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Michelle Yeoh

“Al cinema impersono il Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Una donna che ha dato tutto per un ideale: è rimasta in Birmania a lottare per la libertà del Paese sacrificando l’amore. Io, nel mio piccolo, all’apice della carriera ho abbandonato la ribalta per fare la moglie”

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Tiziano Canu e Maria Luisa Bonivento

IO assaporo

Optical house nella torre di Gio Ponti, a Milano. Una frittella di ceci e uno spiedino di fiori. E poi, segnate in agenda: un appuntamento goloso e tanti indirizzi. Dove? A Firenze Il corridoio (lungo 36 metri!) della casa-studio milanese di un architetto d’interni io donna – 3 marzo 2012

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NOVECENTO REMIX Design e optical per la casa-studio di un architetto d’interni. Nella Torre Rasini di Milano (stessa mano del Pirellone) di Lia Ferrari, foto di Tiziano Canu e Maria Luisa Bonivento

Sopra, la sala da pranzo, con una credenza anni Trenta di Jean Pascaud e un quadro di Salvatore Falci. Nella pagina accanto, dettaglio della cucina in legno laccato. Il pannello sopra i fornelli è stato realizzato da Fornasetti. 182

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ane, burro e gio ponti. La mattina faccio colazione così». Di stanza a Milano dal 2001 dopo una lunga esperienza a New York, da un anno l’architetto Barbara Falanga ha messo su casa (e studio) nella Torre Rasini, icona fronte parco sui bastioni di Porta Venezia. Pane, burro, Gio Ponti ed Emilio Lancia: è con Lancia, suo collaboratore per due decadi, che Ponti, l’autore del Pirellone, progetta il complesso, una torre di dodici piani più palazzo bianco ad angolo. Erano i primi anni Trenta. Oggi, nell’appartamento sulla torre, i grandi sono cresciuti di numero. Franco Albini, Luigi Caccia Dominioni, Piero Fornasetti, Angelo Mangiarotti. Falanga ha riunito qui i loro pezzi con un piano preciso: «Dare testimonianza dei grandi designer della nostra tradizione, ma non solo. Volevo che gli interni mi rispecchiassero: io mi sento molto “Novecento”. Certo, se un cliente mi chiede di interpretare altri stili non mi oppongo, è lavoro. Su un punto però non transigo: gli arredi devono essere originali. Odio le copie». La sua specialità sono i “progetti chiavi in mano”: «Ristrutturo e arredo di tutto punto. Se me lo chiedono, seleziono anche l’ultimo dei soprammobili. Una delle mie fonti è una galleria in Brera, Roberta e basta. Un’altra, Walter Mondavilli, un outsider. È lui che mi ha procurato i pezzi di Angelo Mangiarotti». Prima che agli oggetti, Falanga pensa alle luci: «È la mia formazione da scenografa. Spesso gli architetti dimenticano che l’illuminazione sbagliata affonda anche il più bel progetto. I faretti? Mai. Sono

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Sopra, il soggiorno. Sui tavolini francesi in osso ed ebano, un’alzata di Ettore Sottsass e obelischi in opalino nero. Nella pagina accanto, in alto, la testata del letto in “abito” animalier; lampada The Big One di Jac Jacobsen; dettaglio del trumeau Architettura di Gio Ponti decorato da Piero Fornasetti. Al centro, il bagno; porte con maniglie Azucena; un sole di Fornasetti. In basso, vaso di Mimmo Paladino e sculturine in ferro anni Venti; la cucina; una foto di Marco Mazzucconi.

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In alto, l’esterno di Torre Rasini, finita di costruire nel 1935 su progetto di Gio Ponti ed Emilio Lancia. Sopra, l’ultimo tratto del corridoio lungo 36 metri. Ai lati della porta, due lampade Parentesi di Achille Castiglioni e Pio Manzù, Flos. Nella pagina accanto, la sala riunioni. Tappeto Kilim, tavolo e sedie in ferro di Luigi Caccia Dominioni e una lampada The big one di Jac Jacobsen per Luxo.

case, non negozi». La sua, di casa, è grande trecento metri quadri, ha una parata di stanze, dieci metri di terrazzo e un formidabile corridoio lungo trentasei metri in corsa dal salone alla sala riunioni. «Ho preso l’appartamento in affitto» precisa dopo aver contato per noi le finestre: trenta, senza calcolare le doppie. «Lo spazio è così bello che funzionerebbe anche vuoto. Volume e tagli sono fantastici». Ma era un peccato non divertirsi un po’. Lei lo ha fatto con un esercizio di bianchi e neri. «Sembra uno scherzo, ma ho giocato con le tonalità. Il pavimento, per esempio, è un parquet a intreccio, nero ma non nerissimo. E lo stucco delle pareti non è bianco ma “off white”». Di ispirazione varia i motivi decorativi: righe, geometrie déco, optical (protagonista in cucina, con il pannello fatto su misura da Fornasetti). E disegni a intreccio per i tappeti disegnati dalla stessa Falanga, che li vende da Alberto Levi Gallery. «Il motivo si chiama “triage”. L’ho usato anche per una boiserie». Di che colore? Vabbè. Che domanda.

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