L'albero nudo Preview

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Prefazione

Riportare in vita L’albero nudo

“Ho realizzato questo mio primo lavoro quando avevo quasi quarant’anni, ma ricordo distintamente di averlo scritto con lo stesso cuore giovane, gentile e puro di quando ne avevo meno di venti. Forse per questo, anche se scrivere era faticoso, non mi sentivo come una quarantenne, ma come nei lontani e vivaci giorni della mia giovinezza.” [dalla postfazione dell’autrice all’edizione del 1985 del suo romanzo L’albero nudo]

Quando penso a L’albero nudo, mi torna in mente la stanza al secondo piano dell’edificio in stile giapponese che era la fabbrica di mio padre. In quel luogo, mia madre scrisse la prima bozza del romanzo.

Era l’estate del 1970. Al secondo piano faceva molto caldo, ricordo ancora l’odore di quel vecchio pavimento in tatami ormai fatiscente e la sua ruvidità sotto ai piedi. Lungo una delle pareti c’era una sorta di banco da lavoro in legno che non poteva propriamente definirsi scrivania. Mi ricordo che mamma aveva una primissima bozza del suo lavoro annotata su un vecchio quaderno dell’università, ma incredibilmente non la ricordo nell’atto della scrittura. Quando avrà avuto il tempo di realizzare quel manoscritto di oltre 1.200 pagine? Non era un segreto che si dedicasse alla scrittura. “Un giorno scriverò la storia di Park Su-geun. Racconterò dei ritratti che fece ai soldati americani al Post Exchange, i magazzini riservati ai militari americani. Anche tuo padre lo conosceva bene”, diceva.

Le sue parole sembravano al tempo stesso una decisione e una premonizione. Non dimenticherò mai il giorno in cui uscì il suo primo libro. Era stampato in formato verticale a due colonne e allegato alla rivista femminile Yeosong Donga. Quando lo leggevo non riuscivo a posarlo nemmeno per un momento e, allo stesso tempo, mi sentivo sopraffatta dalle sensazioni che provavo.

Sentivo il dolore di quelle ferite come fosse stato il mio, non potevo che rabbrividire alle sue parole. Non era più la madre che con un dolce sorriso piantava fiori, non era più la madre felice e orgogliosa che ci confezionava a mano i vestiti. Anche se non mi aveva mai cacciata via, diventai la figlia esiliata, la bambina svezzata all’improvviso. Borbottavo chiedendomi che cosa avrei dovuto fare da lì in poi, con la sensazione di essere stata cacciata dal paradiso e di non potervi più fare ritorno.

La notte in cui lessi L’albero nudo per me fu come la vigilia di una rivoluzione, la quiete che precede la tempesta. Tuttavia, la vita di mia madre non subì, come previsto, grandi cambiamenti.

Nei quarant’anni che seguirono, si dedicò alla scrittura di molti altri libri e in famiglia vivemmo numerosi alti e bassi. Lei però rimase la stessa donna umile di sempre, con la stessa postura, lo stesso atteggiamento. Probabilmente era perché aveva mantenuto lo stesso spirito di quando aveva scritto L’albero nudo fino al compimento del suo ultimo lavoro. Avendola osservata di soppiatto per tutti quegli anni, trovavo che tutto ciò fosse meraviglioso.

La prima volta che ho letto la bozza del romanzo grafico di Keum Suk GendryKim mi sono sentita a disagio. Non avendo alcuna conoscenza del medium Fumetto, per me era difficile approcciarmi a una rivisitazione simile. Tuttavia, dopo averla riletta due o tre volte, ho provato un’emozione nuova. L’autrice, quasi entrata nell’anima della scrittrice, aveva disegnato scene e personaggi con uno stile libero e creativo, preservando l’intento originale. La storia veniva narrata da un punto di vista moderno, caratteristica assente nel romanzo, e la rappresentazione di personaggi unici, come Diana Kim, hanno dato a tutta la narrazione una nuova vita, donandole un tocco umoristico. Senza rendermene nemmeno conto, mi sono affezionata a questa versione de L’albero nudo: alcune scene mi hanno fatto piangere di tristezza, mentre altre mi hanno trasmesso eccitazione e trepidazione, rimanendomi profondamente impresse.

Vorrei esprimere la mia più profonda gratitudine verso Keum Suk GendryKim per il tempo che ha dedicato a questo impegnativo lavoro e che ha portato a termine con impagabile passione. Il mio più sentito ringraziamento va anche all’editore e alla redazione, che hanno lavorato con tenacia affinché questo romanzo grafico potesse essere pubblicato.

novembre 2019, Ho Won-sook

Prologo

TI CHIEDO DI CHIUDERE LE TENDE E TU APRI LA FINESTRA…

ARGH!
BASTA DORMIRE, SU. È ORA DI ALZARSI.
NO, TI PREGO, LA LUCE NO. CHIUDI LE TENDE, DAI.
ZIIIP WOUUU

Cadono le foglie di ginkgo, a una a una. Quando pioverà, gli alberi diverranno spogli.

L’ARIA FRESCA TI FARÀ BENE.
SCIOCCHEZZE.
MI SONO PRESO PROPRIO UN BEL RAFFREDDORE. ETCIÙ
WOUUU
TI HO DETTO DI CHIUDERE.
OGGI HO IL DIRITTO DI DORMIRE UN PO’ DI PIÙ, NO?
SCUSA, MI ERO DIMENTICATA CHE FOSSE DOMENICA.

OGGI VORREI PROPRIO RIPOSARMI…

PERÒ DEVE VENIRE MIO FRATELLO CON LA FAMIGLIA, NO?

Capelli arruffati e occhi stanchi. Improvvisamente, non so più chi sia quest’uomo di mezz’età.

COSA C’È?

PERCHÉ MI GUARDI COSÌ?

C’È UN ANNUNCIO… SARÀ QUALCOSA DI GRAVE?

NO, NIENTE. È CHE… SUL GIORNALE…

CHE C’È SUL GIORNALE?

C’era scritto: “In memoria di Park Su-geun”. Era un uomo che conoscevo molto bene.

Sento all’improvviso un intenso formicolio al petto.

A CHE COSA SERVE L’ARTE?

CHE SENSO HA UNA RETROSPETTIVA POSTUMA?

SU UNA PERSONA CHE NON HA MAI AVUTO UNA MOSTRA PERSONALE IN VITA SUA, PER GIUNTA!

SERVISSE A VIVERE E A MANGIARE BENE…

YAWN
MAMMA MIA, CHE STANCHEZZA.
TESORO, FACCIO ALTRI CINQUE MINUTI DI SONNO.

Park Su-geun...

non avrei mai pensato di sentire ancora quel nome...

Voglio raccontare una storia che ho custodito nel profondo del mio cuore, senza mai rivelarla a nessuno.

È successa durante la mia giovinezza, un'epoca infelice che sonnecchiava in me e che aspettava solo una scintilla per esplodere. È il ricordo di un artista che ho conosciuto in quel periodo, Park Su-geun, un pittore estremamente povero, che avrà un nome diverso nel mio romanzo. E lo stesso farò con il mio, naturalmente.

Adesso credo di poterne parlare. Lui a suo modo, e se ci penso anch’io a modo mio... amavamo la gente di quel periodo difficile.

Capitolo

1 1951

Il 25 giugno 1950 scoppiò la guerra di Corea. L’Armata popolare nordcoreana respinse il rivale sudcoreano fino al fiume Nakdong. Tuttavia, l'esercito sudcoreano, sotto mandato dell'ONU, reagì.

Il 15 settembre cominciò l’operazione di sbarco a Incheon e, dopo due settimane di feroci battaglie, il 28 dello stesso mese le forze del Sud ripresero Seoul.

Tuttavia, a partire da dicembre e fino all'inizio di gennaio dell'anno seguente, le forze dell'ONU si ritirarono da Seoul a causa di un'offensiva lanciata dall’armata nordcoreana, appoggiata dal Partito Comunista Cinese.

L’occupazione di Seoul da parte delle armate comuniste è conosciuta come la Ritirata del 4 gennaio.

In seguito, i comunisti si spinsero verso la città di Pyeongtaek, nella provincia del Gyeonggi, ma le Nazioni Unite contrattaccarono nuovamente.

Il 15 marzo del 1951, l’esercito delle Nazioni Unite riconquistò Seoul, stabilendo il fronte sul 38° parallelo.

Seoul era gravemente provata dai combattimenti: la gente soffriva per la guerra, cercando ogni giorno di sopravvivere alla fame.

Nel tardo autunno del 1951, io avevo vent’anni.

HELLO.

MA CHE STO FACENDO? CON QUESTO ATTEGGIAMENTO NON LO CONVINCERÒ MAI A COMPRARE UN RITRATTO… DEVO ESSERE PIÙ ENTUSIASTA.

È POMERIGGIO, MA HO UN SONNO…

OH? SALVE!

CHE BELLA…

REALLY BEAUTIFUL! THIS IS… MY FIRST TIME… SEE, CIOÈ, BEAUTIFUL.

YOU ARE LUCKY GUY!

YAWN

DISEGNO IL RITRATTO DELLA SUA INNAMORATA SU QUESTA SETA PREGIATA, COSÌ POTRÀ REGALARGLIELO.

IN REALTÀ È

TESSUTO SINTETICO, MA… PAZIENZA. DIVENTO SEMPRE PIÙ BRAVA A MENTIRE. EH! EH!

THE MOST SMALL SIZE. MI PIACE QUELLO PICCOLO.

CHE TIRCHIO.

IN PRIMA LINEA DOVE? A YANGGU. * COM’È LA SITUAZIONE LÌ?

LA SUA RAGAZZA L’ADORERÀ! E L’AMERÀ ANCORA DI PIÙ!

QUESTO È IL TESSUTO CHE CI DÀ PIÙ MARGINE.

HO FATTO DAVVERO UNA DOMANDA STUPIDA.

DAI, COMPRALO.

QUELLO COSTA TRE DOLLARI. QUANDO VIENE A RITIRARLO? DOPODOMANI AL MASSIMO.

POI DOVRÒ ANDARE IN PRIMA LINEA.

GODDAMN YANGGU…

MA VOI PERCHÉ FATE UNA GUERRA NEL NOSTRO PAESE?

PREPARAMI IL DIPINTO ENTRO DOPODOMANI AL MASSIMO.

*Distretto nella provincia del Gangwon, una zona montuosa nell’odierna Corea del Sud. Si trova all’attuale confine con la Corea del Nord. (NdT)

PER FARE UN BUON DIPINTO CI VUOLE PIÙ TEMPO.

NON POTENDO AVERE LEI, AVRÒ ALMENO IL SUO RITRATTO SEMPRE CON ME.

SE VUOLE POSSO MANDARLO IO ALLA SUA RAGAZZA.

NO, NON SERVE. IL DIPINTO È PER ME.

MA COSA?

DI NUOVO SENZA LUCE? ED È PURE NUVOLOSO…

CI MANCA SOLO

COME?

A PROPOSITO, CHI È IL MAESTRO CHE SI VUOLE OCCUPARE DI QUESTO ORDINE?

DOPODOMANI. OKAY?
QUESTA.

I pittori mi guardavano, ansiosi di ricevere l’ordine appena arrivato.

MISS LEE, NON SIA INGIUSTA. CON QUELLO CHE GUADAGNO ADESSO, LA MIA FAMIGLIA RIESCE A MALAPENA A SBARCARE IL LUNARIO.

DOVREI DARLO AL SIGNOR DON, CHE PARLA SEMPRE DI SOLDI?

NON CI SONO MOLTI

ORDINI, ARRIVANO TUTTI ALLA FINE DEL MESE QUANDO I SOLDATI AMERICANI RICEVONO LO STIPENDIO.

VOI GIOVANI NON DOVRESTE PRENDERVI GIOCO DEI VECCHI PITTORI COME NOI…

Questo perché di solito i ritratti venivano pagati in proporzione al lavoro fatto.

NON SO PROPRIO A CHI COMMISSIONARLO.

QUANDO ARRIVERÀ IL CAPO GLI CHIEDERÒ DI SCEGLIERE QUALCUN ALTRO.

NON FACCIA COSÌ, MISS LEE, LA PREGO.

O FORSE DOVREI DARLO AL SIGNOR LEE, CHE SI LAMENTA DI MENO?

ACCIDENTI, NON SAPREI PROPRIO. FACCIAMO CHE SE NE OCCUPERÀ IL SIGNOR LEE.

Non pensavo di aver bisogno di un terzo aiutante. Facevo così solo perché mi irritava il loro atteggiamento. In realtà, non volevo farli sentire a disagio. Il capo, il signor Choi, li rimproverava chiamandoli “pittori da strapazzo”, ma in effetti non è che ci fosse un altro nome adatto a loro.

A dire il vero, non disprezzavo loro, i “pittori da strapazzo”, ma il nostro capo, il signor Choi.

MISS LEE, VIENI QUI PER FAVORE.

E LÌ CI SONO GLI SPEDIZIONIERI COREANI

CHE SE NE OCCUPANO.

CON LA GUERRA È NORMALE.

LÀ. UN TERZO DEI PRODOTTI VENDUTI QUI È COREANO.

NON SEMBRANO MOLTO INDAFFARATI.

UNA SOCIETÀ DI SPEDIZIONI

COME QUESTA NON PUÒ FUNZIONARE SENZA UNA BUONA DOSE DI INTRAPRENDENZA E DI CAPITALE.

GUARDA

IO PERÒ HO INIZIATO QUESTA MIA ATTIVITÀ CON I RITRATTI SENZA IL BECCO DI UN QUATTRINO!

PENSI CHE

SIA UNA COSA DA TUTTI?

È PERCHÉ IO SONO IL MIGLIORE.

Gli piaceva, quando lo chiamavamo “capo”. Lo facevo sempre, soprattutto nel giorno di paga. Però, ogni volta che lo facevo, il mio disprezzo per lui cresceva sempre di più.

MISS LEE, DIMMI, DOVE SI TROVA IL NOSTRO REPARTO RITRATTI?

AL PIANO TERRA DEL PX. *

ESATTO!

L’HO MESSO PROPRIO NEL PUNTO DOVE C’È MAGGIORE PASSAGGIO DI PERSONE.

SONO L’UNICO AD ANDARNE FIERO? NON SOLO CI GUADAGNO, MA DO DA MANGIARE A QUESTI POVERI PITTORI DA STRAPAZZO.

È GRAZIE A ME CHE LE LORO FAMIGLIE HANNO DI CHE VIVERE.

LEI È PROPRIO UN BENEFATTORE, C-A-P-O.

*Il Post Exchange era il punto vendita di prodotti non tassati, riservato ai soldati americani delle basi militari o delle guarnigioni di stanza in Corea del Sud.

EHI! MALEDIZIONE, È GIÀ ORA DI ANDARE A CASA.

A CAUSA DEL BLACKOUT, NON HO FATTO QUELLO CHE AVREI VOLUTO. UFF…

Di fronte al nostro reparto c’era un negozio di articoli americani, “Made in USA”. Non mi stancavo mai di guardare ciò che arrivava lì... mi aiutava a distrarmi dalla realtà.

IL NOSTRO LATO SEMBRA

UNA PLATEA CHE SI AFFACCIA SU UN INCANTEVOLE PALCOSCENICO.

LE UNIFORMI GIALLE SE NE VANNO.

CHISSÀ CHI INCONTRERANNO QUELLE COMMESSE, DOPO ESSERSI TRUCCATE!

CHISSÀ DOVE VANNO TUTTI…

Lavoro qui già da qualche mese. Eppure, anche se vengo ogni giorno...

Dopo la chiusura del negozio, le signore delle pulizie strofinavano a fondo il pavimento piastrellato con l’acqua.

... non ho ancora fatto amicizia con nessuno.

SEMBRA CHE ANCHE L’ARIA QUI DENTRO SI STIA RIPULENDO.

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