Armando Fettolini. Il mio approdo.

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ARMANDO FETTOLINI

IL MIO APPRODO



Comune di Castel Rozzone

In collaborazione con Ponte 43

ARMANDO FETTOLINI

IL MIO APPRODO

A cura di Gianpietro Resmini Testi Simona Bartolena Beatrice Resmini Progetto grafico Ponte 43 Fotografie Archivio Armando Fettolini Stampa Art Center Bernareggio

25 settembre / 23 ottobre 2021 Salone Esposizioni Comune di Castel Rozzone

PONTE quarantatre


L’approdo e la ripartenza Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta... (Alessandro Baricco, Oceano Mare)

Strade. Paesaggi. Cieli tersi o percorsi da nuvole rapide e mutevoli. E poi ancora strade. Ma anche piazze, tavoli su cui pranzare, incontri, bicchieri di vino. Il viaggio è una condizione che negli ultimi anni Armando Fettolini ed io abbiamo condiviso in più occasioni, macinando chilometri su chilometri senza mai ignorare il senso di ogni metro percorso, di ogni luogo attraversato. Ogni spostamento un’emozione. Ogni emozione un motivo di riflessione, di crescita, di immaginazione, di poesia. Armando è viandante come “condizione mentale”, anche quando resta a casa: sa viaggiare perché sa vivere fino in fondo ogni nuova esperienza, sa guardare, sa imparare. La sua arte è sempre stata in viaggio. Panorami dell’anima e della mente, plasmati sulla tavola con il suo gesso e la sua materia spessa, con i suoi colori e con le croste della sua esistenza intrappolate nella trama pittorica… Cieli e mari, distese infinite di blu, fin dove il confine, proustianamente, si annulla e non è più possibile distinguere l’orizzonte; universi attraversati da stelle salenti che elevano a certezze i nostri desideri, acque che si infrangono su scogli simboli di speranza, cime di monti rocciosi che ci ricordano l’incanto della Natura: da sempre ci sono mondi attraversabili nei dipinti di Armando Fettolini, mondi in cui perdersi e sognare, smarrirsi e ritrovarsi. Da qualche tempo la sua tavolozza ha incontrato il blu e l’ha scelto come compagno di viaggio, segnando una svolta nella ricerca dell’artista. Il blu, colore dell’assoluto e dell’infinito per eccellenza, ha esaltato la vocazione spirituale della pittura di Fettolini, ma l’ha anche spinta verso l’astrazione, con opere che conservano flebili tracce di figurazione, per lasciar spazio a visioni cromatiche e campiture geometriche quasi da color fields. Dopo aver indagato a fondo l’animo umano, raccontandolo in una serie di temi interpretati con straordinaria personalità (Dal mondo degli strani, Giuda Iscariota uomo di città, Corpi in viaggio, Cacciatori e cacciati, Randagi…, solo per citare alcuni dei cicli pittorici più noti), Armando si è abbandonato alle correnti dei suoi sterminati paesaggi, spesso definiti Derive occasionali, opere che un tempo costituivano il momento di pausa tra un ciclo e l’altro e che hanno finito con il diventare le protagoniste della sua produzione. Ma il suo pensiero errabondo non si è fermato: sono nate altre serie, quali Non lontano dai piedi, che hanno sottolineato il ruolo del viaggio, del vagabondaggio (fisico o mentale poco conta), del cammino. Ho sempre pensato che ci fosse una strana dicotomia tra questa propensione raminga della mente dell’artista e il suo solido attaccamento all’idea di famiglia, con i suoi quattro figli, che costituiscono per lui un punto di riferimento imprescindibile. Forse “perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte” – giusto per proseguire con le citazioni da Baricco –, Armando Fettolini ha sempre avuto il suo riferimento stabile, e ha cercato un equilibrio tra la sua situazione di artista libero pensatore (e dalla vocazione vagamente anarchica) e la sua condizione di padre. La contraddizione è solo apparente. È la medesima divisione tra cielo e terra, carne e spiritualità, immaginazione e concretezza del quotidiano che presenta tutta la sua ricerca, dai suoi paesaggi ai suoi adorati cani randagi: una convivenza di mondi affascinante e ricca di motivi di ispirazione, ma anche capace di generare momenti di crisi, di disequilibrio, di battaglia con se stesso. Ci sono state onde alte e sferzanti nella vita

e nella ricerca pittorica di Armando, ma non è mai mancata la fiducia in tempi migliori, nel ritorno del sole, che comunque sorge ogni mattino, che lo si attenda o no. E non è un caso che la parola Speranza ricorra spesso nei suoi lavori, in particolare in una serie recente, nella quale protagonista è uno scoglio, travolto dai flutti ma solido e sicuro, almeno per un momento di riposo, prima di riabbandonarsi al mare. La Speranza per Fettolini non è un concetto che porta all’immobilità: la Speranza non si aspetta come grazia divina, la Speranza si guadagna a bracciate, affrontando l’acqua agitata e il suo sale. È per lo stesso motivo, del resto, che per lui le stelle non cadono ma salgono. Come già accennavo, la stella salente non concede l’attesa passiva: il desiderio non va espresso, va realizzato. Dopo un periodo emotivamente molto complesso, che ha generato in lui una condizione di straordinaria positività, Fettolini ha trasformato la roccia percossa dai flutti nella monumentale solidità di una montagna. Lo scoglio è diventato il Cervino, protagonista dei suoi lavori più recenti; le onde rabbiose si sono trasformate nelle onde magnetiche dei pensieri, in vibrazioni emozionali, prima tradotte nei segni a ventaglio che percorrevano graffiandola la superficie pittorica (nelle sue opere dalla connotazione più astratta) e poi trasformate in pennellate orizzontali, dinamiche e rapide, quasi disturbanti la nitidezza dell’immagine. Gli orizzonti senza confini hanno trovato un punto fermo: la sagoma sicura del Cervino – assoluta e titanica, dall’afflato romantico, certamente dall’ascendenza simbolista (del resto Böcklin, Whistler e Segantini hanno sempre abitato l’immaginario di Armando) – è l’immagine della raggiunta stabilità dell’artista. Il nuovo equilibrio. L’approdo, appunto. Dove approdo, sia chiaro, non significa punto di arrivo. Significa pienezza, armonia, serenità, libertà. A dispetto di quanto i luoghi comuni insegnino e dei retaggi romantici, non è sempre vero che un artista crea meglio quando soffre. Frequentandolo, negli anni ho ben messo a fuoco questa caratteristica di Armando Fettolini: lo stato di tensione in lui non genera creatività. Quando le onde sono troppo alte e i pensieri troppo cupi, Armando ripone gli strumenti dell’arte, nascondendo i pensieri e le idee in un angolo remoto del sé, dove li conserva con attenzione anche per mesi. Rivederlo al lavoro con passione e trasporto significa anche avere la certezza di un suo benessere mentale. Il fuoco creativo che ha caratterizzato questi ultimi mesi non è, dunque, un caso. Le sue opere più recenti, realizzate in parte proprio pensando a questa esposizione, sono frutto di una vera e propria esplosione creativa che ha travolto anche la tecnica pittorica, non solo i temi iconografici. Il blu è rimasto (ed è ormai un vero e proprio simbolo della sua pittura), ma è stato messo in dialogo con abbagli di bianco e luminosi colpi di giallo: un ritorno, questo, a due colori in passato assai cari all’artista, che riemergono ora con prepotenza. Ritrova un ruolo preponderante anche la materia, che è da sempre molto presente nella ricerca di Fettolini, ma che nelle ultime serie aveva giocato un ruolo minore cedendo il palco al predominio del colore, alla pennellata raffinata e al gesto pittorico. Anche la carta, su cui l’artista lavora fin da ragazzo, trova una nuova veste, trasformandosi nella sagoma di una montagna, nel profilo di un complesso roccioso. All’intelligenza del mestiere (di cui Fettolini, dopo quarantacinque anni da pittore professionista, è ben padrone) si sostituisce l’istinto quasi ingenuo dell’artista che ha ancora voglia di sperimentare, di cercare, di sporcarsi le mani e, soprattutto, di divertirsi. La serenità dell’approdo ha quindi indicato nuove vie, tutte da percorrere. Le strade che abbiamo percorso hanno aperto splendidi orizzonti. Senza perdere il punto di ritorno, ma riaccendendo la magia del viaggio. Simona Bartolena


Il mio approdo Approdo, nella lingua italiana, è “Giungere a riva”, “Località litoranea, anche di fortuna, dove si può approdare”, “Risultato, esito positivo di un’azione” (vocabolario Treccani). Basterebbero queste tre definizioni, unite alle empatiche opere di Armando Fettolini, per spiegare questa esposizione, ma anche per andare oltre, e raccontare, in queste opere recenti, il viaggio percorso dall’artista per arrivare qui. Personalmente mi ha colpito la seconda definizione, dove appare la precisazione “anche di fortuna”. Introduce il concetto che l’approdo non si identifica necessariamente con una meta prescelta, che non sempre è frutto delle nostre decisioni razionali e ponderate, ma che può essere qualcosa di sconosciuto, di inaspettato, di non previsto. L’approdo infatti non è semplicemente una meta, è una necessità. Si caratterizza per la sua provvidenzialità. L’approdo è qualcosa di agognato, immaginato, atteso, e infine accolto con sollievo. All’approdo si giunge per definizione dopo un viaggio, non importa quanto confortevole o periglioso, perché in entrambi i casi gli orizzonti cambiano, i punti di vista sono nuovi, lo sguardo incontra luoghi, contesti, sfondi inusuali. Ma per quanto straniante sia stato il viaggio, l’approdo reca in sé un’altra caratteristica, quella di essere un luogo dove decidiamo di gettare l’ancora, perché in questo luogo ci riconosciamo a casa, al sicuro. Non tutte le rive sono approdi, non tutti i porti ci invitano a fermarci, non tutte le mete si rivelano casa nostra. Affinché un luogo diventi vero approdo si deve originare una simbiosi istintiva tra il viaggiatore e il luogo stesso. Questo è l’approdo a cui giunge oggi Armando Fettolini. E noi di Castel Rozzone siamo particolarmente lieti che proprio qui abbia voluto condividere questo “luogo sicuro”, qui in un paese che ha le sue origini proprio nella necessità di una famiglia, in fuga da una situazione politica preoccupante, di trovare “approdo” 1. Armando Fettolini è dentro al mondo dell’arte con le mani e con i piedi. Prima di tutto artista, ma anche sostenitore dell’arte in un senso più ampio con il suo essere grafico, curatore, promotore. Nella sua ricerca continua e incessante è evidente la dicotomia tra carne e spirito, tra materia e respiro, tra forma e colore, tra figurazione e astrazione. Il suo lungo percorso artistico lo ha portato a indagare l’uomo in tutte le sue forme, l’essere umano così perfetto eppure così fragile, capace di creazione e distruzione. Nella ricerca di ogni artista, come nella vita di ognuno, ci sono però eventi, o momenti, in cui tutte le mete raggiunte sembrano vacillare e allora è tempo di rimettersi in viaggio, di cambiare rotta e di esplorare nuovi mondi. Proprio questo ha fatto Armando Fettolini, che in questa esposizione mette in mostra opere inedite che creano un discorso nuovo, un delicato canto alla speranza e alla vita. Non abbandona la sua cifra stilistica – che, volendo rimanere nella metafora del viaggio in mare, rappresenta la nave che permette a Fettolini di esplorare – rimanendo fortemente riconoscibile nelle larghe pennellate che sembrano cercare un’apparente quiete, un equilibrio perlomeno di superficie. 1) Castel Rozzone nasce infatti come stanziamento della famiglia Rozzone, in fuga dalla Milano assediata dalle truppe di Federico Barbarossa.

Nel suo percorso la tavolozza, da sempre fortemente protagonista della sua opera, si rarefà: il blu diventa protagonista nelle sue infinite sfumature e stratificazioni. Il blu che è cielo e mare, profondità e altitudine, orizzonte e prossimità, viaggio e arrivo. Accanto al blu, avvolto a lui, intriso quasi di lui, il bianco, contrappunto perfetto, ghiaccio, freddo, abbraccio, sostegno, assenza e presenza allo stesso tempo. Il nero, con la sua possente presenza, si mette in queste opere quasi a servizio delle altre tonalità, rinforzandone la voce, abbassandone i toni, risaltandone il calore. Così il giallo, che quasi ci sorprende, ma che ci scalda da dentro, ci fa sentire accolti, vivi, presenti, carichi e soprattutto coinvolti in un esperienza che non è solo quella dell’artista ma è anche quella di ciascun visitatore. E queste tinte, mirabilmente combinate tra loro con una perizia tecnica e estetica figlia di anni di lavoro, ricerca e esperienza, cosa vanno a creare davanti ai nostri occhi? Forme che affiorano, rilievi che si dipanano davanti al nostro sguardo, nebbie che si diradano. Eccolo, è il momento stesso dell’approdo, è l’attimo in cui, forse stanchi del viaggio, preoccupati, ansiosi, vediamo aprirsi davanti a noi la tanto attesa e cercata riva e la nostra anima si riempie di gioia, stupore. I polmoni si gonfiano di sollievo, la schiena si raddrizza improvvisamente rivitalizzata nel tentativo di vedere di più, di lanciare lo sguardo più lontano. È il momento in cui la speranza, fino allora sentimento astratto, si fa concretezza. È anche il momento del riconoscimento e della scelta. Approdo infatti non è solo un sostantivo. È anche un verbo. Approdo, cioè scelgo di fermarmi qui. Scelgo di esplorare questo mondo sconosciuto, di sostare anche solo per un attimo e abbeverarmi di questa nuova riva, di questo nuovo mondo, perché so che questa esperienza mi permetterà di rimettermi in viaggio come un uomo nuovo, ricaricato e trasformato. L’approdo di Armando Fettolini ci restituisce opere di poetica armonia, in cui la convivenza di bidimensionalità e tridimensionalità ci suggerisce che nulla è mai fermo, che è sufficiente muovere un passo perché i nostri punti di vista cambino e cambino anche la percezione che abbiamo della realtà e le nostre convinzioni. Delicatamente e quasi sottovoce Armando Fettolini ci invita e rimetterci in discussione, a cercare nuovi mondi, a farci sorprendere da orizzonti sconosciuti. Ringrazio Fettolini per aver condiviso con noi il suo approdo: per molti di noi questi ultimi mesi hanno rappresentato uno stravolgimento della propria vita, lo sgretolarsi del prima in favore di un dopo ancora indefinito, che fa paura. Ma in queste opere proprio il non definito – da possibile fonte di preoccupazione - diventa simbolo di speranza: laddove sembrava esserci il nulla qualcosa appare, lì, dove l’orizzonte sembrava concluso, si manifesta un nuovo inizio. Beatrice Resmini


Appunti di viaggio, 2021 grafite su pagine di Molenskine

Approdo, 2021 polimaterico su tavola 50x40 cm


Il mio scoglio, 2021 polimaterico su tavola 105x185 cm


Appunti di viaggio, 2021 grafite su pagine di Molenskine

Approdo, 2021 polimaterico su tavola 50x40 cm


Dall’alto, 2021 polimaterico su tavola 50x40 cm

Oltre le stelle, 2021 polimaterico su tavola 140x99 cm


Approdo 1, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm

Approdo 2, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm


Approdo 3, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm

Approdo 4, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm


Approdo 5, (particolare) 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm

Approdo 5, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm


Approdo 8, 2021 carta velina, carta Hahnemuhle, acrilici 92x66 cm

Approdo 6, 2021 carta velina, carta palatina e acrilici 50x35 cm


Approdo 7, 2021 carta velina, carta Hahnemuhle, acrilici 92x66 cm


Il mio scoglio, 2021 polimaterico su legno 60x60 cm

Appunti di viaggio, 2021 grafite su pagine di Molenskine


Appunti di viaggio, 2020 grafite su pagine di Molenskine

Sogno/Realtà, 2021 polimaterico su tavola 50x99 cm ognuno


Frammentazioni in 5G, 2021 polimaterico su tavola 36x53 cm ognuno


Nel sogno, 2021 polimaterico su tavola 95x90 cm

Nel sogno (verso l’alba), 2021 polimaterico su tavola 17x20 cm ognuno


Armando Fettolini è nato a Milano nel 1960. La passione per la pittura lo accompagna fin dall’infanzia, tanto che già a quindici anni viene preso a bottega da un affreschista, Nicola Napoletano. A diciotto anni riceve i primi riconoscimenti artistici ufficiali e nel 1987 si tiene la sua prima mostra personale in quello che allora è un vero crocevia di artisti, la Trattoria Giuliana di Bernareggio. Ancora giovanissimo presenta già una serie dalla forte personalità: L’albero romantico, che segna anche il primo passo di Fettolini nella direzione del paesaggio inteso come luogo dell’autoanalisi e dell’indagine più intima. In occasione della mostra conosce Arturo Vermi, che decide di scrivergli un testo per accompagnare le opere esposte. Il 1997 è l’anno dell’ingresso ufficiale nel mondo del mercato dell’arte con la Galleria Mari Arte Contemporanea con la quale partecipa alle principali fiere d’arte nazionali e internazionali, esposizioni in luoghi pubblici deputati all’arte e musei, con mostre personali e collettive. Negli stessi anni comincia a esporre anche all’estero, raccogliendo numerosi riconoscimenti. La sua ricerca di questo periodo è all’insegna di una riflessione sul corpo come sorgente di vita e sulla spiritualità, venata da un profondo sentimento religioso. Quella di Fettolini è una religiosità privata, intima, non codificata, che gli offre un punto di vista privilegiato sul Mondo; un Mondo che lui non smetterà più di osservare, con occhio curioso, mai giudicante, sempre pietoso ma mai pietistico. A quarant’anni la ricerca di Fettolini è giunta già a una notevole maturità. Il suo inconfondibile modo di mettere in dialogo materia e colore rende le sue opere immediatamente riconoscibili, forti di una cifra stilistica personale e sicura. I temi delineatisi nei decenni precedenti hanno ormai preso forma, costituendo una sorta di ossatura su cui costruire sempre convincenti riflessioni sulla condizione umana, in un costante dibattersi tra corpo e spirito. Nel 2000 Fettolini riceve a Parigi il 5° Award Arjo Wiggins come miglior creativo italiano. A dicembre dello stesso anno inaugura a New York una personale alla galleria Art54; seguiranno mostre in Spagna, Francia, Corea del Sud, Germania, Lussemburgo, Slovacchia, Svizzera e in molte importanti location pubbliche e private italiane. La sua ricerca si delinea con sempre maggior evidenza, trovando i propri punti di forza. Nel 2001 nascono le Scorie in sospensione, forme che evocano otri rovesciate dalle cui cavità sgorgano segni, ferite, talvolta teschi. La bellezza ferita, oltraggiata ma forte nella sua orgogliosa dignità, delle superfici pittoriche di Fettolini diventa così una sorta di allegoria dell’esistenza umana, con i suoi equilibri precari, la sua instabilità, il suo ordine contrapposto al disordine, nel necessario alternarsi di vita e morte. Gli ultimi – emarginati, diversi, le vittime del nostro quotidiano – entrano nella sua ricerca diventandone attori protagonisti. E con loro entra la figura di Giuda Iscariota – destinata a trovare un ruolo di primo piano nella poetica dell’artista – colui che siede dall’altra parte del tavolo, il traditore, emblema dell’indispensabilità del male per generare il bene, monito per chiunque osservi l’altro come altro e non come possibile parte di sé. Gli altri, quelli strani, quelli che non sono come noi, offrono anche il motivo per un’esperienza tra le più struggenti e intense del suo percorso: Dal mondo degli strani. Sulle sue superfici crettate, ferite, lacerate, Armando disegna ora teste, corpi, figure senza volto, senza identità. Sono tracce di un’umanità senza nome, reietta; figli di un dio distratto che vivono ai margini del tessuto sociale. Un invito a uscire dagli stereotipi, a cercare il diverso che è in noi, coltivando anche quegli aspetti che le convenzioni sociali ci impongono di ignorare o addirittura di combattere. L’esperienza de Dal mondo degli strani trova il proprio momento di massima espressione


nell’installazione realizzata dall’artista nell’Ex Ospedale psichiatrico dell’Osservanza a Imola, nel 2006. In questo percorso che si snoda e si dipana nei meandri più complessi dell’animo umano, spostandosi dalla sfera individuale a quella universale, riemerge costantemente il tema del paesaggio. Dagli inizi del Duemila in poi le cosiddette Derive occasionali rappresentano, senza dubbio, una costante nella produzione dell’artista, il filo che attraversa tutta la sua ricerca. Le Derive occasionali rappresentano un viaggio interiore, un racconto biografico, quasi un diario emotivo, che fa dell’esperienza privata un tema di riflessione che ciascuno potrà interpretare liberamente, trovando un punto di vista e un significato soggettivi. Nelle prime Derive occasionali il colore evoca spazi sospesi, plasma rocce avvolte in una coltre di foschia, suggerisce atmosfere di ascendenza turneriana. La cifra stilistica è sempre personale e riconoscibile: pennellate dense, stese con gesti istintivi e sicuri, schizzi di dripping sapientemente messi in dialogo con superfici materiche, nelle quali il colore permea una crosta gessosa, in un rimando continuo tra sensazioni visive e tattili. Colore a materia si spartiscono la scena, in un costante e necessario dialogo tra le parti. Il bianco comincia a farsi il cardine su cui giocano le altre tonalità, il colore di riferimento, la base su cui costruire la composizione: un bianco declinato in tutte le sue variabili possibili che si mette in dialogo con altri colori, che vanno da sapienti toni di giallo a inaspettati accenti di rosa, di viola, di azzurro, tonalità vibranti, declinate nelle più sottili nuance, intrise di una luce cangiante, avvolgente. In molte opere Fettolini sfiora l’astrazione, lasciando che il soggetto diventi quasi un pretesto: uno spazio in cui liberare le proprie emozioni e le proprie riflessioni attraverso il colore. Progressivamente all’idea di paesaggio si sovrappone quella di viaggio. Nascono serie come Corpi in viaggio e Non lontano dai piedi. Negli stessi anni entrano nei paesaggi dell’artista anche altre presenze: le prede e i predatori di Cacciatori e cacciati, i cani errabondi del ciclo dei Randagi. Un’altra metafora esistenziale che intende aprire una riflessione sulla reale identità dell’essere umano, con i suoi vizi e le sue virtù. Intorno al 2016 Fettolini comincia ad adottare nella propria tavolozza il colore blu. Le sue Derive diventano visioni sempre più sul filo dell’astrazione. La scelta frequente del taglio verticale e la scansione dello spazio in larghe campiture di colore contribuiscono a suggerire color fields più che paesaggi tradizionali. Nell’infinito del blu, nella sua complessità e ambiguità, l’artista trova il proprio mondo espressivo perfetto, un luogo nel quale il suo essere sacro e profano, spirituale e fisico. In un crescendo di positività e serenità, nascono così le sue ultime serie pittoriche: i Contrappunti, le Trame e le Vibrazioni – di natura astratta –, le Stelle salenti, gli Scogli della speranza e gli Approdi. Tra le sue ultime personali: Blu agostino, Como, San Pietro in Atrio; 2018, Immergersi nel cielo; Piacenza Biffi Arte, 2018; L’infinito in un quadrato, Università Bocconi, 2019; 180 da qui, Arcore Villa Borromeo d’Adda, 2020. Dal 2009 si dedica anche alle opere pubbliche, aggiudicandosi commesse che gli permettono di indagare nuovi aspetti della comunicazione artistica, quali la relazione tra opera e territorio. Di lui hanno scritto alcune delle più importanti firme della critica contemporanea. Numerose le pubblicazioni a lui dedicate. Armando Fettolini oggi vive e lavora a Viganò, in provincia di Lecco.



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