Un salto nel buio

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UNO

Giugno 1974 Kansas City, Missouri

Di norma, la mia nuotata mattutina non comprende cadaveri. Se così fosse, avrei lasciato perdere il nuoto per dedicarmi a cose meno stressanti, come convincere dei cobra a uscire dal cesto di vimini o mia madre a uscire dal letto prima delle dieci. Guardare il sole che sorge sul settimo green spesso è la parte migliore della mia giornata. Mi tuffo in piscina mentre l’acqua è ancora nera. Quando la luce cambia colore, passando dall’indaco scuro al lavanda, smetto di nuotare e resto semplicemente a galla, ad ammirare il cielo che stinge dal dorato al giallo e poi al rosa. È un rituale, una purificazione metaforica, un momento di pace rubata. Dopotutto, ho una figlia adolescente, una madre dalle salde convinzioni, un Weimaraner di nome Max che cerca di impadronirsi della casa come primo passo verso la conquista del mondo, e un coniuge. Per quanto lo desideri, non posso escluderlo dalla lista. Mi liberai delle ciabatte, buttai la camicia di mio marito su una sdraio, mi tuffai nell’acqua scura e trasalii al freddo improvviso e avvolgente. Per svegliarmi, lo shock dell’acqua gelida è meglio del caffè. Magari non meglio. Più rapido. Sbattei le gambe, affondai le braccia e mi lasciai andare al ritmo rassicurante del crawl. Le dita fendevano l’acqua, anticipando dolcemente l’apertura del liquido. Trovarono della stoffa e l’orrendo tocco di carne fredda.


Guardai l’alba da una sedia a sdraio. Non era né catartico né pacifico. Era orribile. I poliziotti brulicavano intorno alla piscina come formiche operose, e si fermarono solo quando qualcuno si buttò in acqua e spinse il corpo verso il bordo. Lo ripescarono e lo posarono sul bordo della vasca. Distolsi lo sguardo. Non volevo vedere. Un uomo con addosso un paio di pantaloni scozzesi davvero improponibili si staccò dal gruppo di formiche e venne a sedersi sulla sdraio accanto alla mia. «Si sente bene? Vuole un bicchiere d’acqua?» Aveva gli occhi gentili. Marroni. Come il caffè. «Caffè», gracchiai. Fece un cenno alle formiche e un attimo dopo una di loro comparve con un thermos. Versò un po’ di nettare caffeinato nel tappo di plastica rosso e me lo porse. «Grazie.» «Temo di non avere latte né zucchero.» «Nero va bene.» A conferma, ne bevvi un sorso. «Sono il detective Jones. Può dirmi cosa è successo stamattina?» «Stavo nuotando.» «Senza il bagnino?» Sentivo disapprovazione nella sua voce. Il detective Jones, dispensatore di caffè, indossatore di pantaloni scozzesi, era uno che seguiva le regole. Era una caratteristica che un tempo apprezzavo, in un uomo. C’è qualcosa di rassicurante nelle persone che colorano senza uscire dai contorni. I problemi nascono quando uno che si attiene rigidamente alle regole decide di infrangerle. Non è che si limita ad attraversare fuori dalle strisce pedonali. Nient’affatto. Una vita intera passata a comportarsi bene gli dà il diritto di andare a letto con altre donne. O, se è un po’ più potente, di far mettere delle cimici al Watergate Hotel. La prova che al giorno d’oggi non ci si può fidare di nessuno. Mariti. Presidenti. Poliziotti.


Sorseggiavo il caffè mentre il calore della tazza piano piano mi scongelava le dita. «Quelli del club lo sanno che vengo a nuotare all’alba. Lo faccio a mio rischio e pericolo.» Serrò le labbra. Chiaramente, non vedeva di buon occhio la pratica di nuotare da soli. «A che ora è arrivata qui questa mattina?» «Verso le cinque e mezzo.» «Come mai così presto?» «Mi piace essere in acqua almeno venti minuti prima che sorga il sole.» «Ha notato qualcosa di insolito?» Solo un corpo senza vita. «No.» «E persone, invece? Automobili nel parcheggio?» Scossi la testa. «No, nessuno. Di solito ci sono un paio di macchine parcheggiate. I soci le lasciano qui di notte se si sono fatti un bicchiere di troppo.» «Quindi lei ha parcheggiato ed è venuta dritta in piscina?» Che altro avrei dovuto fare? «Sì.» «E poi?» «Sono entrata in acqua e ho iniziato a nuotare. Avevo fatto più o meno mezza vasca quando…» rabbrividii, «quando ho toccato il corpo.» Il detective Jones mi rivolse un sorriso che in qualche modo risultò sia comprensivo che incoraggiante. «E poi?» «Ho gridato. Un guardiano del campo di golf mi ha sentita. Vi ha chiamati lui.» Bevvi un altro sorso di caffè e diedi un’occhiata alla piscina. La luce del mattino sembrava ancora così delicata da potersi spezzare. I rami pendenti del ciliegio avevano perso un po’ di foglie, che ora la brezza leggera faceva rotolare a bordo piscina. I poliziotti si stavano consultando, raccolti attorno al corpo. Poi si spostarono e vidi. La vidi. La mia mattina, che fino a quel momento era stata solo terribile, diventò di colpo la peggiore della mia vita.


Fissavo l’abito rovinato. Halston. Haute couture, non prêtà-porter. Chiunque contasse qualcosa a Kansas City sapeva che gliel’aveva venduto il signor Halston in persona. La mia espressione penso riflettesse il mio shock, perché il detective Jones si mise seduto dritto su una sedia progettata per sdraiarsi e arricciò il naso come un segugio che ha fiutato una traccia fresca. I suoi occhi non mi sembravano più così gentili. «Chi è quella donna?» Avrei potuto dirgli che era l’amante di mio marito. Ma quella parola – amante – evoca più di un semplice scambio di fluidi corporei. Soldi. O sentimenti. O altre cose. Tuttavia, la donna che si scopa mio marito suonava troppo brusco. Come se fossi arrabbiata. Avevo smesso di essere arrabbiata da mesi. La donna che mio marito lega al letto e frusta con un gatto a nove code forniva più informazioni di quante desiderassi divulgarne. «Si chiama Madeline Harper.» «Come la conosce?» Avrebbe scoperto di Madeline e Henry, presto o tardi. Questo era certo. Dovevo dirglielo, ma parlarne, pronunciare quelle parole ad alta voce, sarebbe stato come strapparsi un cerotto incollato per bene. «La conosco da sempre. Abbiamo fatto insieme l’asilo, le elementari e le superiori.» «Il college no?» «Madeline ha studiato sulla costa orientale. Io ho fatto l’accademia di belle arti.» «Quella donna non le piaceva.» Non era una domanda. «Da cosa l’ha capito?» «Non mi sembra sconvolta.» «Non mi piaceva.» «Come mai?» Dovevo strappare il cerotto. Avrebbe fatto un male cane. Quella striscetta di adesivo mentale aveva nascosto tutte le cose che non volevo vedere – le cose di cui era costituito il mio matrimonio con Henry. Di sicuro non ce n’era una che


mi andasse di spiegare a un poliziotto. Mi osservai i piedi, lunghi, ossuti, e posati sul cemento umido. Dovevo dirglielo. Aprii la bocca ma mi mancò il fegato. «Io e lei abbiamo… avevamo… valori differenti.» «Quando l’ha vista l’ultima volta?» «Una settimana fa. Martedì. Io e mio marito siamo usciti a bere qualcosa con lei e il marito, Roger.» Un’uscita educata. Un’uscita in cui si ignorano gli elefanti. Un’uscita della serie trombiamo come conigli e tu non hai il coraggio di farci proprio niente. «Pensavo che non le piacesse.» «A volte conoscersi da una vita conta più che piacersi.» Annuì, come se capisse. «Ha detto al mio collega Roberts che è un’artista.» «Sì. È così.» «Che tipo di artista?» Di nuovo, il detective Jones sembrò disapprovare. Come se avessi infranto un’altra regola non scritta. È proibito nuotare da soli. È proibito essere un’artista a meno che non ti manchino i soldi e l’igiene personale. «Dipingo.» «Quindi avrà occhio per i dettagli.» «Sì, suppongo di sì.» Seguii con lo sguardo i fili color acquamarina dei suoi pantaloni. Quando intersecavano il blu, i fili sembravano quasi verdi. Quando incontravano il crema, sembravano grigi. «Cos’ha visto stamattina nel parcheggio?» Chiusi gli occhi e visualizzai i fari della mia auto che fendevano il parcheggio. La Cadillac blu scuro di Ansil Merriwether con il paraurti ammaccato era parcheggiata male e occupava due posti. Probabilmente quando era arrivato per bere con i suoi compari aveva già un whisky in mano. Un’elegante Mercedes sfidava la rugiada del mattino con la capote abbassata. «Nel parcheggio c’è la macchina di Madeline. È la decappottabile.»


«Ha idea del perché si trovasse qui nel cuore della notte?» «Cuore della notte?» Volendo saltare alle conclusioni, avrei detto che aveva chiuso il bar dopo aver bevuto, cenato, e bevuto ancora, era andata fino alla piscina e ci era caduta dentro. Annuì. «Uno della security pensava di aver sentito qualcosa verso l’una. Ha acceso le luci della piscina. Era vuota.» Dopo quasi quarant’anni, arrivi a conoscere una persona. Sai cosa le piace, cosa non le piace, le sue fissazioni. Quindi lo sapevo. Madeline non si era fermata a farsi una nuotata al Country Club nel cuore della notte con addosso il suo Halston preferito. Nell’improbabile eventualità che la donna più egocentrica del pianeta avesse deciso di suicidarsi, non si sarebbe certo affogata. Madeline non avrebbe voluto farsi vedere gonfia d’acqua. Non era un incidente. Non era un suicidio. Era stata assassinata. Il tremore delle mie spalle non aveva niente a che fare con il venticello freddo del mattino. La moglie tradita che aveva trovato il cadavere sarebbe stata la sospettata principale. Sospettata di omicidio. Io. Ellison Walford Russell. Mia madre mi avrebbe ammazzata. Soppesai l’idea di chiedere al detective Jones di mettermi in custodia cautelare. Naturalmente non ero una sospettata. Non ancora. Lo sarei stata non appena il detective dagli occhi marroni e gentili fosse venuto a sapere che la donna che aveva trovato Madeline era anche quella con un valido motivo per ucciderla. Lo avrebbe scoperto. Questo era sicuro. Madeline e Henry non erano stati discreti. Neanche lontanamente. Farsi beccare nel guardaroba del club al party natalizio era più o meno l’equivalente di noleggiare un cartellone pubblicitario. A quanto pare, sbattere in faccia a me e a Roger la loro tresca faceva parte del divertimento.


Era questione di un’ora, poi qualche signora che passava i giorni a giocare a tennis o a golf o a prendere il sole, solerte e piena di senso civico, avrebbe telefonato al detective Jones per raccontargli tutto. Inspirai a fondo l’aria che profumava di cloro ed erba bagnata. «Madeline andava a letto con mio marito.» Il suo sguardo si strinse. Scivolò tra me e il corpo sul cemento. «Perché me lo sta dicendo?» «Perché Madeline non si sarebbe mai uccisa. Non così.» Il detective Jones tamburellò con le dita sul ginocchio. Dita lunghe, quasi eleganti. Aspettò che io dicessi qualcosa, usando il suo silenzio contro di me. La stessa cosa faceva mio padre quando tornavo a casa dopo il coprifuoco e voleva sapere dov’ero stata. Era una buona tecnica. La usavo con mia figlia. Con me non funzionava. Il silenzio si fece teso. Posai il tappo del thermos vuoto e incrociai le braccia sul petto. Il detective Jones sorrise. Era il sorriso accondiscendente che le madri rivolgono ai bambini piccoli. Un sorriso che diceva ti faccio vincere questa battaglia, ma vincerò la guerra. Mi gelò il sangue. «Da quanto tempo lo sapeva?» «Otto mesi.» Annuì come se avessi risposto a ben altra domanda. Le sue dita si fermarono. «L’ha uccisa lei?» Il cinguettio degli uccelli, le voci degli uomini vicino alla piscina e il suono dell’acqua che sciabordava negli scarichi, tutto si dissolse nel silenzio. «No.» Avevo parlato a voce troppo alta. «Non sono un’assassina»: no, tutto sbagliato, ero convincente più o meno quanto Dick Nixon che diceva non sono un imbroglione. Quegli occhi gentili non erano più tanto gentili. Si strinsero. «Ha idea di chi altro potesse volerla morta?» Chi altro? A parte me e Roger? Tanto valeva che gli dessi


l’elenco degli iscritti del club. Rabbrividii sotto i raggi del sole. Qualcuno aveva ucciso Madeline. Probabilmente qualcuno che conoscevo. «Non era molto benvoluta.» Il detective Jones alzò un sopracciglio. Voleva ritentare con il silenzio. Cambiai posizione e mi concentrai su un pettirosso appollaiato sul bracciolo di una sdraio poco più in là. Guardavo l’attività vicino alla piscina con grande interesse. Qualcuno in uniforme stava chiudendo Madeline in un sacco nero con la zip. «Cosa faceva?» Il detective Jones sembrava infastidito. «Quando non stava giocando a tennis o a golf o a bridge, lavorava part-time per una galleria d’arte.» «Non intendevo questo.» Mi sforzai di guardare negli occhi socchiusi del detective Jones. «Andava a letto con i mariti delle altre, metteva in giro voci maligne, e non si faceva troppi problemi a ricattare la gente.» «Ricattare?» «Per farsi invitare alle feste giuste. Cose del genere.» Inclinò leggermente la testa di lato. «Avrò bisogno di una lista di nomi.» Non mi stava chiedendo una lista, mi stava chiedendo di commettere un suicidio sociale. Avrei avuto più possibilità di sopravvivere da pilota kamikaze. Se non mi avessero ucciso le signore bene, l’avrebbe fatto mia madre. «Non posso aiutarla.» Di nuovo quegli occhi socchiusi. Il detective Jones mi piaceva molto di più quando era premuroso e mi versava il caffè. Alzai le spalle e le feci ricadere. Non c’erano dubbi. Non potevo aiutarlo. Un detective con lo sguardo torvo non era nemmeno lontanamente minaccioso quanto mia madre sul piede di guerra. Se avessi venduto una delle sue amiche, o una delle figlie delle sue amiche… be’, in confronto la battaglia


del Little Bighorn sarebbe sembrata una giornata al parco. Mi avrebbe massacrata. Il detective Jones annuì. Lentamente. «Devo chiederle di venire in centrale per fare una deposizione.» Fu così che la mattina peggiore della mia vita riuscì a peggiorare ulteriormente.


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