le calorie, il colesterolo, i grassi saturi, il sodio e i grassi trans.6 Per contro, vi sono invece nove sostanze nutritive cosiddette carenti che almeno un quarto degli americani non assume nella quantità necessaria: fibre, calcio, magnesio, potassio e le vitamine A, C, D, E e K.7 Peccato che non sia possibile mangiare «elementi della dieta»: noi esseri umani mangiamo cibo. Al supermercato non c’è il


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reparto del magnesio. Quali alimenti allora hanno maggiori quantità di sostanze buone e minori quantità di quelle cattive? Ho semplificato la questione servendomi di un semaforo (vedi figura 5). Proprio come avviene sulla strada, il verde significa «vai», il giallo suggerisce prudenza e il rosso vuol dire «fermati». (In questo caso, fermati a riflettere prima di mettere in bocca quella data cosa.) L’ideale è mangiare soprattutto cibi con il semaforo verde, ridurre al minimo quelli con il giallo ed evitare gli alimenti con il rosso. Evitare è forse un termine troppo forte? Dopotutto, le Linee guida alimentari per gli americani incoraggiano semplicemente a «moderare» l’assunzione dei cibi nocivi.8 Ad esempio: «Mangiate meno… caramelle».9 Dal punto di vista della salute, però, non si dovrebbero evitare le caramelle?

Verde

Prodotti di origine vegetale non lavorati

Giallo

Prodotti di origine vegetale lavorati Prodotti di origine animale non lavorati

Rosso

Prodotti di origine vegetale molto lavorati Prodotti di origine animale lavorati (Figura 5)


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Le autorità sanitarie non si limitano a consigliare di fumare meno: dicono di smettere. Sanno che solo una percentuale minima di fumatori seguirà il consiglio, ma il loro compito consiste nel dire quale sia la cosa migliore da fare e nel lasciare che la gente prenda le decisioni da sé. Ecco perché apprezzo le indicazioni dell’American Institute for Cancer Research (AICR). Essendo svincolato dall’USDA, l’AICR espone semplicemente i fatti scientifici, e quando si tratta del peggio non scherza affatto. Invece di invitare le persone a «Consumare meno… bibite»,10 come fanno le Linee guida alimentari per gli americani del governo, le linee guida per la prevenzione del cancro dell’AICR suggeriscono di «Evitare le bibite zuccherate». Allo stesso modo, l’AICR non si limita a dire di limitare pancetta, prosciutto, würstel, salsiccia e salumi, ma incoraggia a «evitare le carni lavorate», punto. Per quale motivo? Perché «stando ai dati, nessun livello di assunzione è privo di rischi».11 La dieta più sana è quella che massimizza l’assunzione di prodotti di origine vegetale e minimizza quella di cibi di origine animale e alimenti lavorati. Detta in termini semplici, mangiate più alimenti con il semaforo verde, meno di quelli con il giallo e, soprattutto, ancora meno di quelli con il rosso. Proprio come avviene quando si passa con il rosso per strada, magari qualche volta ve la cavate, ma non vi consiglierei di trasformare la cosa in un’abitudine. Con queste premesse, ciò che abbiamo visto nei capitoli precedenti ha perfettamente senso. I prodotti di origine vegetale non lavorati hanno in genere maggiori quantità delle sostanze nutritive che mancano agli americani e meno fattori che scatenano le malattie. Non sorprende quindi che lo stile alimentare maggiormente in grado di bloccare l’epidemia di patologie legate alla dieta sia quello integrale e basato sui prodotti ortofrutticoli. Dopotutto, con il cibo si tratta di prendere o lasciare.


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Questo è uno dei concetti cardine della nutrizione. Sì, nel formaggio c’è il calcio, nel maiale ci sono le proteine e nel manzo il ferro, ma che dire della zavorra che accompagna queste sostanze nutritive, ossia gli ormoni contenuti nei latticini, il lardo, i grassi saturi? Per quanto quelli di Burger King affermino che «Puoi averlo come piace a te», è impossibile andare alla cassa e chiedere un hamburger senza grassi saturi e colesterolo. Con il cibo bisogna davvero prendere o lasciare. I latticini sono la fonte numero uno di calcio utilizzata negli Stati Uniti, ma anche di grassi saturi. Che tipo di «zavorra» ricevete con il calcio delle verdure a foglia verde? Fibre, folati, ferro e antiossidanti, ossia alcune delle sostanze nutritive assenti nel latte. Mangiando più prodotti integrali di origine vegetale, ottenete un premio invece di una zavorra. Quando il National Pork Board afferma che il prosciutto è un’«eccellente fonte di proteine»12 non posso fare a meno di pensare alla famosa frase di un vicepresidente senior del settore marketing della McDonald’s che in tribunale, sotto giuramento, ha affermato che la Coca-Cola è nutriente perché «contiene acqua».13 Perché le Linee guida alimentari non dicono semplicemente di no? La luce verde del semaforo risplende negli incoraggiamenti a «mangiare più frutta e verdura», ma quella gialla e rossa possono essere offuscate per colpa della politica. In altre parole, le linee guida sono chiare per quanto riguarda i messaggi in cui si dice di «mangiare più» («Mangia più prodotti freschi»), ma gli inviti a «mangiare meno» sono celati dietro le componenti biochimiche («Mangia meno grassi saturi e insaturi»). Le autorità sanitarie nazionali dicono raramente di «mangiare meno carne e latticini». Ecco perché il mio semaforo verde potrà suonarvi familiare («Be’, “mangia frutta e verdura”… questa l’ho già


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sentita»), mentre il giallo e il rosso potrebbero apparirvi controversi («Cosa? Ridurre il più possibile la carne? Davvero?»). Tra gli obiettivi del Dipartimento dell’agricoltura americano vi è quello di «ampliare il mercato dei prodotti agricoli».14 Al tempo stesso, questa agenzia federale ha il compito di proteggere la salute pubblica contribuendo alla stesura delle Linee guida alimentari per gli americani. Ecco perché, quando queste due direttive sono in sintonia, i messaggi «mangia più» sono chiari: «Aumenta l’assunzione di frutta», «Aumenta l’assunzione di verdura».15 Ma quando i due aspetti del suo mandato entrano in conflitto, quando «migliorare l’alimentazione e la salute» contrasta con la promozione della «produzione agricola»,16 i messaggi del tipo «mangia meno» vengono rielaborati e finiscono per riferirsi alle componenti biochimiche: «Riduci l’assunzione di grassi solidi (che sono le principali fonti di grassi saturi e trans)». Che cosa dovrebbe farsene il consumatore medio di queste misteriose perle di saggezza? Quando le Linee guida vi dicono di assumere meno zuccheri aggiunti, calorie, colesterolo, grassi saturi, sodio e grassi trans, non usano altro che frasi in codice per dire di mangiare meno cibo spazzatura, carne, latticini, uova e alimenti lavorati, solo che non possono dirlo apertamente. Tutte le volte che l’hanno fatto in passato, si è scatenato l’inferno. Ad esempio, quando una newsletter dei dipendenti dell’USDA ha suggerito di fare una volta alla settimana un pasto senza carne, aderendo all’iniziativa «Lunedì senza carne» lanciata dalla School of Public Health della Johns Hopkins University,17 la tempesta politica scatenata dall’industria della carne ha portato l’USDA a ritirare il suo consiglio nel giro di poche ore.18 «In seguito a questi conflitti [d’interesse]», concludeva un articolo del «Food and Drug Law Journal», «quando si tratta di fornire consigli accurati e imparziali sull’alimen-


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tazione, le Linee guida talvolta promuovono gli interessi delle industrie alimentari e farmaceutiche invece di quelli della gente».19 Questo mi ricorda il fondamentale rapporto sui grassi trans dell’Institute of Medicine della National Academy of Sciences, una delle istituzioni americane più prestigiose.20 Il rapporto concludeva che non ne esiste una quantità sicura, «perché qualsiasi incremento degli acidi grassi trans fa aumentare il rischio di coronaropatie».21 Dal momento che in natura queste sostanze si trovano nella carne e nei latticini,22 la questione costituiva un dilemma: «Poiché è impossibile evitare i grassi trans nelle diete tradizionali non vegane, consumare lo zero per cento di energia [da tali grassi] richiederebbe significativi cambiamenti degli schemi alimentari».23 Quindi, se i grassi trans si trovano nella carne e nei latticini e l’unica quantità sicura da assumere è zero, l’Institute of Medicine avrà incoraggiato i lettori a iniziare una dieta basata su prodotti di origine vegetale, giusto? Certo che no. Com’è noto, il direttore del Cardiovascular Epidemiology Program di Harvard ne ha spiegato le ragioni: «Non possiamo dire alla gente di smettere di mangiare qualunque tipo di carne e latticini», ha detto. «Be’, potremmo dire loro di diventare vegetariani», ha aggiunto. «Se dovessimo basarci solo sui dati scientifici, lo faremmo, ma è una soluzione un po’ drastica.»24 E noi non vogliamo che gli scienziati si basino sui dati scientifici, no?


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