La poetica dell'abbandono. Colonie Marine e Montane.

Page 1

L A P O E T I C A D E L L‘A B A N D O N O | C O L O N I E M A R I N E E M O N TA N E

LA POETICA DELL‘ ABBANDONO COLONIE MARINE E MONTANE Beatrice Rezzani Relatore: Prof. Ferdinando Zanzottera Politecnico di Milano Scuola di Architettura e Società Laurea Triennale A.A. 2017/1018


ABSTRAC T

ABSTRAC T

COLONIE MARINE

E M O N TA N E

Tema della tesi sono le architetture delle colonie marine e montane, indagate nella duplice valenza storico critica. Questi edifici sono stati studiati nella loro genesi ed evoluzione storica, interrogandosi sulla loro importanza culturale e sviluppando interesse anche per i progetti di valorizzazione e di trasformazione in atto, sottolineando inoltre le dinamiche esistenti fra edilizia ospedaliera ed architettura dedicata alla villeggiatura. Per alcune delle colonie, la tesi approfondisce le caratteristiche tipologiche e formali, riflettendo sulle scelte urbanistiche e sui rapporti esistenti fra architettura e contesto naturale in cui si collocano. Lo studio pone in evidenza i due principali tipi di interventi: neo-costruzioni e insediamenti in strutture esistenti, analizzando l’evoluzione di questi “dispositivi”, nati come culle della nuova politica di igiene. La tesi, infine, si sofferma su due casi studio significativi anche per l’importanza che ricoprono nel contesto dell’architettura del Novecento. L’analisi approfondisce dunque la Colonia Montana a Borca di Cadore, parte integrante del Villaggio Eni, e la Colonia Marina Agip a Cesenatico, progettata dall’architetto Giuseppe Vaccaro. Entrambe sono state indagate attraverso campagne fotografiche, ricerche d’archivio ed interviste a specialisti e riflettendo su ipotesi di riuso e di riqualificazione in corso di attuazione ed esecuzione. Questi due mirabili esempi di architettura del XX secolo, sono stati entrambi studiati nella loro unicità, per poi essere confrontati con analoghe strutture afferenti al più vasto Patrimonio Storico-Culturale italiano e internazionale.

THE

POETICS

OF

DERELICTION

M A R I N E A N D M O N TA N E C O L O N I E S The theme of the thesis is the seaside and mountain colonies, investigated in the double critical historical value. These buildings are studied among their genesis and historical evolution, questioning on their cultural meaning also developing interest also towards existing projects of valorisation and transformation, underlining the dynamics between hospital building and leisure architecture too. Moreover, the thesis studies in deep the typological and formal characteristics of some colonies, reflecting on the urbanistic choices and on the relationships between the architectures and their natural context. The survey highlights the two main types of interventions: neo-constructions and installations in existing structures, analysing the evolution of these „devices“, born as cradles of the new health policy. The thesis , eventually, focuses on two cases, significant first and foremost, because of the importance they hold in the architecture context of the twentieth century. Therefore, the analysis concerns the Colonia Montana at Borca di Cadore, an integral part of the Eni Village, and the Colonia Marina Agip, located in Cesenatico and designed by the architect Giuseppe Vaccaro. These two building have been investigated through photos, archive researches and interviews with special insiders, reflecting on hypothesis for re-uses and current or ongoing requalification projects. These two prestigious examples of architecture of the previous century, have been studied as unique devices, and then compared with similar structures related to the wider Italian and international cultural and historical heritage.

abstract

D E L L‘ A B B A N D O N O

2

LA POETICA


INDICE Colonia. Origine e nomenclatura Architettura e varietà tipologica Soluzioni compositive Casi studio: la colonia montana Casi studio: la colonia marina Conclusioni Allegati Bibliografia e Sitografia Ringraziamenti

1

Politecnico di Milano Facoltà di Architettura Scuola di Architettura e Società DASTU Dipartimento d‘Architettura e Studi Urbani Prof. Ferdinando Zanzottera

indice

Beatrice Rezzani 825518 Prova finale tipo A Anno Accademico 2017/2018


2

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

CAPITOLO I

COLONIA. ORIGINE E NOMENCLATURA


delle grandi città e particolarmente delle metropoli nelle campagne” 1 fu registrato per la prima volta all’inizio

Fig.1, Stafforrd, Inghilterra, allo scoppio della TBC nel 1832.

del Ottocento grazie all’attività del medico inglese Alexander Peter Buchan2 . Egli fu il primo a notare come la popolazione si spostava periodicamente verso luoghi immersi nella natura alla ricerca di un clima salubre, lontano dalle malattie infettive, epidemie, contagi e fumi nocivi delle città congestionate, al fine di curare la propria salute ma anche di prevenire futuri malanni. All’interno delle città, sede e alcova di virus e malattie, si cercava di attuare tutte le prevenzioni possibili, per limitarne la diffusione. Tuttavia i metodi adottati, a cui le norme d’igiene dell’epoca si attenevano, erano spesso privi di fondamenti scientifici e comportavano un aggravamento della condizione sanitaria su scala urbana3. In quanto scienza organica fondata su principi razionali, l’igiene ebbe un notevole sviluppo solo nella seconda metà del XIX secolo, fino a divenire tema cardine della storia dell’urbanistica europea. Fu proprio nel corso del Ottocento che si tennero i primi Congressi

sull’Igiene: Francia ed Inghilterra furono gli stati pionieri della battaglia contro le epidemie. Proprio a Parigi nel 1851 si tenne la prima Convenzione Sanitaria Internazionale, durante la quale vennero fissate delle “Disposizioni Generali” per la disinfezione e igiene delle abitazioni, dei suoli, degli alimenti, come misure preventive da applicarsi sempre. In aggiunta venne reso obbligatorio l’isolamento e quarantena dei malati in caso di epidemie di colera, vaiolo, febbre gialla, peste, tifo. Si aggiunse-ro in seguito nuove istituzione di cordoni sanitari e misure di quarantena per persone e cose provenienti da regioni endemiche. In realtà il primo Congresso Internazionale d‘Igiene ebbe luogo nel 1852 a Bruxelles, iniziativa che rimase isolata, fino a quando, nel 1877 in Belgio si diede avvio ad un ciclo di venticinque congressi internazionali che si tennero, con cadenze variabili, tutti in Europa, ad eccezione dell’ultimo con sede a Washington nel 1912. In Italia la Società d‘igiene nacque nel 1879 per iniziativa del comitato milanese dell‘Associazione Medica Italiana. Un suo particolare momento di affermazione fu la creazione, nel 1887 della Direzione di sanità pubblica presso il Ministero dell‘interno, e il successivo varo della legge sull‘igiene e la sanità pubblica nel 1888. In tutta Europa sorsero Comitati e Società che si palesavano per la cura e prevenzione promuovendo una cultura igienista intrisa di filosofia positivista. Senza dubbio vi furono conquiste importanti nell’ambito medico a cavallo di Ottocento e Novecento: le scoperte microbiologiche di Pasteur e di Koch rappresentarono, in questi anni, un fondamentale punto di riferimento della cultura igienista. Alfonso Corradi4 nel 1868 affermava come l’obiettivo principale della cultura Igienista fosse quello di “cooperare con la scienza politica alla miglior esi-stenza e convivenza sociale”, in modo che “la specie

umana tuttora raggiunga il suo sviluppo e quanto alle forme e quanto alle forze della vita” 5, a questo scopo

la pedagogia e la beneficenza furono annoverate fra gli strumenti principali in grado di prevenire e curare le malattie epidemiche più letali, capaci di causare migliaia di vittime in brevissimo tempo, soprattutto fra i più poveri ed indigenti. Analogamente, in Italia come in tutta Europa, anche l’architettura e la pianificazione urbana compivano passi enormi verso una maggiore sensibilità nei confronti della salute pubblica. In questi termini, un importante contributo letterario fu fornito dallo sto-rico e architetto Guido Zucconi nello scritto La città contesa: dagli ingegneri sanitari agli urbanisti6 .L’autore ricostruisce il ruolo svolto dagli igienisti nel dibattito sull‘organizzazione urbana di fine Ottocento ripercorrendo le principali opere di riammodernamento urbano. Il testo spazia dalle aperture dei grandi viali nei cuori delle città, operazione tesa ad eliminare il fitto reticolo medievale, all’istituzione dei bagni pubblici nei principali centri urbani, fino alle nuove reti fognarie cittadine, come nei casi di Milano e Torino, i cui aggiustamenti vennero scrupolosamente documentati negli articoli de L’Ingegneria sanitaria, Periodico mensile tecnico-igienico illustrato. A partire dalla se

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

Le grandi città europee del XVIII e XIX secolo dovettero affrontare una grande e comune piaga: dilagava una condizione d’igiene scarsissima, frutto di conoscenze scientifiche arretrate e concezioni sociali differenti da quelle attuali. L’insieme di fattori quali l’insalubrità dell’aria, epidemie e scarsità di norme mediche ebbe degli effetti devastanti sulla popolazione europea, e particolarmente su coloro che abitavano nelle grandi città. Indubbiamente una delle cause principali fu la Prima Rivoluzione Industriale. Questo fenomeno, che ebbe certamente ripercussioni positive sulla crescita sociale, fu accompagnato da effetti deleteri in ambito sociourbanistico. Innanzi tutto, la rapida crescita demografica portò ad un inurbamento disordinato dei grandi centri cittadini. Queste aree avvertirono maggiormente i mutamenti sociali, fra cui un repentino sviluppo di sobborghi a ridosso delle città: si trattava per lo più di quartieri malsani, malfamati, spesso al limite della vivibilità. La Rivoluzione Industriale cambiò radicalmente l’aspetto della città, e con esso mutarono anche la qualità di vita dei suoi abitanti, che si trovarono a far fronte a delle “nuove malattie” causate da un aumento dei livelli di polveri e di agenti chimici nell’aria con cui il corpo umano non era mai venuto a contatto prima d’ora. Le tecnologie mediche dell’epoca erano scarse se non inesistenti. La maggior parte delle malattie infettive più temute e letali, quali tabe, tisi, consuption, rachitismo, e tubercolosi, fino ad allora sconosciute, trovarono metodi di cura efficaci solo nel secolo seguente. Le famiglie agiate, che abitavano le grandi metropoli, a rimedio a queste condizioni di malessere optavano, per una fuga temporanea dall’insalubre aria delle città trascorrendo i mesi estivi nelle loro case di campagna. Questa pratica, molto comune fra i nobili inglesi nel XVIII secolo, conobbe un’ampia diffusione anche nella Lombardia Settecentesca, fino a divenire una prassi alla fine del secolo, quando la permanenza nei cottage di campagna o nelle ville di delizia trasformò la ritualità dell’ozio nobiliare in esigenza medicoculturale. “Il fenomeno dell’emigrazione degli abitanti

3

LA QUESTIONE D‘IGIENE IN EUROPA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO.


Fig.2, „ The Crawlers“ da Street Life In London: ‘Ca-

reful

Fig.3,

don:

Observations

Public

‘Careful

Among

The

Disinfectors“

Observations

Among

Poor’

Street The

In

Life In Poor’ In

1877

Lon1877

tro di essa deve venire condotta con i mezzi di tutto il popolo”12. La tubercolosi infatti era causa di senti-

menti di paura profonda: nel 1882 fu provato scientificamente che il batterio della TBC dia origine a forme di rachitismo e scrofolosi. Anche dopo il 1895, quando la scoperta dei raggi X permise di identificare i danni del bacillo della tubercolosi all’interno dei polmoni, non vi furono mutamenti nel tradizionale approccio terapeutico applicato dai medici per ridurre il contagio. Si ricorreva, per le forme polmonari, a interventi chirurgici quali il pneumotorace e la collassoterapia. Il metodo teorico profilattico invece, si basava sul controllo del contatto fra persone sane e malate. Quest’ultime venivano curate ed isolate in sanatori, esposte a particolari condizioni climatiche e sottoposte ad una alimentazione abbondante13 . Tra il 1800 e il 1950 si registrava in tutta Europa un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini riferibile ad una dieta più adeguata e condizioni igienico sanitarie soddisfacenti che portò ad un declino del tasso di mortalità14 . Per i tubercolotici la prassi prevedeva in primis un internamento immediato nelle strutture ospedaliere, e nei sanatori in un secondo momento. L’isolamento non avveniva solo per i soggetti contagiati: la dimensione sanitaria dell’Ottocento pose una particolare attenzione nei confronti delle fasce sociali più suscettibili al contagio, fra cui i bambini. Nel tentativo di evitare questo stato di reclusione ai bambini riconosciuti in pericolo, si diede avvio ad una fase di riflessione e di invenzione di nuove strutture sociali ed architettoniche, ritenute più adatte al rinvigorimento corporale del fanciullo.

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

Figura 3

estinzione del patogeno, proponendo al malato una convalescenza in prossimità del mare o in montagna, in luoghi dove il clima agiva positivamente sul corpo umano. Al Congresso di Berlino del 1889 si affermava come “La TBC è una malattia popolare e la lotta con-

4

Figura 2

conda metà dell’Ottocento, si svilupparono due differenti approcci nei confronti della questione dell’igiene in architettura ed urbanistica delle grandi città. Da un lato, nei centri urbani, il cittadino ve-niva indottrinato al perseguimento di uno stile di vita civile e moralmente corretto: tale messaggio era veicolato tramite l’estetica del manufatto architettonico, la composizione degli spazi pubblici e del disegno della città stessa che dovevano lasciar trasparire un’idea d’ordine e decoro. Parallelamente prese forma una rete di carattere socioassistenziale, che si concretizzò attraverso la realizzazione di opere sanitarie e di beneficienza quali ospizi, sanatori, case di cura, ospedali e orfanotrofi. Queste moderne iniziative pubbliche, erano strettamente connesse ad una esigenza di salubrità dell’ambiente, nonché regolate da precise norme igieniche7. Nel corso del XIX secolo il dibattito sull’ingegneria ospedaliera divenne sempre più attuale e complesso. I manuali redatti dai nuovi ingegneri igienisti affrontavano diverse problematiche, dallo studio dei materiali di costruzione, basati sulla loro diversa porosità, al passaggio dell’aria nei rivestimenti e delle loro qualità in termini di resistenza e facile lavabilità, fino alla formulazione del corretto orientamento degli edifici, e dalle migliori scelte distributive finalizzate a massimizzare soleggiamento e ventilazione. Tuttavia i medici igienisti, che si proponevano come esperti in materia, concordavano sul fatto che prevenire la diffusione del contagio sarebbe stato più semplice che sopprimere il contagio stesso. Perciò si preferiva incitare la popolazione a cambiare aria, a fuggire dall’insalubre città, così nel corso del secolo nacquero in tutta Europa innumerevoli strutture ospedaliere, fuori dei centri urbani, immersi nella natura delle campagne, lungo i litorali mediterranei e sul Mar Baltico, oppure nelle valli Alpine8 . In pieno clima positivista, la Natura divenne oggetto d’indagine di numerosi studi. In particolare i fisiologi dell’epoca, dimostrarono come, l’ambiente naturale potesse incidere positivamente sulle condizioni fisiche del corpo umano. Sulla comprovazione di questi effetti benefici si iniziò a costruire una profilassi terapeutica, che orientava le scelte nella progettazione architettonica della tipologia ospedaliera. Allo stesso modo, si incoraggiava la transumanza periodica degli abitanti dalle grandi città alla campagna. Attorno al 1750, il medico e filosofo inglese Richard Russell, inaugurò la pratica dei risciacqui con acqua di mare per via orale e sul corpo, ritenuto toccasana d’eccellenza per la cura e pulizia dei bronchi. Così come lo erano l’aria atmosferica e successivamente compressa, o ancora i cosiddetti bagni di sole considerati un toccasana per i polmoni del malato9. La cura climatica divenne uno dei principali metodi di prevenzione e limitazione di malattie virali di grandi pericolosità, conseguenza delle scabrose condizioni della vita urbana. Una fra tutte, la tubercolosi, veniva considerata dagli esperti un vero e proprio “flagello dell’umanità [...] che toglie figli alle madri, menti allo studio, braccia al lavoro” 10. In assenza di cure fisiologiche efficaci si cercava di aumentare il più possibile le chances di


Figura 5

Figura 6 Fig.4, Margate Camp, Galles meriidionale, 1856 Fig.5, Ospizio Marino Veneto in una veduta prospettica dell‘epoca Fig.6, Corlay Hinsch Camp, Inghilterra, Pratica dell‘elioterapia, 1902

te strutture rapidamente cosicché la fama delle virtù terapeutiche dell’aria di mare della cittadina di Berecksur-Mer crebbe in breve tempo: lungo il litorale sorsero architetture ospedaliere di dimensioni ingenti rispetto al contesto urbano in cui si trovavano. Una situazione del tutto analoga a quella che caratterizzerà, pochi decenni dopo, in Italia, numerose città del litorale Adriatico. In Germania la prima Legislazione Sanitaria tedesca contro la tubercolosi, fu emanata nel 1883. Tramite l’organizzazione delle Casse di malattia si poté provvedere all’assistenza degli assicurati per sei mesi, a domicilio ed in ospedale. Questa legge contribuì al sorgere numerosi Istituti antitubercolari ed una fitta rete di sanatori che si sviluppò in tutto il Paese20 . el panorama italiano, il pioniere di questa nuova “estensione laica della cristiana solidarietà” fu il medico fiorentino Giuseppe Barellai 22. Il Comitato da lui fondato a Firenze promosse la costruzione lungo le spiagge italiane di edifici dedicati al soggiorno temporaneo di indigenti esposti al morbo, occupandosi in modo particolare dei bambini. La prima struttura di accoglienza dei fanciulli fu l’Ospizio Marino di Viareggio, realizzato nel 1862, oggi noto come Palazzo delle Muse23. Barellai proponeva uno stile di vita a stretto contatto con la natura. In particolare sosteneva che “l’aria di mare” avrebbe efficacemente contrastato l’evoluzione della tisi, dallo stadio iniziale, più facilmente controllabile, fino alla fase più progredita, non suscettibile di cure risolutive. I bambini selezionati venivano divisi a seconda dell’età e dello stato di salute24 . Generalmente si prevede-va un soggiorno temporaneo, in prossimità della spiaggia, per un periodo di circa otto settimane, scandito da cure e trattamenti con l’acqua di mare, esposizione al sole, esercizio fisico praticato nei cortili della struttura. Una pratica molto comune divenne appunto l’elioterapia: secondo le convinzioni dell’epoca si riteneva che il calore dei raggi solari, infuso nel corpo del malato, procurasse numerosi benefici ed un “risveglio” di tutte le attività biologiche dell’organismo. Il contatto con l’ambiente naturale e i benefici che i giovani infermi traeva-no da esso, ebbe successo sia nelle località marine che montane. Nella prima metà del XIX secolo il ruolo favo-revole del clima montano era stato consigliato da Biagio Castaldi25 che tra il 1847 ed il 1856 sperimentò, su sé stesso, gli effetti salutari del soggiorno in altura affiancato da una buona e sostanziosa alimentazione. Egli fu il primo in grado di intuire come, la frequenza della tisi decresceva con l’altitudine, a partire dai 600 metri, ed era rarissima nei paesi a più di mille metri. A suo parere, l’effetto terapeutico benefico sui bambini gracili era dovuto più che al clima, all’altitudine26. Castaldi è tutt’oggi considerato il pioniere scientifico della climatoterapia alpina: se dapprima il malato veniva indirizzato empiricamente verso la Natura, grazie ai suoi studi, si attribuisce una valenza medica a tale scelta. In questo contesto positivista il rapporto dell’uomo verso la natura si fa sempre più scientifico, finalizzato a ricavare un beneficio vero e soddisfacente. La necessità di godere degli effetti salutari del mare, della montagna, dell’aria aperta, si sviluppa

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

Figura 4

Parallelamente alla tradizione della villeggiatura, avviata nel Settecento nelle località extraurbane, per divertirsi ma anche depurarsi dalla città insalubre, andò evolvendosi, nella seconda metà dell’Ottocento, l’esperienza degli Ospedali Marini. Queste strutture, occupate per periodi transitori, si moltiplicarono in breve tempo diffondendosi lungo i litorali europei: innumerevoli furono gli Ospizi Marini italiani, noti come Hospices Maritimes in Francia e Seehospize quelli disseminati sul Mare del Nord. Si trattava di un’opera filantropica che, in alcuni casi, venne dedicata, prettamente all’infanzia, rivelandosi rivoluzionaria nel campo dell’igiene e assistenza per la cura contro la tubercolosi. La cultura del ricovero in località marine si diffuse a partire dalla seconda metà del Settecento, ma impiegò circa un secolo prima di essere riconosciuta come pratica efficace ed essere istituzionalizzata a livello giuridico. Gli spazi dedicati alla cura contro la tubercolosi adottavano regole compositive basate sulle necessità terapiche dei degenti. Ad esempio, negli ospedali che ospitavano sia malati che individui sani, si proponeva l’apertura e l’aereazione degli spazi dedicati ai primi, tramite corridoi e logge dove i degenti potessero passeggiare ed essere sottoposti alla elioterapia15 in padiglioni separati dai non tubercolotici, con annessi portico e veranda16. Uno dei primi Seehospize che diede avvio alla villeggiatura climatica sulle coste inglesi fu il Royal Sea Bathing infirmary for scrofula che accolse i suoi pazienti nel maggio del 1796. In Inghilterra, la visita al mare e i benefici delle acque termali, erano riservate ai ricchi. Sempre nell’ottica assistenziale, il dottor Jhon Coakley Lettsom, col sostegno del Principe di Galles inaugurò a Margate questo nuovo stabilimento dedicato alla cura dei poveri londinesi scrofolosi17. L’architettura dell’edificio precedeva di alcuni decenni quelle che sarebbero state le caratteristiche basilari dell’edilizia ospedaliere per i malati di tubercolosi: due logge aperte, un blocco di amministrazione centrale su due livelli e sale di cura annesse ad esso. Anche in Francia il fenomeno della cura climatica riscosse un notevole successo: nel giro di pochi anni furono inaugurati numerosi ospizi, non solo sul mare ma anche in montagna e nelle campagne intorno a Parigi. Il primo stabilimento a mare venne fondato da Corlay Hinsch a Séte nel 1847, inizialmente dedicato prettamente alla cura caritatevole dei poveri protestanti durante i mesi estivi, avviò la sua opera con solo 24 letti per poi ampliarsi e dare vita alla Maison Kruger, dal nome del proprietario, primo stabilimento marino francese18. In pochi anni, gli impianti balneari francesi, conobbero un successo tale da portare, nel 1861, all’inaugurazione del primo ospedale strettamente dedicato a bambini scrofolosi a Bereck-sur-Mer, sul Mare del Nord, al confine col Belgio. La struttura, sopravvissuta fino ad oggi e tutt’ora adibita a clinica, fu affiancata nel 1870 da altri due edifici: l’ospedale Nathaniel de Rotschild, con una struttura a padiglioni, e la Maison Cornu, prettamente maschile affiancata da una analoga casa di cura femminile19. La tecnologia del legno permetteva di erigere ques-

5

DALL‘OSPEDALE MARINO ALLE COLONIE CLIMARICHE: UN‘ARMA PREVENTIVA


Figura 8

Figura 9 Fig.7, Corlay Hinsch Camp, Inghilterra, Viale principale, 1940 Fig.8, Pionierlager, „Heinrich Rau“, in Postdam, ingresso del 1932 Fig.9, Ragazzi in partenza per la Ferienkolonien di Postdam all‘inizio degli anni Trenta.

Nel corso dell’Ottocento andava sviluppandosi, attorno alla figura del bambino e della sua forma fisica, una particolare attenzione legata alla sua salute e agli insegnamenti morali impartitagli, interesse che prese forma tramite una serie di forme istituzionali ed organizzative. Questa molteplicità di programmi, con nomi e paesi d’origine diversi, possono riassumersi sotto il fenomeno dell’esperienza delle “Colonie”. Attualmente l’espressione “colonia di vacanza”, ancora utilizzata, descrive un insieme di esperienze di collettività tutt’altro che unitarie: esse erano caratterizzate da programmi e obbiettivi diversi che generarono una moltitudine di edifici dalle caratteristiche tipologiche, urbanistiche e architettoniche eterogenee. A livello europeo è possibile affermare che le differenze riguardanti le origini della terminologia e delle attività svolte nelle colonie, dipendono sia dal tipo di legislazione vigente nei singoli Stati, sia dalle tecniche di cura delle diverse patologie infantili. In riferimento all’esperienza di soggiorno temporaneo in località marine o montane, alcuni studiosi vi attribuiscono un’origine tedesca, derivante da Ferienkolonien, termine coniato dal filantropo Bion. Egli si riferiva all’esperienza diretta del bambino con la natura in un ambito educativo, pedagogico circoscritto, che poco aveva a che fare con i trattamenti degli Ospizi Marini. Tuttavia, lo scopo, era ancora quello di un rafforzamento del corpo e dello spirito. Nel 1901, in nord Europa, durante il congresso sulla lotta antitubercolare, a Londra, si delineò una prima distinzione fra due tipi di residenze dedicate alla villeggiatura del fanciullo. Da un lato vi erano i centri di cura, nati per ospitare i bambini affetti da malanni polmonari; dall’altro venne definito il ruolo delle residenze estive, di prevenzione, pensate per regalare ai figli dei proletari un mese lontano dalla congestionata città. Questa differenza venne sottolineata ulteriormente nel 1905, durante il Congresso Nazionale della Tubercolosi, grazie ad Adolphe D’Espine. Un importante contributo venne dell’esperienza inglese e americana

visible expressions of the rising idea that childhood should be a time apart, protected from “adult” culture.” E continuava sostenendo che “neither were they the passive recipients of adult ideas. Young people responded to, adapted to, supplemented […] Although adults had more power, children’s desires had to be considered if camps were to be successful” 30. Queste organizzazioni, avevano sicuramente come se-condo fine una rigida disciplinarizzazione, che andava oltre la filosofia della cura del corpo e innalzamento dello spirito, al contatto con la natura. Opere Pie o grandi enti industriali, davano ai figli delle famiglie meno agiate l’opportunità di trascorrere, un soggiorno di svago al mare o in montagna, lontano dai fumi e dal grigiore della città. Si trattava di un’iniziativa benefica che celava, dietro il pretesto ludico della vacanza, il desiderio di indirizzare i piccoli ospiti verso precisi riferimenti morali. In questo panorama l’architettura assunse un ruolo chiave: essa divenne un mezzo in grado di regolare e gerarchizzare le attività svolte all’interno della co-lonia. Il programma compositivo degli spazi, interni ed esterni, delle strutture, veniva attentamente studiato, con il supporto di igienisti e medici specializzati, in modo da progettare edifici in grado di offrire il massimo comfort luminoso e la massima aereazione. La tipica struttura ospedaliera a padiglione longitudinale, con blocco centrale annesso, assunse declinazioni molteplici, assieme alle immancabili logge e cortili, e all’accesso diretto sulla spiaggia (nel caso delle colonie marine). Gli spazi della colonia pronunciarono, sin dagli albori, un discorso invisibile influendo sulla mente dell’infante il quale, nell’esaltazione dell’esperienza di svago lontano dalla città, diveniva più docile agli insegnamenti degli adulti. In Italia il termine colonia comparve per la prima volta nel 1881, grazie all’iniziativa del medico Malachia de Cristoforis31 promotore della transplantazione della gracile gioventù milanese in località montane32. .Negli anni venti la colonia divenne anche strumento politico del regime fascista. Gli spazi della condivisione e del passaggio vennero concepiti secondo l’idea di massa e collettività33 e andare in colonia significava prendere parte ad una attività di condivisione esaltante, accessibile grazie all’Opera Assistenziale dello Stato, che mirava ad intervenire in modo incisivo sull’educazione del bambino 34.

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

COLONIA ESTIVA. UNA SCELTA STRETTAMENTE POLITICA DI DEMOCRATIZZAZIONE DEL TEMPO LIBERO?

degli Holiday Camps. Questi spazi, che non erano dedicati alla cura dei suoi ospiti, bensì all’intrattenimento, avevano uno scopo prevalentemente ludico. Per molti ragazzi inglesi ed americani, l’Holiday Camp costituiva la prima esperienza collettiva, al di fuori della città. I campi estivi contribui-rono alla definizione della nozione di infanzia, che assunse una propria entità sociale . Solo decenni dopo l’inaugurazione del primo campo (Caistoron-Sea nel 1906), gli adulti compresero l’importanza educativa di queste istituzioni, che divennero parte integrante della tradizione culturale anglosassone. Tuttavia è doveroso ricordare come i primi campi avessero una accezione prettamente politica, diretti discendenti dei Pioneer Camps, e Pioneerlager russi, figli della propaganda di sinistra. Come affermava il sociologo Lewis Paris “camps were among the most

6

Figura 7

pa parallelamente ad una necessità pedagogica per la quale, natura e paesaggio, erano in grado di suscitare sul fanciullo una capacità di riflessione, di curiosità. Il tema dell’educazione all’aria aperta pone le basi per una nuova frontiera nell’attività scolastica, che propone il viaggio educativo come metodo moderno di disciplina e crescita personale del bambino27 . Grazie alle osservazioni del pastore svizzero Bion28, si diede importanza non più solo alla salute del bambino, ma anche alla sua formazione morale, spesso lasciata in secondo piano, specialmente durante i mesi di sospensione scolastica. Educatori e istituzioni si dedicarono alla realizzazione di nuove strutture, ideati esplicitamente per il soggiorno temporaneo del bambino in luoghi immersi nella natura. Questo soggiorno doveva avere fina-lità educative, scolastiche e morali, e al contempo mirava a rimettere ordine nello sviluppo fisico di questi bambini gracili. Offrire alla gioventù bisognosa un mese d’aria pura, corse e giochi divenne uno degli obiettivi cardine della Società fra XIX e XX secolo, che vide la genesi della Colonia climatica come vera e propria istituzione.


di un paese mandata in un luogo sconosciuto a vivere con le stesse leggi di quello d’origine” 35 indica come,

alla base di questo fenomeno vi fosse una migrazione di massa, ed una effettiva conquista della Natura. Inizialmente, il contesto naturale era una condizione inevitabile, in quanto al di fuori della città industrializzata dell’Ottocento non vi era altro che aperta campagna, quindi l’incontro con la natura e il paesaggio era assicurato. Fin dal principio, a partire dalla edificazione dei primi Ospizi Marini, si preferì costruire in zone periferiche, appartate, fuori dalle mura della città, lontano dalla vista di turisti e abitanti locali, ai fini della ‘buona decenza’ per garantire le condizioni di igiene desiderate, e soprattutto che per motivi economici. Nei primi anni del Novecento la riviera e in generale il litorale italiano adriatico era un luogo desolato e con pochi villaggi di pescatori, gli unici a trarre profitto dall’economia

costiera dell’epoca, il che rendeva facile per le associazioni filantropiche, l’acquisto di grandi lotti a basso prezzo. Tuttavia la separazione della colonia con il mondo esterno era una delle prerogative principali di queste strutture, scelta finalizzata al raggiungimento dello scopo sia terapeutico che sociale. La condizione di isolamento nei confronti del vicinato rende quindi necessario integrare la natura all’interno della colonia stessa. L’architettura di questo fenomeno sociale doveva dunque rispondere ad una duplice esigenza. Da un lato, garantire una condizione di bonifica igienica, locali aperti, piazzali su cui si operavano i bagni di sole, la ginnastica e gli esercizi di rafforzamento per le ossa. D’altro lato v’era una particolare attenzione nel rapporto fra bambino e l’ambiente naturale: egli doveva “sentire la gioia del respiro libero [...] in quel rispetto che

l’architetto ha avuto delle forze e delle bellezze della natura” . D’altro canto, l’importanza del contatto fra

uomo e natura, era uno dei temi cardine della letteratura e filosofia del Ottocento. Secondo le teorie di Rosseau, esposte ne l’Emilio, libro che pose le basi della

pedagogia moderna, il contatto fra fanciullo e natura, assumeva una rilevanza preliminare nel suo processo di crescita poiché “la natura esercita continuamente i

fanciulli, ne tempra il carattere con prove di ogni genere, insegna ben presto loro cosa sia pena e dolore”37 .

La natura divenne indispensabile per lo sviluppo psicofisico del bambino, e la sua presenza era ricercata assiduamente nei progetti delle colonie. Anche solo la possibilità di allungare lo sguardo verso il paesaggio, il mare, l’orizzonte o godere del profilo delle montagne innevate, rappresenta per il fanciullo, un valora aggiunto all’esperienza temporanea di crescita condotta all’interno della colonia. Superando la mera fruizione visiva del paesaggio naturale, avere la possibilità di agire, confrontarsi e camminare nella natura rappresentava, per questi giovani, un’occasione elettiva per attivare dinamiche di crescita personale, d’incontro con l’altro, di costruzione di una propria identità alla ricerca di profonde emozioni38 . Fig.10, Bambini e pedagogia.

7

Prerogativa delle colonie estive, sia che esse fossero colonie estive o montane, climatiche o elioterapiche, era l’immersione nell’ambiente naturale. Il termine stesso di colonia, intesa come “parte di popolazione

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

L‘IMPORTANZA PEDAGOGICA DEL RAPPORTO FRA UOMO E NATURA.


cure. Comprendere, innovare, costruire, gestire, vol. II. (Ospedale e Territorio), Celid, Torino, 2006, pp. 233-234

17 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.38 18 Ibidem, pp. 24-25 19 Ibidem, pp. 26-27 20 Sergio Sabbatani, La nascita dei sanatori e lo svilup-

po socio-sanitario in Europa ed in Italia, La lotta alla tubercolosi dal periodo post-risorgimentale al 1930, in “Le

me 69, fascicolo 614-615, Milano,1868, pp. 253-254. 6 Guido Zucconi, La città contesa: dagli ingegneri sanitari agli urbanisti, 1885-1842, Jaca book, Milano, 1999 7 Marusca Maria Destino, La cura impossibile Le ori-

Infezioni in Medicina”, n. 2 (febbraio), 2005, pp. 123-132 21 Ibidem, pp. 130-131 22 Medico e chirurgo, laureatosi a Pisa nel 1834 e nominato medico di corte dal duca Leopoldo I. Egli stesso sin da bambino soffrì di una particolare forma di tubercolosi linfatica che lo portò alla morte nel 1834. Partendo dalla sua esperienza personale dedicò la sua vita alla realizzazione di ospedali dedicati al ricovero d’infanzia. Gli appelli del B. trovarono rispondenza in Italia e all‘estero, dove sorsero nuovi ospizi, e si inviarono in numero sempre maggiore i bambini alle colonie marine. Cfr. BARELLAI, GIUSEPPE. Mario Crespi, in Enciclopedia Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 6, 1964 23 Graziano Magrini, (a cura di), Ex Ospizio Marino di Firenze, in “Itinerari scientifici in Toscana”, ultimo aggiornamento 30/01/2008 https://brunelleschi.imss. fi.it/itinerari/luogo/ExOspizioMarinoFirenze.html 24 Sergio Sabbatani, La nascita dei sanatori e lo svilup-

8 Un esempio in letteratura è la visione drammatica del sanatorio dipinta da Thomas Mann ne La Montagna Incantata (1924) romanzo chiave della letteratura moderna il cui protagonista incarna a tutti gli effetti l’angst romantico che si rispecchia nel paesaggio naturale che lo circonda 9 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.10 10 Gallo Cabrini, Le colonie scolastiche in Italia nell’anno 1918. Relazione dell’ispettore prof. Gallo Cabrini, Ministero dell’interno, Ministero della Pubblica Istruzione, Tipografia dell’Unione Editrice, Roma 1919, p.7. 11 Il bacillo della tubercolosi venne scoperto nel 1882 dal medico Robert Koch. Il vaccino antitubercolare invece fu messo a punto solo nel 1906 grazie ai medici francesi Albert Calmette e Camille Guerin e sperimentato sul corpo umano per la prima volta nel 1921. 12 Arcangelo Ilvento, La tubercolosi attraverso i secoli. Storia di una idea, Federazione Italiana Nazionale

Infezioni in Medicina”, n. 2 (febbraio), 2005, pp. 123-132 25 Biagio Castaldi (1821-1864) malato di tisi, fu medico e studioso, si occupò principalmente nei suoi scritti della cura contro la TBC polmonare. 26 Maurizio De Filippis, L‘Ospedale Luigi Sacco nella Milano del Novecento, Franco Angeli, Milano, 2003 27 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.13 28 BION, HERMANN WALTER. Filantropo svizzero; pastore a Rehetobel, Trogen e Zurigo, autore de Die Ferienkolonien (1901) fondò le Colonie per le vacanze delle suore della Croce Rossa a Zurigo, rapidamente imitate in tutto il mondo e note col nome di Colonie marine e montane. Cfr. Treccani, Enciclopedia on line, http://www.treccani.it/enciclopedia/hermann-walter-bion [18/10/2017] 29 Leslie Paris, A Warm History of Modern Childhood, in: Children‘s nature: the rise of the American summer camp, New York University Press, New York, NY, 2010, p. 3 30 Ibidem, p. 10

gli studi degli italiani in proposito in questi ultimi tempi, Annali universali di medicina, serie IV, volu-

gini della terapia sanatoriale e degli istituti antitubercolari in Puglia tra ‘800 e ‘900, Hobos Edizioni, 2014.

po socio-sanitario in Europa ed in Italia, La lotta alla tubercolosi dal periodo post-risorgimentale al 1930, in “Le

31 Medico, scienziato e attivista politico dell’epoca giolittiana. Laureatosi a Pavia presso la facoltà di medicina. Le sue ricerche, pur non trascurando altri campi, erano prevalentemente orientate verso i temi specialistici della ostetricia e della ginecologia. Si rese conto della necessità di rendere autonomi alcuni settori del grande ospedale, dotandoli di personale proprio e addestrato alle esigenze di cura di branche e discipline particolari della medicina, attraverso numerosi interventi e pubblicazioni. Muore a Milano nel 1915Cfr. DE CRISTOFORIS, MALACHIA, in Enciclopedia Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, 1987, vol. 33 32 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p. 21 33 Valter Balducci, Un’architettura per l’infanzia. Colonie di vacanza in Italia, in I bambini nell’arte, in: “Quaderni. Associazione culturale pediatri”, (2011), numero 18 (gennaio), pp. 6-9 Cfr. Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009 pp. 100-102 34 COLONIA, Francesco Palazzi, in Novissimo dizionario della lingua italiana, Ceschina, Milano, 1939 35 Raffaello Giolli, La Colonia dell’AGIP a Cesenatico, in “Casabella”, (1938), numero 130 (ottobre), p.6 36 Jean Jaques Rosseau, Emilio, Paolo Massimi, (a cura di), Mondadori, Milano, 2013, p.62 37 Orietta Zanato Orlandini, Lo sguardo sul paesaggio da una prospettiva pedagogico-ambientale, in “Educare al Paesaggio Traduzione Italiana”, atti del convegno „Education an Landscape for Children“, Consiglio d‘Europa, Strasburgo, 30 marzo 2009, pp. 30-31 http://www. italianostraedu.org/wp-content/uploads/2014/06/ Castiglioni_Educare-al-Paesaggio.pdf [18/10/2017]. .

capitolo primo | colonia. origine e nomenclatura

3Un esempio è la‘teoria dei miasmi’secondo cui i corpi degli ammalati emanavano sostanze che, contaminando tutt’intorno, erano responsabili del contagio. In base alla normativa pubblica contro le epidemie nelle piazze e agli incroci si utilizzavano bracieri in cui erano bruciate sostanze aromatiche e maleodoranti per “purificare” l’aria e disperdere i miasmi; per le abitazioni dei malati, invece, si lasciavano porte e finestre aperte per una decina di giorni, lavando i pavimenti con aceto e imbiancando le pareti con calce; indumenti e masserizie, dopo essere stati bolliti con lisciva e allume di rocca, venivano lasciati sotto acqua corrente per 5-6 giorni e poi esposti al sole per due settimane. Cfr. Eugenio Baila, Microbi, malattie infettive, disinfezioni, Edizione A. Vallardi, Milano, 1911. 4 Alfonso Corradi nasce a Bologna nel 1833. Medico ed erudito, fu rettore dell’Università di Pavia dal 1876 fino alla sua morte nel 1892. Dedicò gran parte delle sue energie all‘indagine bibliografica alla ricerca di fonti storiche che gli permisero di completare i suoi studi con documenti inediti di grande valore soprattutto nell’ambito della farmacologia. La sua opera scientifica e il suo impegno nell‘indagine storica gli ottennero ampi consensi e gli procurarono l‘onore di molte cariche e riconoscimenti. Cfr. CORRADI, ALFONSO, Bruno Zanobio, Giuseppe Armocida, in Enciclopedia Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 29, 1983. 5 Alfonso Corradi, Dell‘igiene pubblica in Italia e de-

Fascista per la Lotta contro la Tubercolosi, Roma, 1933 13 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.11 14 Carlo Signorelli, Daniela D’Alessandro, Stefano Capolongo, Igiene Edilizia e Ambientale. Terza Edizione, Società editrice universo, Roma, 2007, p.14 15 L’elioterapia era la cura del sole, praticata preferibilmente in montagna o al mare esponendo gradatamente il corpo al sole; indicata contro numerose malattie, ha un’azione stimolante generale. Tratto da Treccani, Enciclopedia on line, http://www.treccani.it/enciclopedia/consunzione/[19/10/2017]. 16 Pier Maria Furlan (a cura di), I nuovi luoghi delle

8

Alexander Peter Buchan, Trattato sopra i bagni d’acqua di mare con osservazioni sull’uso dei bagni caldi, Nistri, Pisa, 1817 2 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005

1


9

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

CAPITOLO II

ARCHITETTURA E VARIETA‘ TIPOLOGICA:

DAI MONTI AL MARE.


Figura12

Figura13

Figura14 Fig.11, Cascina di San Fedele, Parco della Reggia di Monza Fig.12, Palazzo Doria Pallavicino, oggi sede del comune di Loano, Savona Fig.13, Cascina Costa Alta, Parco della Reggia di Monza, oggi sede di un ostello della gioventù e centro ricreativo MEDA. Fig.14, restauro ambineti interni della Cascina Costa Alta.

zazione della colonia estiva sono riferibili ad edifici apposittamente progettati. Tuttavia esistono casi eccezionali, in cui si è preferito optare per il cambio di destinazione d‘uso di edifici pre-esistenti, che sono stati adattati architettonicamente ad accogliere a colonie climatiche. Questa pratica che risale all’inizio del XIX secolo, veniva motivata dalla scarsa disponibilità di risorse economiche. Non era inusuale che le prime stazioni climatiche avessero sede in padiglioni militari, o in magazzini allestiti con letti improvvisati per ospitare fanciulli e degenti bisognosi di cure. Un primo esempio fu lo stabilimento marino cattolico di Grau-du-Roi, in Francia, la cui struttura fu ampliata nel 1862 su concessione dell’autorità militare della Linguadoca, insediandosi prima in un Lazzaretto e poi nelle caserme temporanee impiegate durante la guerra di Crimea1. Si trattava di una soluzione provvisoria, in quanto per questioni mediche, era rischioso instaurare un soggiorno di carattere curativo in edifici che non rientravano pienamente nei parametri igienicosanitari: materiali da costruzione non adeguati, terreni contaminato, condizioni climatiche sfavorevoli, che potevano nuocere alla salute già precaria dei degenti2. In Italia gli ospizi marini, antenati delle colonie modernamente intese, sorsero grazie al sostegno economico di privati benefattori, Opere Religiose e istituzioni comunali che acquisivano o ottenevano in concessione edifici preesistenti per riadattarli al nuovo uso, una scelta economicamente vantaggiosa rispetto ad una nuova costruzione. Un primissimo caso fu la riconversione del Palazzo Doria Pallavicino3 a Loano, che nel 1872 fu donato dal comune ligure, risistemato e arredato, al fine di accogliere un numero sempre crescente di ospiti, bisognosi di cure climatiche, in attesa del completamento del nuovo Ospizio Marino inaugurato nel 1909 4 . Un caso analogo di insediamento di colonia estiva in un palazzo signorile, è quello di Villa Reale di Monza. L’edificio adibito già precedentemente a colonia, fu utilizzato dal 1960 al 1967, come residenza di vacanza e luogo di rifugio temporaneo per profughi provenienti da Fiume. Come raccontano i fratelli Adriano e Attilio Paulovich, esuli fiumani, 5 il campo era stato realizzato nell’Ala Meridionale della Villa. Letti a castello e bagni in comune collocati nelle stanze della reggia, erano le uniche opere di adeguamento attuata nella residenza. Una “vita drammatica”, dove ogni spostamento doveva essere comunicato ai responsabili, ma che, per i due testimoni, all’epoca bambini, era una quotidiana avventura dedicata alla scoperta e ai giochi nel grande parco6. A circa un decennio di distanza dalla chiusura della colonia fiumana, durante il periodo di abbandono apparente degli anni del primo dopoguerra, all’interno complesso paesaggistico del parco, furono avviate iniziative di reimpiego dei casali e delle cascine del verde pertinenziale. Fra tutte si distingue la vicenda della Cascina Costa Alta, ubicata a sud della Porta di Biassono. Questo prototipo di architettura rustica lombarda, sede della scuderia reale fu realizzato nel 1824 dal Tizzini,7 architetto della corte d’Asburgo. L’edificio, nel corso del XIX secolo7 è stato oggetto di nume-

rose modifiche, fra cui la realizzazione di un ampio porticato con lesene in muratura e l’aggiunta di un pozzo. A partire dagli anni Settanta la cascina fu adoperata come colonia estiva, nonché sede del Centro Sportivo Milanese, per poi essere nuovamente abbandonata dopo circa un decennio. Sorprendentemente, la cascina ospita ancora oggi una colonia estiva per ragazzi grazie all’attività promossa dall’architetto Maurizio Conti, fondatore di Meta8. Con la sua associazione, che si occupa di organizzare servizi educativi per minori con attività di educazione nell‘ambiente all’interno del Parco, è riuscito a riportare agli antichi fasti la cascina che, dal 1997, ospita un ostello per la gioventù e una colonia estiva. Nell’intervista con Sandro Invidia, in occasione della stesura del volume “Monzesi: cinquanta personaggi della città”, l’architetto ricorda come la tenuta “versava in uno stato di progressivo degrado” tanto da rendere indispensabile “un programma concordato di re destinazione d‘uso,

rifacendo innanzitutto le reti tecnologiche ed i servizi, nessuno escluso e riportando tutto a norma” 9

.Per rendere la sede del Centro ricreativo “Verdestate”, agibile a tutti gli effetti si sono resi necessari numerosi interventi, come il rifacimento di solai, l’isolamento della copertura e il com. pleto rimaneggiamento del pavimento al piano terreno. L’architetto descrive questo spazio come un connubio fra educazione, architettura e natura: è interessante come, un edificio nato come stalla, venga convertito a distanza di secoli, in uno spazio dedicato all’educazione dei giovani, che possono godere dell’incredibile patrimonio paesaggistico rappresentato dal Parco di Monza, un “luogo di ricerca e di invenzione [...] una

risorsa di benessere, un grande monumento naturale e del territorio che riconcilia con il quotidiano” 10.

Sempre all’interno nel perimetro del parco della Villa Reale di Monza, la Cascina San Fedele, svolge un ruolo del tutto analogo. L’edificio realizzato nel 1825 dal Canonica11, è stato recentemente convertito a sede di attività sportive e colonia estiva per giovani, nota come Centro Ricreativo Diurno del Comune di Monza. La cascina presenta una facciata simmetrica, sormontata da due bifore gotiche quattrocentesche, provenienti dalla distrutta chiesa milanese di Brera. Nel 1996 ha subito gravi alterazioni a causa di restauri che hanno portato alla chiusura degli avancorpi esterni e all’aggiunta di un refettorio ed un edificio per aule, mutando notevolmente la fisionomia originaria della tenuta12. Recentemente, sono sorte numerose polemiche inerenti l’inadeguatezza degli spazi e l’impossibilità di apportare ulteriori modifiche normative alla struttura, nonostante l’altissima richiesta d’iscrizioni13. In passato, la trasformazione di immobili preesistenti in colonie per l’infanzia, poggiava su motivazioni strettamente economiche, laddove oggi si tratta di una scelta prettamente arbitraria. Un eventuale riammodernamento, a partire dagli interventi necessari per l’adeguamento strutturale e restauro, non può elidere i caratteri tipologici dell’edificio del quale è necessario preservare l’identità storico-stilistica.

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

Figura11

La maggior parte degli interventi relativi alla realiz-

10

ADATTAMENTO DI EDIFICI ESISTENTI


boschiva e alpina, non era molto distante dalla realtà delle colonie montane. Lo scopo dei soggiorni ad alta quota era di avvicinare i giovani all’alpinismo, attività che avrebbe dovuto invigorire corpo e spirito, ma anche di garantire ai più poveri un breve periodo di vacanza in mezzo alla natura. Queste iniziative avevano un carattere ancora sanitario, di beneficienza e democratizzazione dell’ambiente salubre della montagna20. Questa realtà proveniva da un lato dalla nuova moda dell’escursionismo, nonché del campeggio ad alta quota, e dall’altro dalle teorie del tedesco Bion, pastore zurighese la cui idea delle Ferienkolonien veniva rapidamente imitata in tutta Europa. In Italia l’istituzione torinese del Club Alpino, nato nel 1890, svolse un ruolo fondamentale. Le colonie del C.A.I. che ospitavano bambini selezionati fra i più bisognosi, scelti secondo criteri clinici ed economici, univano il culto della montagna, frutto della tradizione d’oltralpe, a scopi filantropici, profilattici e pedagogici. L’incontro fra il bambino e l’ambiente montano doveva avvenire secondo modalità simboliche e di costume caratteristiche del tempo : il senso e le finalità dell’iniziativa intrapresa erano di “diffondere in ogni modo alti ideali educativi ed igienici dell’alpinismo” 22 e i valori connessi. L’opera delle colonie alpine, sposava i dettami della Real Società d’Igiene, e per questo, fin dal principio, fu appoggiata economicamente da personaggi e famiglie preminenti a cui venivano intitolati gli edifici stessi. Sebbene le colonie torinesi crebbero di numero, era impossibile accogliere tutte le richieste di partecipazione, che venivano perciò assorbite dalle analoghe opere nascenti come l’Alleanza Cooperativa Torinese. Quest’ultima proponeva una opera di tipo assistenziale, a pagamento (la quota era molto modesta) e dedicata prettamente ai figli del proletariato che avevano la possibilità di trascorrere soggiorni in strutture specifiche come la colonia Alpina Fra Dolcino, nel biellese, nata nel 1908, convertita nel 1927 in colonia fascista intitolata a Pietro Micca23 . La tipologia della colonia montana preservava dunque i caratteri intrinseci di un albergo e di una casa di cura, e come tutte le colonie estive rimase in realtà un luogo di pernottamento notturno, in quanto la giornata doveva essere spesa all’aperto, previa variazioni metereologiche che obbligavano i fanciulli ad attività all’interno. Questi edifici infatti dovevano ben proteggersi dai venti e dalle possibili nevicate, adattandosi ad un terreno di costruzione non pianeggiante. Alcuni progettisti preferivano sviluppare la soluzioni che, in facciata potevano altresì offrire il giusto riparo dalle raffiche di vento. Un chiaro esempio fu la colonia Piaggio a S. Stefano d’Aveto del 1939, sull’appennino chiavarese, la cui ampia curvatura del corpo di fabbrica principale, in rapporto alla forma lenticolare del terreno, si eleva su un falsopiano. Il numero dei padiglioni della colonia poteva dipendere da scelte strettamente logistiche, oppure da una ricerca di frammentazione architettonica, come nel caso della colonia Sciepoli in Val Seriana, conclusa nel 1934, i cui ambienti sono collegati in maniera complessa. Nella maggioranza dei casi, negli ambienti mon-

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

Figura15 Fig.15 Cartolina Campeggio Val Martello, Rigugio Dux, 1934; Touring Club Italiano, Archivio fotografico TCI.

Il fenomeno della progettazione e realizzazione di nuove colonie estive fu un’esperienza che, dal punto di vista architettonico, permise alle diverse scuole europee di confrontarsi su un terreno comune, sperimentando le soluzioni maturate nel corso dell’Ottocento. L’istituzione della colonia, nata con funzione prettamente sanitaria e di beneficienza, acquisì, nel corso degli anni, un valore pedagogico ed educativo sempre maggiore, in grado di indirizzare le scelte architettoniche delle nuove costruzioni, che acquisivano caratteri differenti altresì in funzione dell’ambente circostante14. . La genealogia della colonia di vacanza come intervento ex-novo risale alla fine del XIX secolo, quando Inghilterra e Stati Uniti aprirono la strada ai cosiddetti: “Holiday Camps”, campi estivi immersi nei boschi, ideati non per la cura fisica, bensì per l’intrattenimento dei giovani ospiti, all’avventura e alla ricerca del diretto contatto con la natura incontaminata. Il primo campo fu avviato dal filantropo inglese Joseph Cunningham nel 1904 sull’isola di Man. Il Cunningham’s Young Mens Holiday Camp 15 era composto da ben 1500 tende, ciascuna in grado di ospitare circa otto persone, ed una struttura centrale, impiegata come sala da pranzo, in cui si svolgevano concerti e attività16. Sebbene l’esperienza del campo riscosse, fra i suoi ospiti, un grandissimo successo, la tipologia delle tende fece scaturire, fra l’opinione pubblica, incertezze e dibattiti riguardo la ‘moralità’ dello stile di vita condotto nel campo. Per porre fine al problema, nel 1911 venne introdotta una legislazione inerente usi e costumi del campeggio, imponendo la sostituzione delle tende con strutture in legno permanenti. La tipologia del campeggio influenzò anche la tradizione della villeggiatura europea continentale, seppur con alcune differenze da quella anglosassone. In Francia prese piede la pratica del campament, un’esperienza di carattere individuale, dove i campeggiatori alloggiavano nelle tipiche tende bonnet de police. Le zeldstadt e le alpinopoli, ossia i campeggi ad alta quota organizzati con scopi sportivi si affermarono principalmente in Germania e in Austria, mentre in Italia, la vacanza montana sotto le tende, fu promossa dal Club Alpino Italiano e dal Touring Club. La tenda italiana per eccellenza era il modello Bucciantini, poi superato dal modello Whymper18 . Nel 1922 il Tci organizzò per i propri soci il primo campeggio, nella suggestiva Val Contrin, ai piedi della Marmolada. L’esperienza riscosse successo, così come per gli anni successivi, di cui l’ultima del 1939 sul Gran Paradiso. Dopo la guerra il Touring Club scelse di investire in una nuova forma di losir per rimanere al passo coi tempi: nacquero così i primi campeggi residenziali. I nuovi villaggi, dedicati sia ai giovani che alle famiglie, erano situati in località di grande valore naturalistico: le nuove tendopoli avevano un aspetto del tutto particolare ed unico grazie al design innovativo ideato dall’architetto Roberto Manghi, che nel 1967 ricevette il Compasso D’Oro per la conformazione cosiddetta “guscio”19. La tradizione del campeggio, che sfociò dal desiderio di evasione in mezzo alla natura incontaminata

11

NUOVI INTERVENTI


Figura 16 Fig.16 Colonia Fiat, Torre Balilla, Sauze d’Oulx, Val di Susa, Italia, 1937, scala elicoidale interna.

que una progressiva deformazione dei consueti caratteri dell’architettura ospedaliera27 a partire dal caso dell’Ospizio Marino Veneto28 che conservava ancora la tipica crociera filaretiana. Verso la fine del XIX secolo, le corti si aprono progressivamente, con padiglioni aperti, isolati, volumi contigui dove anche i collegamenti fra i diversi corpi, attraverso lunghe gallerie coperte, erano studiati in modo da garantire il massimo dell’igiene e riadattate ad esempio nell’Ospizio Marino Provinciale Bolognese a Rimini del 1915, trasformato in Colonia Marina Bolognese nel 1932 su progetto dell’Ingegner Idelbrando Tabarroni29. Dagli anni Venti la soluzione ospedaliera a raggiera, in grado di contrarre le distanze tra i reparti, i servizi e le degenze, venne adottata nella progettazione delle Colonie Marine, prima fra tutte l’ex Colonia di Varese a Cervia (1938) e più tardi la casa Emile Vandervelde II a Oostduinkerke (1954). La colonia marina si identificava altresì con la tradizione dell’edificio scolastico, aspirando all’insegnamento di decoro civile e moralità, attraverso i dettami della scuola attiva 30. Questa filosofia educativa, non era basata sul metodo di studio convenzionale, bensì sullo sviluppo della personalità dell’allievo attraverso l’esperienza diretta. Ciò rese necessario pensare a nuovi spazi, cosicché all’aula tradizionale vennero affiancati i laboratori, con ambienti più ampi dedicati ad attività manuali e alla socializzazione. La colonia marina Vittorio Emanuele III a Ostia, fu ampliata negli anni venti con delle aule scolastiche che permisero ai bambini ospiti della

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

lonie devono essere allontanate dai centri turistici, di villeggiatura, in cui i bambini, per la loro turbolenza, possono recare disturbo agli adulti”26. Si verificò dun-

struttura di frequentare la scuola, per tutto il periodo di cura 31. Le colonie marine dal punto di vista compositivo rispondevano a tre differenti tipologie. In linea con le esigenze di gestione degli spazi e in nome della grande disponibilità di spazio fornita dall’ambiente marino, la soluzione a “villaggio” permetteva di risolvere gli aspetti organizzativi in più ambienti, collegati fra loro. Questi edifici si allineavano simbolicamente con l’orizzonte diventando un tutt’uno con il paesaggio, come ad esempio la Colonia Busiri Vici, o il “villaggio marino” a Massa di Carrara. I tetti bassi e gli edifici allungati richiamavano una facile comunicabilità fra gli spazi, lasciando intuire una organizzazione distributiva che garantiva piena autonomia ai diversi „reparti“. Per la tipologia del “monoblocco” si preferiva adottare delle strutture longilinee, grandi fabbricati a massa orizzontale, involucri basati su elementi statici e simmetrici, dalla planimetria volutamente chiara. Questa semplicità venne reinterpretata in molti progetti di colonie costiere, fra cui la Colonia Agip, progettata da Giuseppe Vaccaro a Cesenatico, stimabile opera presentava finestre continue ed un portico sorretto da massicci pilastri. Queste soluzioni erano generalmente dotate di aperture a nastro che illuminavano refettori, dormitori e vani scala. Analogamente la colonia novarese a Rimini, edificata nel 1934 dall’ingegner Prevedelli, era composta da due ali perfettamente simmetriche, con conclusioni curvilinee, che ospitavano delle rampe elicoidali. La struttura, costruita in tempi record, vantava numerosi locali, fra cui una palestra, ben cinque cucine, docce modernissime, guardaroba e lavanderie, a cui si aggiungevano ben otto saloni interni. Infine, la tipologia “a torre”, meno frequente, fu una delle sfide progettuali di maggior successo fra gli architetti delle colonie che miravano a movimentare, e talora a “monumentalizzare”, l’intervento dell’uomo sulla natura. Raramente si trattava di una struttura isolata: unica eccezione fu la cosiddetta “Torre Balilla” a Marina di Massa, il cui corpo di fabbrica a pianta centrale ospitava, su una scala elicoidale lunga 240 metri i dormitori. Spesso si preferiva optare per compenetrazioni dialettiche fra un unico volume verticale ed elementi orizzontali annessi. A Chiavari, per esempio, la colonia progettata dall’ingegner Nardi-Greco per la Federazione dei Fasci di Genova, si articolava in due corpi distinti: uno inferiore, su due piani, avvinghiato ad una torre centrale di nove piani, con un lato curvilineo che ospitava i dormitori e l’infermeria Analogamente la Colonia Montecatini a Cervia, nota come Monopoli di Stato, conservava un ridondante andamento longitudinale a cui si opponeva, in perfetta antitesi, la struttura isolata del corpo scala. La torre complicava la distribuzione e organizzazione spaziale degli ambienti, che risultavano estremamente contratti, rendendo necessaria l’annessione di “ali” in cui era possibile l‘amplaimento dei locali, evitando affollamenti nocivi anche per la disciplina più ferrea. L’edificio della colonia elioterapica, vantava una natura gioco . In Catalogna sorse la “Città dei bambini per mille orfani di guerra”: un agglomerato di unità abitative indipendenti e in legno. .

12

tani, si prediligevano strutture a fabbricato unico, sia perché era difficile trovare spazi estesi disponibili sui monti, sia per permettere un maggiore sviluppo in altezza che permetteva altresì un confronto poetico con il paesaggio. Alcuni esempi furono la Torre Balilla sulle alpi a Salice D’Ulzio, la cui fisionomia inconfondibile dominava la valle24, e il sistema misto di torre centrale e pianta aperta con particolare disposizione “a greca” 25 della “Colonia Torinese IX Maggio”, realizzata a Bardonecchia dall’architetto Gino Levi Montalcini. Dopo la guerra, grazie alla fervente economia, sulle alpi e sugli appennini si diede avvio a numerose attività di soggiorni estivi. Sovente si preferì riutilizzare delle strutture nate all’epoca del fascismo, sebbene numerosi furono i casi di nuove realizzazioni, architettura in grado di dialogare con il paesaggio in modo ancora più armonioso. Fra le opere paesaggistiche più interessanti si annovera la Colonia del Villaggio Eni a Borca di Cadore, realizzata dall’architetto Edoardo Gellner per la società Eni. La matrice spaziale delle colonie marine ed elioterapiche è riconducibile negli ospizi e nei lazzaretti fedeli alla teoria medica del XIX secolo: la disposizione dei dormitori, il tema del corridoio, luogo di deambulazione e sala comune, l’articolazione in ambienti rigorosamente separati, ci permettono di individuare facilmente continuità fra le prime colonie climatiche e l’architettura ospedaliera. Innanzi tutto, l’analogia della scelta di collocazione: così come i primi ricoveri erano posizionati al di fuori delle città, anche “le co-


Figura 18

13

capitolo secondo | architettura e varietĂ tipologica: dai monti al mare

Figura 17


Figura 20

La colonia elioterapica era diversa dalle altre colonie climatiche: l‘edificio era si proponeva come alternativa urbana alle colonie marittime nella politica sanitaria contro il rachitismo e il dilagare di patologie respiratorie infantili. A differenza delle strutture climatiche, marine e montane, assolveva solo la funzione di alloggio diurno per i suoi ospiti: di rado queste strutture furono dotate del gravoso volume dei dormitori. Le colonie elioterapiche erano centri dedicati al completamento della cura attuata mediante bagni di sole, pratiche dell’elioterapia e attività ginniche all’aria aperta32 . Questi stabilimenti si ergevano in grandi radure pianeggianti, circondate da una vegetazione boschiva che fornisse un umbrarium, garantendo un’ottima esposizione verso sud. La composizione spaziale eraessenziale: comprendevano un refettorio, i locali di servizio e amministrazione, bagni e spazi dedicati alla cura fra cui l’immancabile veranda, cifra compositiva essenziale per questi esili edifici. Era indispensabile assicurare la massima luminosità degli ambienti nonché una corretta ventilazione. Uno dei più stimabili esempi di colonia elioterapica fu il complesso legnanese, progettato dallo studio BBPR, oggi in stato di grave abbandono. Si trattava di un capolavoro

dell’architettura razionalista, ideato per ospitare oltre 800 bambini, formato da due corpi principali immersi in una pineta. L’aria circolava liberamente nei spogliatoi semi aperti e attraverso i portici luminosissimi, sormontati da pensiline e pareti in vetrocemento . La colonia elio fluviale a Panterana invece presentava una disposizione planimetrica peculiare, con un andamento curvilineo. Gli ambienti erano organizzati interamente su un unico piano, sormontato da una copertura semi spiovente: l’apertura degli ambienti facilitava l’aereazione interna, mentre l’illuminazione era garantita dalle ampie vetrate dai profili in cotto34. SI trattava di fabbricati raffinatissimi, basati su una ricerca compositiva e tecnologica ferrea, razionale e calcolata. La tipologia della colonia conobbe una rapida diffusione in tutta Europa, nel corso del Novecento, sviluppando soluzioni sempre più sofisticate. Solamente lungo la nostra penisola, dal 1926 al 1938 il numero di colonie estive crebbe da 107 a 3.821, e il numero di bambini ospiti delle strutture aumentò drasticamente passando da 6,000 a 700,00035. Occasionalmente, queste istituzioni assunsero importanza anche sul piano paesaggistico e urbanistico, assumendo l’appellativo di “città dei bambini”.

Nel secondo dopoguerra, si registrò un fervente turismo che portò alla nascita di numerose colonie estive, alcune delle quali contemplavano delle strutture scolastiche, come nel caso dell’isola di Lokrum. Nell’area balcanica una delle maggiori sperimentazioni dell’architettura moderna fu la Città dei Pionieri36, pianificata dall’architetto e artista Josip Seissel basata su un impianto urbanistico d’eccellenza, organizzata con padiglioni residenziali, piscina, ristorante e campi da gioco37. In Catalogna sorse la “Città dei bambini per mille orfani di guerra”: un agglomerato di unità abitative indipendenti e in legno, che mirava non solo a ospitare i piccoli orfani di guerra, ma anche a fornire attività educative e ricreative muniti di biblioteche, sale per la lettura, e classi per lo studio38 . Le planimetrie, pubblicate sul periodico L’architecture d’aoujourdd’hui illustravano una Citè d’enfants completa, progettata a misura di bambino, frutto di una mentalità quasi utopistica Questi risultati, appena elencati, di strutture di nuova realizzazione o di adattamento e riconversione di edifiici pre esistenti si oppongono al consistente numero di architetture di colonie di vacanza abbandonate lungo la nostra penisola. nate per ospitare i piccoli orfani di guerra,..

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

Figura 19

14

Figura 18


2 Carlo Signorelli, Daniela D’Alessandro, Stefano Capolongo, Igiene Edilizia e Ambientale. Terza Edizione, Società editrice universo, Roma, 2007, pp. 14-16 3 Collocato nel cuore di Loano, il Palazzo Doria (costruito nel 1578), attuale sede del Comune, nonché bene FAI, un tempo residenza di Giovanni Andrea Doria e della moglie Zenobia Del Carretto, è attribuito a Galeazzo Alessi (1500-1572), ingegnere capo di Genova ed architetto di spicco. Fu realizzato secondo il concetto del palazzo fortezza ed. Sorge ad ovest di esso una torre pentagonale a base irregolare che riproduce il perimetro delle mura. Completano il complesso i giardini, ora in parte destinati a teatro all’aperto. Cfr. Marco Sabatelli, L’arte e il Patrimonio Architettonico in: “SDVonline”, http://www.svdonline.it/30720/ larte-e-il-patrimonio-architettonico/ [28/10/2017] 4 Paolo Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano, 1990, pp.17-20 5 Rossella Redaelli, Monza, quando Villa Reale era un campo per profughi in: “Corriere della Sera”, Milano, 12 aprile 2017, http://milano. corriere.it/notizie/cronaca/17_aprile_12/monza-quando-villa-reale-era-campo-profughi-aacf6e38-1ef5-11e7-a4c9-e9dd4941c19e.shtml . 6 La Reggia di Monza fu edificata dalla casata asburgica fra il 1770 e il 1778, su disegno di Giuseppe Piermarini. Si tratta di un complesso di edifici, di cui la Villa Reale costituisce il corpo centrale, immersi in un parco con una superficie attuale di 750 ettari. Al suo interno vi si trovano circa 40 tenute, realizzate nel corso del XIX secolo, e ana oggi esistenti. Nel 1859 l’edificio diviene patrimonio dei Savoia fino all’abbandono definitivo nel 1901. Nel corso del XX secolo è stata soggetta a rimaneggi, soprusi e diventa parte del Demanio della Casa dei Balilla fino al 1996 quando, in mano ai Comuni di Monza e di Milano, venne riportata all’antico splendore. Cfr. Daniele Garnerone, Ferdinando Zanzottera, Villa Reale, Complesso, Monza (MB), in: “Istituto per la Storia dell‘Arte Lombarda”, 2009., scheda SIRBeC http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede-complete/MI230-00109/ Antonio Cederna., Alcune Cascine. Cascina Costa Alta in: “Comitato per il Parco di Monza” http:// www.parcomonza.org/cascine.htm [22/10/2017] 7 La Cooperativa META nasce nel 1991 a Monza, come un centro di risorse, costituite da educatori esperti in problematiche giovanili, e da valori ambientali, in cui il Parco di Monza gioca un ruolo principe. Lo scopo è quello di integrare tra loro e destinare ad un obiettivo comune natura ed educazione attraverso iniziative della attività che si collocano dallo scolastico all‘extrascolastico, promuovendo una pedagogia ambientale. Cfr. A.A., V.V., Meta. Una cooperativa lunga un viaggio. http://www.metacoop.org/cooperativa/ [22/10/2017] 8 Vittone, C., Monzesi: cinquanta personaggi della città, in Collezione Monzanuova, Monza, Vittone editore & Pivetta partners, 2002 9 Ibidem. sopra

ma delle Ville e delle Cascine del Parco di Villa Reale a Monza”, http://www.lombardiabeniculturali.it/percorsi/ville-parco-monza/10/ [22/10/2017] 11 Antonio Cederna., Alcune Cascine. Cascina Costa Alta in: “Comitato per il Parco di Monza” http:// www.parcomonza.org/cascine.htm [22/10/2017] Monza, centro estivo Cascina S. Fedele aumentati i posti disponibili, in: “MBNews”, (giugno), 2011, https://www. mbnews.it/2011/06/monza-centro-estivo-cascina-sfedele-aumentati-i-posti-disponibili/ [22/10/2017] 12 Paolo Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano, 1990, pp. 122-123 13 Il Campo era una piccola città delle vacanze, in grado di ospitare fino a 600 ragazzi d maggio a ottobre. Dato il successo inizio ad ingrandirsi con numerosi impianti che resero l’intera struttura una città delle vacanze a autosufficiente. Durante la Grande Guerra, per alloggiare i 2.000 nuovi residenti le tende vennero trasformate in chalet. Nel 1914 il complesso venne adibito a campo di prigionia. Esperanza Aparicio Romero, Javier Pérez Pont, Joseph Hubertus Pilates: La biografia, Hakabooks, 2012, p. 35 14 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, pp.38-39 15 Francis Coakley, Cunningham‘s camp, http:// www.isle-of-man.com/manxnotebook/tourism/ ccamp/index.htm [ultima modif. 10/06/2001] 16 La tenda Whymper, con profilo ad A, nacque per l‘alpinismo, e fu ideata da Edward Whymper primo a salire sul Cervino, da cui prese il nome (1840-1911). Questo modello fu molto comune fino alla seconda parte del ventesimo secolo, di cui venne ideata anche una variante più piccola nota come tenda Meade. Cfr. Thomas Clinton Dent, Mountaineering, Longamans, Greens & Co., London, 1892 17 Piero Carlesi, I villaggi Touring di una volta nelle foto del nostro archivio in: “News Touring” 29 giugno 2016 http://www.touringclub.it/news/i-villaggitouring-di-una-volta-nelle-foto-del-nostro-archivio 18 Paolo Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano, 1990, pp. 27-28 19 Paolo Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano, 1990, p. 26 20 Luigi Cibrario, Relazione Morale, in: “La rivista”, Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano, Torino, 1893 21 Rolando Magliola, Ad onore d‘un infame: la colonia alpina Fra Dolcino in: “Frammenti di storia biellese” https://www.frammentidistoriabiellese.it/storie-biellesi/ le-colonie-estive-biellesi/ad-onore-d-un-infame-lacolonia-alpina-fra-dolcino/ [ultima cons. 19/12/2017] 22 Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942, pp.43-47 23 Juliet Kinchin, Aidan O‘Connor, Century of the Child: Growing by Design, 1900-2000, The Museum of Modern Art, New York, NY, 2012, p.117

Le altre principali costruzioni presenti nel parco, Cascina San Fedele, in: “Il siste-

24 Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942, p. 65 25 Paola Ferri, Colonia Elioterapica, 1937 - 1938 / BBPR in:” Itinerario. Architetture moderne a Legnano”, http://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari/edificio/408-colonia-elioterapica/31-architetture-moderne-a-legnano [ultima cons. 19/12/2017] 26 Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942, p. 62 27 Paolo Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano, 1990, pp. 62-63 28 La cosiddetta Pionirski Grad venne realizzata dal 1948 al 1951 dagli architetti urbanisti Josip Seissel, Ivan Vitic e Marijan in un’epoca in cui la costruzione di città per l’infanzia era una prerogativa della costa adriatica orientale. Si tratta inoltre di un eccellente esempio di architettura ambientale: si scelse di mantenere l‘orticoltura esistente e inserire gli edifici in un ambiente naturale, adattandoli al dislivello del terreno. Cfr. Lana Bunjevac, Pionirski Grad, Idilični re-

zervat socijalističke napredne pedagogije danas je tek izletište za školarce, in: “Globus” 13 marzo 2106

http://www.jutarnji.hr/globus/pionirski-grad-idilicni-rezervat-socijalisticke-napredne-pedagogije-danas-je-tek-izletiste-za-skolarce/31861/ [30/10/2017] 29 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, pp.46-47 30 Ibidem. Sopra.

Pagina 13 Fig.17, Colonia Varese Traversa XIX Pineta, Cervia RA, foto di Filippo Venturi, 2013 Fig.18, Colonia Montecatini a Cervia,detta anche Monopoli di Stato, foto di Tim Brown, 2015 Pagina 14 Fig.19, Colonia Elioterapica di Legnano, veduta del solarium, autore sconosciuto Fig.20, Colonia Elioterapica di Legnano, vista prospettica e in pianta, BBPR, 1937 ca. Fig.21, Colonia Elioterapica di Legnano, prospetto principale, foto del 1939 circa, autore sconosciuto.

capitolo secondo | architettura e varietà tipologica: dai monti al mare

10

15

1 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, pp. 24-25


16

capitolo terzo| soluzioni compositive.

CAPITOLO III

SOLUZIONI COMPOSITIVE


Figura 22 Dune di Berck sur Mer, località balneare belga meta prediletta del losir e della cura ekioterapica dell‘otticento.

Borca di Cadore, all’interno del Villaggio ENI, progettato dall’architetto Edoardo Gellner. L’architetto triestino scelse di collocare il piazzale su una spianata artificiale collocata ai piedi di un’enorme rampa-scala, di fronte del padiglione d’accoglienza. Questo dispositivo divenne la vera e propria area ufficiosa, luogo dell’adunata, a cui i figli dei dipendenti della ditta di Mattei prendevano parte quotidianamente8. Come il piazzale anche le rampe acquisirono una notevole importanza nella architettura delle colonie: fu un elemento caratteristico di innumerevoli soluzioni architettoniche sia nelle colonie marine e che montane degli anni venti e trenta, sebbene con scopi differenti. Le rampe fungevano da elementi di connessione fra ambiente esterno ed interno, nonché da prosecuzione naturale della pendenza del versante di un’altura, oppure utilizzate come collegamenti interni, facilitavano i bambini negli spostamenti fra locali della colonia9. Nell’architettura di montagna era impiegata come dispositivo in grado di superare dislivelli naturali, mentre nelle località marine, pressoché pianeggianti, fu adoperata come mezzo per elevare simbolicamente e fisicamente l’architettura nei confronti del paesaggio. Fra le scelte più interessanti vi è la Colonia marina Edoardo Agnelli a Marina di Massa, realizzata in tempi record (avviata nel 1929 fu portata a compimento in meno di quattro anni), dall’ingegnere Vittorio Bonadè Bottino10 . L’emblematica Torre Fiat ospitava nel suo diametro di 25 metri un’unica, interminabile camerata per ottocento bambini, con sviluppo elicoidale. La lunga rampa elicoidale, funge da collegamento interno, svolgendosi intorno ad un pozzo centrale per un’altezza di circa 52 metri. Nel caso della Colonia Marina di Varese “Costanzo Ciano” a Cervia invece le rampe, rese riconoscibili dall’esterno attraverso il prospetto-mare ritmato da esili pilastri in cemento armato, risolsero i collegamenti verticali in sostituzione delle scale, permettendo al bambino di spostarsi più facilmente e in maggiore sicurezza. Complessivamente la disposizione dei collegamenti, interni, sia che si trattasse di rampe (come i percorsi inclinati che conducono al terrazzo - solarium della Colonia Balneare per la Pineta di Ravenna progettata da Agnoldomenico Pica nel 1939), di passerelle coperte sopraelevate o semplici corridoi, era frutto di una studiata gerarchia dei percorsi. Il programma distributivo che caratterizzava la tipologia della colonia si rifaceva ai primissimi accorgimenti utilizzati nella pianificazione di scuole, stabilimenti elioterapici e ospizi marini. Armando Melis de Villa, architetto e urbanista italiano, nel suo scritto del 1939 „Caratteri degli edifici“, nel volume dedicato all’architettura per l’istruzione, si occupò di differenziare i percorsi dedicati ai bambini ospiti della colonia da quelli degli inservienti. La colonia era innanzitutto un dispositivo, il cui scopo era quello della villeggiatura intensiva, garantendo al fanciullo il massimo beneficio e risultato nell’ineccepibile brevità del soggiorno11.. Per questo motivo spazi interni della colonia erano organizzati per garantire la massima efficienza in termini clinici, igienici e di svago. Come nelle cliniche, il primo ambiente con cui l’ospite entrava in contatto era il Padiglione di Accettazione: qui avevano luogo i controlli

capitolo terzo| soluzioni compositive.

ALL‘ ORGANIZZAZIONE SPAZIALE

La disposizione degli ambienti, interni ed esterni, dei primi ospizi marini realizzati nel corso del XIX secolo era frutto di un ragionamento mirato, assolutamente non casuale, approccio che venne gradualmente adottato anche nella progettazione delle colonie estive, che esse fossero situate in montagna o sul litorale. Le scelte compiute degli architetti delle colonie erano legate soprattutto ad una corretta esposizione al sole e alla maggiore ventilazione. In Francia una chiara distinzione fra il preventorium (stabilimento permanente di carattere ospedaliero) e la colonia marina si raggiunse solo dopo il 19001. Contrariamente ai comuni ospizi, ideati per la cura e guarigione dei degenti, gli ospiti delle colonie erano sottoposti ad un’azione preventiva, che mirava al rafforzamento psicofisico dei suoi ospiti. Per questo motivo l’inalazione dello iodio marino o la possibilità di godere della brezza montana erano considerati i principali strumenti di ‘cura’ e conseguentemente l’architettura dell’edificio doveva massimizzare gli effetti della cura adeguandosi a soluzioni terapeutiche sempre più innovative, e rapportandosi in maniera sempre più sofisticata nei confronti dell’ambiente naturale. Lo spazio esterno della colonia subì nel tempo una vera e propria metamorfosi: il cortile, o meglio il piazzale antistante divenne l’elemento chiave nella fisionomia della colonia. Dallo spazio originario noto come claustrum, ossia la tipica corte chiusa ospedaliera che caratterizzava l’Ospizio Marino Veneto o la prima soluzione dello stabilimento a Bereck-Sur-Mer, l’arenile della colonia si dilatò progressivamente per abbracciare il paesaggio. L’obiettivo era di permettere agli ospiti, di godere dell’aria e del sole2, fintanto che la pratica della elioterapia sulla piazza antistante della colonia assunse un significato di ritualità. Allo stesso modo i trattamenti talassoterapici e i bagni di sole, teorizzati da Henri Cazin3 nel 1881, considerati un vero toccasana contro il rachitismo, avevano ugualmente luogo all’aria aperta. Negli anni successivi si aggiunsero gli esercizi ginnici, le attività di svago, i giochi sportivi che non potevano essere svolte all’interno: fu dunque necessario dedicarvi uno spazio che divenne cifra progettuale nell’architettura della colonia. Durante gli anni Venti del Novecento il piazzale divenne anche teatro dell’attività ufficiosa: si tenevano parate, l’alzabandiera mattutino e, in particolare in Italia, con l’avvento del Fascismo, venivano intonati canti in onore del Duce, “assumendo un forte carattere celebrativo” (Mucelli, 2009). Nel Primo Dopoguerra, l’arenile assunse un valore fondamentale, quasi religioso per la colonia, allo stesso modo in cui il sagrato e chiesa sono elementi inscindibili. La soluzione distributiva della Colonia le Navi o la Colonia Varese a Cervia venne studiata in funzione del piazzale stesso5. Spesso oltre al piazzale dell’adunata principale venivano annessi piccoli spazi aperti dedicati alle diverse attività della giornata, campi gioco di minori dimensioni e con superfici naturali diverse (erba, ghiaia, sabbia..)6, come nel caso della Colonia Marina Alessandro Mussolini a Cesenatico Ancora oggi è possibile ammirare una differente declinazione dell’elemento del piazzale della colonia, a

17

SCELTE RCHITETTONICHE RELATIVE


Figura 24

18

capitolo terzo| soluzioni compositive.

Figura 23


Figura 26

19

capitolo terzo| soluzioni compositive.

Figura 25


Figura 27

Pagina 18. Fig.23, Colonia Marina Le Navi, Cattolica, stato di fatto, foto di Lorenzo Mini. Fig.24 Colonia Varese a Milanomarittima, Pagina 19. Fig.25, Colonia Marina Le Navi, cattolica, Planimetria tratta dal volume „ Colonie Estive dell‘emilia Romagna“ Fig.26, Colonia Varese a Milanomarittima, Planimetria tratta dal volume „ Colonie Estive dell‘emilia Romagna“ Fig.27 Colonia Montana Rinaldo Piaggio, Santo Stefano d‘Aveto Pagina 21. Fig.28 Colonia Novarese a Milramare. Foto Anonima. Fig. 29 Colonia Murri, Rimini, Italia, foto di Dzanan Costruzioni.

capitolo terzo| soluzioni compositive.

lo dalla postazione sopraelevata19. Queste esigenze funzionali indussero ad un profondo cambiamento delle scelte compositive e strutturali degli edifici: si privilegiarono elementi ricurvi, simmetrie in pianta e alzato, espliciti elementi decorativi che celebrano l’ideologia fascista. Formidabile esempio fu la Colonia Novarese a Rimini20: realizzata nel momento di massima affermazione del razionalismo italiano, ne assumeva con chiarezza espositiva i principi formali tramite, declinando il linguaggio retorico e l’impostazione funzionale tipici della colonia estiva del regime20 Nel secondo dopoguerra si cominciò ad adottare una frammentazione degli spazi della colonia, con lo scopo di realizzare un ambiente in cui il bambino facilitato a creare piccoli gruppi, era libero di esprimere a pieno il proprio individualismo. Questa suddivisione planimetrica coincideva con la dissoluzione del potere autoritario tipico del balillismo22. Similmente, una nuova sperimentazione funzionale si rifletteva in scelte compositive quali lo sfalsamento in altezza su tre piani o l’adozione di geometrie sempre più complesse in pianta che, come nel caso della colonia ENPAS a Cesenatico23, richiamavano il motivo stellare concatenato e curvilineo. Questo edificio, realizzato dall’architetto Paolo Portoghesi prevedeva altresì la realizzazione di elementi distaccati dal corpo centrale, collocati ad est, in prossimità della spiaggia24: il refettorio a pianta esagonale era organizzato su tre livelli, con rampe di collegamento esterne, e connesso alla struttura centrale mediante un porticato; poco si ergeva il padiglione dell’isolamento, con un disegno planimetrico tripartito. Sul litorale di Riccione invece la Colonia ENEL di Giancarlo De Carlo completata nel 1963, e vantava la tipica disposizione a corte rivolta verso il mare su cui si affaccia con un porticato continuo25. I dormitori erano situati in due ali distinte che, unite dal blocco centrale e organizzate secondo moduli sfalsati, generavano al loro interno una tensione spaziale complessa, riconducibile alle esperienze pedagogiche e progettuali più avanzate. Il corretto funzionamento della colonia-dispositivo veniva dunque garantito da una studiata articolazione spaziale che diede sfogo a sperimentazioni e declinazioni architettoniche sempre più sofisticate. Il bambino, all’interno di questi spazi collettivi, si confrontava con una realtà immensa, molto più complessa e lontana dalla sua quotidianità. Questo presupposto indusse progettisti e committenti a sviluppare espedienti compositivi e formali in bilico fra la tradizione ospedaliera e pedagogica. Non si trattava di una tipizzazione della colonia estiva, bensì di soluzioni di linguaggio che mutavano in relazione ad un organigramma logico-spaziale prestabilito, e alla realtà storico-architettonica più attuale.

20

preliminari, le operazioni di bonifica, il cambio d’abiti e la registrazione del fanciullo12. Questo padiglione era una struttura autonoma, connessa direttamente ai locali della lavanderia e ad un reparto di quarantena. Una volta sottoposto ai rituali medici, il bambino diveniva parte del programma quotidiano della vita nella colonia, basato su regole ben definite. Da questo punto di vista le colonie sorte lungo la costa adriatica, realizzate in epoche differenti, e relativamente a poca distanza l’una dall’altra, offrivano un vero e proprio catalogo di variazioni di un unico tipo architettonico. Fra le più antiche, la colonia Murri, già ospizio Marino Bolognese, oggi in condizioni di grave degrado, presentava una disposizione planimetrica tipica delle strutture ospedaliere, con blocchi di due piani, un corpo centrale a cui si annettono le due ali con i dormitori13. Al contrario la Colonia Ferrarese, realizzata un decennio più tardi, presentava ancora una distribuzione interna omogenea, dove la contrazione quasi asfissiante dei locali portava alla eliminazione di corridoi di collegamento generando una compatta configurazione volumetrica novecentista, sottolineata dal timpano in facciata, ammettendo scarti e variazioni nello sviluppo in altezza14 . La relazione fra gli ambienti dell’edificio si tradusse in una continuità spaziale, dove il continuum della disposizione planimetrica rifletteva la precisa successione di attività svolte dal bambino durante la giornata Fra le due guerre tale scelta venne stravolta: la condizione di tranquillità e omogeneità viene abbandonata, prediligendo una netta separazione dei diversi ambienti per cui l’organizzazione dei locali interni divenne conseguenza non ordinata di microspazi15. Questa scelta progettuale era strettamente connessa al nascente culto del collettivismo adoratore dello stato, la cui struttura gerarchica sociale si rifletteva nell’organizzazione spaziale e funzionale dei suoi edifici16. Abbandonata la tipologia a padiglioni compatti le nuove sperimentazioni alludevano a conformazioni spaziali futuristiche, preservando tuttavia gli stessi servizi della colonia-dispositivo 17. Nel corso del primo ventennio del Novecento, il tema della autorità assunse una importanza preponderante nella progettazione architettonica: allo stesso modo in cui avveniva nei sanatori e nelle prigioni il sistema spaziale panottico, permetteva di controllare con lo sguardo i vari livelli dell’edificio. Nei dormitori della colonia Le Navi di Cattolica, della Colonia Marina Alessandro Mussolini voluta dall’AGIP a Cesenatico o ancora la colonia montana Rinaldo Piaggio, realizzate fra il 1934 e il 1939, la quasi totale apertura dello spazio permetteva, ai sorveglianti, di vigilare costantemente sui piccoli ospiti18. Attenendosi alle norme di igiene, l’aerazione di questi locali era favorita da ampie finestre con affaccio diretto sul mare. Analogamente anche il locale del refettorio, collocato in un’ala distinta, era dominato da una rigida simmetria che permetteva agli “ufficiali” di catturare con un solo sguardo i fanciulli durante il pasto. Ancora più sofisticata era la disposizione a raggera con torretta di avvistamento centrale, adottata nella colonia Le Navi, che permetteva un costante control-


Figura 29

21

capitolo terzo| soluzioni compositive.

Figura 28


Figura 31

22

capitolo terzo| soluzioni compositive.

Figura 30V


Figura32

bambino durante la sua permanenza nella struttura. L’approccio dell’architettura della colonia nei confronti dell’ambiente in cui viene inserita diviene tema preponderante affrontato sin nelle prime sperimentazioni ottocentesche, quali l’ospizio di Margate, in Inghilterra, risalente al 1795, in cui l’architetto ideò una veranda per l’esposizione al sole ed una piscina per i bagni tiepidi in acqua di mare29. Se inizialmente l’integrazione con la natura aveva scopi puramente medici, terapici, con il tempo essa divenne elemento di progettazione a tutti gli effetti. Il progressivo adattamento alla natura implicava anche l’adozione di materiali adeguati. L’ampio terrazzo della colonia elioterapica di San Giorgio a Genova, ad esempio, vantava una sala completamente vetrata che permetteva la pratica dei bagni di sole anche nei mesi invernali. Sempre di grande versatilità, era il progetto della Colonia Marina Vittorio Emanuele III ed Elena di Savoia, che vantava soluzioni tecnologiche all’avanguardia, nonché un’attenta adattabilità ai cambiamenti climatici. Ad esempio la soletta di calcestruzzo sotto la copertura, creava un’intercapedine d’aria evitando così il surriscaldamento estivo; la presenza dell’impianto di riscaldamento permetteva invece, in inverno, l’esercizio della colonia come scuola all’aperto30 Negli anni successivi, la sperimentazione tipologica procedeva pari passo alla ricerca di nuova dialettica fra architettura della colonia e ambiente circostante. In alcuni casi, in particolare nel periodo fra le due guerre, l’edificio s’identificava come dispositivo in grado di assimilare il paesaggio. Nelle località marine primeggiavano le volumetrie lunghe, appiattite, spalmate sulla superficie sabbiosa, che meglio si allineavano con l’orizzonte, in una nota di grande poesia figurativa. Il tentativo di simbiosi con la natura era evidente nella Colonia Le Navi di Cattolica o nella Colonia Varese a Cervia. In particolare quest’ultima, edificata fra il 1937 e 1939, non era collocata sulla spiaggia, bensì circondata da un parco di oltre duecento pini marittimi, oggi in condizioni di totale abbandono31. In altri casi la fisionomia della colonia tendeva a dominare l’ambiente circostante, offrendo uno spettacolo scenografico ridondante. La Torre Balilla della Colonia Edoardo Agnelli a Marina di Massa, fu reinterpretata più tardi nella località montana di Sauze D’Oulx32 sempre dall’ingegner Bottino, che scelse come rivestimento esterno la pietra, materiale d’eccellenza nel quadro alpino33. Differente era la Colonia Estivo Invernale al Terminillo, che si poneva in dialogo con l’ambiente naturale della collina in maniera armoniosa: l’edificio, immerso nell’ambiente boschivo pianeggiante, era caratterizzato da un andamento curvilineo, che garantiva un discreto riparo dai venti; il tetto invece, per metà spiovente, offriva protezione dalle nevi; infine gli interni del refettorio dalle ampie vetrate, pensato come sala panoramica, erano rivestiti in pietra e legno per meglio adeguarsi alla tradizione edilizia del luogo.. Le colonie della seconda metà del XX secolo furono a tutti gli effetti delle vere e proprie isole, in cui si ambiva a limitare il più possibile ogni contatto con la realtà esterna, cercando di in-

capitolo terzo| soluzioni compositive.

ALL PAESAGGIO CIRCOSTANTE

Nella vita della colonia la relazione con lo spazio esterno e la natura giocava un ruolo fondamentale. La maggior parte delle attività diurne svolte dai suoi ospiti avveniva all’aperto. Per questo motivo molti progettisti diedero un peso preponderante a come l’architettura interagiva con l’ambiente naturale, sia dal punto di vista della scelta dei materiali che delle scelte compositive. Questi aspetti influenzano altresì il rapporto della colonia con il tessuto storico-urbanistico esistente, determinando accorgimenti progettuali come il tracciato dei collegamenti coi centri urbani o la necessità di definire un perimetro ben preciso. L’edificio della colonia doveva essere concepito unitamente all’ambiente in cui veniva inserita, e un valido esempio fu lo sviluppo delle colonie sulle sponde del Muro Atlantico. Nell’arco di pochi anni, a partire dal 1880 circa sorse, sul lungomare belga, un numero sempre maggiore di colonie climatiche dando avvio ad una vera e propria trasformazione della fisionomia del litorale, un progetto spontaneo di nuova urbanizzazione. Sebbene fra i vari edifici vi fosse, stilisticamente parlando, grande incoerenza, essi vantavano una vera e propria affinità col cambiamento dell’ambiente. Queste architetture, inizialmente dedicate solo ed esclusivamente alla degenza per cure elioterapiche, sorsero su dune desolate, distanti da i centri abitati e dalle strade. Col tempo, dal turismo salutare si passa ad un turismo sociale26: l’edificazione delle colonie sul litorale atlantico viene conturbata dalla crescente urbanizzazione che favorì la rapida affermazione della spiaggia come il luogo antitetico per eccellenza: essa divenne, oltre a meta privilegiata per le cure benefiche, anche culla dello svago. Fondamentale era la ricerca di un voluto isolamento ed esclusione rispetto al nucleo cittadino esistente. Lo stesso Melis affermava come il programma funzionale dedicato alla vita nella colonia per i giovani del littorio, l’edificio debba essere “collocato ad una certa distanza dal centro urbano” in modo da non disturbare gli altri villeggianti, “garantendo tuttavia una efficiente collegamento stradale”27 in caso di emergenze. Questa prerogativa favorì la libertà di sperimentazione dei progettisti. La scelta del sito veniva sostenuta anche dalla necessità di sorvegliare costantemente i bambini ospiti della colonia28 svolgendo senza intralcio dei visitatori le attività quotidiane. Inoltre si potevano meglio garantire adeguate condizioni di igiene, lontano dal caos e dall’inquinamento delle polveri dei centri urbani. Un altro aspetto che motivò la collocazione quasi appartata delle colonie era il prezzo dei lotti di terreno edificabile: gli appezzamenti disponibili fuori dai centri urbani erano senza dubbio meno costosi di quelli in città, per di più se il progetto aveva dimensioni notevoli. Per questo motivo quindi, a partire dai primi del Novecento, si preferì costruire su terreni periferici, isolati rispetto al contesto. La natura si rivelò inoltre un elemento indispensabile nello sviluppo psicofisico del bambino. Il rapporto con la natura e il paesaggio non rappresentava solo una questione formale, ma significava riconoscere l’importanza di un particolare valore nella vita del

23

SCELTE RCHITETTONICHE RELATIVE


Figura 35

La colonia-dispositivo assunse i caratteri di città effimera ed autonoma, situata sulla spiaggia o nelle remote e soleggiate valli. Un luogo dove è ammissibile una convivenza estranea al nucleo familiare, in una realtà lontana dalla quotidianità del bambino. In Italia, il progressivo isolamento delle colonie, condusse ad una massiva urbanizzazione disorganizzata del litorale. Il caso della riviera romagnola è senza dubbio una realtà che oggi presenta evidenti criticità: esistono tutt’ora innumerevoli scheletri di architetture dimenticate lungo le spiagge in uno stato di totale abbandono. Esse sono argomento di riscoperta da parte di studiosi, artisti,

nonché oggetto di tentativi di recupero da parte delle istituzioni territoriali e culturali. L’urbanizzazione della spiaggia di Cesenatico, in provincia di Forlì, città del losir per eccellenza del Novecento, è stata fomentata da una corsa per la villeggiatura e una repentina edificazione di colonie marine, sia nei quartieri di Ponente che di Levante, senza l’attuazione di alcun piano urbanistico adeguato. Aree sempre più ampie di territorio litoraneo sono state progressivamente dichiarate “turistiche ed edificatorie” generando un continuum urbano della costa, soggetta ad una incalzante speculazione edilizia. Alcuni tentativi di rigenerazione urbana sono stati già

attuati nel 2008 con un nuovo PRG, senza tuttavia gli effetti sperati. Secondo l’opinione della professoressa Valentina Orioli34 è lecito pensare ad una nuova valorizzazione e riscoperta della tradizione dell’industria balneare, una nuova possibilità di recupero del dispositivo della colonia. Ricostruire il significato e il valore storico culturale “di queste architetture, tra-

mite progetti di conservazione, continuità d’uso o parziale trasformazione”, è l’unica via possibile per

attuare una rigenerazione urbana ligia e consapevole della memoria storica e della tradizione della città.

capitolo terzo| soluzioni compositive.

Figura 34

24

Figura 33


3 CAZIN, Henri (1836-1891) Médecin-chirurgien, cofondateur des hôpitaux de Berck -Sur- Mer, fils du précédent. Reprend la clientèle de son père après son doctorat obtenu à l‘hôpital Sainte-Eugénie à Paris. Son beau-père, fondateur de l‘hôpital Napoleon, bénéficie régulièrement de son savoir-faire chirurgical acquis sur les enfants du futur hôpital Trousseau. Médecin-Chef de l‘hôpital Nathaniel de Rothschild (1872) puis de l‘hôpital Maritime (1879) en remplacement de son beau-père. Diabétique, il s‘éteint à 55 ans. Cfr. Antoine Bugnicourt, La famille Cazin, des médecins ou artistes de père en fils, in: “Cyber Biologie”, luglio 2008 http://alain.bugnicourt.free.fr/cyberbiologie/ biogenepub/cazinfamille [ultima cons. 16/11/2017] 4 L’art. 229 ravvisa gli educatori delle colonie su come “l’azione correttivo educativa nel senso psico-fisico” praticata dai fanciulli come “esercizio in forma di giuoco” doveva essere praticata in piccoli gruppi, in formazioni ordinate di circoli o file, con lo scopo di ottenere rigore e disciplina attraverso l’espediente ludico. 5 Clemente Busiri Vici, Il restauro del moderno. La

colonia marina “XXVIII ottobre” per i figli degli italiani all‘estero a Cattolica, volume I, Tesi di Dottora-

to di Ricerca in Progettazione Architettonica - XXI ciclo, Università degli Studi di Palermo, 2011, p. 42 6 Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane deg-

li anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p. 82

7 Per un approfondimento sul tema della Colonia Agip di Cesenatico si rimanda il lettore al capitolo IV. 8 In riferimento alla soluzione adottata da Gellner, è doveroso sottolineare l’importanza che egli attribuisce alla combinazione dei diversi materiali, siano essi di finitura o elementi portanti. Questa peculiarità dell’architetto deriva, molto probabilmente, dalla sua formazione come arredatore, e che gli declina brillantemente anche nella realizzazione di un elemento architettonico così semplice, come la scalinata, collocata per di più all’esterno. (Daverio, P., 2009). 9 Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p. 69 10 L’ingegner Vittorio Bonadè Bottino, torinese d’origine, (1889 - 1979) studiò al politecnico di Torino. Dopo la laurea trascorse due anni nel genio civile. Dopo il dislocamento inizia a lavorare come incaricato della progettazione della FIAT Lingotto. Rimase a

buzione, proporzionamento, organizzazione degli edifici tipici, schemi funzionali, seconda edizione, Editrice Libreria Italiana, Torino,1943, p.155

13 L’autore del progetto, ingegner Giulio Marcovigi realizza nel 1932 il grande ospedale milanese di Niguarda. Cfr. A.A. V.V., Colonie a mare: il patrimonio del-

le colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Istituto per i beni

artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (a cura di), Grafis, Casalecchio di Reno 1986, p.146 14 Ibidem, p.86 15 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005 16 La prima associazione italiana dedicata interamente allo svago dei fanciulli, che nasce con il nome di O.N.B. Istituto dell’Opera Nazionale dei Balilla, iniziativa che incentivò enormemente l’istituzione di colonie temporanee per l’infanzia (le Case dei Balilla). Nel 1937 essa venne trasformata nel G.I.L., Associazione per la Gioventù del Littorio, imponendo una educazione militarizzante in rispetto dell’ideologia del Fascismo. A differenza dello scoutismo, basato sul culto dell’individuo, il balillismo adottava l’educazione di massa, un inquadramento di tutto il popolo, attraverso un “continuo addestramento fisico e spirituale” (Tomasi, T., 1969). Cfr. Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane de-

gli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p. 8

17 Nel suo testo Mucelli (idem, p. 49), riferendosi all’intervento di Gilles Delueze del 1988 si domanda se la colonia degli anni venti e trenta possa essere considerata un vero e proprio dispostiivo. intenso come matassa composta da elementi di natura diversa, comprensibile solo attraverso una specifica “ricerca di campo”. Ebbene, limitandoci ad uno studio particolare e decontestualizzato dell’edificio è possibile considerarlo come uno strumento, un dispositivo appunto in grado di influire, attraverso la sua fisionomia sulla trasformazione dell’individuo. Cfr. Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane de-

gli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p. 79 18 Ibidem, p. 83

19 L’edificio, edificato fra il 1933-34 su progetto dell’Ing. Peverelli, su committenza della Federazione dei Fasci di Combattimento di Novara, presenta un’ossatura in

cemento armato, con finestrature continue a nastro, il disegno semicircolare delle testate valorizzate dal motivo plastico delle rampe. Il centro geometrico del fabbricato è costituito dalla torre scala (che funge anche da serbatoio d’acqua) nella parte alta, a cui si sommano la monumentalità e finalità celebrative verso il regime. I servizi occupano la parte centrale e il piano seminterrato delle ali, adibito nella parte sud, a teatrino; i refettori e le camerate erano situati ai piani superiori Gli elementi decorativi più compromettenti sono stati rimossi nel dopoguerra, anche se oggi la struttura, inutilizzata si trova in un mediocre stato di conservazione. Cfr. Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane de-

gli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009 p. 56 20 A.A. V.V., Colonie a mare: il patrimonio delle colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Istituto per i beni

artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (a cura di), Grafis, Casalecchio di Reno 1986, p.137 21 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.18 22 L’immobile, oggi di proprietà dell’INDAP, è una ubicato nel comparto di Ponente della città, in prossimità del centro, in un ambito che il Piano Territoriale Paesistico vigente ha definito „Città delle colonie“, per la concentrazione delle stesse, e per la sua qualità ambientale. Collocato in vicinanza al mare, l’edificio gode di un rapporto diretto e privilegiato con l‘arenile confinante, al confronto con le altre colonie del comparto, risulta avere una superficie e ricettività maggiore. In disuso da decenni nel 2008 ha subito una serie di interventi di recupero e soggetta ad ipotesi di riutilizzo da parte dell’ente INPAS, progetti che, per motivi economici non sono mai statui avviati. Cfr. Marco Selva, Colonia Marina di Cesena-

tico (Forlì), Relazione di Prefattibilità Tecnica, I.N.D.A.P., 28 gennaio 2008, https://www.inps.

it/docallegati//InpsSettings/Lists/AllegatiGare/ Gara_b775/prefCESENATICO.pdf [21/11/2017]. 23 A.A. V.V., Colonie a mare: il patrimonio delle co-

lonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (a

cura di), Grafis, Casalecchio di Reno 1986, p. 212 24 Ibidem, p. 106 25 Daniel Peleman, Le colonie di vacanza e la

trasformazione del litorale, in “Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee”, Val-

ter Balducci, (a cura di), Alinea, Firenze, 2005, p. 43 26 Armando Melis, Caratteri degli edifici: distri-

buzione, proporzionamento, organizzazione degli edifici tipici, schemi funzionali, seconda edizione, Editrice Libreria Italiana, Torino,1943, p.183 27 Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p. 98 28 Piero Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano,1990, p.114 29 Ibidem. p. 118

capitolo terzo| soluzioni compositive.

buzione, proporzionamento, organizzazione degli edifici tipici, schemi funzionali, seconda edizione, Editrice Libreria Italiana, Torino,1943, p.68

servizio della Fiat per diversi anni tanto che nel 1929 accettò l‘incarico che gli offriva G. Agnelli, di organizzare il servizio centrale costruzioni FIAT. Da qui la fedeltà alla famiglia Agnelli venne sancita con numerosissime realizzazioni fra cui alberghi, impianti turistici e le colonie dell’ente Fiat. L’edificio a forma di torre rotonda, usato per la prima volta come soluzione per un sanatorio a Pra Catinat, ebbe successo e divenne la firma inconfondibile dell’ingegnere nonché strumento di risoluzione ai problemi de turismo di massa Cfr. BONADÈ BOTTINO, Vittorio, Bernardo Signorelli, in “Enciclopedia Treccani. Dizionario Biografico degli Italiani” Volume III, 1988 11 Ibidem, n.13 12 Armando Melis, Caratteri degli edifici: distri-

25

1 Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005, p.13 2 La dinamica dello spazio aperto dedicato al gioco è riconducibile, alla tradizione delle scuole all’aperto. Queste realtà, assai diffuse e conosciute nell’ambiente transalpino come Waldschule, erano tipicamente inserite nei boschi, nello spazio naturale incontaminato. Usate prevalentemente durante il periodo estivo comprendevano dei dormitori per i ragazzi, e nel complesso si basavano su una minimizzazione dello spazio costruito. Cfr. Armando Melis, Caratteri degli edifici: distri-


30 A.A. V.V., Colonie a mare: il patrimonio delle

colonie sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Istituto per i beni artistici, cul-

turali e naturali della Regione Emilia-Romagna (a cura di), , Grafis, Casalecchio di Reno, 1986, p.242 31 Collocato nel suggestivo paesaggio montano di Salice D’Ulzio, a 1508 m sul livello del mare, l’edificio fu voluto da Giovanni Agnelli come colonia montana per i figli dei dipendenti della FIAT ed è gemello della Colonia Marina Edoardo Agnelli di Marina di Massa. La seconda Torre Balilla fu realizzata nel 1937 e fino agli anni ’80 venne impiegata come colonia estiva montana, per poi essere convertita a struttura alberghiera. Subisce degli interventi di ampliamento e manutenzione nel 2004. Come l’edificio gemello, la torre è caratterizzata da una scala elicoidale interna e illuminata dalla luce naturale che filtra attraverso la copertura-lucernario in vetro. La colonia diede avvio alla vocazione turistica del luogo che rimane tutt’ora intatta, e in cui l’edificio della colonia copre un ruolo fondamentale. Cfr. Lucas Events, Scenario montagna. Sauze D’oulx, http://www.lucasevents.eu/scenario-mon tagna/#mvbtab_53ba97d766efb_1 [22/11/2017]. 31 Mario Labò, Antonio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942, p. 70 32 Valentina Orioli (nata a Cesena nel 1971), architetto e dottore di ricerca, docente dell‘Università di Bologna. È assessore all‘Urbanistica, Edilizia privata, Ambiente, Riqualificazione e tutela del centro storico presso il Comune di Bologna. Ricercatrice presso il DAPT (“La città balneare della costa romagnola: me-

todologia per la riqualificazione. Il caso di studio di Cesenatico”, tutor Prof. Guido Ronzani). Nota autrice di

Figura 36

26

Pagina 22 Fig. 30 Colonia Novarese a Milramare. planimetria tratta dal volume „ Colonie Estive dell‘emilia Romagna“ ig. 29 Colonia Murri, Rimini, planimetria tratta dal volume „ Colonie Pagina 23 Fig. 32. Colonia Marina Enel, di Riccione, arch. Giancarlo de Carlo. Dettaglio terrazze esterne. Foto di Alessandro Piredda, tratto da Domus, 5 gennaio 2016 Pagina 24 Fig. 33 Passeggiata sulla spiaggia, Colonia Monopoli di Sato, anni ‚50. Fig. 34 Attività di elioterapia di fronte alla colonia Novarese.nel 1953 Fig. 35 Pratica della elioterapia e dei bagni di sole sull‘arenilde della Colonia Agip a Cesenatico, 1961 Fig. 36. Colonia Marina Enel, di Riccione, arch. Giancarlo de Carlo. Dettaglio terrazze esterne. Foto di Alessandro Piredda, tratto da Domus, 5 gennaio 2016

capitolo terzo| soluzioni compositive.

varie monografie e saggi sui temi dell‘edilizia sociale e della costruzione delle periferie urbane nel secondo dopoguerra. La storia delle città balneari italiane e in particolare del litorale emiliano-romagnolo, i loro processi di crescita nonché i temi di rigenerazione e del rapporto fra innovazione turistica e strumenti urbanistici sono l‘oggetto privilegiato delle sue ricerche dal 2003. Inoltre, dal 2009 al 2015 ha coperto la carica di presidente della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio del Comune di Cesenatico. Cfr. Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008


27

capito qurto | casi studio. colonia montana

CAPITOLO IV

CASI STUDIO. COLONIA MONTANA


PATRIMONIO DELLE DOLOMITI

Fig.37 Monte Antelao prima dell‘insediamenro. Foto d‘epoca, 1955.

mento in stretta connessione con l’ambiente, sfruttando mirabilmente le qualità paesaggistiche del sito alpino. Bocciando alcuni proposte dell’Eni, egli propose di situare il progetto sulla cosiddetta “Frana di Cancia”8, avvallamento arido e inospitale, riconoscendo in questo sito un’ottima esposizione solare, e vantaggi logistici legati alla vicinanza di altre località turistiche. Questa scelta si rivelerà deleteria: sebbene Gellner sovvertì alla scarsa vegetazione del luogo tramite piantumazioni di pini, larici e aceri rossi, nell’arco di un decennio la flora della montagna iniziò a “inghiottire” l’intervento dell’uomo. Scopo di Mattei era di garantire ai suoi dipendenti l’esperienza della villeggiatura, che probabilmente pochi di loro avevano già sperimentato, “senza creare

delle zone destinate ai dirigenti, o agli impiegati e altre agli operai” (Mattei, 1958) e proponendo un modello

di convivenza associata ma al contempo autonoma9 . Gellner, su direttive del “patriarca” ENI, progettò una gamma di tipologie residenziali che rispondevano alle richieste di Mattei e andavano incontro alle necessità di tutti i suoi dipendenti. Come dimostra la planimetria 729/1929 relativa al funzionamento della Rete Elettrica, il progetto originario prevedeva la realizzazione di un complesso architettonico molto più ampio rispetto a quanto venne effettivamente edificato. Il villaggio comprendeva un albergo per dipendent10i single, l’Albergo Boite, un dormitorio, oggi Albergo Corte; un piccolo edificio adibito a drogheria e bar, con terrazza panoramica; la squisita Chiesa Nostra Signora di Cadore, nata dalla collaborazione fra Edoardo Gellner e Carlo Scarpa10. La tortuosa strada a tornanti è il connettivo attorno al quale si sviluppa l’intervento: dall’arteria principale si diramano le strade secondarie che conducono dai nuclei centrali alle villette, organizzate in lotti, destinate alle famiglie dei dipendenti che si alternavano in turni bisettimanali. La possibilità di godere della vacanza in montagna non era destinata ai soli adulti, ma anche alla prole della grande famiglia ENI. Mattei propose la realizzazione di un campeggio a tende fisse e di una Colonia per ragazzi. Quest’ultima era composta da dodici padiglioni, collegati tramite rampe coperte, distribuiti su una superficie complessiva di trecentomila metri quadri. In ogni fase della realizzazione si è cercato di valorizzare l’impatto che l’opera dell’uomo avrebbe avuto nei confronti dell’ambiente naturale, cercando di esaltare l’architettura tramite un nuovo paesaggio costruito. La conformazione urbanistica del villaggio, era strettamente legata alla morfologia della montagna. Gli interventi stradali vennero attuati in rispetto della orografia del terreno, utilizzando dei muraglioni in pietra naturale con profili orizzontali per sostenere gli azzollamenti, e tracciando percorsi curvilinei in grado di offrire un panorama sempre diverso al villeggiante, in automobile o a passeggio. Il progetto originario non fu mai portato a termine a causa dell’improvvisa morte di Enrico Mattei, rimasto vittima di una sciagura aerea nell’ottobre del 1965. La sua scomparsa segnò la fine dei lavori di realizzazione del villaggio, in cui non venne mai edificato il nucleo

capito qurto | casi studio. colonia montana

A CORTE DI CADORE.

A metà del secolo scorso , in Italia, la villeggiatura estiva andava assumendo una sempre maggiore importanza, rivelandosi un contributo fondamentale nella nascente economia del dopoguerra. In un simile contesto storico, reduce da conflitti mondiale e di politiche autodistruttive, la riscoperta tradizione della vacanza1, che rappresentava una permanenza temporanea a scopo ludico trascorsa in località marine o montane, smise di essere un privilegio per pochi, e divenne una prerogativa della nuova società moderna2 . Il turismo incarnava una realtà economica e sociale della massima rilevanza, portando ad una conseguente crescita del settore alberghiero e dell’accoglienza in genere, la quale perse i caratteri esclusivamente assistenziali. In linea con lo sviluppo di questo fenomeno di massa le imprese andarono incontro alle nuove esigenze turistiche, a favore dei propri dipendenti3. A seguito di simili svolte culturali, lo sviluppo delle colonie estive registrò un momentaneo arresto: queste istituzioni dovettero fare fronte ai cambiamenti di costume e della mentalità collettiva, ricercando elaborazioni più moderne, in grado di sostenere le emergenti richieste della società. Furono adottate innovative soluzioni di grande modernità che evidenziarono un repentino cambio di rotta. Le città d’infanzia superarono il campo prettamente assistenziale per entrare in quello della sperimentazione, attraverso lo sviluppo di modalità educative appropriate per il bambino e per la famiglia, verso una filosofia di sempre maggiore “democratizzazione della vacanza”. In definitiva la tipologia della colonia nata fra gli anni venti e trenta, concepita come edificio autonomo, lasciò spazio a soluzioni che percepivano l’architettura della colonia come perfettamente integrata in una realtà urbanistica e collettiva complessa. L’esigenza fu risolta in maniera esemplare da una delle imprese italiane più fiorenti: la società Eni, allora guidata da Enrico Mattei4. Realizzato fra il 1955 e il 1962, il Villaggio delle Vacanze per i Dipendenti della Società” rispecchiava i caratteri di un vero e proprio progetto urbanistico un’eccezione a livello Europeo. Il villaggio di nuova fondazione5 fu fortemente voluto da Mattei, che seppe circondarsi di figure in grado di realizzare il suo progetto di una nuova città del losir immersa nel verde delle Dolomiti. Edoardo Gellner6 fu l’architetto che si occupò dell’intera pianificazione del Villaggio di Borca, dalla discussa e controversa scelta del sito sulle pendici del monte Antelao7, su un’area di circa 130 ettari per un totale di 100.000 mq edificati, fino alla progettazione dettagliata degli arredamenti di ogni singola abitazione del complesso. Il criterio organico-sociale adottato da Mattei fu perfettamente compreso, elaborato e trasferito nella realtà da Gellner, che lo declinò in modo totale, ad ogni livello, dall’organizzazione urbanistica, a quella architettonica: una progettazione che potrebbe essere definita “a quattro mani”. Quest’unicum dell’architettura moderna prevedeva una vera e propria pianificazione territoriale che modificò l’intero versante della montagna, nonché il rapporto che i residenti avevano con quest’area. L’architetto decise di realizzare un insedia-

28

IL VILLAGGIO D‘INFANZIA ENI


capito qurto | casi studio. colonia montana 29 Figura 38. Progetto esecutivoVillaggio ENI Borca di Cadore. Plnimetria, 1958-


capito qurto | casi studio. colonia montana Figura 40. Colonia del Villaggio ENI. Aula Magna. Interno.

Figura 41. Campeggio Villaggio ENI. Gruppo tende „squadra bianca“.

30

Figura 39. Chiesa Nostra Signora di Cadore. Interno.


Figura 42. Planimetria progetto esecutivo Chiesa ed abitazione del curato. Archivio

clusivo e dominante di un lungo percorso pedonale, era la Chiesa Nostra Signora del Cadore, consacrata nel 196112, .. L’edificio si colloca su un’altura raggiungibile mediante rampe coperte, annessa all’abitazione del curato, venne progettato in forte relazione con l’ambiente. La forma architettonica a capanna, con falde inclinate di sessanta gradi, distingue volutamente l’edificio rispetto al suo intorno. I disegni planimetrici evidenziano i continui ripensamenti da parte dei due architetti (fig.42)riguardo agli accessi o alla particolare inclinazione delle absidi. In una delle soluzioni venne ipotizzato un collegamento tramite passerelle, mai realizzato, fra la chiesa e il centro sociale ((fig.43) h. Nell’edificio ecclesiastico di particolare valore sono i

Recentemente, alcuni dei nuovi acquirenti, hanno apportato delle modifiche all’aspetto originario delle villette, convertendo, ad esempio, gli spazi compresi fra i setti di sostegno in garage o taverne. Dal 2009 le Ville di Corte di Cadore sono oggetto di vincolo da parte della Soprintendenza dei Beni Architettonici di Venezia che ne ha impedito ulteriori rimaneggiamenti da parte dei residenti. Persa la sia funzione strategica all’interno dell’azienda l’intero complesso architettonico fu venduto ed è oggi in gran parte proprietà della alla società Mi.no.ter SpA15, che gestisce anche il complesso della Colonia e gli spazi del Campeggio.

capito qurto | casi studio. colonia montana

centrale dell’insediamento progettato da Gellner, dotato di campi sportivi, un “comprensorio”, un centro civico con cinema, negozi, teatro e ulteriori quartieri residenziali. Il secondo nucleo comprendeva strutture destinate in un primo momento alle residenze degli impiegati del villaggio. Una volta terminati nel 1962, furono convertiti tuttavia inhotel destinai ad ospitare i villeggianti, sebbene rimasero in parte incompiuti11. Il residence Corte era pensato per accogliere il personale, e l’albergo Boite era costituito da ottanta camere su sei livelli. Le stanze luminose, dotate di terrazzo, e la prestigiosa sala da ballo, erano caratterizzate dal design unico di Gellner. Il terzo nucleo, episodio con-

è totale. Ogni aspetto estetico è la risultante di un tema funzionale, risolto”14.

31

materiali impiegati, lasciati talvolta grezzi come i ceppi di legno immersi nel cemento dei pavimenti o levigati come per il marmo dell’altare, i metalli e i vetri delle finestre accostati per contrasto. All’interno l’altare e le panche in legno, realizzate su disegno di Scarpa, illuminate da preziosi lampadari in vetro di murano. La Chiesa è frutto del dialogo fra due maestri del Novecento in grado di rinnovare il linguaggio dell’architettura alpina. Il progetto prevedeva la realizzazione di sette lotti, dei quali solo quattro furono completati prima della morte di Mattei, per un totale di 280 residenze. La distribuzione sul territorio non era casuale, ma volta a creare piccoli raggruppamenti in grado di “giocare” con dislivelli naturali della montagna. Gellner adotta l’abitazione monopiano che poteva svilupparsi in pianta ma mai in alzato, sebbene ognuna delle unità fosse ben sollevata da terra, sorretta da possenti setti murari rivestiti in pietra. Gli otto tipi edilizi progettati da Gellner proponevano numerose variazioni anche nella loro duttile aggregazione sempre rispettosa di un’unitaria visione d’insieme. Infatti nella progettazione di queste abitazioni fu indispensabile riflettere su come gli insediamenti si sarebbero presentati nel paesaggio. In questi termini, la trama delle campate divenne un motivo architettonico in grado di conferire omogeneità ai raggruppamenti, e grazie alla variazione dei materiali e degli arredamenti, veniva dissimulato il carattere ripetitivo della tipologia della villa. Gli arredi interni, anch’essi disegnati da Gellner, erano modelli prefabbricati e assemblati direttamente in loco: il mobilio in mogano massello prodotto appositamente dalla Fantoni13, le lampade su disegno dalla Flos o le coperte e i rivestimenti Lanerossi con immancabile simbolo del cane a sei zampe. Ogni casa disponeva di un ampio soggiorno, in cui trionfava la stube in ceramica, una cucina dotata di fornelli a gas, bagni e un num ero di stanze che poteva variare da due a quattro. Forme, colori, materiali sono abilmente utilizzati al fine di instaurare un rapporto di sintonia e reciproco scambio con l’ambiente, dando vita ad un paesaggio costruito dove l’architettura arricchisce lo scenario naturale esprimendosi con un linguaggio moderno, tramite una visione totalizzante e con spazi ecologici del costruire nel paesaggio considerato in ogni suo aspetto. “Ad ogni scala” afferma D’incà Levis, “il controllo di Gellner


capito qurto | casi studio. colonia montana 32 Figura 43. Planimetria scala 1:1000. Progetto definitivo. Archivio Progettoborca, 1958.


Fig. 44. Cappella votiva a Cesenatico, Colonia Agip.

Fig. 45. Dormitori Colonia Villaggio ENi. Interno padiglione M.

Fig.46. Corridoi rampa.Interno Colonia Villaggio ENI.

za di collegamenti verticali fra i piani facilitavano gli spostamenti ai diversi livelli, riservati esclusivamente ai sorveglianti. Per ogni piano vi erano raggruppati dei servizi igienici, oggi conservati parzialmente, in un corpo laterale rivolto a nord. Oltre ai tre padiglioni dormitorio, collocati ad ovest, gli altri locali contenuti nei grandi padiglioni longitudinali erano il refettorio, con capacità di seicento posti, suddiviso in scomparti di ottanta sedute; il padiglione che ospitava l’infermeria, i bagni e gli alloggi per gli inservienti. Ogni fabbricato s’innalzava per un massimo di tre livelli, con il primo piano rialzato da terra, sorretto da setti simili a quelli delle villette18. Analogamente alla scelta adottata per le ville, anche i prospetti dei padiglioni della colonia venivano scanditi dallo stesso modulo ripetitivo, formato da finestre a basculante di dimensioni diverse comprese fra due strette lesene. L’alternanza apparentemente casuale dei pannelli pieni e vetrati è frutto di uno studio in relazione alle necessità d’illuminazione interna, che doveva rimanere il più omogenea possibile, a prescindere dai giochi di luce creati dalle rampe. I materiali e i criteri costruttivi adottati sono i medesimi per tutti i padiglioni della colonia, e uniformano l’aspetto del villaggio: murature portanti in pietrame, con strutture in acciaio e cemento armato, facciate realizzate con pannelli prefabbricati, murature in laterizio ed intonacate, rivestite da strati termo-isolanti. Come dimostrano i progetti del padiglione adibito a refettorio e spogliatoio (indicato con la dicitura RS), era il più avanzato dal punto di vista tecnologico, al suo interno vi si trovavano le docce, i servizi igienici per bambini ed inservienti, nonché gli spogliatoi divisi per maschi e femmine, le cucine, ed infine refettori per il personale e i giovani ospiti. La grande sala del refettorio era completamente coperta in legno e caratterizzata da una grossa orditura (fig.55h). Ancora oggi è possibile ritrovare i tavoli con struttura in ferro e le sedie originali accantonate in un angolo. Il tetto, a falda asimmetrica leggermente inclinata, garantiva un’ottima illuminazione diurna, a cui si aggiungeva un sistema di lampade fluorescenti e di piccole lampadine circolari appese al soffitto che donavanoall’ambiente un carattere festoso. Il padiglione centrale, destinato all’accettazione e soggiorno(AS), vantava una conformazione compositiva e spaziale distintiva rispetto agli altri locali della Colonia. Dal punto di vista strutturale presentava una copertura a tetto a falda ripida, sostenuto, da una serie di capriate triangolari in cemento armato, incastrate alla base e vincolate sul solaio del salone sottostante, secondo la soluzione tecnologica adottata anche nella Chiesa del Villaggio. Questo padiglione, noto anche come Aula Magna, in grado di ospitare ottocento persone, ospitava al piano terreno i locali per l’accettazione e al piano superiore una sala riunioni. All’interno del sistema del Villaggio, Gellner scelse di riservare la distintiva forma di falda triangolare accentuata alle strutture di particolare importanza. Come si può dedurre dalle planimetrie della Chiesa Nostra Signora del Cadore e del fabbricato del padiglione AS della colonia, i disegni esecutivi dei due edifici presentano evidenti ana-

capito qurto | casi studio. colonia montana

MODERNA CITTA‘ D‘INFANZIA

La colonia montana per seicento ragazzi rappresentava il nucleo più consistente realizzato all’interno del villaggio. Costruita tra il 1955 e il 1962 entrò in funzione nel 1958, anno dell’inaugurazione ufficiale della nuova città della ENI. I suoi ospiti, bambini fra i sei e dodici anni potevano soggiornare al suo interno, per un periodo da uno a tre mesi, oppure venivano ospitati, a turni, all’interno delle strutture del campeggio situato sulla cima della montagna. La società AGIP, assorbita dalla ENI poco tempo dopo, possedeva da tempo un’analoga struttura dedicata alla residenza estiva d’infanzia, collocata sul litorale romagnolo e in funzione dal 1937. La Colonia Marina Sandro Mussolini di Cesenatico e la Colonia montana di Borca vennero gestite in modo univoco dalla società di Mattei, come documentato dalla circolare n.861 emessa dall’azienda nel 1958, in cui venivano dettati le norme e regole di permanenza ai dipendenti dell’impresa. L’organizzazione prevedeva i turni di bambini divisi in dieci gruppi di quaranta unità ciascuno. Come accadeva in ogni colonia estiva, i giovani, immediatamente dopo il loro arrivo nel locale di accettazione, venivano sottoposti ad una completa pulizia, cambio d’abiti e taglio di capelli. Dato l’ingente numero di persone che la struttura doveva ospitare, composto dai bambini, dal personale e dagli inservienti, l’intero complesso venne dimensionato di conseguenza, come l’aggregazione di diciassette differenti edifici16.La particolare conformazione del terreno, di notevole pendenza, ebbe un ruolo dominante nella distribuzione degli spazi escludendo fin da subito la possibilità di adottare una struttura “monoblocco”, optando per una frammentazione degli spazi, che si risolse in uno schema a padiglioni. Questa soluzione secondo Gellner, sembrò rivelarsi la più adeguata poiché rispondeva ad esigenze di carattere tecnico e paesaggistico, nonché alla natura psicologica del luogo. L’architetto d’origine austriache che la progettò di fatto desiderava richhiamare nella memoria dei bambini una forte familiarità coi retaggi della colonia-caserma17. I dormitori, attorno ai quali si svolse un’attenta progettazione erano formati da spazi dedicati per quaranta bambini, disposti su tre livelli e con affaccio diretto sulla rampa-corridoio interna. Tradizionalmente, ogni dormitorio disponeva di un piccolo appartamento dedicato al sorvegliante, andando tuttavia ad eliminare il criterio panottico ampiamente utilizzato nelle colonie del ventennio precedente. Come si deduce dalle planimetrie di progetto dei padiglioni M (Maschile) ed F (Femminile) (fig.45) hh la disposizione dei letti nelle camerate era frutto di un’organizzazione ragionata: abolendo l’usuale schema a composizione parallela, si è cercato di creare piccoli gruppi di letti. Per ricreare l’atmosfera di una cameretta, gli spazi dei letti sono divisi tramite delle rastrelliere in mogano fissate al terreno, munite di mobiletti e portaoggetti che appaiono anche nelle abitazioni unifamiliari del villaggio (fig. 5v1) L’attenzione per i dettagli fu una delle costatanti progettuali nella architettura di Gellner, riconducibile alla sua formazione di arredatore. Inoltre la presen-

33

COLONIA MONTANA DI EDOARDO GELLNER


Fig. 50. Colonia Villaggio ENI. interruttori locali refettorio.

capito qurto | casi studio. colonia montana

Fig.48.Villaggio ENi Borca di Cadore. Dettaglio aperture villette monofamiliari

solai traversi in cemento armato visibili solo esternamente. La copertura delle rampe,, leggermente inclinata, è stata realizzata in listelli di legno parzialmente e appoggiati sui setti murari. All’interno del solaio furono collocati i sistemi di distribuzione dei vari impianti (riscaldamento, idrico, linee del telefono, linee elettriche e la diffusione sonora, fig.46), ttttttprotetti da cunicoli in lastre di metallo e gomma , apribili per eventuali opere di manutenzione, i cui percorsi furono frutto di un’accurata progettazione e che per l’epoca rappresentavano una soluzione di grande modernità. L’uso del colore negli edifici della colonia aveva un ruolo preponderante, ricerca che purtroppo è stata soggetta a ridimensionamenti nel corso delle successive manutenzioni20 .Accanto alle colorazioni naturali dei materiali impiegati (pietra, larice, cemento), troviamo soprattutto il rosso, l’azzurro e il giallo oltre al marrone e bianco, impiegati anche in rispetto della destinazione d’uso del padiglione. Le variazioni cromatiche furono applicate, oltre che sulle chiusure delle facciate o sulle orditure di elementi portante, anche su elementi collocati più piccoli, come le prese elettriche (fig. 50 ). Lo spazio esterno della colonia21 concepito come universo complementare all’architettura dei padiglioni, rifugge al cromatismo eccessivo. L’aria su cui sorge il complesso notevolmente vasta era in origine anche assai varia: la vegetazione, prevalentemente di larici e conifere, andava infittendosi in relazione all’altitudine del sito. La densità boschiva ebbe una notevole influenza sui caratteri dell’architettura, il cui progetto si diramava alla ricerca di radure o aree con bassa vegetazione, talora anche ricorrendo all’inserimento di tratti erbosi, prelevati dall’altro versante della montagna. L’organizzazione dello spazio esterno si basava quindi su una parcellizzazione di porzioni di verde dimensionate per ospitare squadre di quaranta bambini. Il gioco all’aperto era fondamentale nella vita della colonia di montagna, e si alternava a momenti di escursionismo vero e proprio. Le aree e i campi da gioco furono concepiti a misura di bambino, come un necessario completamento della dotazione di spazi necessari alla colonia . I cortili dedicati al gioco, collegati fra loro da una rete di percorsi pedonali furono pensati come piccole radure immerse nel verde, racchiuse in recinti circolari, dotate di panchine o con una particolare pavimentazione in lastre quadrate di cemento o di porfido. Il grande piazzale su cui domina il padiglione triangolare dell’Aula Magna, conta una superficie di duemila cento metri quadrati, attrezzato per le manifestazioni all’aperto sia apriva su un’ampia gradinata in pietra, che incarnava il cuore del complesso della colonia. I piazzali non erano gli unici spazi esterni dedicati alle attività di svago. Nell’eventualità del maltempo furono realizzate tre aule di modeste dimensioni, che si distinguono dagli altri padiglioni per la loro caratteristica conformazione a capanna a pianta esagonale rialzata da terra in grado di ospitare shquadre di dieci bambini durante le attività diurne. Anche lo spazio fra l’estradosso del pavimento delle aule e il terreno su cui si adagiavano poteva essere adibito a soggiorno esterno, munito di sedute in legno, garantendo un’altezza minima di un

34

Fig. 47. Colonia Villaggio ENI. Dettaglio parete interna rampre di collegamento

logie, sia in pianta che in alzato. Inoltre, entrambe le strutture, vantavano un affaccio diretto su uno spazio aperto, teatro dell’accoglienza dei bambini19 che si riunivano sul piazzale della colonia, e il sagrato su cui i fedeli attendevano l’ingresso in Chiesa. Anche il padiglione AS presentava, al pianoterra, un altare ubicato in una nicchia apribile che luogo per funzioni e messe. Questa soluzione fu adottata anche nella Colonia di Cesenatico (fig.44) dove il portone in legno che domina il prospetto centrale della colonia progettata nel 193tt7 da Giuseppe Vaccaro, nasconde al suo interno, un altare mosaicato collocato in un intradosso di circa trenta centimetri. Al pianoterra dell’Aula Magna, le pareti in calcestruzzo lahsciato a vista, si sposano perfettamente con le ampie pareti in mogano e il pavimento in linoleum, dall’inconfondibile motivo firmato Iveco. L’interno era illuminato da ampie vetrate che si adattavano alla forma triangolare della copertura,. In origine la sala era munita di una pedana-palcoscenico e di uno schermo di proiezione a scomparsa che permettevano di accogliere le manifestazioni collettive della colonia, mentre due piani erano collegati fra loro tramite rampe interne. Gellner decise di risolvere il problema dei collegamenti fra i diversi padiglioni della colonia adottando un sistema di rampe a più livelli che si intersecavano incrociandosi improvvisamente nei vari ambienti della colonia dando vita ad un vero e proprio labirinto di colori immerso nel bosco. La morfologia del terreno, nonché le motivazioni di carattere estetico e paesaggistico hanno reso indispensabile la connessione dei diversi ambienti tramite rampe, sia per i percorsi riservati ai bambini, che a quellhi dedicato al personale. Con un dislivello massimo di trentacinque metri, i corridoi si svolgevano per una lunghezza che non superava i trecentocinquanta metri. Mantenendo una pendenza di circa il quattordici percento, questi percorsi erano a tutti gli effetti la risoluzione adeguata in grado di supplire ai caratteri morfologici della montagna, senza alterarne la conformazione naturale. Le rampe coperte, chiuse e riscaldate, con pavimentazione in gomma, assolvevano alla funzione di vere e proprie strade interne, sviluppandosi per una lunghezza complessiva di cinquecento metri. I collegamenti proseguivano all’interno dei dormitori innestandosi nelle gallerie principali, fino a raggiungere un intradosso massimo di 2,44 metri, in aggiunta alla cubatura delle camerate. Le rampe rappresentavano inoltre un espediente di divertimento e gioco per il bambino 19h. Tratti di pareti vivacemente decorate si alternavano a porziohni totalmente bianche, mentre altre erano forate da finestrelle quadrate di svariate dimensioni, cifra caratteristica dell’archhitettura dell’intero villaggio (cit.9-10). Aperture concepite come cornici ideali che catturano frammenti di paesaggio. Oggi i corridoi della struttura sono fra gli ambienti maggiormente soggetti a degrado, soprattutto a causa di infiltrazioni d’umidità che hanno portato a consistenti fenomeni di distacco dell’intonaco superficiale (fig. 47). La struttura portante delle rampe, è stata risolta attraverso un sistema di


35

capito qurto | casi studio. colonia montana

Fig. 50..a, Colonia Villaggio ENI. i Pianta diposizion padiglioni.

Fi

g. 50.b. Colonia Villaggio ENI. iPadiglione refettorio, eterno.

Fig. 50.c. Colonia Villaggio ENI. Corridoio doppia rampa, interno.

Fig. 50.c. Colonia Villaggio ENI. Padiglione dormitorio, esterno.


Figura 52

36

Fig. 51Villa monifamiliare, dettaglio interno camera da ketto. Fig.52 Planimetria padiglione servizi e refettorio. Archivio Progetto borca, 1958. Fig.53, Colonia Villaggio ENI. Interno, locale de refettorio.

capito qurto | casi studio. colonia montana

Figura 51

metro e sessanta. Ogni aula era riscaldata grazie alla grande stub22 in cotto, identica a quella degli chalet, ed arredata con sgabelli, panche fisse, lavagne e altri elementi disegnati dallo stesso Gellner. Lo “Sgabello L09”23h , seduta componibile, era un’oggetto di grande versatilità: grazie al suo design componibile poteva essere utilizzato come suppellettile oppure essere adoperata come giocattolo per i più piccoli. Il complesso delle aule era perimetrato da setti murari che superano di poco i due metri d’altezza, decorati anch’essi dalla cifra inconfondibile delle finestrelle quadrate, oggi seminascoste dalla folta vegetazione. La colonia assolse alla sua funzione annualmente fino alla prima metà degli anni Settanta. A partire dal 1974 vennero attivate delle proposte di progetto che ne vedevano una riconfigurazione e riassetto dei locali principali della colonia. Nel corso degli anni si contemplarono varie possibilità di riuso degli edifici progettati da Gellner. Tuttavia data l’entità delle dimensioni di questa architettura tutte le iniziative di riconversione, come ad esempio la progettazione di un Nuovo Centro vacanza Borca (1974), il recupero del complesso con proposta di conversione in un centro alberghiero-congressuale (2002), che prevedeva il solo recupero delle aree del dormitorio valutando sei diverse soluzioni di intervento, furono tutti lasciati in sospes24 . A differenza della Colonia, un complesso che presenta numerose criticità nei confronti di una corretta riattivazione, il nucleo del campeggio continuò a ospitare gruppi di giovani in vacanza fino agli anni novanta svolgendo una funzione analoga a quella di colonia montana. Questa struttura, formata da tende fisse a terra mediante appositi sostegni in calcestruzzo, era situata in cima al villaggio, in grado di ospitare gruppi di duecento ragazzi. Era composto da quattro nuclei, ciascuno contraddistinto da un colore, formato da dieci capanne ciascuno, in grado di ospitare cinque ospiti ciascuna. Ad essa si aggiungevano le capanne dei capisquadra, e i relativi servizi igienici autonomi. Ad essi si affiancavano due edifici dedicati alle attività al coperto, oltre ad un campo sportivo, assai più recente. La struttura del padiglione refettorio del campeggio era anch’essa caratterizzata dalla copertura a falda ripida, e fra i suoi locali era contemplata anche una Cappella, oltre alla cucina, magazzini e i servizi. La capanna zero, prototipo costruito nel 1956 sul primissimo elaborato di Gellner, collocata all’ingresso della Colonia, è stata recentemente oggetto di un rilievo accurato su richiesta della Soprintendenza delle Belle Arti e del Paesaggio, in considerazione del valore storico della stessa e dell’interesse paesaggistico rispetto all’intero sito25. Le capanne del campeggio, emblema dell’esperienza di stretto contatto fra uomo, architettura e paesaggio, di cui tanti “eniani” conservano ancora il ricordo, fu di fatto l’intervento conclusivo attuato da Gellner all’interno del grande Villaggio di Borca.

Figura53


Fig.54 Colonia Villaggio ENI. Faldoni Archivio progetto Borca

di riportare i bambini e quindi ripristinare l‘originaria funzione è impensabile, salvo aggiornare eventualmente il concetto di colonia [...]. Il problema principale sono la mancanza di fondi pubblici o di investitori27 “. Nonostante i locali della colonia si trovino in

Fig.55. Colonia Villaggio ENI. Interno. Foto rearra da „Progettoborca,net“

Fig.56, Colonia Villaggio ENI. Ateliet d‘artisti. Laboratorio all‘estito all‘interno della colonia.

uno stato di completo disuso da oltre un trentennio, la struttura presenta tutt’ora uno stato di conservazione soddisfacente. Questa situazione è stata possibile grazie all’attenta manutenzione applicata nel corso degli anni, all’accurata progettazione e all’impiego di materiali ed elementi costruttivi di ottima qualità, che hanno resistito all’azione del tempo e della natura. Oltre alla Colonia, diverse altre strutture del complesso risultano oggi sottoutilizzate come, ad esempio, il Bar-Terrazza e il padiglione centrale del Campeggio. Nel 2001 ENI liquidò le proprietà immobiliari di Borca e l’intero Villaggio divenne proprietà della società Mi.no. ter SpA di Cagliari, intenzionata a rilanciare turisticamente l’intero complesso, anche attraverso una nuova tipologia di servizi. Il gruppo Mi.no.ter SpA che da oltre quarant’anni si occupa del mercato immobiliare, alla ricerca di progetti dal grande potenziale ancora inespresso su cui investire, affidò a Gellner l’incarico di supervisionare lo studio di fattibilità per la realizzazione, mai attuata, di recupero dei grandi volumi della colonia28 , operazione incompiuta anche a causa della scomparsa dell’architetto, avvenuta nel 2004. A partire del 2014, l’obiettivo di riattivazione e rifunzionalizzazione degli spazi della Colonia passa attraverso una iniziativa unica nel suo genere, promossa dalla stessa società. Il gruppo immobiliare infatti ha avviato una fruttuosa collaborazione con l’associazione “Dolomiti Contemporanee - Laboratorio d’arti visive ed ambiente”, finalizzata alla valorizzazione culturale e funzionale dell’insediamento, da cui ha preso avvio “Progettoborca”. L’obiettivo è quello di promuovere una crescita culturale della Colonia del Villaggio, preservandone il valore culturale e sociale che la rende fruibile al pubblico e favorendo al suo interno diverse attività di ricerca ar-

tistica e tarchitettonica. Come afferma l’architetto e curatore Gianluca D’incà Levis, lo scopo di Progetto Borca è quello di “trasformare la Colonia estinta in un grande, sperimentale, cantiere della produzione culturale, che, in molti modi, attraverso strategie e reti complesse, rimette in rete il potenziale sopito”. Ogni attività promossa negli spazi della Colonia intentata su questo sito appartiene tuttavia ad un quadro più ampio, guidato dall’azione culturale che ”Dolomiti Contemporanee- Laboratorio d’arti visive ed ambiente” ha avviato a partire dal 2011, investendo sull’economia culturale e sul valore del paesaggio dolomitico. Quest’iniziativa viene condotta anche attraverso le operazioni di rigenerazione di siti di grande potenziale29 , individuati all’interno della regione alpina, che vengono recuperati, ridefiniti, rifunzionalizzati, e proiettati all’interno di un circuito aperto, sovra territoriale. “Progettoborca” rappresenta dunque una piattaforma culturale e strategica che opera al ripensamento e alla rigenerazione del sito nel suo complesso. Attraverso un’operazione straordinariamente emblematica, coinvolge il paesaggio montano e l’architettura della colonia in una riflessione sulla funzione dell’arte e della cultura in un contesto fortemente inusuale, ma proprio per questo motivo, di grande impatto. “Dolomiti Contemporanee - Laboratorio d’arti visive ed ambiente” nello specifico nasce come un progetto d’arte contemporanea nonché un “rebranding territoriale” sostenuto dalla Regione Veneto. Il primo intervento risale al 2011, e prese forma con la riapertura dell’ex polo chimico di Sauss Muss3o, convertito in un laboratorio d’arti visive d’ambiente. Grazie all’arte contemporanea e ai suoi interpreti è stato possibile salvare la storica fabbrica, fino ad allora in uno stato di completo abbandono, trasformandola in un polo attrattivo di successo31 . Questo non fu che il primo dei numerosi casi di rigenerazione creativa che stanno lentamente riattivando luoghi dimenticati che costellano il paesaggio delle Dolomiti. L’intervento artistico è uno dei metodi attraverso cui si è avviato questo processo di ridefinizione funzionale dell’identità del sito. Nel Villaggio Eni innanzi tutto è stata inaugurata una residenza internazionale, un vero e proprio atelier, nel quale gli artisti vivono e lavorano: alcuni locali della colonia montana sono stati in parte trasformati in laboratori per giovani artisti che, grazie alle loro opere riattivano fisicamente ed idealmente il passato, lavorando nel presente per consentire un futuro alla Colonia. La “riabilitazione” del manufatto non consiste quindi in un intervento diretto, attraverso una progettazione finalizzata al restauro e al reimpiego dell’edificio, cosa che l’esperienza ha dimostrato essere pressoché inattuabili. I progetti attuati fino ad ora negli spazi della Colonia, pilotati da “Progettoborca”, hanno visto il succedersi di numerosi workshop didattici, performances e mostre collettive, i cui protagonisti erano giovani artisti locali o di fama internazionale. Questi interventi sono tutti accomunati dall’impiego di materiali o di oggetti rinvenuti negli spazi della Colonia, che in questo modo riprende vita sotto forma d’opera d’arte. Un ritrovamento casuale o una collaborazione

capito qurto | casi studio. colonia montana

RIATTIVAZIONE NON MUSEIFICAZIONE

La firma di Gellner è apposta su ogni singolo elemento del Villaggio Eni di Borca di Cadore: dall’urbanistica al design, dalla sistemazione delle strade alla piantumazione degli alberi, della scelta dei materiali edili fino alla progettazione degli arredi. A partire dagli anni sessanta, dopo la morte di Mattei, il completamento del Villaggio venne interrotto. Nel 1969 venne attuato il Piano Regolatore di Borca grazie a cui si poté valutare l’effettiva entità dell’insediamento “eniano”. Nonostante le successive tavole rotonde, organizzate in vista di una possibile realizzazione del nucleo del Centro Servizi, che videro Gellner impegnato tra il 1974 e il 1990 nell’elaborazione di ben sei progetti, i lavori del Villaggio Eni di Borca di Cadore non furono ripresi, ma attualmente, alcune delle strutture del complesso e, in particolare la Colonia, sono completamente de funzionalizzate, ed è necessario trovare per esse una nuova destinazione d’uso sostenibile, al fine di evitarne un completo abbandono o la situazione legata al possibile degrado di quest’architettura sorprendente e dal potenziale ancora intatto26 Secondo ‘opinione dell’architetto Mario Merlo “L’ipotesi

37

VALORIZZAZIONE E RECUPERO


Fig. 47. Colonia Villaggio ENI. Dettaglio parete interna rampre di collegamento

Fig. Fig. 47. 57, Colonia CulturalVillaggio Farm, Favara ENI. (AG), Dettaglio Setteparete cortili.interna rampre di collegamento

ed oggetti lì rinvenuti, riadattati a nuove funzioni. La grande stiratrice, ferma da anni, è stata trasformata in un creativo torchio da stampa azionabile manualmente dando vita ad opere uniche e utili. Di tutt’altra natura è stato il workshop “Abitare Condiviso” , un campo estivo avviato nel 2016, durante il quale lo33 spazio della Colonia fu convertito in laboratorio di autocostruzione ideato e realizzato da Edoardo Narne. Lo scopo del soggiorno, che vedeva i suoi partecipanti, la maggior parte studenti, ospiti delle Residenze del Villaggio, era quello di sviluppare una serie di strategie di riattivazione della Colonia, instaurando relazione proficue coi sedimenti storici e culturali che qui venivano messi a disposizione. Come risultato della settimana di convivenza e collaborazione nella Colonia, sono state realizzate una serie di strutture d’uso, attualmente a disposizione degli altri ospiti: è stato ideato un riallestimento per la Cappella delle religiose, delle sedute per sala da cinema, e una serie di moduli trasformabili, i Magic Boxes, impiegati per un allesti-

mento museografico all’interno del Villaggio. A partire dal 2016, le tende fisse del Campeggio sono rientrate in funzione, divenendo le abitazioni temporanee degli artisti di fama internazionale che lavorano in modo permanente all’interno della Colonia. La riapertura delle tende fisse del Campeggio ha dato vita ad un progetto34 conoscitivo dell’ambiente naturale del monte Antelao e del valore paesaggistico dell’intervento di Gellner, espresso dagli artisti tramite istallazioni e performance. Il risveglio della colonia non viene attuato solo tramite interventi di carattere artistico e progettuale, ma anche mediante una ricostruzione storica che scava fisicamente nella memoria del Villaggio. Ciò è stato possibile grazie al ritrovamento, del tutto casuale, di documenti e faldoni contenenti relazioni, plichi, disegni, albi e foto legati alla storia della città di Mattei, accatastati in uno dei padiglioni-dormitorio. Grazie alla dedizione degli archivisti dell’associazione “Archim” ,

38

con imphtortanti figure dell’arte e del design rappresentano un pretesto per creare un nuovo ponte fra la storia della Colonia e l’attuale operato di “Progettoborca”, che sfrutta l’enorme potenziale messo a disposizione dal sito. Il laboratorio pilota denominato “PBLab#0”, avviato nel 2014 come progetto di rebranding, riutilizzava ad esempio le coperte che l’azienda Lanerossi produsse negli anni Sessanta per gli ospiti della Colonia32: due giovani artisti, Anna Poletti e Giorgio Tollot, li hanno trasformati in capi indossabili, riportandoli in vita, a dimostrazione di come arte e creatività possano essere in grado di avviare processi di valorizzazione efficaci, senza speculazioni commerciali. Un altro importante progetto di rigenerazione sviluppato all’interno della Colonia, è stato operato da Sofia Bonato e Matteo Valerio, che hanno consentito di agire sulle coperte attraverso la stampa. Gli artisti, studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, hanno dato vita ad un laboratorio sperimentale di incisione all’interno dei locali dell’ex-stireria realizzato esclusivamente con materiali

capito qurto | casi studio. colonia montana

Fig.58, Colonia Villaggio ENI. C0rridoio inclinato, visuale dall‘esterno.


Architetto

7 il Monte Antelao appartiene al gruppo delle Dolomiti Bellunesi e sorge imponente sulla Valle del Boite, rivolto ad ovest in direzione della conca ampezzana

dei disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali. 1861-2013, Bononia University Press, Bologna,

2003, pp. 254-255 9 Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004, p.19 10 Simona Politini, Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in Veneto. Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee, in: “Il Patrimonio in Italia”, https://archeologiaindustriale.net/2586_il-villaggio-eni-borca-di-cadore-progettoborca/ 20 novembre 2014. 11 Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p.27 12 Alla realizzazione dell’edificio collaborarono anche il professor Castelli Guidi e l’ingegner Silvano Zorzi per la parte strutturale. Cfr. Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004, p.136 13 La fortuna del mobilificio Fantoni è strettamente legata alla vicenda del Villaggio Eni. Lo stesso Gellner ricorda come gli armadi realizzati per gli chalet e per la Colonia, vennero appositamente progettati per essere costruiti sul posto, al fine di risolvere i problemi logistici legati al trasporto dalla fabbrica alla sito del Villaggio del numero davvero consistente di elementi d’arredo. Cfr. Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p.163 14 Per l’intervista del Curatore di “Progettoborca” Gianluca D’incà Levis si rimanda alla sezone “Allegati”. 15 M.ino.ter S.p.a- è una holding nata begli anni ’70, specializzata in operazioni ad elevata complessità relativi ai temi della promozione e dello sviluppo del mercato immobiliare. È socio attivo dell’ASPESI che, insieme con l’ANCE, ha costituito la “Consulta Immobiliare” e si avvale dei consulenti, progettisti e tecnici più

autorevoli. Utilizza sinergie del gruppo, in particolare la società di costruzioni Cualbu, che garantisce un elevato standard qualitativo grazie alla competenza delle risorse umane impiegate, al contenuto tecnologico dei modelli operativi utilizzati. Questa societetà crea e individua nuove opportunità, rendendole fruibili agli utenti finali realizzando opere immobiliari investendo su un’idea imprenditoriale che viene seguita durante ogni fase di realizzazione. Cfr. Minoter. Gruppo Cualbu, http://www.minoter.com/ 16 Anna De Salvador, Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in: “Dolomiti Contemporanee” http://www.dolomiticontemporanee.net/DCi2013/wp-content/ uploads/2014/07/Villaggio-Eni-di-Borca-di-Cadore_ scheda.pdf [ultima cons. 22/12/2017]. 17 Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004, p.103 18 Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p.171 19 Philippe Daverio, Il caso Gellner in: “Passpartout” , 28 aprile 2016, https://www.youtube.com/ watch?v=BAgAK9u_LJI 20 Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004, p.106 21 Anna De Salvador, Il Villaggio Eni di Borca di Cadore, La Colonia in: “Dolomiti Contemporanee” http://www. dolomiticontemporanee.net/DCi2013/wp-content/ uploads/2014/07/Villaggio-Eni-di-Borca-di-Cadore_ scheda.pdf [ultima cons. 22/12/2017]. 22 Il riscaldamento dei locali era affidato alla tipica stube tirolese, rivestita con tasselli dai motivi in cotto, su disegnate dall’architetto. La stube nella tradizione ampezzana era il dispositivo attorno a cui la famiglia si riuniva per mangiare e rappresentava la zona più importante dell’abitazione, disposta nella parte centrale. Realizzata in a in maiolica, serviva a riscaldare l’ambiente e a cucinare. 23 Lo sgabello L09 di Lightson, ideato da Gellner nel 1958 appositamente per gli interni della colonia, è un oggetto polifunzionale: può essere tavolino singolo, tavolo aggregato per la zona living, colonna libreria, seduta per adulti nell’altezza quarantacinque centimetri, e per bambini in quella da trentacinque centimetri. Viene attualmente prodotto con legni coltivati e proposto anche grezzo, privo di vernici e compatto: la confezione è spessa solo quattro centimetri e se montato, può essere impilato a gruppi di tre. Cfr. Lorenzo Costa, Sgabello L09 di Studio Gellner in: “Canetoli 1850”, http://www.canetoli1850.com/sgabello-l09-di-studio-gellner/ [ 25 Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004, p.184 26 Nicola Noro, La capanna prototipo del campeggio: rilievo e ricollocazione, in: “Attività. Architettura”, http://www.progettoborca.net/la-capanna-prototipodel-campeggio-rilievo-e-ricollocazione/ [ultima cons. 22/12/2017].

capito qurto | casi studio. colonia montana

ma volta nel 1927 sotto il regime fascista con la Carta del Lavoro. È solo con la Costituzione del 1948, grazie all’ articolo 36, che vengono ufficialmente introdotte le ferie retribuite per come le intendiamo oggi. Crf. Andrea De Vita, Ferie pagate: storia di conquista e solidarietà, in: “Ferie e permessi”, 6 aprile 2017, http:// www.altamirahrm.com/it/blog/ferie-pagate-storia-diconquista-e-solidarieta 2 Piero Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia, Fabbri, Milano,1990, p. 85 3 Tommaso Fanfani, La nascita del turismo di massa nel secondo dopoguerra, in: ”Storia Economica”, McGraw‐ Hill, Milano, 2010, p.68 4 Enrico Mattei fu un personaggio chiave della storia italiana del dopoguerra: la sua azione per lo sviluppo e la ripresa economica del Paese ha lasciato segni ancora oggi tangibili. Nel 1957 fondò Agip Nucleare e la centrale Elettronucleare di Latina, che ha il reattore più grande d’Europa. Nel 1958 istituì la Scuola Mattei e promosse un metodo di ricerca sperimentale nei laboratori Eni a Metanopoli, la città ideale dell‘azienda e dei lavoratori ENI. Mattei vantava una passione per l’arte e la cultura che lo portò ad affidare al poeta Attilio Bertolucci la realizzazione della rivista “Gatto Selvatico”. Cfr. Lucia Nardi, Enrico Mattei. Il fondatore di Eni. L‘uomo del futuro, in: “La nostra Storia”, 13 luglio 2017 https://www.eni.com/it_IT/azienda/nostra-storia/enrico-mattei.page 5 Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p.9 6 GELLNER, Edoardo, (Abbazia, 1909 - Belluno, 2004) si forma come architetto presso la bottega artigiana del padre nel golfo del Quarnaro. In questi primi anni ha la possibilità di apprendere l’uso dei materiali e di sperimentare le nuove forme architettoniche. A Vienna frequenta i corsi di Disegno e di Architettura degli Interni presso la Scuola di Belle Arti di J. Hoffman. Avvia una attività in proprio come designer di allestimenti di interni per ristoranti, alberghi e locali da ballo, fino a Kitzbühel e Cortina d’Ampezzo. Nel 1946 prende la laura in Architettura presso l’Università di Venezia. Avvia una libera professione fra Cortina d’Ampezzo dove realizza alcuni importanti allestimenti, e Milano. Tuttavia l’opera più importante della sua produzione, che gli permette di affermarsi in campo internazionale è il Villaggio Sociale dell’AGIP a Corte di Cadore (19541963), indicato fin dal suo nascere come una delle esperienze più interessanti nel panorama urbanistico e architettonico. L’attività di Gellner prosegue negli anni ‘60 è70, realizza alcuni villaggi turistici all’isola d’Elba e in montagna interessandosi sempre di più al tema della protezione del paesaggio. Cfr. Biografia, Associazione culturale Edoardo Gellner

e a nord-est verso la Val d‘Oten. Non molto distante dalla ex-diga del Vajont. Con un‘altezza di 3.264 metri rappresenta, dopo la Marmolada la seconda vetta più elevata e per questo viene anche chiamato „Re delle Dolomiti“ o „Re del Cadore“. Cfr. Lisa Pison, Monte Antelao, in Monatgne. Dolomiti. it”, https://www.dolomiti.it/it/natura/montagne/monte-antelao/ [ultima cons. 22/12/2017]. 8 Lungo la Valle del Boite, a partire dal 1736, sono state riconosciute più di trecentocinquanta colate detritiche canalizzate o di versante, attive o potenziali, che minacciavano centri abitati e infrastrutture come la Statale 51 Alemagna. Nonostante la loro elevata ricorrenza, l’area urbanizzata della frazione di Borca di Cadore ha continuato a svilupparsi negli anni, invadendo zone a più elevata pericolosità. Le opere di costruzione del villaggio hanno influito negativamente sullo stato attuale della frana che ha di fatto traslato più a valle il naturale processo di sedimentazione. Nel luglio 2009 un cedimento conseguente ad una possente pioggia torrenziale, ha causato due vittime nel paese di Cancia. Cfr. Emanuela Guidoboni, Gianluca Valensise, L’Italia

39

1 In Italia il tema della vacanza venne trattato per la pri-


Fig.59, Colonia Villaggio ENI, Aula Magnaveduta dall‘esterno.

capito qurto | casi studio. colonia montana 40

27 Simona Politini, Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in Veneto. Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee, in: “Il Patrimonio in Italia”, https://archeologiaindustriale.net/2586_il-villaggio-eni-borca-di-cadore-progettoborca/ 20 novembre 2014. 28 Per l’intervista all’architetto Mario Merlo si veda la sezione “Allegati.” 29 Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002, p.259 30 Un esempio è la riconversione “Forte di Monte Ri cco” che costituisce un’emergenza architettonica storica e culturale della terra di Cadore. E’ stato da poco ultimato il suo restauro e recentemente ripristinata la funzione della struttura. Oggi il forte è gestito dalla fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore e dalla fondazione Museo dell’Occhiale. Dolomiti Contemporanee ha collaborato alla riapertura del Forte con la con mostra collettiva e cantiere-laboratorio d’arte contemporanea ”Fuocoapaesaggio”, i cui artisti hanno potuto ultimare le loro opere all’interno degli ambienti della colonia del villaggio Eni. 31 Sass Muss è un complesso d’archeologia industriale nel bellunese, SULE Dolomiti Il sito è composto da una serie di fabbricati, in un’ampia area verde, a 7 km. dal centro storico di Belluno. Quest’area, restaurata da alcuni anni, non è mai stata riavviata fino al 2011 quando grazie all’intervento di Dolomiti Contemporanee il complesso è stato trasformato in un laboratorio culturale ed artistico. A suo interno un gruppo di curatori ha lavorato a quella che, per alcuni mesi, è venuta configurandosi come una “stazione di scambio e produzione artistica alternativa”. Cfr. Anonimo, Sass Muss, in: Dolomiti ContemporaneeLaboratorio di Arti Visive e Ambientali”, http://www. dolomiticontemporanee.net/DCi/sass-muss/ , [ultima cons. 22/12/2017]. 32 Gianluca D’Incà Levis, Dolomiti Contemporanee: un progetto di rete, in: “Forte Marghera/Parco del Contemporaneo. Dolomiti Contemporanee”, Editore Dolomiti Contemporanee, Belluno, 2013 33 Sofia Bonato, Matteo Valerio, Print lab experiment, in: Attività/Progetti, Progettoborca, http://www.progettoborca.net/progettocoperta-pblab-2-pbblanketproject/ [ultima cons. 22/12/2017]. 34 Anonimo, Abitare Condiviso II: foto e video della Summer School in: “Attività. Architettura”, http:// www.progettoborca.net/la-capanna-prototipo-delcampeggio-rilievo-e-ricollocazione/ [ultima cons. 22/12/2017]. 35 ARCH.I.M., acronimo di Archivisti In Movimento, è un gruppo formato da persone provenienti da ogni parte d’Italia, che esercitano, o aspirano, alla professione di archivista, pur non essendo, in larga parte, strutturati all’interno di un’istituzione pubblica o privata. In occasione della “Summer School” presso il Villaggio Eni, è stato Svolto un lavoro di catalogazione sotto la supervisione del socio Francesco Antoniol, dieci archivisti hanno riportato in luce le carte dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore.


41

capitolo quinto | caso studio colonia marina

CAPITOLO V

CASI STUDIO. COLONIA MARINA


Fig. 60, Mappa tipografica comune di Cesenatico. Evidenziata la colonia Agip.

tri dell’epoca “si componeva di due piani sopra terra e uno sotterraneo. Il pianterreno comprendeva una grande sala da Caffè e una cucina con ristorante. [...] Il piano primo una sala un Salotto, [...] ed una loggia a tre arcate”5. Si trattava del primo dei numerosi edifici permanenti dedicati alla balneazione sorti, nel primo ventennio lungo la spiaggia di Cesenatico. Le richieste di edificazione giungevano numerose al Comune, principalmente da parte di privati e piccoli imprenditori desiderosi di ottenete un appezzamento di terreno sul lungomare, dove costruire i villini a due piani6. Nel tempo, l’insieme delle planimetrie redatte in occasione delle concessioni di appezzamenti di terreno sempre più ampi, finalizzati alla lottizzazione dell’area prossima alla spiaggia compresa fra Viale Lido e il rettilineo di Viale Anita Garibaldi, assunse i caratteri di un “improprio” Piano Regolatore. Il disegno venne ufficializzato nel 1904, e distribuito tramite opuscoli, che illustravano la presenza di ben trentatré aree concesse gratuitamente dal Comune e destinate alla costruzione degli stabilimenti7. Con le disposizioni del “Piano Regolatore della nuova zona arenile” del 1910, il Comune estese l’area di lottizzazione a novantuno unità, organizzate in due aree. L’ampliamento dell’area edificabile dell’arenile portò ad una nuova configurazione della sfera urbana e dell’ambiente naturale. Questa trasformazione rese pressoché irreversibile la possibilità di contatto visivo fra lo spazio pubblico e il paesaggio marino, se non in corrispondenza di assi privilegiati. Fra il 1913 e il 1915 la contiguità con l’ambiente naturale fu ripristinata grazie alla progettazione di un frammento di città giardino che comprese altresì il completamento dei lavori di piantumazione di Viale Carducci, e la realizzazione di un “grande bosco esteso dal centro della zona marina fino al confine a sud-est”8.La presenza del verde urbano fu ritenuta necessaria per garantire l’aspetto di impeccabile decoro e igiene della città, elementi fondamentali nella realtà del soggiorno marino inteso come “sanatorio naturale”. Le acque di Cesenatico in modo particolare godevano di un alto tasso salino9 perciò veniva particolarmente apprezzata per i suoi effetti benefici, soprattutto come rimedio per alcune delle peggiori affezioni respiratorie d’infanzia10 Proprio per queste ragioni nel 1903 il Comune di Cesenatico era stato scelto come località dove installare l’Istituto Scrofolosi Cremonese. L’ente di assistenza aveva ottenuto gratuitamente un lotto in riva al mare, in lascito dal Comune, dove poter allestire i nuovo sanatorio infantile. L’organismo dell’ospizio adottava rituali e ritmi di vita completamente diversi dagli altri villeggianti, motivo per cui fu spesso designato come “colonia balneare”: una forma collettiva e separata di turismo di massa11. Negli anni Venti sorsero i primi alberghi che trovarono spazio sulla riva del mare grazie al nuovo Piano Regolatore redatto nel 1923: la crescente domanda di lotti edificabili impose una saturazione di consistenti porzioni di territorio. Dal 1925 si diede avvio al lancio pubblicitario di Cesenatico che acquisì prestigio sia in Italia che all’estero come meta turistica ideale. L’importanza

capitolo quinto | caso studio colonia marina

L‘IMPORTANZA DELLA COLONIA MARINA NEL CONTESTO URBANOI

La costa romagnola è stata a lungo caratterizzata da una complessa serie di eventi storici, naturali e climatici che hanno condotto il suo territorio ad acquisire l’attuale conformazione L’attività antropica ha prodotto una sostanziale modifica rispetto agli equilibri pre-esistenti, portando ad una imbalsamazione dell’ambiente. Inserita in questo panorama, la storia del piccolo borgo di Cesenatico è strettamente legata alla fortuna del turismo balneare litorale adriatico che ne ha mutato profondamente l’aspetto e la cultura, portando a trasformazioni socio-economiche ed opportunità offerte dalla nuova industria del losir. La città di Cesenatico riunisce in sé l’immagine di due diversi turismi: il primo, di tipo convenzionale, inizialmente dedicato alle sole famiglie borghesi più agiate e poi allargato a gruppi sempre più ampi e di varie estrazioni sociali; il secondo, di tipo “sociale” raccontato dagli ospizi marini e dalle colonie di vacanza1. Questa dicotomia, caratteristica di molte città balneari della riviera si distingue a Cesenatico per la sua intensità, continuità ed estensione territoriale e temporale che la caratterizza tutt’ora. Situato sulla costa romagnola, fra Cesena e Rimini, Porto Cesenatico conobbe un notevole rinvigorimento dell’economia locale a partire dal 1860 circa, dopo il suo ingresso nello Stato Sabaudo. Da questo momento si registrò una costante crescita demografica rinnovando la sfera socio-economica ed urbana, basata quasi esclusivamente sulla funzionalità del porto. Le attività principali del borgo erano prevalentemente la pesca e il commercio marittimo. Nei decenni successivi Porto Cesenatico rafforzò gradualmente la sua identità civica a seguito di un disastroso terremoto. In tale occasione furono attuati nuovi progetti di riassesto urbano che prevedevano la bonifica di terreni paludosi situati a nord del centro urbano. Un primo intervento intentato a favore dell’economia del losir fu compiuto nel 1877, anno in cui fu avviata la realizzazione del primo “stabilimento balneario”2, descritto come apparato d’igiene, decoro e industria della città. Lo stabilimento consisteva in una semplice struttura lignea removibile, affidata a privati, il cui impiego veniva regolato dal Comune. Il fabbricato fu posizionato nei pressi della spiaggia, poco più a sud della foce del torrente, e al centro abitato tramite una strada appositamente costruita: lo stabilimento balneare fu considerato una vera e propria istituzione nella città, rivelandosi prima fra le molteplici iniziative di rinnovo e progresso urbano3. Questa ampia piattaforma sul mare offriva spettacoli, balli serali e svaghi dedicati ai “Signori Bagnanti”, in particolare in occasione della festa pubblica annuale, che attirava un gran numero di abitanti dei paesi limitrofi, rappresentando un significativo evento dell’economia del luogo. I villeggianti, a partire dai primi del Novecento, potevano raggiungere facilmente la località di Cesenatico grazie al servizio di quotidiane 4 corse d’omnibus che assicurava un’affluenza costante di amanti del losir. Nel 1892 lo stabilimento venne ampliato mediante la realizzazione di una struttura in cotto permanente, situata sulla spiaggia, di fronte alla piattaforma lignea. Questo fabbricato, secondo i regis-

42

CESENATICO CITTA‘ D‘‘INFANZIA.


Fig.62, Porto Cesenatico e i primi segni dell‘edilizia balneare-

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Fig. 61.b, Villini Viale Carducci, Cesenatico. 1910 ca.

dere” un cospicuo numero di aree fabbricabili di proprietà pubblica con lo scopo di incrementare l’iniziativa privata nell’ambito dello sviluppo dell’edilizia balneare. Fu approvato un Piano di Ricostruzione16, concepito per essere applicato esclusivamente alle porzioni distrutte durante la guerra, preannunciando una futura espansione. La ristrettezza economica pubblica, assieme al desiderio di recuperare la tradizionale nomea di eccellenza turistica estiva spinse le colonie marine a diventare protagoniste della rinascita della città. A partire dal 1947 inoltre si moltiplicarono le opere di ampliamento delle strutture esistenti da parte del Comune e si assistette ad un considerevole aumento delle richieste per realizzare nuove colonie nella zona collocata a ponente del porto canale. Quest’area abbandonata ed “in condizioni primordiali17, costituiva un investimento vantaggioso, poiché era possibile ottenere ampli lotti in vicinanza al mare a basso costo. Il fenomeno di colonizzazione dell’area di ponente ebbe un tale successo che nel 1949 il comune dovette imporre delle misure restrittive all’espansione dei nuovi fabbricati tramite la formale “Delimitazione di zona turistica e zona per colonie”. Con questo documento l’amministrazione pubblica impedivala realizzazione di nuove colonie nella zona a levante della città separando legalmente le ‘anime’ che caratterizzavano la marina18. Nel 1954 erano attive circa cinquanta colonie marine e dodici erano in via di costruzione: questi spazi acquisirono sempre di più i caratteri di centri di vacanza, abbandonando progressivamente la funzione igienico-sanitaria. Questa trasformazione d’uso non corrisposead una conseguente riflessione su specifiche tipologie portando all’edificazione di strutture architettoniche indifferenziate destinate ad assolvere il mero ruolo di “contenitore”. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta lo sviluppo edile balneare assicurò una crescita economica e del prestigio della città che vide una crescita esponenziale nel numero di alberghi19 e di pensioni, fra cui la realizzazione del modernissimo “Camping di Cesenatico”. La pratica della vacanza stava progressivamente perdendo di vista l’aspetto igienico-salutare, allontanandosi dalla ricerca del contatto con la natura. Nel corso del decennio, esente da qualunque tipo di regolamento edilizio specifico, la zona compresa fra il litorale e la linea ferroviaria del comune fu interamente saturata dall’edificazione. Si delineò un disequilibrio fra una fascia costiera ad alta densità ed evidenti vuoti urbani in corrispondenza dell’area delle colonie. Negli anni Ottanta si consolidò l’identità di città dedicata al mero consumismo. La progressiva “periferizzazione” e degrado di aree intere ha portato ad una frammentazione della continuità del tessuto cittadino. L’area di ponente ad esempio, oggi, conta il settanta percento del patrimonio architettonico della città, perlopiù colonie dismesse, abbandonate appartenente a privati. Attualmente Cesenatico si configura come una città parcellizzata, divisa in zone specializzate per turismi diversi, che non riescono ad integrarsi fra loro20. Il fenomeno della progressiva zonizzazione dell’area di edificazione delle colonie lungo il litorale di Cesenati-

43

Fig.61.a, Molo del primo stabilimento baneare, Porto Cesenatico., 1893

su scala nazionale crebbe anche grazie alla creazione di un Consorzio nato fra le città della riviera romagnola con lo scopo di garantire una crescita urbana ed economica legata al turismo garantendo al contempo reti di comunicazioni efficienti e continue. A partire dagli anni trenta i bagni divennero fissi, e le spiagge iniziarono ad ospitare file interminabili ed ordinate di cabine da spiaggia a cui si aggiunsero delle tende e i primi ombrelloni. Il soggiorno in spiaggia conobbe il suo apice con l’istituzione, da parte dell’Unione Naturista, di una “colonia campeggio”destinata ad accogliere in piccole unità di legno adulti e bambini: seppur di breve durata, questa esperienza segnò una tappa importante nel percorso evolutivo della nuova concezione della vita sulla spiaggia. All’inizio degli anni trenta a Cesenatico erano attive una decina di colonie marine, alcune gestite da facoltosi privati e altre di tipo scolastico, ambedue caratterizzate da un intenso programma sportivo, che completò altresì la realizzazione di ambienti e spazi dedicati. Le prime colonie erano nate in semplici villini in affitto, oppure si erano insediate all’interno di edifici esistenti, resi unici non dall’architettura bensì dalla compagine di bambini che ospitavano e dalle pratiche giornaliere. Dagli anni trenta le colonie estive furono considerate parte integrante dell’articolato sistema di assistenza pubblica proposto dal regime13 . Questi edifici, parte integrante del patrimonio storico del nostro Paese, erano nate al servizio di un modello educativo ben preciso, di un’ideologia che mirava ad una educazione silenziosa, che non era veicolata tramite le parole, ma attraverso i riti, le pratiche e le regole che scandivano la vita comunitaria dei bambini. L’immagine della colonia come culla della nuova generazione italiana ligia ai doveri del regime fu ufficializzata con a “Mostra Nazionale delle Colonie Estive e dell’Assistenza all’Infanzia”, tenutasi al Circo Massimo a Roma nel 193714. L’esposizione era allestita all’interno di padiglioni appositamente progettati nell’arco di Novanta Giorni secondo uno schema urbanistico ben preciso che mirava ad illustrare il percorso del fanciullo, attraverso i luoghi di formazione istituiti dal regime. Il nuovo Piano Regolatore del 1936 favorì l’espansione verso sud della città, tramite un processo di sviluppo che si basava sull’addizione di lotti paralleli alla linea del litorale, nella zona di levante, offrendo così un nuovo spazio lontano dal nucleo urbano e adatto all’insediamento delle nuove strutture dedicate ai bambini. La zona delle colonie , collocata ai margini dello sviluppo del centro abitato, denunciava una certa stagnazione della crescita urbana, accentuato dalla sensazione di alterità e distanza che traspariva da queste forme architettoniche così innovative e diverse in rapporto al contesto e nella percepibile espressione di autosufficienza. Al termine della guerra la città di Cesenatico, colpita da bombardamenti massivi, si trovò in una grave situazione economica, dovendo affrontare una difficile ricostruzione. Alla luce delle esigenze di infrastrutturazione del territorio e la risoluzione delle problematiche connesse ai danni di guerra v il comune decise di “sven-


della zona21 .Ancora all’epoca quest’area era occupata da ben quarantaquattro colonie estive, realizzatenel secondo dopoguerra, e ancora in uso, seppur per brevi periodi dell’anno. Al apertura contrario, la zona di levante, prossima al centro storico, risultava qualificata e arricchita dalla presenza di architetture di colonie risalenti agli anni venti, fra cui la Colonia Agip o la colonia Radaelli. Si denotava dunque una notevole differenza fra le condizioni del lungomare di Cesenatico, caratterizzato da una duplice natura. . Nel 2008 alcune di queste strutture, di proprietà del Comune, sono divenute oggetto di tutela del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2015 la giunta comunale approvava un PRG denominato “Comparto delle colonie di Ponente a Cesenatico”, finalizzato alla riqualificazione urbana di un’area che comprende quattordici colonie di cui solo una ancora funzionante. Il sindaco ha promesso

un intervento mirato, in modo da concludersi entro dieci anni, augurandosi di “vedere le prime colonie andare giù entro la fine del mandato22 “ . Le città delle colonie di levante e ponente sono oggi i tessuti urbani aperti più deboli di cui il territorio della città dispone, e sulle quali è necessario prevedere un futuro di rigenerazione, evitando una distruzione indiscriminata del preesistente. La città possiede un patrimonio storico e architettonico di notevole valore, legato all’industria turistica, parzialmente inutilizzato e dal potenziale tutt’ora inespresso.

44

co ha condotto alcune aree, tuttora abbandonate, ad una condizione di degrado e abbandono, che incide negativamente su ampi contesti urbani della città. A differenza delle altre colonie estive sorte nell’est Europa, nate come vere e proprie “Città dell’infanzia” a tutti gli effetti, concepite attraverso progetti unitari ed omogenei, la Città delle Colonie di Cesenatico deve il suo attuale stato di deterioramento ad una pianificazione urbana inadeguata che ha inciso negativamente sul suo Patrimonio Architettonico e Paesaggistico. Negli anni novanta il progetto urbanistico “Cesenatico dal 1990 al 2000” definiva l’area delle colonie di ponente come un elemento a danno dell’immagine turistica ed economica della città proponendo la realizzazione di un quartiere dedicato allo sport e al residenziale, mentre nella zona di Valleverde un nuovo complesso alberghiero in grado di implementare la qualità di vita

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Fig.63, Cesenatico foto dìeèoca della foce del fiume risalente agli anni trenta del Nicvecento


costante di originalità oltre pregiudizi di schieramento, ideologici o presunzioni autoreferenziali”26(fig.1).

Fig. 64, Colonia AGip a Cesenatico. Dettaglio facciata lato mare.

In questo contesto Vaccaro colse la sfida posta dall’ambiente anonimo ma così suggestivo, che gli permise di tornare a riflettere sui temi del Movimento Moderno con i quali andava confrontandosi da anni. Quale illustre interprete di un’epoca così controversa Giovanni Vaccaro fu in grado di percepire come in un simile contesto fosse necessario costruire, tramite l’architettura, un pensiero fondante, in grado di superare le esigenze sociali, economiche, politiche e di schieramento. Fu questo aspetto e la costante ricerca di concretezza dell’architettura che fece di Vaccaro una figura esemplare del Modernismo italiano. Nel panorama di Cesenatico, dove le colonie costruite all’epoca assunsero lentamente un significato sempre più affine ai dettami del Regime, il caso della colonia AGIP sembrava rappresentare una moderna alternativa alle declinazioni retoriche e futuristiche eccessivamente forzate. Egli sviluppò un’architettura monumentale, fatta di “invarianti grafiche27” , declinate secondo principi linguistici e tipologici puri, diretta conseguenza delle caratteristiche naturali del sito. Giovanni Vaccaro affer-

mava sovente come l’architettura fosse a tutti gli effetti uno strumento educativo, il cui messaggio era tanto più efficace quanto più la sua forma fosse stata chiara ed inequivocabile28 : sulla base di questi principi teorici, egli progettò la colonia AGIP. Il disegno della colonia marina nacque dalle suggestioni di un paesaggio dominato dalla linea orizzontale riassunta nella finestra panoramica che taglia orizzontalmente il recinto del padiglione di isolamento. La linea orizzontale diviene metafora dell’intero progetto e torna a dominare la costruzione e il paesaggio (fig.2). La colonia marina “Sandro Mussolini”, dedicata al genero del Duce, nacque per ospitare circa trecento bambini. Il complesso era organizzato in quattro corpi di fabbrica, articolati ortogonalmente fra loro, in modo da godere della massima luce solare e ventilazione. Nell’area ovest si ergeva un padiglione d’isolamento dedicato ai bambini malati. Il corpo di fabbrica principale invece, si presentava come un alzato di cinque piani, con un forte accento longitudinale (fig.). In esso risedevano gli uffici per i dirigenti, le stanze del personale e degli inservienti. I dormitori, formati da dieci camerate ciascuno, avevano una capacità di trenta lettini, oggi completamente rinnovati (fig.3), con i relativi servizi igienici tutt’ora in uso (fig.11), e i locali del refettorio, che davano la sensazione di trovarsi in una sala ristorante di una crociera (fig.13). L’edificio, posto ad una certa distanza dalla strada, godeva al piano terra di una pianta libera, costituita da un porticato coperto sorretto da possenti pilastri in calcestruzzo lucidato (fig.4) che occupavano solo il perimetro29 permettendo ai fanciulli di giocare all’aria aperta anche in caso di intemperie30. Il porticato “non consente solo

al disoccupato che passeggia sulla strada litoranea di continuar a vedere sempre il mare, ma fa del respiro del mare e del monte una sola atmosfera”31.I corpi di

fabbrica laterali, ovvero le due ali disposte ortogonalmente rispetto al fabbricato centrale, erano dotate di un solo piano. Questi due edifici ribaltavano il portico verso l’esterno(fig.5) rivolgendo allo spazio centrale delle finestrelle quadrate32. L’ala nord est ospitava l’amministrazione, i locali dell’accettazione le abitazioni del custode, i servizi igienici e le docce, mentre nel settore occidentale invece si collocavano le dispense, la cucina, i servizi centrali e la sala da pranzo per i dirigenti. L’impianto appariva caratterizzato da una forte simmetria celebrata simbolicamente dal disegno dell’ampio piazzale con l’immancabile bandiera. Nell’ambito della distribuzione spaziale era possibile intuire le linee guida di un’attenta progettazione: ogni componente dell’edificio godeva di una propria autonomia formale. Gli ambienti comuni erano ben adagiati al suolo e collegati, tramite specchiature apribili, al terrazzo sovrastante il portico centrale, interpretato come luogo di ricreazione e di esercizio fisico (fig.6). Le zone dedicate all’individualità costituite dai dormitori, dai servizi e dalle sale da scrittura, erano raggruppate all’interno del grande corpo centrale, sollevate da terra. Questa simmetria volutamente marcata nell’organizzazione funzionale e nella soluzione com-

capitolo quinto | caso studio colonia marina

DALLA LUCE E DAL SOLE

Per far fronte alla stagnazione della crescita urbana a partire dagli anni trenta il comune di Cesenatico decise di cedere gratuitamente lotti edificabili a diversi enti privati purché interessati all’edilizia balneare. Uno fra i più importanti insediamenti fu quello della colonia AGIP, considerato un privilegio accordato dalla municipalità, che mostrava la propria gratitudine nei confronti dell’azienda, presieduta fra il 1935 e il 1938 da Umberto Puppini, a cui lo Mussolini aveva affidato personalmente l’incarico di direttore privandolo del suo incarico di Ministro Il comune si impegnò a terminare rapidamente i lavori di costruzione di viale Carducci e delle relative opere di urbanizzazione necessarie, il tutto a proprie spese23. Una colonia “dominata dalla luce e dal sole”, così venne definita dalla rivista “La Voce”. L’edificio doveva sorgere su uno stretto lembo di terra rettangolare, per una larghezza di quasi trecento metri e profondità di ottanta metri, compreso fra la strada litoranea, e il mare, con un’ampia pineta di fronte, dal lato opposto della carreggiata. L’area si presentava come priva di particolare connotati, una frazione di superficie piatta, in un paesaggio dominato da una forte orizzontalità contraddetta da poche emergenze costruite . Il contesto era caratterizzato24 da una notevole astrazione: la città era culturalmente distante dal dibattito politico e architettonico, e il tema funzionale dell’architettura della colonia all’epoca non si avvaleva ancora di qualità monumentali o rappresentative. Le colonie estive realizzate in Italia fra il 1920 e il 1940 si rivelarono monumenti dell’ideologia che li aveva prodotti vantando un alto livello di organizzazione spaziale e di ingegneria: l’architettura razionalista celebrava la sintesi fra i principi teorici e i suoi obiettivi sociali25. Il progetto, per la colonia marina AGIP, avviato nel novembre 1937 e terminato nel luglio del 1938, fu affidato all’architetto Giovanni Vaccaro, illustre esponente del Movimento Novecentista italiano, che rappresentava per egli stesso una “autocritica continua e sforzo

45

UNA COLONIA DOMINATA


46

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Fig. 65 Colonia AGip. Fase di costruzione, 1938 . Archivio Fotografico Nanni Cesenatico

Fig. 66, Spiaggia Colonia Agip, fasedi costruzione. Archivio Fotografico Nanni, Cesenatico. +


Fig. 68 Colonia AGip. Planta Piano Terra, Scala 1:500..

47

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Fig. 67 Colonia AGip. Planimetria stato di fatto, scala 1.1000.


Fig.68, Colonia AGIPa, dormitori maschili.

Fig. 69, Colonia AGIP, porticato piano terreno.

Fig70, Colonia AGIP, scorcio dall‘interno verso la terrazza che da a monte.

il bambino, una volta entrato nella colonia prevedeva l’accesso al padiglione d’accettazione e la prosecuzione verso l’area di isolamento o negli ambienti collettivi, a seconda delle sue condizioni fisiche34. Il prospetto del corpo centrale rivolto sulla strada presentava delle ampie aperture panoramiche e vetrate continue dove le testate dei corpi di servizio si presentavano completamente cieche. Il lato rivolto verso il mare è ugualmente caratterizzato da finestre a nastro. Ogni piano era suddiviso in due fasce orizzontali di cui quella inferiore accomunava i due prospetti ed era costituita da un doppio ricorso di vetrate; le fasce erano diverse per ogni fronte: quelle rivolte verso la strada, erano formate da una serie di frangisole in lamelle di calcestruzzo(fig.12) mentre per l’affaccio sul mare era stata prevista una vetrata apribile a basculante. Le facciate delle due ali minori, si rivolgevano sui giardini esterni con dei porticati continui, ritmati da esili colonne quadrate. I lati del refettorio inoltre furono dotati una soluzione ingegnosa: a difesa dei raggi solari che incidevano sull’edificio durante le ore dei pasti vennero collocate delle tende scorrevoli entro cavalletti rampanti in acciaio35 . Il disegno degli infissi rappresentava una parte fondamentale del progetto, sia esteticamente che in relazione alle esigenze microclimatiche della struttura: il disegno aveva lo scopo di equilibrare la ventilazione e l’insolazione all’interno degli ambienti (fig.). Verso il mare le camerate avevano delle vetrate panoramiche a cui si aggiungeva una tenda avvolgibile oscurabile, ancora oggi esistente e funzionante (fig.9). Essa veniva aperta al mattino all’ora della sveglia assicurando l’ingresso del calore del sole e offrendo una veduta sul mare. La ricerca di una architettura limpida, rispettosa della natura del luogo, venne sottolineata mediante l’impiego di materiali neutri. Furono adottati un rivestimento in lastre di cemento bianco che avvolge la muratura delle parti superiori e il cemento armato delle strutture alla base dell’edificio. Le pavimentazioni del portico e del loggiato esterni furono realizzati interamente in blocchetti di marmo di Carrara, mentre i bassi muri che perimetravano i cortili e l’intera area erano ad opus incertum36. L’attenzione da parte del progettista nei confronti del dato naturale era legata ad una particolare apprensione per il bambino che viveva nella colonia, seguendo fedelmente le norme tecniche contenute nel Regolamento delle colonie estive, che il PNF aveva appena editato: il progetto era in grado di

ze d’estetismi, senza complicazioni di nessun genere, nemmeno cerebrali, una bellezza diretta“40 spiegava

in riferimento alla Colonia Agip, e aggiungendo che “Forse nessun edificio testimonia meglio di questo lo stile di Vaccaro” . Senza dubbio è stato grazie a figure di spicco, quali Raffaello Giolli41, si è resa possibile una divulgazione internazionale relativa all’importanza che questo edifico giocava nel panorama dell’architettura moderna con ilsuo intervento su Casabella 130, con l’articolo La colonia dell’AGIP a Cesenatico. Sia Giolli che Ponti con le loro testimonianze furono in grado di mettere in luce le più nascoste intenzioni del progetto della colonia AGIP, nonché l’essenzialità del percorso ideativo attivato di Giovanni Vaccaro. Durante la seconda guerra mondiale, e l‘edificio fu dapprima convertito in un Ospedale Militare Territoriale42 , e poi venne occupato dai militari. Al termine del conflitto la colonia si presentava in uno stato di discreta conservazione, e dopo alcuni lavori di ristrutturazione, tornò a svolgere la funzione di struttura estiva per ragazzi43 . In seguito nel 1951 svolse ancora attività di ospitalità solidale nei confronti dei rifugiati del Polesene; recentemente, anche i bambini di Chernobyil sono stati più volte ospiti della struttura Diversamente da molti altri casi di abbandono e degrado che segnano il destino della maggior parte di questi edifici, nel corso degli anni non si è mai interrotta l’opera di manutenzione della struttura, che ha continuato a mantenere la propria funzione originaria di colonia, senza essere abbandonata. Si tratta di uno dei rari casi di architettura degli anni trenta di questa zona che evoca il valore di quell’architettura. La struttura e il suo spazio circostante convivono in un rapporto piano, insieme alla spiaggia (oggi ridotta a causa dell’erosione), al viale lungomare, e al giardino alberato a monte. Essa deve la sua integrità sia alla qualità materiali e tecniche costruttive adottate che alla vitalità ed interesse nutrito da parti dell’azienda. Alcune modifiche inevitabili sono state apportate per il riscaldamento invernale e la dotazione di alcuni servizi, ai fini di un aggiornamento degli standard abitativi imposti dalla normativa vigente. “L‘edificio” spiega l’architetto Paolo Cavallucci, direttore del SIT drl Comune di Cesenatico, “è in ottime condizioni per le continue manutenzioni che periodicamente vengono

capitolo quinto | caso studio colonia marina

sottili, gl’ingombranti massicci, create pareti di cristallo […] nessuno vincerà il sole“. Il percorso ideato per

fornire una risposta innovativa ed esauriente ad una gamma complessa delle esigenze “igienistiche” esposte nel regolamento stesso37. Riguardo alla reazione pubblica di allora, nei confronti di questo edificio non vi è testimonianza di alcun materiale documentale, ad eccezione di opinioni di persone che hanno vissuto quel periodo storico e che identificano la Colonia AGIP come “una bellissima costruzione isolata fra il mare e la campagna”38. L’architetto decise di bandire dall’edificio ogni decoro, simbologia ed ostentazione, in quanto gli unici elementi ispiratori del complesso dovevano essere il sole, l’aria e il mare, dosati per trarne i massimi benefici anche nella composizione del manufatto39 . Lo stesso Gio Ponti, in un numero della rivista “Stile” del 1943, elogiava la “Bellezza raggiunta senza delicatez-

48

positiva della colonia, si leggeva nei percorsi interni e nella rigida divisione fra i sessi (fig.7). Sempre in linea con il principio di rigore simmetrico si era scelto di “nascondere” un altare33 dietro un portale di legno, in corrispondenza dell’asse di simmetria del complesso, trasformando il piazzale nel centro delle funzioni religiose (fig.8). Il controllo maniacale in ogni dettaglioè evidente nel disegno dei percorsi al piano terra, dimensionati e orientati rispetto alla luce a seconda dei modi e tempi di utilizzo nel corso della giornata. Sulle pagine di Casabella, si leggeva: “vinti, con le strutture


Fig.61, Molo del primo stabilimento baneare, Porto Cesenatico., 1893

49

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Fig.71, Colonia AGIP Cesenatico, ingresso ala laterale a nord-est

Fig.72, Colonia AGIP, dettaglio specchature prospetto a mare.


spazi aperti e i portici mediante nuovi infissi, camminamenti esterni originariamente pensati come coperti da tende, sono divenuti corridoi di passaggio in parte murati e in parte vetrati, alterando il prospetto verso mare. In principio i portici erano completamente aperti, sia al piano terra che al piano primo, ma successivamente sono stati parzialmente tamponati con ampie finestrature uguali alle esistenti45 . Inoltre La copertura piana, un tempo in piombo è stata impermeabilizzata e coibentata (fig.9). La struttura, dal 2008, è infatti oggetto di vincolo di monumentale: il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali ha ufficialmente attivato una specifica azione di controllo sulla “Colonia AGIP”, con un aggiornamento storico documentale che identifica la colonia “come residua testimonianza fisica di

un costume sociale a cavallo delle due guerre [...] uno degli esempi più significativi di architettura moderna nel panorama edilizio costiero romagnolo”46. Questo

Fig. 73, Colonia AGIP Cesenatico, dettaglio spoecchiature prospetto monte.

Fig. 75, Colonia AGIP Ceenatico, scorcio dei bagni orihginali dei dormitori femminili.

Fig. 76, Colonia AGIP Cesenatico, sala refettorio ospiti

vincolo rende tuttavia “inattuabili” alcune delle opere di rinnovo e riattivazione necessarie al mantenimento della colonia, ad esempio l’innalzamento della recinzione perimetrale o l’utilizzo di serramenti più adeguati che, secondo la recente Analisi dello stato di fatto attuata dal Comune di Cesenatico, presentano uno livello di conservazione sufficiente47. A differenza della quasi totalità del patrimonio delle “Colonie a mare” della costa adriatica regionale, in uno stato di completo abbandono, l’edificio viene ancora impiegato per la sua destinazione originaria: la ex-colonia “Sandro Mussolini” ospita oggigiorno un campo estivo temporaneo destinato alla prole dei dipendenti della società Agip Petroli s.r.l. La colonia, in funzione da giugno ad agosto, viene organizzata annualmente su quattro turni, offrendo così a tutti i giovani eniani la possibilità di trascorrere un periodo di gioco e svago sulla riviera romagnola. Si pone dunque in generale controtendenza rispetto l’ormai totale scomparsa, di questa offerta turistica-educativa in passato tipicamente diffusa sulla costa adriatica48 .Durante i mesi invernali, i suoi spazi comuni, come i saloni al piano terra, sono utilizzati per l‘organizzazione di piccoli eventi(culturali?). Si approfitta di questi mesi anche per i continui lavori di manutenzione.. Dal punto di vista urbanistico sono stati attuati dei provvedimenti in linea con il nuovo PGT, secondo cui la colonia e la sua area di pertinenza sono soggetti al solo intervento di restauro e risanamento conservativo di tipo “A”49 secondo cui il progetto deve perseguire gli obiettivi di rinaturalizzazione e di salvaguardia dell’arenile antistante la colonia50. La Colonia AGIP di Vaccaro è l’unico caso di una colonia degli anni Trenta ancora utilizzata. Il valore storico e artistico di questo edificio risiede principalmente nella sua apertura evidente alle novità del movimento moderno europeo, realizzate con soluzioni tecnologico-costruttive legate alla tradizione italiana. Questo esempio d’alta espressione dell’architettura sociale, così ricco di potenziale, soffre oggigiorno della mancanza di un

“management sufficientemente innovativo, capace

di gestire l’impresa con creatività e un’elastica vivacità finanziaria”51 . Fra le nuove iniziative di rilancio dei

suoi spazi fondamentale è stata l’apertura del nuovo “Ostello sul Mare”, una struttura d’accoglienza dedicata a giovani e famiglie aperta durante i sei mesi più caldi dell’anno, finanziata dalla “D.O.C. s.c.s.”, una cooperativa sociale atta a sviluppare e promuovere nuove opportunità di co-housing e aggregazione. Con oltre nove strutture all’attivo, di cui l’Ostello sul Mare rappresenta l’ultimo insediamento, la cooperativa offre soggiorni legati al turismo balneare e montano, nonché la possibilità di usufruire degli ambienti per svariate occasioni. All’interno dell’ex ala dei servizi dedicata ai dirigenti della colonia (il braccio ortogonale mono piano collocato a nord-est), sono state ricavate camere doppie, triple e quadruple con 60 posti letto. Una sala per la colazione con affaccio sul mare, un giardino arredato e un giardino di erbe officinali, due piscine e una spiaggia attrezzata52. Tutte dotazioni in grado di garantire il successo di una nuova attività ricettiva che ‘accompagna’ la funzione della Colonia per ragazzi assecondando la vocazione plurifunzionale che l’edificio già attualmente attesta. Tuttavia è necessario constatare che “l‘uso che tutt‘ora viene fatto della colonia non è sufficiente per le potenzialità che essa offre. Questo comporta un lento degrado degli ambienti non utilizzati che a lungo andare non sarà più sufficiente una manutenzione ordinaria, ma bensì interventi più incisivi per il suo mantenimento”, come afferma l’architetto Paolo Cavalucci, . Sono proprio questi suoi caratteri di ibrida potenzialità d’utilizzo, e della sua notevole qualità architettonica ottimamente conservata, che nel corso dei decenni l’hanno preservata dal rischio di defunzionalizzazione ed irreversibile degrado. Non è possibile considerare la colonia AGIP una emergenza architettonica, bensì può essere considerata un esempio positivo di conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico moderno. Sarebbe opportuno provvedere con delle soluzioni di impiego integrative, in grado di valorizzare la sua forte capacità attrattiva, e riattivare efficacemente questi spazi che rimangono pressoché inattivi per la maggior parte dell’anno mettendo la parola fine a questo “pa-

esaggio reietto del moderno, il cui significato si può definire come lo specchio della realtà presente e lente sulla vita passata”53.

capitolo quinto | caso studio colonia marina

guiti nell‘ultimo decenni, hanno in parte alterato il prospetto verso mare”44. Sono stati schermati in parte gli

50

eseguite. „Alcuni interventi esterni non strutturali, ese-


in: “Romagna Mania”, 2017 http://www.romagnamania. com/2017/03/storia-dei-primi-stabilimenti-balnearidi-cesenatico.html [ultima cons. 27/12/201]. 5 Amilcare Zavatti, Documentazione in occasione del-

la cessione dello Stabilimento Balneare di Cesenatico,

IBMC, Biblioteca Comunale di Cesenatico. FAZ. B 12, fasc. 18, 1920 Zavatti, che nel 1896 si era occupato di redigere i primi piani regolatori, assunse la carica di ingegnere comunale di Cesenatico dal 1 aprile 1908, stipulando lo stretto legame fra la città e il suo destino di località dedita al turismo. 6 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.33 7 I fabbricati erano regolati da rigide prescrizioni progettuali approvati dalla Commissione Comunale di Ornato: si prevedevano edifici a due piani, con un massimo complessivo di otto metri di altezza, con superficie inferiore a un decimo del lotto. A.A., V.V., Delibera del Consiglio Comunale n.5, 26 aprile 1913 in: “Archivio Storico del Comune di Cesenatico”, reg.1.12 8 Lungo la costa emiliano romagnola oltre ad una stratificazione termica, persiste anche una stratificazione salina che ristagna in superficie, limitando scambi con gli strati sottostanti, in tal modo si riduce la dispersione degli inquinanti sull’intera massa d’acqua. Nel periodo estivo lungo la costa di Cesenatico la salinità si mantiene elevata, anche nelle acque nello strato di fondo, dove altrove tende a diminuire. Questo dato rappresenta un formidabile tracciante e consente spesso di individuare l’origine degli inquinanti o dei nutrienti rilevati. Cfr. Arpae, (a cura di), Salinità, in “Arpae Emilia-Romagna”, https://www.arpae.it/cms3/documenti/_cerca_ doc/mare/progetto_mare/salinit%C3%A0.htm [ultimo agg. 27/12/2017]. 9 All’epoca il bagno, inteso come immersione era considerato alla stregua di una seduta medica, e rappre-

chitecture and Society of the Holiday Camps. History and Perspectives, Editore Bica, Timisoara, 2007

16 Il PRG era stato precedentemente approvato il 1 marzo 1945 per il governo del territorio. Il piano sopra citato invece era mirato alla sola emergenza di ricostruzione del territorio, assumendo i caratteri di un Piano Particolareggiato. 17 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.103 18 Questo provvedimento richiama l’intervento attuato nel 1930 da parte del comune di Rimini che decise così di limitare il perimetro della Città delle Colonie nella frazione di Igea Marina che ospita ben trentotto strutture. Cfr. Gualtiero Gori, Le Colonie, in:” La storia. Città di Bellaria Igea Marina”, http://www.comune.bellaria-igeamarina.rn.it/citta/cms/page/storiamuseispettacolocolonie/ [ultima cons.28/12/2017]. 19 Fondamentale fu la realizzazione del grattacielo noto come Palazzo Albergo Marinella, progettato da Eugenio Bernardi nel 1957 che proponeva appartamenti signorili con affaccio sul mare offrendo tutti i servizi dell’alloggio di vacanza. 20 Secondo Berrino, è con la nascita delle prime colonie dell’Agip Sandro Mussolini (1937-1938) e Lino

Radaelli (1937-1940) che prende avvio il processo di massiva edificazione della costa a nord del Porto. Conseguentemente se il tratto meridionale della spiaggia, di fronte al centro cittadino si specializza in un turismo per privati, nettamente separato dalla spiaggia destinata ad attività ludiche, di gioco, ed elioterapiche che venivano praticate quotidianamente da centinaia di bambini. 21 A.A., V.V., Studio preliminare della zona colonie- Relazione, Comune di Cesenatico, febbraio 1991, p. 23 22 Anonimo, Cesenatico, in Consiglio la delibera che cambia volto alle ex colonie di Ponente in: “Cesenatoday”, 22 ottobre 2015 http://www.cesenatoday.it/cronaca/cesenatico-progetto-colonie-ponente-riqualificazione-delibera.html [ultima cons. 28/12/2017]. 23 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.89 24 Umberto Cao, La colonia marina AGIP a Cesenatico, il luogo, l’immagine, il tipo, in: Umberto Cao (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Colonia Marina a Cesenatico 193638, Edizioni Clear, Roma, 1994, p. 31 25 Stefano De Martino, Alex Wall, Cities of childhood: Italian colonies of the 1930s, Architectural Association, Londra, 1988. 26 Renato Nicolini, L’originalità della concretezza, in: Marco Mulazzi (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Electa, Milano, 2002 p. 31 27 Vaccaro si riferiva con questo termine alle figure geometriche perfette la cui validità e purezza rimaneva invariata al mutare del tempo e rispetto allo spazio. 28 Robert Venturi, San Gregorio Barbarigo chiesa manierista del XX secolo, in: Marco Mulazzani (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Electa, Milano, 2002 p. 47 29 Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni

‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p.3 30 Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942, p. 29 31 Raffaello Giolli, La colonia dell’AGIP a Cesenatico, in:

“Casabella” n. 130, anno XVI, ottobre 1938, p. 6. 32 Umberto Cao, La colonia marina AGIP a Cesenatico, il luogo, l’immagine, il tipo, in: Umberto Cao (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Colonia Marina a Cesenatico 193638, Edizioni Clear, Roma, 1994, p. 33 33 Nel 1952 Eugenio Tomiolo fu chiamato a dipingere la pala d‘altare per la Colonia Marina A.G.I.P. di Cesenatico e nel 1962 scolpì un grande presepio in legno per la Colonia Alpina E.N.I di Borca di Cadore, attualmente conservato nella Chiesa di Metanopoli a Milano. Cfr. Fabrizio Pivari, Eugenio Tomiolo in mostra a Leg-

nago (Verona) alla Fondazione Fioroni dal 13 ottobre 2013 al 30 marzo 2014, in: “Comunicati stampa-Web

2.0”, https://comunicatistampa-web2punto0.blogspot. it/2013/10/eugenio-tomiolo-in-mostra-legnago.html, giovedì 10 ottobre 2013 34 Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni

‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p.75 35 Umberto Cao, La colonia marina AGIP a Cesenatico, il luogo, l’immagine, il tipo, in: Umberto Cao (a cura di),

capitolo quinto | caso studio colonia marina

Cesenatico. Nascita del turismo a Cesenatico nel 1870

sentava solo un frammento della vita da spiaggia, aveva brevissima durata anche in relazione ai timori e alle paure legate alla inesperienza del mare e ai costumi, coprenti e ingombranti. Cfr. Ginesio Marconi, Clima e spiaggia di Cesenatico, tipografia Lucchetti, Monterubbiano, 1905, p.26 10 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.67 11 La filosofia di vita di questa associazione abbracciava un metodo che si opponeva alle storture ed eccessi della città, conducendo uno stile di vita semplice e spartano. Amanti dell’aria aperta, della natura e dell’attività fisica rimanevano aggiornati tramite il quotidiano “L’Idea Naturista”, su cui vennero appunto riportate foto e testimonianze della “colonia campeggio” di Cesenatico. Questa definizione fu coniata dallo stesso presidente dell’UNI, che la descriveva come “riservata alle sole famiglie dei soci, dove non si ricevono malati e non praticano cure di alcuna sorta” (Lamberto Paoletti, 1934). Cfr. Unione Naturisti Italiana, Colonia campeggio di Cesenatico, in: ”L’idea Naturista”, anno terzo, n.10, 1 ottobre 1933 12 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.87 13 La mostra venne realizzata con il patrocinio degli architetti Adalberto Libera e De Renzi che, assieme al pittore Guerrini, idearono il maestoso allestimento che comprendeva diversi padiglioni dedicati alle opere e alle realizzazioni più significative 14 L’amministrazione della costruzione delle colonie marine fu affidata a partire dal 1931 all’EOA (Ente Opere Assistenziali) che esercitava un controllo diretto grazie alla dislocazione a livello provinciale sul territorio italiano. 15 Cfr. Valter Balducci, Smaranda Bica (a cura di), Ar-

51

1 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p.12 2 Le tipologie e tecniche costruttive dello stabilimento balneare andavano evolvendosi d’anno in anno, portando in Inghilterra, Francia e Germania alla realizzazione dei pier: lunghi pontili realizzati in legno e materiali resistenti, sempre più elaborati e raffinati che entrarono nell’immaginario collettivo della vacanza per eccellenza coniugando il desiderio di libertà nella natura e le comodità indispensabili della città. Cfr. Laura Inzerillo, Tra cielo e mare. Lo stabilimento balneare di Mondello, Edizioni Caracol, Palermo, 2011 3 Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008, p. 25 4 I servizi d‘omnibus e di gondole, vetture quotidiane di andata e ritorno furono avviati dal 1901 a seguito dell’apertura delle vie di comunicazioni con le città di Cesena, Forlì e Forlimpopoli. Ad essa si aggiungeva la comodità di accesso dalle stazioni ferroviarie di Cesena, Gambettola Savignano. Cfr. Anonimo, Storia dei primi stabilimenti balneari di


Giuseppe Vaccaro, Colonia Marina a Cesenatico 193638, Edizioni Clear, Roma, 1994, p. 3536 Giuseppe Vaccaro, La colonia “Sandro Mussolini” dell’Agip a Cesenatico in: ”Architettura”, gennaio 1939, in: Umberto Cao (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Colonia Marina a Cesenatico 1936-38, Edizioni Clear, Roma, 1994, p. 71 36 Richard Galiandro, Scheda Colonia Agip Cesenatico, Comune di Cesenatico, S.I.T., 26 novembre 2011, p.16 37 Marco Mulazzi (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Electa, Milano, 2002 p. 76 38 Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni

‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009, p.88

39 Gio Ponti, Stile di Vaccaro, in: “Stile” numero 31, Garzanti Editore, Roma, giugno 1943 40 Scrittore, giornalista, interventista, illustre critico d’arte e d’architettura della scena milanese del primo Novecento. 41 Nino Salani, Una colonia dominata dalla luce del sole, in “La Voce”, 14 aprile 2012, p.26 42 Gianluca Riguzzi, Giuseppe Vaccaro e la Colonia AGIP di Cesenatico, in “Rotary International Cervia – Cesenatico” n. 322, aprile 2000 43 Per l’intervista all’Architetto Paolo Cavallucci si veda la sezione “Allegati”. 44 Richard Galiandro, Scheda Colonia Agip Cesenatico, 45 Comune di Cesenatico, S.I.T., 26 novembre 2011, p.19 46 Decreto Ministeriale del 25 luglio 1994 47 Gianluca Errante, Analisi stato di conservazione della Colonia Agip a Cesenatico. Documento 02, Cesenatico, 26 maggio 2008 48 Giancarlo Sacchi, Franco Frabboni, Lucio Guasti, Le

52

Gli interventi di restauro e risanamento conservativo di tipo A riguardano le unità edilizie il cui stato di conservazione consente di riconoscere la rilevanza tipologica, strutturale e morfologica dell‘edificio e permette il suo completo recupero. Cfr. Regolamento Edilizio – Art. 4.5 Restauro e Risanamento Conservativo, PRG Cesenatico 49 Richard Galiandro, Scheda Colonia Agip Cesenatico, Comune di Cesenatico, S.I.T., 26 novembre 2011, p.22 50 Ibidem. p.27 51 Ostello Sul Mare, Cesenatico - Emilia Romagna, in: ”Doc, Giovani e Culture in Movimento”, https://cooperativadoc.it/site/gestioni/ostello-cesenatico/ [ ulltima cons. 29/12/2017]. 52 Lorenzo Mini, Intervista. Sezione Allegati.

capitolo quinto | caso studio colonia marina

radici sono davanti a noi. Storia della sperimentazione scolastica in Emilia Romagna, Tecnodid, Brossura, 2007.

Fig. 77, Colonia AGIP Cesenatico, d fotografia di „Spazi Indecisi“.


53

conclusioni: | dai monti al mare. riaccendere il passato

CONCLUSIONI

DAI MONTI AL MARE

RIACCENDEREIL PASSATO


Fig. 78, Colonia Montecatini Cervia

conclusioni: | dai monti al mare. riaccendere il passato

one di futuro. Il progetto offre un’occasione di riuso, rendendo possibile nel 2014 il recupero di un gruppo di case in totale abbandono, facenti parte del centro storico e della tradizione vernacolare della città di Favara (Agrigento). Anche qui è stato creato uno spazio espositivo dedicato alla cultura in cui il talento, la creatività estetica, la sperimentazione e l’innovazione locali si confrontano con la contemporaneità4 . Un’ulteriore iniziativa, finanziata dalla Fondazione Cariplo, è nata con la pubblicazione del volume “Riusiamo l’Italia” che ha contribuito alla riflessione sui processi di innovazione e riuso di spazi abbandonati. Gli autori dell’omonimo progetto, l’imprenditore Giovanni Campagnoli e l’architetto Roberto Tognetti, si occupano di individuare spazi bisognosi di trovare una seconda vita, anticipando la perdita di valore dovuta al tempo, alla svalutazione, all‘aumento dei costi di tassazione e manutenzione, evitando di superare la soglia di non recupero del bene. L‘azione di riuso può essere anche temporanea, pubblica o privata, o addirittura senza scopo di lucro. L’obiettivo è quello di permettere tramite l’opportunità di riuso del bene di avviare una trasformazione di un “capitale inagito” verso percorsi di utilità culturale e di sviluppo locale5 . I due casi studio di colonia marina e montana proposti ne sono un esempio. Le vicende di questi due edifici, realizzati in epoche diverse ma concepiti per il medesimo fine, sono un chiaro esempio di come queste architetture possano recuperare l’originaria identità. Portatrici di un linguaggio architettonico differente, ma tuttavia caratterizzato dalla medesima finalità e prestigio stilistico, la Colonia Agip di Cesenatico e la Colonia Eni di Borca, entrambe sotto lo stemma del cane a sei zampe, sono di fatto un raro esempio di riattivazione efficace e concreta di manufatti architettonici . SI tratta di due interventi completamente diversi: il “Progettoborca” sta attualmente svolgendo un intervento graduale di riattivazione, di carattere anticonvenzionale che sta lentamente avviando il complesso della colonia di Gellner verso una destinazione d’uso distante da quella iniziale che tuttavia rispetta – e mette in risalto - i caratteri storici, stilistici e paesaggistici del luogo. In questo particolare caso il restauro effettivo della struttura è un tema molto complesso: attualmente si propende per un riutilizzo in occasione dei mondiali di sci che si terranno a Cortina D’Ampiezzo nel 2021. Un’auspicabile riuso di questo spazio come foresteria connessa al villaggio Olimpico potrebbe essere una delle soluzioni più adeguate. Naturalmente i lavori necessari alla messa a norma degli spazi sarebbero ingenti, tuttavia il sindaco Roger De Menech ha assicurato finanziamenti di “centosettanta milioni per la viabilità e quaranta milioni per le opere per la città” .Questo cambio di rotta potrebbe incidere positivamente su come gli abitanti della frazione di Borca di Cadore si pongono nei confronti del complesso della colonia e dell’intero villaggio ENI, così poco amato dai natii, che lo considerano in parte causa delle pe-

54

I casi studio fino ad ora indagati hanno dimostrato come, il fenomeno delle colonie estive non si limitò alla breve stagione del ventennio compreso fra le due guerre. Tuttavia, proprio gli edifici realizzati in questo periodo, classificati spesso con l’appellativo di colonie fasciste, hanno alimentato la letteratura di genere nel corso dei decenni. Questa avventura architettonicoculturale, che si è protratta per più di un secolo, affonda le radici in un contesto storico ancora più distante e complesso rispetto alla realtà odierna, e sta suscitando sempre maggiore interesse nel panorama internazionale. Il rinnovato coinvolgimento, sorto nei confronti delle strutture di vacanza abbandonate lungo il litorale, è una diretta conseguenza degli studi mirati e approfonditi compiuti sulle colonie estive sorte fra il 1920 e 1940 in Italia. Si tratta di manufatti architettonici contraddittori ed affascinanti, scaturiti da intenti pedagogici, igienisti e morali. Essi sono state spesso additate come “Mussolini‘s monsters”1, o descritte da Fulvio Irace come “Utopie Nouvelle”nonché considerate alla stregua di “formidabili macchine propagandistiche dell‘impegno del regime per i ceti popolari” 2 .La letteratura moderna ha visto nascere nell’arco di vent’anni numerosi volumi di ricerca fotografica e documentale redatti da autori italiani e stranieri, come ad esempio “Fascismo abbandonato: the children‘s colonie of Mussolini‘s Italy” di Dan Dubowitz, catalogo dell’omonima mostra del 2009, dove viene volutamente evidenziato lo stretto legame esistente con il regime. Un altro scritto internazionale è stato “Cities of childhood: Italian colonies of the 1930s”, nato dalla collaborazione fra Stefano De Martino e Alex Wall. Il più recente lavoro fotografico di Lorenzo Mini, dal titolo “Colonie”, ci propone un’alternativa allo sguardo critico e severo che altri autori ebbero nei confronti di questo fenomeno, offrendone un ritratto che prescinde dal loro background politico, e leggendo attraverso l’obiettivo i “relitti dell’era moderna” come specchio di cambiamenti sociali ed economici. Questa crescita d’interesse è stata proporzionale al sempre maggiore numero di ex-colonie in disuso, che a partire dal 1978 si sono moltiplicate lungo la penisola, quando, furono lentamente abbandonate a seguito della legge Basaglia3. Questo provvedimento non interessò solamente le ex-colonie, ma anche ex scuole, asili, oratori e opere ecclesiastiche chiuse, monasteri abbandonati, altre innumerevoli opere architettoniche. Recentemente sono state proposte delle campagne ed iniziative di recupero funzionale e patrimoniale, che hanno riportato risultati positivi e concreti. Basti pensare all’attività svolta dal “Dolomiti Contemporanee” che dal 2011 riporta alla luce “cimeli” abbandonati dell’architettura alpina in modo da valorizzare il Patrimonio architettonico moderno e contemporaneo Un altro progetto di recupero del patrimonio italiano esistente, attualmente all’attivo in Sicilia, con il progetto “Farm Cultural Park”, un Centro Culturale Indipendente dove arte e cultura sono degli strumenti nobili per dare alla città di Favara una nuova identità e una dimensi-


Fig. 79, Seebad Prora, Germania, Mare del Nord. h

D’altro canto l’operazione svolta nella Colonia Agip è stata ben diversa. Questa struttura non è mai stata completamente abbandonata: anni di manutenzione ne hanno garantito un ottimo stato di conservazione; tant’è che gli stessi dirigenti non hanno potuto far altro che ristabilirne la condizione originaria di Centro estivo per ragazzi, in linea con la sua destinazione d’uso originaria. Se in tal caso non vi sono stati problemi riguardo ai finanziamenti, rimane tuttavia quasi sempre parzialmente irrisolto il problema del restauro dei complessi principali. I recenti interventi (prendendo in esempio lo stato di fatto dalla Colonia Agip i cui prospetti sono completamente diversi dal progetto originale, dalla chiusura del terrazzo al piano primo fino alle modifiche dei serramenti e della copertura) hanno infatti evidenziato una deprecabile tendenza ad una sommaria conservazione dell’immagine esterna dei fabbricati, con pochissima attenzione filologica nei confronti degli organismi edilizi nella propria interezza. Per non parlare degli interni, spesso quasi completamente stravolti e irriconoscibili. L’annessione dell’ostello ricavato nel padiglione dell’ala settentrionale dell’edificio ha infatti portato a numerose modifiche, soprattutto nei locali interni. Nonostante le periodiche opere di rinnovamento strutturale attuate, questo edificio appare completamente disabitato per la maggior parte dell’anno: un “colosso addormentato sulla spiaggia”, adoperato solo per brevi periodi. In questa situazione sarebbe più appropriato risolvere la condizione di parziale inutilizzo promuovendo la realizzazione di spazi museali, centri turistici o alberghieri in grado di mantenere attiva la struttura durante l’intero anno, senza ostacolare le iniziative della colonia estiva, ma in grado di rendere viva la struttura anche durante la bassa stagione. Un caso analogo è stato quello dello storico insediamento di “Seebad Prora”,8 nei pressi di Rügen, sulle sponde tedesche del mare del Nord, nato come colonia marina fra le due guerre, nel 2001 dopo un lunghissimo periodo di semiabbandono, una sezione del complesso è stata impiegata per realizzare un ostello con quattrocento posti. Attualmente gli spazi interni sono stati temporaneamente adibiti per ospi-

conclusioni: | dai monti al mare. riaccendere il passato

condivide il programma funzionale rigidamente suddiviso in squadre” tuttavia egli sostiene come “il villaggio possa piuttosto porsi come prototipo per il turismo e l‘idea di vacanza del boom economico degli anni ‚60 [...] con un‘attenzione all‘ambiente e una assenza di speculazione edilizia che invece sono tipici del modello “vacanza mediterraneè”7.

tare tre musei e spazi per conferenze. Inoltre è in corso il progetto di restauro per convertire la struttura in un nuovo complesso alberghiero intitolato “Neues Prora” . Il fenomeno delle colonie dunque non rappresenta un’esperienza conclusa col successo del turismo di massa, ma una possibilità ancora aperta tutti.. Ne sono testimoni l’innovativa “Colonia per Cinquecento bambini” promossa dalla Provincia di Trento e attualmente in fase di realizzazione a Cesenatico. Forse la vicenda delle colonie, non soltanto per il valore del manufatto architettonico, ma anche per quello pedagogico in cui il bambino apprende come gli aspetti di collettività prevalgono su quelli individualistici, può considerarsi uno specchio del pensiero contemporaneo sull’educazione, sulla salute e sul tempo libero dell’infanzia. Destino tra il mesto e l’incerto, quello delle ex colonie estive delle nostre spiagge e dei monti, che le fa sembrare vecchie navi, naufragate e inclinate, senza operazioni in grado di raddrizzarle. In definitiva, il recupero delle vecchie colonie, a dispetto della loro immagine così “moderna” e delle loro soluzioni strutturali talvolta “all’avanguardia”, non è meno complesso di quello di un qualsiasi edificio storico abbandonato, ed al quale si richieda di svolgere di nuovo una qualche funzione. Si tratta di una condizione di maggiore complessità soprattutto nel caso in cui questi edifici siano oggetto di tutela da parte di enti storico artistici. Ciò non significa che una concreta riattivazione non sia possibile, e i due casi di colonie che sono stati studiati ne sono un chiaro esempio di come, secondo modalità e criteri differenti sia possibile applicare una lenta e studiata strada di rinascita del manufatto architettonico che deve essere mantenuto in vita e tutelato. Dalla montagna al mare, indipendentemente dal periodo storico che le ha concepite, il valore architettonico di questi edifici rimane inalterato nel tempo, e vivo nei ricordi di coloro che, sebbene giovanissimi ne fecero esperienza. Conseguentemente ogni tentativo di riuso, riattivazione del manufatto, deve essere oggetto di ricerca e tentativi da parte delle rappresentanze pubbliche, associazioni private, cittadini, e artisti al fine di garantire una rinascita di queste architetture e della memoria storica che rappresentano.

55

riodiche frane sul paese. Indipendentemente da ciò che riserva il futuro, l’operato svolto da “Progetto Borca” negli ultimi tre anni, evidenzia come sia possibile sfruttare pienamente le potenzialità di un complesso architettonico in condizioni di semi abbandono, ricorrendo alla sola capacità di adattamento e di inventiva, seguendo l’idea che “la cultura è azione”, e promuovendo iniziative di valore culturale grazie all’aiuto di grandi e piccoli finanziatori. Riferendosi alla colonia di Borca l’architetto Mario Merlon sottolinea come essa sia “sicuramente „figlia“ della Colonia di Vaccaro di cui


56

web.it/en/architecture/2010/04/29/fascism-in-ruins. html Domus n. 659, volume 3, 1985 [ultima cons. 2017/09/30] 3 La legge 180 del 13 maggio 1978, nota come legge Basaglia, impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio istituendo servizi di igiene mentale pubblici. Essa si basava sulle nuove e “più umane concezioni psichiatriche promosse e sperimentate da Franco Basaglia presso il manicomio San Giovanni di Trieste e portò con se una vera e propria rivoluzione culturale e medica nota anche come antipsichiatria. La legge non condusse solo alla chiusura e smantellamento dei manicomi, ma anche di altre strutture pseudo sanitaree e di assistenza sociale, fra cui le Colonie estive d’infanzia. La 180/78, nonostante le critiche e le varie proposte di revisione, è attualmente nel trentennale della morte del suo promotore la legge quadro che regola l’assistenza psichiatrica nel nostro paese. Cfr. Claudia Negretto, Franco Basaglia e la Legge 180/78 in :”Dr. Lorenzo Magri. Psicologo Milano”, 16 febbraio 2010 https://www.lorenzomagri.it/francobasaglia-e-la-legge-18078/ 4 Farm Cultural Park, https://www.farmculturalpark. com/welcome.html [ultima cons. 30/12/2107] 5 Riusiamo l’Italia. Da spazi a start-up culturali e sociali, http://www.riusiamolitalia.it/ita/domandaofferta.asp [ultima cons. 30/12/2107] 6 Alessia Forzin, Mondiali 2021 a Cortina, solo due anni e mezzo per realizzare tutti i lavori, in: “Corriere delle Alpi”, 19 maggio 2017 http://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/2017/05/19/news/mondiali-due-anni-emezzo-per-realizzare-tutti-i-lavori-1.15360271 7 Per l’intervista all’architetto Mario Merlo di veda la sezione “Allegati”. 8 Germania, il colosso di Seebad Prora, in: ”Looking for Europe”, https://lookingeurope.wordpress.com/ [ultima cons. 30/12/2107]v

conclusioni: | dai monti al mare. riaccendere il passato

1 Arifa Akbar, Mussolini‘s monsters: Should the Modernist holiday camps of Fascist Italy be saved? 2 Fulvio Irace, Fascism in ruins https://www.domus-

Fig. 80, Progettocoperta, dettaglio.


A L L E G AT I

57

allegati | stralci d‘opinione

STRALCI D‘OPINIONE


D. Accantonando l‘ipotesi di abbandono del manufatto, sinonimo di disfacimento del bene, considera più appropriata una continuità di utilizzo originario, oppure ritiene che, oggigiorno, questa soluzione sia del tutto obsoleta? Se si, a suo avviso, quale strategia potrebbe essere vincente al fine di far nascere l‘interesse nei confronti della Colonia, sia da parte istituzioni locali che da una nuova possibile utenza? R. A differenza della quasi totalità del patrimonio delle „Colonie a mare“ della costa adriatica regionale caratterizzato da un generalizzato stato di abbandono e con pochi interventi di restauro- riconversione, programmati e/o in atto, tutt‘oggi permane l‘originaria offerta di ospitalità turistica (in generale controtendenza rispetto l‘ormai totale scomparsa, sulla costa adriatica romagnola, di questa dedicata offerta educativa; seppur limitata ai soli mesi di luglio e agosto. Nel restante periodo dell’anno, e limitatamente ai soli spazi funzionale del piano terra della struttura, è qui ospitata una gamma assai differenziata di eventi turistico-commerciali periodici.

Intervista con l’Architetto Paolo Cavallucci. Responsabile della redazione e gestione delle procedure tecnico-amministrative degli atti di pianificazione urbanistica del Comune di Cesenatico e delle relative varianti. Quale membro del SIT, Ufficio Urbanistica della città, si occupa della supervisione dei dati territoriali ed dell’elaborazione di cartografie tematiche legate alle attività di programmazione urbanistica e alla redazione delle varianti agli strumenti di pianificati D. Quale è secondo Lei oggi, il valore della Colonia Agip, storicamente parlando e quale potrebbe essere il suo valore futuro? Da un punto di vista architettonico invece, cosa ne pensa dell‘impatto che ha sul paesaggio/ambiente in cui si colloca R. I valore dell‘opera lo si può desumere sia dal perido storico in cui è stata concepita e dalla firma che l‘ha ideata, ma soprattutto su ciò che essa rappresenta nel contesto archithtettonico attuale. La semplicità e linearità delle forme e dei materiali utilizzati, tutt‘oggi si adatta perfettamente nel contesto in cui si trova senza che essa, malgrado le sue dimensioni, contrasti o sbilanci la prospettiva sul lungo mare o sul viale Carducci. Il suo valore è già di per se insito nelle sue dimensioni, degli spazi interni che esterni, oltre alla sua ubicazione e su questo può essere basata la sua potenzialità, per cui viene spontaneo pensare all‘alta valenza simbolica dell‘opera, in relazione alla sua riproposizione per diverse offerte turistiche: fruizione turistica di uno dei monumenti di eccellenza dell‘architettura moderna nazionale; spazio di eccellenza per manifestazioni es-

D. Concentrandoci sul solo edificio della Colonia, in che modo venivano e vengono tuttora impiegate effettivamente i locali di questa struttura? Ritiene che un impiego temporaneo della struttura sia soddisfacente e alla luce delle potenzialità di questa architettura? R. Naturalmente l‘uso che tutt‘ora viene fatto della colonia non è sufficiente per le potenzialità che essa offre. Questo comporta un lento degrado degli ambienti non utilizzati che a lungo andare non sarà più sufficiente una manutenzione ordinaria, ma bensì interventi più incisivi per il suo mantenimento. La facile ed efficace rifunzionalizzazione di tale architettura „sociale“ alle diverse possibili offerte sottoscritte nei due punti precedenti. Un possibile-prevedibile intervento di conservazione e valorizzazione dovrebbe tendere a far riemergere le originarie qualità architettoniche dell‘opera da destinare, sia ad una fruizione turisticomonumentale, sia ad ospitare — in spazi dedicati al piano terra e del pianohh rialzato — manifestazioni culturali di settore. La forte elasticità distributiva del volume complessivo, permette l‘organizzazione di attività e/o eventi anche assai differenziati.

D. L’edificio ha conosciuto un breve stato di abbandono prima del suo reimpiego. In che modo le autorità locali sono state in grado di intervenire per un recupero? L’intercessione della Sovraintendenza per i Beni Culturali ha impedito delle modifiche o eventuali risanamenti della struttura che, a Suo avviso, erano necessarie? R. Efficiente ed efficace elasticità d‘impiego che necessita, tuttavia, di un altrettanto affidabile capacità manageriale. L‘edificio, di proprietà dell‘Agip petroli, non

consente all‘autorità locale di poter intervenire sul manufatto salvo che avvenga uno stato di pericolo per la pubblica incolumità o di un degrado persistente. La Soprintendenza anche se ha posto il vincolo sulla colonia non pregiudica o comunque non vincola alcun tipo di intervento nel limite della preservazione del bene stesso salvo una supervisione delle opere oggetto di richieste autorizzative.

D. Negli anni sono stati attuati interventi di riqualificazione architettonica del sito? Se si, quali e da chi sono stati finanziati? R. Dalla sua realizzazione ad oggi sono stati vari gli interventi edilizi, sia sul corphho principale che sulle ali laterali e tutti per conto della proprietà. L‘edificio è in ottime condizioni per le continue manutenzioni che periodicamente vengono eseguite. Alcuni interventi esterni non strutturali, eseguiti nell‘ultimo decennio , hanno in parte alterato il prospetto verso mare. In origine i portici erano completamente aperti, sia al piano terra che al piano primo, ma successivamente sono stati parzialmente tamponati con ampie finestrature uguali alle esistenti. Poche sono le modifiche apportate all‘edificio originario: la creazione degli ascensori ed alla suddivisione delle camerate, nonché alla creazione di nuovi spazi, in adiacenza al refettorio, originariamente coperti da tendaggi con strutture metalliche D. Da un punto di vista di valore architettonico in che

modo la Colonia Agip si colloca all’interno del panorama storico e urbanistico del litorale di Cesenatico, caratterizzato da un numero elevato di strutture estive dedicate al turismo? Inoltre saprebbe stimare quale valore, importanza viene attribuita a questo edificio da parte degli abitanti della città? R. La complessiva Immagine attuale dell‘edificio conserva ancora, intatti, i connotati formali e funzionali dell’originaria opera di Vaccaro. La perfetta conservazione della funzione originale (pur nella esemplare modifica delle camerate, che hanno conservato intatta la volumetria pur con una predisposizione dell‘arredamento più personalizzata. L‘opera ha una forte elasticità sia alle lievi modifiche tecnologico-funzionali, apprestate all‘edificio negli anni ‚60 del Novecento, sia all‘impiego di parti dello stesso per funzioni „turistico-espositive“, assai lontane dalla sua originaria vocazione.

allegati | stralci d‘opinione

ARCHITETTO PAOLO CAVALLUCCI.

positive, eventi, attività scientifiche correnti, dedicate allo specifico „architettonico“; possibilità di ospitare eventi, pubblici e/o associativi, con diversa destinazione; conservazione, in forma compatibile,

58

UN‘ ANOMALIA STILISTICA


GIANLUCA D‘INCAì LEVIS

D.Per quanto riguarda il lavoro di Gellner, non si tratta, direi, di mera architettura. Vi è in quest‘impresa concreta del pensiero, la trasformazione in realtà (altro che utopia) del programma sociale di Mattei, grazie all‘estrema compatibilità di visione di questi due uomini capaci e rapaci.

Intervista con il Curatore d‘arte e Architetto Gianluca D‘Incà Levis, responsabile dell‘associazione Dolomiti Contemporanee e deiProgettoborca. a partire dal 2010, ha avviato una serie di progetti curatoriali e di riflessioni che mettono in relazione, l’arte contemporanea, il recupero di spazi industriali o civili dismessi, e la montagna. centrale l’idea di produrre immagini rinnovative, operando su ambiente naturale e paesaggio in modo critico e proiettivo, e rifiutandone le letture stereotipe. D. Quale è secondo Lei oggi, il valore della Colonia, storicamente parlando e quale potrebbe essere il suo valore futuro? Da un punto di vista architettonico invece, cosa ne pensa dell‘impatto che ha sul paesaggio/ambiente in cui si colloca? R. Il valore della Colonia è, evidentemente, un valore assoluto, come tale non soggetto a decadimento. Il suo valore culturale è universale, ed appartiene ad ogni uomo (l‘attributo di “Patrimonio” non corrisponde al valore economico del Bene, ma alla sua straordinaria peculiarità), che ne fa una risorsa riprocessatile - a meno di non volerlo intendere, irresposabilmente e contemplativamente, come il cenotafio di Gellner, o come una vestigia del passato, un resto tristemente abbandonato su una remota spiaggia deserta, dal mare indifferente di una storia che non sa procedere, rigenerarsi – ma la storia dovrebbe essere in atto, la vita, e non il racconto passato, delle cose dell‘uomo, e come tale, una funzione del ripensamento, e non un mero descrittore di dati compiuti. Questo valore potente, intatto, riscattabile, appartiene, dunque dicevamo, ad ogni uomo, o perlomento ad ognuno di

R. Gellner è una sorta di impiantista del paesaggio, e di paesaggista ante litteram. La sua definizione di paesaggio come sintesi d‘ambiente naturale e di lavoro dell‘uomo. Gellner costruisce il paesaggio di Corte, utilizzando l‘architettura come strumento di modellazione e di design del territorio. Costruisce i volumi, sconfigge e colonizza il ghiaione dell‘Antelao, costruisce un grande bosco che non c‘era. Con la stessa capacità d‘attenzione affronta ognuna delle scale di progetto, portando la sua tersa, sintetica visione d‘impianto fino all‘interiore design. La Colonia (ma il ragionamento vale per il Villaggio intero), non “si colloca in un paesaggio “preesistente. Lo cogenera. E, come sappiamo, grazie alla sensibilità di Gellner, contribuisce decisamente a migliorarlo. L‘integrazione tra paesaggio fisico, sociale, culturale, qui è totale, e perfetta. La funzionalità di questo grande corpo plastico è massima. Un‘articolatissima macchina dall‘impianto razionale ed organico, questo straordinario insediamento alpino. Che è, al tempo stesso, un‘opera d‘arte. D. Nel corso degli anni come è cambiata la percezio-

ne che gli abitanti hanno di questo luogo e quali sono state le cause principali che hanno condotto ad un momentaneo/permanente abbandono della Colonia? Quali gli ostacoli maggiori che ne impediscono un concreto riavvio?

R. L‘insediamento di Corte occupa due terzi del Comune di Borca di Cadore. In questa indicazione dimensionale c‘è già il presupposto di una problematicità che verrà manifestandosi progressivamente sempre più, negli anni e decenni. Il Villaggio è un pauroso “fuoriscala”. Non rispetto a Pelmo e Antelao, che vi torreggiano sopra. Ma rispetto alla comunità locale e all‘economia di scala della valle del Boite. La costruzione del Villaggio porta lavoro e sviluppo a Borca e in Valle, dagli anni 50 ai 60. Poi, la differenza costitutiva tra l‘apparato di welfare di Mattei e il tessuto sociale locale, si accentua. Il Villaggio non include adeguatamente gl indigeni. A livello di socializzazione culturale, esso non funziona, rispetto all‘esterno. E questo è negli obiettivi: Corte di Cadore serve a cementare nell‘uomo eniano un‘idea partecipata di casa-azienda, (la grande famiglia ENI, la chiama Mattei stesso) non a stabilire relazioni sociali territoriali proficue.Queste problematiche sono solo in minima parte di progetto reale. Moltissimi ragionamenti, con enti, aziende, soggetti istituzionali, si intessono ogni giorno giorno nella nella (non (nonsulla) sulla)Colonia. Colonia.Le LeSummer Summer

Schooòl, i workshop, la grande attività che svolgiamo in Colonia, non è funzione decorativa. Parte integrante del progetto di riarmo del noccio. Credo si possa capire bene solo partecipando, vedendo le attività. La nostra, ripeto, è una prassi, non una teoria, o un progetto d‘architettura. Dc ha già riesumato, ripensato, rifunzionalizzato, diversi grandi siti gravati da criticità strutturali, che né la governance del territorio, né la politica e l‘economia, avevano saputo riavviare. La cultura è azione. D. In quali circostanze è nato il Suo interesse nei con-

fronti del sito del Villaggio Eni?

R. Dc è un progetto noto in Italia, nell‘ambito della rigenerazione. La proprietà del sito, la Società Minoter, ci ha cercati nel 2014, quando avavamo già riavviato diverse grandi fabbriche immobili nel bellunese, e riaperto il Nuovo Spazio di Casso al Vajont, dimostrando il potenziale concreto del nostro ragionamento culturale. La proprietà sostiene Progettoborca, sviluppiamo insieme il programma. Il mio interesse per il Villaggio è naturale. La nostra fisiologia culturale si nutre si siti di questo genere. Noi sempre lanciamo la sfida, operando su siti assai complessi, per verificare la pragmaticità di un assetto culturale potentemente rivalutativo. D.Quali sono, architettonicamente parlando, gli ele-

menti che rendono unico questo luogo?

R.Tutti. Ad ogni scala, i controllo di Gellner è totale. Ogni aspetto estetico è la risultante di un tema funzionale, risolto. Ad ogni scala si evidenzia lo stesso metodo operativo, una semplicità d‘impianto che si snoda, tra il grande ed il piccolo. L‘attenzione al contesto è totale, e conduce, abbiamo visto già, alla generazione di uno spazio-paesaggio unico. Non uno spazio-nel-paesaggio. Uno spazio-paesaggio, appunto. Gellner è anche un formidabile inventore tecnologico. I serramenti dell‘Aula Magna, la catenaria Flos, la logica d‘impianto delle docce, la forometria delle rampe, l‘acquedotto. Il programma cromatico, gli interruttori della luce, gli arredi lignei. Ogni cosa è centrata, ogni parte del progetto scaturisce da una chiarezza sintetica e semplicità esemplari. L‘organicismorchitettonico si instaura nella natura, e la comprende. Dopo aver capito Gellner, si ride, credo, di Gehry, e dei lunapark dell‘architettura contemporanea, che fan trastullo dei popoli turistici.

allegati | stralci d‘opinione

ARCHITETTO E CURATORE

quegli uomini che indagano e perseguono i valori di qualità, nella sua migliore rappresentazione. Ed anche nei suoi più fulgidi esehmpi. Una rappresentazione eccezionalmente polverosa, in questo caso, come ben s– sappiamo. D‘azienda, sociale, d‘innovazione, culturale, plastica.

59

LA CULTURA E‘ AZIONE


D. Accantonando l‘ipotesi di abbandono del manufatto, sinonimo di disfacimento del bene, considera più appropriata una continuità di utilizzo originario, oppure ritiene che, oggigiorno, questa soluzione sia del tutto obsoleta? Se si, a suo avviso, quale strategia potrebbe essere vincente al fine di far nascere l‘interesse nei confronti della Colonia, sia da parte di istituzioni locali che da una possibile utenza? R. L’ipotesi di riportare i bambini e quindi ripristinare l‘originaria funzione è impensabile, salvo aggiornare eventualmente il concetto di colonia in campus formativo internazionale. Il problema principale sono la mancanza di fondi pubblici o di investitori.

D. Potrebbe descrivere, in poche parole gli obiettivi che la vostra Associazione si è preposta fin dal principio, e con che mentalità, li state perseguendo? E quali sono fino ad ora, i risultati ottenuti di maggiore rilevanza?

Intervista con l’Architetto Mario Merlo. Nato a Cortina d‘Ampezzo, il 15 settembre 1970. Dopo aver passato circa dieci anni a Firenze torna a Cortina nel 2001 chiamato lì dall‘architetto Gellner, con cui lui lavora per quattro anni ad un progetto sul restauro degli edifici della colonia ENI Corte di Cadore in un hotel congressuale, su un piano generale per l‘ENI Corte di Cadore Village, e sulla realizzazione di tre libri. Nel 2005 ha fondato “studio_gellner architecture office”.

D. Quale è secondo Lei oggi, il valore della Colonia, storicamente parlando e quale potrebbe essere il suo valore futuro? R. La Colonia è un monumento dell‘architettura e dell‘imprenditoria italiana e come tale dovrebbe essere valorizzato

R. L‘Associazione è nata per dare continuità a un lavoro iniziato nel 2007 con i lavori preparatori al Centenario dell‘architetto, proseguiti poi con altre mostre e con il film documentario. attraverso il sito vogliamo documentare lo stato della ricerca su Gellner. Nel 2017 abbiamo organizzato un importante convegno sul tema del costruire in montagna.

D. Il Villaggio Eni non è che uno degli innumerevoli interventi di Edoardo Gellner sull‘arco alpino. Quale valore attribuisce al complesso di Borca di Cadore rispetto all‘Opera dell‘architetto? R. Sicuramente il Villaggio è l‘opera realizzata e concettuale più importante, ma esistono molti altri lavori o studio inediti altrettanto importanti dedicati al paesaggio montano

D. Potremmo considerare il progetto di Gellner una vera a propria utopia, purtroppo mai interamente realizzata. Sarebbe possibile e accettabile, a suo avviso, proporre un completamento del complesso secondo le linee guida del progetto originario?

R. La Colonia e tutto il villaggio sono stati pensati e realizzati come elementi di un nuovo paesaggio

R. Gellner non ha mai abbandonato il villaggio e ha proposto numerosi progetti di completamento soprattutto per la parte civica o pubblica mai realizzata; tra il 2000 e il 2004 il nostro studio ha presentato una serie di masterplan e di proposte per il recupero della Colonia. Credo ci sia molto spazio per le idee, ma ogni intervento anche minimo dovrebbe rispettare nel profondo le semplici regole progettuali del progetto originario.

D. Nel corso degli anni quali, come è cambiata la percezione che gli abitanti hanno di questo luogo e quali sono state le cause principali che hanno condotto ad un momentaneo/permanente abbandono della Colonia? Quali gli ostacoli maggiori che ne impediscono un concreto riavvio?

D. Quali sono, architettonicamente parlando, gli elementi che rendono unico questo luogo? E quali sono i caratteri peculiari dell‘architettura di Gellner che appaiono nel progetto? Al contrario, vi sono delle forzature dovute sia alla condizione del sito che alla committenza?

R. Il villaggio e la Colonia sono nati separati dal pae-

R. Basta visitare una casa, oppure la Colonia, oppure l‘albergo, la chiesa o il campeggio per accorgersi che ci

D. Da un punto di vista architettonico invece, cosa ne pensa dell‘impatto che ha sul paesaggio/ambiente in cui si colloca?

si trova in un luogo ‚unico‘ soprattutto per la coerenza progettuale, per i dettagli, per l‘uso dei colori o dei serramenti solo per fare alcuni esempi. La natura è stata sicuramente addomesticata, e la committenza (Mattei) ha sempre avvallato le scelte anche più spregiudicate e non convenzionali dell‘architetto

D. Secondo la sua opinione è possibile identificare, nell’architettura del Villaggio, la volontà di trasmettere un messaggio pedagogico e morale, nei confronti di coloro che la vivono, che ne facevano esperienza? Che ruolo gioca l’ambiente naturale in questi termini? R. All‘epoca si credeva fortemente che l‘architettura, intesa nella sua realtà organica, potesse avere una grande influenza nella creazione di una nuova idea di società

D. Attualmente considera il Villaggio, un insediamento architettonico o un „paese“ vero e proprio? Persa la valenza sociale del progetto voluto da Mattei, oggi il villaggio è entrato pienamente nella logica turistica della valle che ha in Cortina il centro di ogni interesse.

D. Concentrandoci sul solo edificio della Colonia. In che modo venivano impiegate effettivamente i locali di questa struttura? Il suo utilizzo originario è andato del tutto perso? R. La colonia ha funzionato a pieno regime dal 1958 al 1992 secondo il progetto originario, poi è stata dismessa. Onde evitare un completo isolamento dell’insediamento, il bosco andrebbe regimato secondo un piano attento e puntuale per mantenere un equilibrio tra costruito e natura..

D. Recentemente è stato messo a disposizione del pubblico l‘archivio storico del Progetto Borca, contenente documenti originari relativi al Villaggio. Secondo Lei, questa possibilità di consultazione, porterà maggiore visibilità alla storia della Colonia? R. Quello era parte dell‘archivio dell‘ufficio tecnico SNAM a Borca, che era stato ordinato e raccolto dal un geometra nei locali del parrucchiere, presso l‘hotel Corte. poi la nuova proprietà l‘aveva messo in colonia di fatto disperdendolo. il fatto di averlo raccolto costituisce un fatto interessante. i disegni sono solo copie degli originali ma c‘è anche la documentazione delle classi che si sono succedute.

D. Concludendo, alla luce delle allora recenti esperienze dei centri di villeggiatura temporanea estiva, sorti durante il Ventennio fascista è lecito presuppore, dal punto di vista architettonico, l’esistenza di un’analogia fra il Villaggio Eni a Borca e queste realtà? R. La Colonia è sicuramente „figlia“ della Colonia di Cesenatico realizzata da Vaccaro di cui condivide il programma funzionale rigidamente suddiviso in squadre, ma credo che il villaggio possa piuttosto porsi come prototipo per il turismo e l‘idea di vacanza del boom economico degli anni 60.

allegati | stralci d‘opinione

ARCHITETTO MICHELE MERLO.

se di Borca per esplicita scelta degli abitanti, quindi il rapporto Villaggio e cittadini di Borca sono da sempre molto delicati e tali rimarranno.

60

ALLA SCOPERTA DI EDOARDO GELLNER


R. Negli ultimi anni ho rappresentato ed esplorato il paesaggio reietto del moderno, il cui significato si può definire come lo specchio della realtà presente e lente sulla vita passata .

D. In che modo si è avvicinato alla fotografia, e cosa

l’ha spinta a rendere questa passione una vera e propria professione di successo?

R. Ho iniziato a fotografare durante i primi viaggi all‘estero, attirato da tutto quello che di particolare e diverso avevo sotto gli occhi. Nel tempo le esperienze fotografiche si sono trasformate in bisogno di progettualità e così sono iniziati i miei lavori.

D. L’Architettura accompagna quasi sempre i Suoi scatti, che ruolo ha all’interno del suo lavoro? Quale importanza attribuisce, attraverso le Sue fotografie, al contesto, all’ambiente naturale o antropizzato in cui essa si colloca? R. Sono sempre stato attratto dall‘architettura, soprattutto quella moderna e razionalista. In tal senso si può percepire della mia immagini il senso di ammirazione che nutro per questa forma d‘arte umana che caratterizza tutti i paesaggi antropizzati.

D. La maggior parte delle campagne fotografiche da Lei realizzate hanno come soggetto principale luoghi in stato di completo abbandono. A tal proposito

D. Nella Sua personale esperienza di esploratore e documentatore di colonie abbandonate, è stato in grado di individuare una cifra caratteristica, un’impressione, un aspetto che accomuna ogni architettura, e che è impossibile da riscontrare a priori?

D. Attraverso la raffigurazione di queste” identità perdute”, ritiene o confida in qualche modo di influenzare lo spettatore? In questi termini, uno degli obiettivi del suo lavoro, è di avere una qualche funzione sociale?

R. Ho esplorato un centinaio di edifici, a livello architettonico molto differenti tra loro anche per periodo storico di costruzione, ma la sensazione una volta al loro interno è stata sempre la stessa. Una visione simile in ogni edificio, le camerate, i refettori, la cappella e così via.

R. L‘intenzione è quella di portare lo spettatore allo stupore e di conseguenza alla riflessione, su aspetti socio culturali che hanno spinto questo fenomeno (mi riferisco in particolare alle colonie di vacanza) verso la definitiva scomparsa.

D. Quale è secondo Lei oggi, il valore delle Colonie, storicamente parlando e quale potrebbe essere il suo valore futuro? R. Il valore principale che possono avere è quello della

D. Per quale motivo nella sua più recente campagna fotografica, esposta nella collettiva Memories, ha scelto come soggetto le Colonie marine abbandonate lungo il nostro litorale? Il Suo modo di fotografare queste architetture è stato in qualche modo condizionato dal loro passato storico? Secondo quali aspetti la Colonia rappresenta nella sua esperienza, un ‘ricordo’? Intervista con il fotografo Lorenzo Mini. Nato a Rimini nel 1973, vive e lavora a Cesenatico dove sviluppa il suo progetto fotografico. La sua ricerca è orientata su particolari fenomeni socio culturali. Ha frequentato vari corsi di fotografia a Milano, reportage e partecipato a numerose mostre personali e collettive, nonché autore di pubblicazioni monografiche o in collaborazione con storici e studiosi.

pochi edifici degli anni Trenta ancora in uso nella sua funzione di colonia di vacanza per bambini.

R. Le colonie rappresentano il mio lavoro più importante e intenso. Vivo a Cesenatico, cittadina di mare e di colonie. Sul nostro territorio, mi riferisco alla riviera Romagnola, sono state costruite centinaia di colonie, le quali tutt‘ora sono ancora lì, in stato di abbandono, che testimoniano un‘epoca che non c‘è più. Sono cresciuto vedendo questi edifici ancora pieni di vita ed in piena attività, ora sono come dei fantasmi in attesa, una parte di città in sospensione.

D. Apparentemente, alcuni dei Suoi scatti legati al tema COLONIE, sembrano privilegiare una visione frontale, sia per ambienti interni che esterni, mentre quella obliqua e trasversale, induce chi guarda a concentrarsi sui materiali, i particolari, più che una visione d’insieme. Descriverebbe questa scelta come un tratto distintivo del suo stile oppure un caso del tutto eccezionale? R. La vista frontale è la visione che preferisco; pulita, oggettiva, senza errore ne troppa poetica. Una immagine con volontà raffigurativa e di documentazione della realtà, che comunque può dare anche la vista Hobliqua. Per il lato romantico e più umano, quello legato alle tracce di vita; i particolari lo rappresentano meglio.

D. Soffermandosi sul caso della Colonia Agip, secondo il suo punto di vista, questo edificio si differenzia rispetto alle altre colonie che ha avuto l’occasione di visitare nella sua esperienza? Se si, potrebbe spiegare relativamente a quali aspetti? R. Guardi, io non sono un architetto, ma solamente un appassionato, le posso dire però che la colonia Agip ed anche la Montecatini a Milano Marittima, sono due edifici che ammiro per la loro semplicità, il loro rigore e la loro imponenza. In più la colonia Agip è uno dei

memoria storica del Paese e potrebbero alcune essere riutilizzate per un uso sociale/culturale. Sono edifici che assieme al loro spazio verde in cui sono, si amalgamano bene al paesaggio, non disturbano la vista e per quelle costruite sulla costa, permettono di avere i varchi visivi sul mare.

D. Nel corso degli anni come è cambiata la percezione che gli abitanti hanno di questi luoghi e quali sono state le cause principali che hanno condotto ad un momentaneo/permanente abbandono delle Colonie? Quali gli ostacoli maggiori che ne impediscono un concreto riavvio? R. Parlo per la nostra esperienza a Cesenatico; gli edifici sono quasi tutti in abbandono, fatiscenti e meta di balordi e senza tetto. Da anni c‘è un grande progetto di riqualificazione, con demolizioni e riutilizzo. Vedremo. Le colonie sono state abbandonate principalmente perché dagli anni settanta in avanti, progressivamente le +famiglie italiane si potevano permettere le vacanze al mare ed i figli li portavano con loro e non più in colonia .

D. Accantonando l‘ipotesi di abbandono del manufatto, sinonimo di disfacimento del bene, considera più appropriata una continuità di utilizzo originario, oppure ritiene che, oggigiorno, questa soluzione sia del tutto obsoleta? R. La loro funzione primaria è quella più consona a mio avviso, bisognerebbe utilizzarle in maniera più attuale, come tra l‘altro si sta già facendo con alcune, creando dei soggiorni sportivi per ragazzi o cose del genere.

D. Parlando di progetti futuri, tornerà ad occupar si nuovamente del tema delle Colonie oppure questi edifici ormai non hanno più segreti per Lei? R. Ogni volta che vedo una colonia abbandonata avrei voglia di esplorarla, ma detto questo, il mio progetto sulle colonie si è concluso con la pubblicazione del libro Colonie. I prossimi lavori saranno dedicati ad altri argomenti.

allegati | stralci d‘opinione

FOTOGRAFO LORENZO MINI

potrebbe descrivere cosa rappresenta la fotografia per lei? Potrebbe essere considerata uno strumento d’indagine, di scoperta dell’esistente, oppure uno strumento in grado di riscoprire e raccontare realtà dimenticate?

61

LENTI SUL PASSATO


62

riferimenti e fonti

RIFERIMENTI E FONTI


sulla costa romagnola quale risorsa urbana e ambientale, Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna (a cura di), Grafis, Casalecchio di Reno 1986

+ Fredreich Achleitner, Paola Biadene, Edoardo Gellner, Mario Merlo, Edoardo Gellner. Corte di Cadore, Skira, Milano, 2002 + Eugenio Baila, Microbi, malattie infettive, disinfezioni, Edizione A. Vallardi, Milano, 1911. + Piero Bairati, Irene Cabiati, Gian Carlo Jocteau, Ai

monti e al mare: cento anni di colonie per l‘infanzia,

Fabbri, Milano,1990 + Valter Balducci, Architetture per le colonie di vacan+ za: esperienze europee, Alinea, Firenze, 2005 + Alfonso Corradi, Dell‘igiene pubblica in Italia e degli studi degli italiani in proposito in questi ultimi tempi, Annali universali di medicina, serie IV, volume 69, fascicolo 614-615, Milano,1868 + Valter Balducci, Un’architettura per l’infanzia. Colonie di vacanza in Italia, in I bambini nell’arte, in: “Quaderni. Associazione culturale pediatri”, (2011), numero 18 (gennaio + Clemente Busiri Vici, Il restauro del moderno. La

colonia marina “XXVIII ottobre” per i figli degli italiani all‘estero a cattolica, volume I, Tesi di Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica - XXI ciclo, Università degli Studi di Palermo, 2011

+ Stefano De Martino, Alex Wall, Cities of childhood: Italian colonies of the 1930s, Architectural Association, Londra, 1988 + Tommaso Fanfani, La nascita del turismo di massa nel secondo dopoguerra, in: ”Storia Economica”, McGraw‐ Hill, Milano, 2010+ + Franco Frabboni, Tempo libero infantile e colonie di vacanza, La Nuova Italia, Firenze 1971 + Pier Maria Furlan, (a cura di), I nuovi luoghi delle cure.

Comprendere, innovare, costruire, gestire, volume II. Ospedale e Territorio, Celid, Torino, 2006.

+ Edoardo Gellner, Percepire il paesaggio/ Living landscape, a cura di Valeria Fois, Mario Merlo, Skira, Milano, 2004 + Raffaello Giolli, La Colonia dell’AGIP a Cesenatico, in “Casabella”, (1938), numero 130 (ottobre), + Emanuela Guidoboni, Gianluca Valensise, L’Italia dei

disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali. 1861-2013, Bononia University Press, Bologna,

2003 + Mario Labò, Attilio Podestà, Colonie marine, montane, elioterapiche, Editoriale Domus, Milano, 1942 + F5anco Mancuso,, Edoardo Gellner : il mestiere di architetto o ; contributi di Rinio Bruttomesso, Electa , Milano, 1996 + Francesca Marzotto Caotorta (a cura di), Architetture da riscoprire, in: “Italia Nostra-Associazione Nazionale per la tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale della Nazione,” n. 482 (agosto-settembre), Gangemi Editore, Roma 2014

,+ HDorothea Deschermei, Impero ENI : l‘architettura aziendale e l‘urbanistica di Enrico Mattei, Darmian, Bologna, 2008

+ Armando Melis, Caratteri degli edifici: distribuzione,

+ vDaniele Donghi, Manuale dell’Architetto, La com-

posizione architettonica 1.1, Distribuzione, 1. Abitazioni civili, edifici religiosi, edifici per istituti di educazione, edifici di conforto, stabilimenti balneari, edifici per il servizio postale, telegrafico e telefonico, Unione tipografico editrice torinese, Torino, 1916

+ Lewis Paris, A Warm History of Modern Childhood

in: “Children‘s nature: the rise of the American summer camp”, New York University Press, New York, NY, 2010,

+ Daniel Peleman, Le colonie di vacanza e la trasformazione del litorale, in “Architetture per le colonie di vacanza: esperienze europee”, Valter Balducci, (a cura di), Alinea, Firenze, 2005 + Prasitele Piacentini, Per la idroclimatologia italiana, Cordani, Milano, 1933 + Carlo Albert Lio Ragazzi, Epicrisi delle colonie estive Lischi e figli, Pisa, 1932 + Gianluca Riguzzi, Giuseppe Vaccaro e la Colonia AGIP di Cesenatico, in “Rotary International Cervia – Cesenatico” n. 322, aprile 2000 + Jean Jaques Rosseau, Emilio, Paolo Massimi, (a cura di), Mondadori, Milano, 2013 + Sergio Sabbatani, La nascita dei sanatori e lo sviluppo

socio-sanitario in Europa ed in Italia, La lotta alla tubercolosi dal periodo post-risorgimentale al 1930, in “Le Infezioni in Medicina”, n. 2 (febbraio)

+ Umberto Cao (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Colonia Marina a Cesenatico 1936-38, Edizioni Clear, Roma, 1994

+ Gianluca D’Incà Levis, Dolomiti Contemporanee: un progetto di rete, in: “Forte Marghera/Parco del Contemporaneo. Dolomiti Contemporanee”, Editore Dolomiti Contemporanee, Belluno, 2013

+ Valentina Orioli, Cesenatico: turismo e città balneare fra Otto e Novecento, Allinea, Firenze, 2008

+ Giancarlovvv Sacchi, Franco Frabboni, Lucio Guasti,

Le rvadici sono davanti a noi. Storia della sperimentazione scolastica in Emilia Romagna, Tecnodid, Brossura, 2007 + Carlo Signorelli, Daniela D’Alessandro, Stefano Capolongo, Igiene Edilizia e Ambientale. Terza Edizione, Società editrice universo, Roma, 2007

proporzionamento, organizzazione degli edifici tipici, schemi funzionali, seconda edizione, Editrice Libreria Italiana, Torino,1943

+ Elvira Moretti, Dalla cura alla formazione: colonie

marine, montane, elioterapiche nel ventennio fascista,

Tesi di laurea Facoltà di Architettura, Milano Leonardo, Laurea in Architettura, Politecnico di Milano, Sessione ottobre, A. A. 2000/01 + Elena Mucelli, Colonie di vacanza italiane degli anni ‚30: architetture per l‘educazione del corpo e dello spirito, Alinea, Firenze, 2009

riferimenti e fonti

.+ A.A. V.V., Colonie a mare: il patrimonio delle colonie

+ Dan Dubowitz, Fascismo abbandonato: the children‘s colonie of Mussolini‘s Italy, Dewi Lewis Publ., Stockport, 2010

+ Marco Mulazzi (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Electa, Milano, 2002

63

BIBLIOGR AFIA R AGIONATA


ARCHIVI CONSULTATIHV V V

SITI WEB CONSULTATI + A.A., V.V., Ostello Sul Mare, Cesenatico - Emilia Romagna, in: ”Doc, Giovani e Culture in Movimento”, https:// cooperativadoc.it/site/gestioni/ostello-cesenatico/ [ ulltima cons. 29/12/2017].

+ Arcangelo Ilvento, Colonie Estive in “Treccani, Enciclopedia Italiana” http://www.treccani.it/enciclopedia/ colonie-estive_%28Enciclopedia-Italiana%29/ 1931, agg. 2006 [ultima cons. 2017/09/26]

+ Anonimo, Archivio Progettoborca: i risultati della prima Archim Summer School | 10 dicembre, ex Villaggio Eni Corte di Cadore, in: “Arch.I.M. – Archivisti In Movimento”, https://archivistinmovimento.org/author/archivistinmovimento/ [ultima cons. 22/12/2017].

+ Fulvio Irace, Fascism in ruins https://www.domusweb.it/en/architecture/2010/04/29/fascism-in-ruins. html Domus n. 659, volume 3, 1985 [ultima cons. 2017/09/30]

+ Marco Crespi, Giuseppe Barellai, in Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-barellai_(DizionarioBiografico)/ 1964, agg. 1998 [ultima cons. 2017/09/26]

+ Dario Palazzo, In colonia con la neve e il sole http://forumarchitettura.blogspot.it/2012/02/incolonia-con-la-neve-e-con-il-sole.html, [ultima cons. 2017/10/02] 10 febbraio 2012

+ Philippe Daverio, Il caso Gellner in: “Passpartout”, 28 aprile 2016, https://www.youtube.com/ watch?v=BAgAK9u_LJI

+ Alessandro Piredda, Enel Summer Camp https:// www.domusweb.it/en/photo-essays/2016/01/05/ alessandro_piredda_colonia_marina_enel_riccione. html5/ gennaio 2016 [ultima cons. 2017/09/29]

+ Gualtiero Gori, Le Colonie, in:” La storia. Città di Bellaria Igea Marina”, http://www.comune.bellaria-igeamarina.rn.it/citta/cms/page/storiamuseispettacolocolonie/ [ultima cons.28/12/2017].

Lucia Nardi, Enrico Mattei. Il fondatore di Eni. L‘uomo del futuro, in: “La nostra Storia”, 13 luglio 2017 https:// www.eni.com/it_IT/azienda/nostra-storia/enrico-mattei.page ultima cons. 15/11/2017][

+ Simona Politini, Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in Veneto. Progetto Borcha di Dolomiti Contemporanee, in: “Il Patrimonio in Italia”, https://archeologiaindustriale.net/2586_il-villaggio-eni-borca-di-cadore-progettoborca/ 20 novembre 2014 + Elisabetta Susani, Architettura. Cascina Costa Alta, Monza (MB), http://www.lombardiabeniculturali.it/ architetture/schede/MI230-00089/ 1995, [ultima mod.14/10/2016]. + Bernard Toulier, Les colonies de vacances en

France, quelle architecture https://insitu.revues. org/4088#tocto2n2 2008 [ultima cons. 2017/10/09]

+ Arne Winkelmann, Le colonie d‘infanzia dell‘Italia fas-

cista, Colonie Elioterapiche, Colonie Fluviale, Colonie Campestre http://www.lecolonie.com/colonie_elio-

terapiche.html 2015, [ultima cons. 2017/09/31] + A.A., V.V., Ostello Sul Mare, Cesenatico - Emilia Roma-

riferimenti e fonti

+ Alessia Forzin, Mondiali 2021 a Cortin, a, solo due anni e mezzo per realizzare tutti i lavori, in: “Corriere delle Alpi”, 19 maggio 2017 http://corrierealpi.gelocal. it/belluno/cronaca/2017/05/19/news/mHondiali-dueanni-e-mezzo-per-realizzare-tutti-i-lavori-1.15360271 [ULTIMA CONS. 23/12/2017]

+ Archovio Ufficio Gestione Territoriale del Comune di Cesenatico (SIT), Cesenatico (CE).

laria, Rimini, 27 ottobre 2017 http://www.linthout.it/ bolognese.html

+ Nicola Noro, La capanna prototipo del campeggio: rilievo e ricollocazione, in: “Attività. Architettura”, http://www.progettoborca.net/la-capanna-prototipodel-campeggio-rilievo-e-ricollocazione/ [ultima cons. 22/12/2017]

+ Dan Dubowitz, Fascismo Abbandonato. http://www. mirkomayer.com/dan-dubowitz ] 2010, ultima cons. 15/11/2017]

+ Archivio Fotografico Nanni,Biblioteca del Comune di Cesenatico, (CE).

+ Lorenzo Linthout, Ex Colonia Marina Bolognese, Bel-

+ Stefania Bertuccioli, Dai fasti degli anni ‚30 al declino dei ‚70 delle colonie marine tra cura e vacanze http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep it/2012/08/20/ news/dai_fasti_degli_anni_30_al_declino_dei_70_le_ colonie_marine_tra_cura_e_propaganda-40008066/ 20 agosto 2012, [ultima cons. 2017/09/29] + Alessandro Bugani, Decdence Il Sito dei Luoghi dimenticati, Le colonie marine, http://www.decadenceurbex.com/la-storia-delle-colonie 2015 agg. 2017 [ultima cons. 2017/09/28]

+ Anna De Salvador, Il Villaggio ENI a Borca di Cadore, Archivi, Architettura in “Progetto Borca”, http://www. progettoborca.net/anna-de-salvadoruna-scheda-sulvillaggio/ [ultima cons. 15/11/2017]

+ Archivio „Progettoborca“, Villaggio ENI, Borca di Cadore (BL)

64

+ Anonimo, Cesenatico, in Consiglio la delibera che cambia volto alle ex colonie di Ponente in: “Cesenatoday”, 22 ottobre 2015 http://www.cesenatoday.it/ cronaca/cesenatico-progetto-colonie-ponente-riqualificazione-delibera.html [ultima cons. 28/12/2017].

+ Lorenzo Linthout, Ex Colonie Marine al Calambrone, Tirrenia, Pisa http://www.linthout.it/colonie.html 2014, agg. 2017 [ultima cons. 2017/09/28]

+ Archivio Storico Politecnico di Milano, Campus <Leonardo (MI).


RINGRAZIAMENTI

65

ringraziamenti

In conclusione, sento il dovere di ringraziare tutti coloro la cui collaborazione è stata fondamentale per il completamento della tesi. A tal proposito seguendo un ordine casuale desidero ricordare per il prezioso aiuto per la pazienza e disponibilità l’arch. Michele Merlo, l’arch. E curatore di „Progettoborca“ Gianluca D’Incà Levis, il sig. Davide Marotta, l’arch. Paolo Cavallucci del SIT di Cesenatico, la gentile Monica Del Favero nonché il custode della Colonia Agip Alessandro Marranghino, alla Nives Milani, voce di „Radiocortina“, per lo spazio dedicatomi nella sua trasmissione. Inoltre desidero ricordare coloro senza il cui aiuto e sostegno questa tesi non sarebbe mai stata così: mio padre che si è prodigato accompagnandomi durante tutti i sopralluoghi, seguendo passo passo lo sviluppo della tesi. La mia famiglia che da sempre mi sostiene. Le mie coinquiline, in grado di rendere ogni fardello una piuma. La Prof.ssa Vanna Berlincioni, in grado di risolvere ogni mio dubbio e complessità. Infine, un grazie al prof. Ferdinando Zanzottera che ha acconsentito ad essere il mio relatore, seguendomi nella stesura di questa tesi.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.