IL PREMIO PER LA COSA MIGLIORE DEL MONDO
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Molti dei candidati stavano ritornando: amore, Gesù Cristo, Julia Louis-Dreyfus in Seinfeld, perdere con grazia (che non vinceva mai, ma veniva nominata sempre), le albe, la pace (che spesso era finalista in tempo di guerra, ma in caso contrario non veniva nominata), le sere d’estate, la colonna sonora di West Side Story, ridere, Natale e i panini con gelatina e burro d’arachidi. Altri erano nuovi: Internet sugli aerei, maki sushi di tonno. La bellezza non era mai stata nominata. La gente viveva come se fosse la cosa migliore del mondo, ma forse in fondo al cuore sapeva che non lo era. Lo stesso valeva per il denaro. Idem per l’onestà. Molte persone dicevano che secondo loro prima o poi Gesù Cristo ci sarebbe arrivato vicino, ma in genere erano i non religiosi a dirlo. I credenti tendevano a votare per l’amore e i credenti più superficiali votavano per il Natale, il che portava a un risultato inconcludente. L’amore vinceva sempre. Lo sapevano tutti e restavano comunque a guardare. Forse ancora più avidamente, nel modo in cui la gente desidera farsi catturare da un certo tipo di film quando ha la profonda sensazione che, ovviamente, alla fine l’amore trionferà. Il divertimento non sta nel dubbio che l’amore possa vincere; il divertimento sta nel vedere come lo farà. 229
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«Benvenuti al Premio Per La Cosa Migliore del Mondo!» annunciò il presentatore Neil Patrick Harris. Era stato il presentatore delle quattro passate edizioni ed era sensazionale. («Quand’è che nomineranno te?» gli chiedevano ogni anno, quando faceva il suo ingresso sul red carpet e lui li liquidava con una risata. E gli spettatori a casa facevano altrettanto. «Calmiamoci tutti» era la reazione generale quando qualcuno chiedeva a Neil Patrick Harris quando sarebbe stato nominato. Sostanzialmente era un presentatore grandioso, su questo non c’erano dubbi; ma il fatto che non sarebbe stato nominato, almeno non per molto molto tempo, la diceva lunga su quanto la gente prendesse sul serio i premi. Lo amiamo, era la muta risposta collettiva a quella domanda, ma qui stiamo parlando della cosa migliore del mondo). «I vostri voti – vostri, degli spettatori a casa – vengono presi in considerazione insieme alla nostra giuria segreta di esperti, al fine di determinare il meglio del meglio del meglio…» La maggior parte della gente saltava oppure guardava a metà i primi novanta minuti dello spettacolo, che consistevano di spezzoni video ed esibizioni dal vivo che celebravano i candidati, ognuno dei quali era stato annunciato in precedenza. C’erano compagnie di ballo, qualche canzone sottotitolata. Un uomo di nome Louie eseguì alcuni sketch comici, ma non c’era molto che potesse dire su una rete televisiva. La Pixar presentò in anteprima il novantaduesimo corto che, secondo l’opinione generale, magari fu nella media, ma grandioso per chiunque altro. Oprah Winfrey uscì e spiegò in modo brillante e comprensibile perché alcune delle candidature apparentemente più noiose – la maggior parte delle quali coinvolgevano Terzo mondo e salute – erano in realtà molto eccitanti da avere in lizza. Fu l’ultima mezz’ora che tutti guardarono con grande con230
centrazione, quando furono annunciati i tre finalisti che poi si ridussero a due e poi, finalmente, a un singolo vincitore: la cosa migliore del mondo. La telecamera balzò in avanti quando Neil Patrick Harris tornò sul palco, indossando un abito blu fresco di tintoria che gli spettatori più attenti riconobbero come il migliore del suo genere. «I tre finalisti per la cosa migliore del mondo sono: Ridere!» Applauso. «Amore!» Applauso. «E… Niente.» La gente sembrò confusa, persino Neil Patrick Harris (cosa che, lo sapevano tutti, a un presentatore non dovrebbe mai accadere, se vuole avere la possibilità di essere nominato l’anno successivo). «Uuh… Uh, torneremo subito dopo la pausa pubblicitaria.»
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Quando lo spettacolo riprese, Neil Patrick Harris era di nuovo sorridente. Il suo sorriso era talmente rassicurante, comunicava una tale calma contagiosa, che tutti dimenticarono in fretta quanto, soltanto pochi istanti prima, fosse apparso scombussolato e in modo così poco professionale. «Signore e signori, è ora di dire buonanotte a una delle tre cose migliori del mondo. Buonanotte a…» Neil Patrick Harris aprì una busta con il numero tre stampato in rosso. «Ridere.» Eppure, fra le risate, in parecchi spettatori, soprattutto nel pubblico in studio, era cresciuta una certa ansia. Che cosa significava «niente»? Chi l’aveva nominato? E come era 231
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riuscito ad arrivare in finale già alla sua prima comparsa? Quando l’amore alla fine avrebbe inevitabilmente vinto, che cosa significava avere «niente» al secondo posto? Forse avrebbe reso la vittoria di amore ancora più smaccata ponendo una maggiore distanza fra lui e ogni altra cosa: «niente si avvicina all’amore»? oppure avrebbe significato che l’amore era soltanto «meglio di niente»? Alcune delle menti in sala, allenate ai pensieri ansiogeni, erano riuscite ad spingersi persino più in là. Se «niente» avesse in qualche modo vinto – il che non sarebbe accaduto, ma se lo avesse fatto – che cosa avrebbe significato? Poteva ancora essere una vittoria per l’amore? Avrebbe significato che niente era meglio dell’amore? Forse avrebbe funzionato come un delicato e gradito promemoria del fatto che, ovviamente, a un certo livello, l’intera competizione era priva di significato – perché niente, nessuna cosa, poteva davvero essere la cosa migliore del mondo? Forse sarebbe stato un concetto profondo, o addirittura ispiratore? Oppure avrebbe significato qualcosa di più cupo – forse che tutte le cose che erano state pensate come quelle davvero migliori del mondo erano ancora, a un livello più profondo, meno di niente? Oppure non era altro che un gioco di semantica: forse tutti sapevano cosa significava l’amore, e tutti sapevano cosa significava niente, ed era davvero tutto lì, ed ecco perché tutti erano così turbati? Ma non ci si sarebbe mai arrivati. L’amore vinceva sempre, giusto? «E ora, signore e signori», disse Neil Patrick Harris, con una risata elegante benché inutile che era parte integrante del suo incomparabilmente fluido passaggio dal filmato con i momenti migliori di Risate alla nomina successiva. «Ora, mentre stiamo per esaurire un’altra indimenticabile notte di 232
miracoli grandi e piccoli, è il momento di salutare la seconda cosa migliore del mondo. Signore e signori…» Tutti gli spettatori, persino la gente che possedeva la granitica sicurezza che l’amore vinceva sempre; persino quelli infine persuasi che le infinite stravaganze della parola «niente» implicavano che la sua vittoria poteva significare qualsiasi cosa volessero farle intendere – trattennero il fiato con la speranza che la prossima cosa che avrebbero visto, in un modo o nell’altro, sarebbe stata riconoscibile come niente. Neil Patrick Harris sorrise e cominciò a dispiegare la busta con sopra il numero due rosso. «Vi state divertendo tutti? Okay. Signore e signori, è ora di dire buonanotte alla seconda cosa migliore del mondo. Buonanotte a…» Gli schermi si spensero in un nero assoluto e un coro di genuini e sollevati urrà si innalzò in tutto il mondo all’apparente comparsa del filmato con i momenti più belli di Niente, altrettanto avvenne nello studio televisivo, dove le luci erano andate in corto circuito e la brillante, moderna musica orchestrale impercettibilmente onnipresente per tutta la trasmissione, era stata sostituita da un sonoro e cupo ronzio. Mentre i minuti passavano uno dopo l’altro, però, l’ansia collettiva ricominciò a raccogliersi e tornare. Perché ci stava mettendo tanto? Quanto sarebbe durato? Era già molto più lungo degli altri montaggi, e se fosse andato ancora avanti il tempo dello spettacolo sarebbe scaduto prima che fossero stati in grado di proiettare il montaggio aggiornato annualmente per l’amore, l’attesissimo epilogo tradizionale della trasmissione. E perché, si chiedeva qualcuno, il taglio del montaggio per Niente era stato così brusco? Era un passaggio curiosamente 233
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rozzo per uno spettacolo e un presentatore che mai prima di allora avevano commesso un passo falso come quello. Con meno di un minuto rimasto nella programmazione prevista, d’un tratto le luci e la trasmissione tornarono in onda. Neil Patrick Harris era solo sul palco. Non ci fu alcuna introduzione musicale, nessuna ripresa drammatica che spazzava la folla. Soltanto una ripresa statica di Neil Patrick Harris e il costante ronzio del microfono, che c’era stato per tutto il tempo, ma che soltanto adesso era udibile in trasmissione. Neil Patrick Harris guardò dritto davanti a sé, pallido e determinato, intensamente concentrato e intensamente disorientato allo stesso tempo, come se un paio di mani si fossero allungate dentro di lui, lo avessero scosso afferrando qualcosa di profondo e irreperibile come l’integrità stessa e poi lo avessero rimesso nel punto esatto in cui era, identico, ma diverso per sempre. In termini meno astratti, anche lui sembrava uno a cui stessero puntando una pistola alla testa da dietro le quinte per obbligarlo a dire qualcosa che lui non voleva dire, che alla fine sarebbe diventata il pettegolezzo predominante sulla serata, irrobustito nel corso degli anni, come accadeva sempre ai pettegolezzi di questo genere, da un numero sempre maggiore di persone con un legame sempre più debole con l’evento originale. «La cosa migliore del mondo è l’Amore», disse Neil Patrick Harris. «Siamo in ritardo. Buonanotte.»
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Nell’anno successivo e in tutti quelli che seguirono, «niente» venne squalificato dalla competizione. La dichiarazione ufficiale presentata dagli organizzatori della gara spiegava che la competizione era un concorso per la cosa migliore del mondo e che niente era, per etimologia, 234
ne + ente, cioè «nessuna cosa», l’assenza di cosa e, di conseguenza «Non aveva alcuna attinenza con la competizione». La logica era ferrea anche se, in realtà, non faceva proprio niente per spiegare come Niente fosse arrivato ad essere nominato quell’anno; meno che mai come fosse diventato uno dei tre finalisti; ancora meno che mai uno dei due finalisti; ancor meno che meno – presumibilmente, potenzialmente, apparentemente – come fosse arrivato ad avere il suo nome dentro l’ultima busta vincitrice; e meno ancora di tutto chi lo avesse nominato o che diavolo avrebbe mai dovuto significare. Ogniqualvolta qualcuno domandava a Neil Patrick Harris che cosa fosse accaduto quella notte, lui con semplicità, freddezza e una voce che ormai da molto tempo pareva aver deliberatamente svuotato di qualsiasi emozione potesse aver provato, una volta, sull’argomento, rispondeva: «Vinse l’amore». O forse si era soltanto stancato di sentirselo chiedere. Alla fine l’amore ha vinto sempre. Non importa come, non importa quanto tempo ci è voluto, non importa che cosa ha significato. Giusto o no, vero o no, l’amore ha vinto. Se è stata una cospirazione, almeno nel suo genere è stata la migliore del mondo.
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