Contemporaneo in Accademia

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Ente organizzatore della mostra Museo Civico “Ernesto e Teresa Della Torre� - Treviglio Progettazione espositiva e testi Beatrice Resmini Allestimento Francesco Meni Beatrice Resmini Flavia Facchi Trasporti Squadra operai del Comune di Treviglio Fotografie Accademia Tadini di Lovere Tino Belloli


Crescit Eundo E’ il nome che abbiamo attribuito alla mostra realizzata dall’Accademia Tadini nel 2003 come anteprima della costituenda Galleria d’Arte Moderna e contemporanea che avremmo poi inaugurato nel 2004. Volevamo dare il senso di un Museo dinamico, capace di ampliarsi aprendosi alle nuove tendenze dell’arte, perché eravamo convinti, come lo siamo ora, che l’Accademia Tadini doveva continuare a crescere per offrire al suo qualificato pubblico argomenti sempre più stimolanti. L’idea di promuovere iniziative per incrementare le raccolte si perde nella notte dei tempi. Ciò che abbiamo cercato di fare è stato promuovere le donazioni creando situazioni coinvolgenti per gli amanti dell’arte. Così abbiamo realizzato nel 1994 l’Atelier del Tadini, area espositiva dedicata all’allestimento di mostre, con la deliberata scelta di stimolare gli espositori a donare opere al Museo già manifestando l’intenzione di realizzare i nuovi spazi espositivi che in effetti abbiamo aperto dieci anni dopo. Abbiamo quindi cercato di attualizzare il messaggio che il Conte Luigi Tadini, fondatore dell’omonima Accademia grazie al suo lascito testamentario redatto nel 1828, ci ha indirizzato. Egli ha fatto costruire un immobile destinando le ventitré sale del piano nobile ad ospitare le sue importanti raccolte di dipinti, sculture, ceramiche e porcellane, armi, archeologia, biblioteca storica e lasciando per futuri ampliamenti il piano sottotetto ristrutturato per ospitare la Galleria d’arte moderna e contemporanea. La lungimiranza del Conte si ritrova anche nella scelta di destinare il piano terra ad attività commerciali con la precisa finalità, ancor oggi più che valida, di sostenere economicamente le attività del MuseoSempre nel 1994 prende il via la rassegna EuropArs che stimola undici mostre 3


ufficiali allestite con i maggiori galleristi milanesi più altre collaterali che hanno consentito di raccogliere molte delle opere, che qui trovate esposte, che offrono uno spaccato dell’arte contemporanea europea. Solo in questo modo, grazie alla generosità degli organizzatori e del pubblico, l’Accademia Tadini è venuta in possesso di opere ormai consacrate che continuano a rappresentare correnti ed espressioni di pensiero più vicini ai nostri giorni. La proposta di spostare questa collezione, nata dalla collaborazione con i Musei civici di Treviglio, in concomitanza di una mostra importante dedicata dal Tadini a Giorgio Oprandi negli spazi museali dell’Accademia, ci ha trovato subito interessati e disponibili consci che dobbiamo favorire la conoscenza dell’arte e il piacere di gustarla in forme e modi sempre più attuali. Stavolta si sposta la montagna … e siamo convinti ne sia stata una scelta giusta.

Roberto Forcella Presidente Fondazione Accademia di Belle Arti Tadini Onlus Lovere

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Il rischio c’è: se “musealizzi” qualcosa la metti sotto vetro, lo rendi elemento immutabile, lo congeli in una forma ed in un luogo e stop. La sua vita, almeno per quanto riguarda una dimensione “dinamica”, sembra finire lì, e la creazione d’arte nasce alla vita “passiva”, quella della contemplazione, della visita guidata e, purtroppo, anche quella delle comitive di studenti “deportati” in viaggio-d(’)istruzione. Capita invece anche che i Musei “si muovano”, che le collezioni vengano fatte vivere in luoghi nuovi, con pubblici nuovi ed iniziative nuove. Ed è questo il nostro caso: con l’Accademia Tadini nasce uno scambio che apre un’interazione possibile, una condivisione virtuosa e non solo virtuale. La Mostra che ospitiamo con piacere nella Sala Crociera nasce da questo desiderio di condivisione, dalla volontà di far vivere una collezione museale che nasce nella contemporaneità con una condivisione tanto tradizionale quanto innovativa. È tradizionale perché anche in altre circostanze abbiamo ospitato a Treviglio collezioni di Accademie o Musei; è innovativa perché la casa del Premio “Città di Treviglio” che quest’anno arriva alla sua quinta edizione con il tema “colore semprevivo” si apre alla contemporaneità che fa ordinariamente mostra di sé in altro luogo. C'è una sfida che si apre, quindi, e due collezioni che intessono un colloquio: tra Lovere e Treviglio nasce un dialogo che può continuare quando sapremo farlo proseguire, stimolando incontri, contatti e momenti di relazione che ci aiutino a far vivere e condividere il bello che ospitiamo nelle nostre Città.

Giuseppe Pezzoni Assessore alla Cultura

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“Non esagero: per l’autentico bibliomane l’acquisto di un vecchio libro significa la rinascita. E' appunto in ciò che sta l’aspetto infantile che, nel collezionista, si compenetra con quello del vegliardo. I bambini, infatti, dispongono della capacità di rinnovare l’esistenza come di una prassi centuplice e mai in imbarazzo. Per loro il collezionare è uno tra i tanti metodi di rinnovamento” (W. Benjamin, Tolgo la mia biblioteca dalle casse)

Libri, opere d'arte, oggetti, insetti, animali...perché l'uomo colleziona? Da secoli, fin dall'antichità – basti pensare ai corredi funebri – l'essere umano ha avvertito la necessità di collezionare per poi “mettere in mostra” la relazione creata fra se stesso e l'oggetto. Che il fine fosse escatologico, esoterico, di puro piacere o didattico poco importa: una collezione racconta una storia, una storia d'amore che abbiamo il compito di preservare e di continuare a raccontare. L'acquisizione e l'esposizione di opere d'arte contemporanea all'interno di collezioni storiche altro non è che questo: continuare a raccontare una storia d'amore, renderla viva e presente oggi. Si cambia, ci si rinnova ma si mantiene viva la propria identità: ecco il senso di questa mostra. Il mio più sentito ringraziamento va a Marco Albertario per quello che mi auguro possa essere il primo capitolo di una nuova storia da scrivere insieme.

Elisabetta Ciciliot Direttore del Museo Civico di Treviglio

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La mostra


L’Accademia Tadini di Lovere e il Museo Civico di Treviglio si incontrano in questa esposizione su un terreno che apparentemente esula dal loro territorio d’interesse principale: l’arte contemporanea. Nei due musei hanno infatti sedi raccolte che pescano le loro origini nel collezionismo privato ottocentesco. Ma le origini non sono tutto. Sia l’Accademia Tadini di Lovere sia il Museo Civico di Treviglio infatti sentono fortemente la vocazione ad essere contemporanei. Vero è che fin dall’origine recano in loro la spinta ad essere per i visitatori uno stimolo presente e costante e non una semplice e nostalgica finestra sul passato. Hanno l’intento di diventare punto di riferimento culturale, o almeno uno dei punti di riferimento, dei visitatori d’oggi, di qualunque oggi, l’oggi del 2018 come l’oggi del 1828, anno di fondazione dell’Accademia Tadini di Lovere o l’oggi del 1963, anno nel quale nacque il Museo Civico di Treviglio. Le loro origini rispecchiano, ognuna con le proprie peculiarità, quel collezionismo illuminato che ha fatto sì che a partire dalla fine del ‘700 proliferasse il concetto che la collezione d’arte, da bene privato, potesse diventare bene pubblico, anzi, dovesse diventarlo. Il Conte Luigi Tadini diede il via all’Accademia che poi prese il suo nome in un palazzo di sua proprietà, collocando personalmente e con cura le opere, immaginando una disposizione che ne valorizzasse i pregi, che facesse in modo che ogni opera parlasse ai visitatori, stupiti, appagati e arricchiti dalla visita. Il dottor Pieluigi Della Torre non poté arrivare a tanto ma vincolò il proprio lascito alla creazione di un museo cittadino, fino ad allora ancora mancante, con la perentoria raccomandazione che le opere fossero conservate ed esposte con rispetto e dignità e soprattutto fossero visibili, visibili e ancora visibili. Passarono alcuni anni prima che a Treviglio si presentasse l’opportunità di avere effettivamente a disposizione uno spazio adeguato, ma da subito fu soddisfatta quella incalzante raccomandazione all’esposizione pubblica grazie all’utilizzo dei locali della Biblioteca Civica e degli uffici comunali. Il caso volle poi che, con il riadeguamento dei locali dell’ex ospedale di Treviglio in funzione dell’apertura del nuovo 8


Centro Civico, il Museo andasse a collocarsi proprio dove il prof. Della Torre aveva vissuto e lavorato come primario fino a poco prima della sua morte. I due musei nascono quindi per rispondere all’esigenza contemporanea di offrire la possibilità alle persone di arricchirsi culturalmente. La contemporaneità è quindi insita nella loro stessa natura, ma in fondo lo è nella natura stessa dell’arte. La spinta alle esigenze contemporanee delle due istituzioni museali è rispecchiata anche dalla volontà di accrescere il proprio patrimonio attraverso donazioni e acquisizioni, una scelta non del tutto scontata. L’aumento del patrimonio non è certo una cosa da poco: significa necessità di spazi, necessità di una rivisitazione dell’allestimento al fine di dare il giusto rilievo alle nuove acquisizioni ma di mantenere il dialogo con le vecchie. Inserire un’opera in più comporta sempre un lavoro di mente e di braccia, soprattutto se le opere che si vanno ad inserire sono o cronologicamente o tipologicamente distanti dai nuclei iniziali. Eppure né l’Accademia Tadini di Lovere né il Museo Civico di Treviglio si sono mai sottratti. Molte donazioni si sono susseguite negli anni successivi all’apertura dei Musei, che le hanno accettate valorizzando così un altro dei pilastri sui quali poggiano: il legame affettivo con il territorio e con i collezionisti che lo abitano. In questo slancio alla crescita questi due Musei vanno a braccetto, nella consapevolezza che l’arte contemporanea non è cosa diversa dall’arte moderna o medievale perché ogni arte rispecchia il contesto culturale e sociale nel quale è nata. D’altra parte l’arte contemporanea è un prosieguo dell’arte che l’ha preceduta. È vero che mai come nell’ultimo secolo si è verificato un velocizzarsi dei mutamenti stilistici, un proliferare di nuove possibilità tecniche che hanno fatto sì che si rimanga forse un po’ frastornati e a volte scettici davanti a così tanta difformità. Vero anche che manca quella distanza temporale che fa sì che gli stimoli maturino e sia più chiaro quale artista, stile o opera segnerà un netto scatto in avanti nello sviluppo artistico e quale si rivelerà invece una meteora. 9


Ma un museo ha la caratteristica di non essere una galleria. Lo scopo, nell’ampliare le collezioni aprendole alle ultime produzioni artistiche, non è quello di ‚azzeccare‛ il meglio sul mercato, ma quello di dare visibilità alle nuove istanze che in ogni caso stanno muovendosi nell’arte, di rispecchiare il contesto artistico odierno così come quello passato, e il contesto artistico è fatto dal capolavoro ma anche dalle opere e dagli artisti meno rinomati forse, ma ugualmente capaci di trainare il cambiamento. In questa ottica i Premi promossi dai due Musei, così come da altre istituzioni, incarnano uno dei mezzi più felici per mappare la situazione artistica nazionale e internazionale. Premi, ma anche giurie che sappiano portare avanti a decenni di distanza quel concetto di collezionismo illuminato che ha dato origine all’Accademia Tadini di Lovere, al Museo civico di Treviglio così come a molte altre istituzioni. I premi d’arte contemporanea rappresentano infatti un momento privilegiato durante il quale gli artisti si propongono all’attenzione della critica prestandosi a confronti, a accostamenti, a dialoghi con altri artisti contemporanei ma anche con storici dell’arte. Sono intensi momenti di scambio e relazione. Sono un brainstorming culturale durante il quale ogni componente si mette in gioco. L’artista accetta di essere in un certo qual modo valutato, criticato, messo in discussione. Il critico d’arte dall’altra parte sa che sarà per lui un momento di provocazione, una tempesta di nuovi esiti, un improvviso e energico apporto al proprio bagaglio artistico che sarà costretto ad ampliare. Da questo incontro e lavoro di scambio e crescita scaturisce l’esito del Premio, che non è altro che la scelta dell’opera – o delle opere – che più hanno stimolato, arricchito, riempito d’altro tutti i coinvolti. L’aveva capito il sindaco di Treviglio Attilio Mozzi, quando nel 1953 diede il via alla ‚Mostra d’arte città di Treviglio‛. Da quella intuizione iniziale prende le mosse l’attuale ‚Premio città di 10


Treviglio‛ che dal 2010, biennalmente, si concretizza in una selezione di artisti under 35 (tra i quali verrà scelto il vincitore del premio) che espongo accanto ad alcuni degli artisti nazionali e internazionali già riconosciuti, in quell’ottica di scambio fondamentale nei premi. L’ha capito la direzione dell’Accademia Tadini quando ha dato il via al premio EuropArs, con criteri diversi ma ugualmente attenti a portare in evidenza i semi più prolifici dell’arte contemporanea. Ci sembra quindi un’occasione doppiamente arricchente quella di mettere in contatto queste due istituzioni proprio su un terreno che già di per sé è di scambio e confronto, quello delle acquisizioni d’arte contemporanea. Le opere esposte sono parte della raccolta di arte contemporanea dell’Accademia Tadini di Lovere, acquisizioni avvenute in occasione delle diverse edizioni del premio EuropArs. Quindici opere, dodici artisti, un simposio di differenti stili, tecniche e soluzioni artistiche che hanno radici nei movimenti artistici della metà del secolo scorso ma che rappresentano le evoluzioni più contemporanee di questi stimoli. È un’esposizione che, come chiaro dal titolo stesso del Premio, si colloca geograficamente all’interno del bacino artistico europeo, proponendo artisti di diverse nazionalità, dallo svedese Bengt Lindström al britannico Joe Tilson, dagli spagnoli Carlos Puente e Eduardo Arroyo al tedesco Michael Franke. Un’esposizione nella quale ogni artista è un unicum, rappresentante di una delle sfaccettature dell’arte contemporanea. Per permettere al visitatore di godere appieno di questa mostra e delle opere che la costituiscono, lo spazio espositivo è stato allestito con delle ‚sedie‛. Non ‚sedie‛ qualsiasi, quelle che hanno partecipato e vinto il Concorso di scultura indetto nel 2000 dal Museo Civico di Treviglio: opere d’arte quindi ma che ci ricordano ancora una volta come l’arte sia un momento di sosta e di benessere; favorire la predisposizione all’ascolto e alla relazione potrà permettere di entrare davvero in sintonia con le opere. 11


A questa esposizione farà da controcanto l’edizione 2018 del Premio Città di Treviglio, che verrà allestita in questa stessa sala dal 29 settembre al 28 ottobre. L’arte è scambio, è dono, è confronto e i Musei hanno la vocazione a farsi promotori di questa crescita pur sapendo di andare incontro a critiche, positive o negative che siano: sempre disposti ad entrare da protagonisti nel circuito comunicativo artistico perché un’opera se non ha la possibilità di essere vista, non esiste e non genera fermento.

Beatrice Resmini Museo Civico di Treviglio

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Le opere


Carlos Puente (Saragozza 1950) Carlos Puente ingloba contrapposizioni ed eccessi in composizioni schiacciate e compresse. Nelle sue opere assistiamo al superamento del binomio ragione-passione attraverso l’utilizzo della pittura come gioco. Puente, con la propria sensibilità, modula linee e colori fortemente timbrici creando composizioni eccentriche e disequilibrate, condensate nei margini angusti della superficie pittorica, che spingono verso l’esterno. In un’allegoria fantastica del sovraffollamento visivo che caratterizza la società moderna però Carlos Puente non tralascia il particolare; le sue opere sono infatti accostamenti di numerosi singoli dettagli, spesso sconcertanti e alienanti che prendono le mosse da un preciso riferimento alla realtà ma che sono realizzati attraverso forme quasi simbolicamente primordiali e colori che per la loro vivacità timbrica ricordano la Pop-art. La sua poetica sta nella volontà di creare altro rispetto all’esistente. In questo ‚altro‛ Puente mette e nudo l’inquietante incoerenza del mondo moderno, dove apparenza e essenza possono anche non parlarsi, dove si assiste a continuo e artificiale bombardamento di messaggi mediatici edulcorati e falsamente esaltati. L’immaginario di Carlos Puente attinge a quel bacino visivo dato dai rotocalchi di gossip e dalla cartellonistica, nei quali l’assembramento di persone e stimoli non genera dialogo né profondità di confronto ma solo egocentrismo e chiusura di vedute. Tramite le sue opere Puente si prefigge l’ambizioso scopo di re-inserire nella quotidianità dell’uomo la riflessione, lo stupore, il dubbio, l’indagine, la profondità Puente utilizza la pittura come mezzo narrativo privilegiato grazie al quale la storia si dipana davanti ai nostri occhi non in maniera lineare ma con continui spostamenti di messa a fuoco, in modo da risvegliare la nostra mente e la nostra sensibilità dal torpore conseguente all’iperesposizione alle immagini alla quale siamo sottoposti e che ci ha reso insensibili alla realtà. 14


CARLOS PUENTE Senza titolo Acrilico su carta fissato su supporto in masonite, 100x100 Accademia Tadini di Lovere acquisizione 2001

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Lindsay Kemp (Cheshire 1937) Lindsay Kemp è conosciuto per la sua attività di coreografo, sceneggiatore teatrale, attore egli stesso. Intorno ad essa Kemp ha però approfondito innumerevoli culture artistiche e ha utilizzato diversificati mezzi per esprimersi, tra i quali anche il disegno e la pittura. Lindsay Kemp ama fin dall’infanzia la danza e il palcoscenico come forma d’espressione e questo è significativo se si guarda la sua produzione grafica e pittorica, che si concretizza con segni che altro non sono se non impronte di un gesto. Qualunque sia il mezzo, Kemp è guidato dall’istinto di oltrepassare il limite, dal creare schemi fissi e ben radicati e su di essi ricamare e generare ogni volta qualcosa di nuovo. Per questo motivo le sue performance teatrali non si possono mai considerare delle repliche ma delle variazioni su un unico titolo, sul cui schema fisso egli improvvisa continuamente. Nello stesso modo il foglio bianco, come un palcoscenico vuoto, accoglie le possibili evoluzioni di un pensiero ma il foglio, non potendosi sviluppare nel tempo, si riempie di una sola di queste possibilità, ferma un istante del movimento e della trasformazione, blocca un flusso di pensieri e di movimenti. Come egli stesso afferma, scopo della sua arte è quello di colmare ogni spazio vuoto con elementi, che lui definisce ‚verità, che possa dar vita a qualunque colore, forma, immagine, possibilità che siano semplicemente di ispirazione per gli altri.‛ In primo piano nella sua produzione artistica è lui stesso, con le sue contraddizioni, punti di forza e debolezze , paure e entusiasmo, rappresentate in un segno, in un gesto, in un movimento. La vocazione a portare gioia è insita nella sua stessa: nato quasi come cura per la madre, personalità eccentrica e creativa, caduta in depressione a seguito della morte per meningite della prima figlia, Lindsay si sentì investito del compito di riportare vitalità e positività nella vista della sua famiglia. 16


LINDSAY KEMP Marco Tempera su carta, 86 x 66 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 2003

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Sawada Mitsuharu (Osaka 1947) Sawada Mitsuharu si diploma all’Accademia di Belle Arti di Osaka nel 1965 e in seguito a quella di Bruxelles. La sua vita artistica si divide tra Europa e Giappone. Nelle proprie opere Mitsuharu inserisce particolari resi con un realismo quasi fiammingo: piante, fiori, pietre, conchiglie, gocce d’acqua, insetti. Il forte realismo che permea questi elementi è rafforzato dall’attenzione che l’artista pone nel rappresentarne anche le ombre; le sue composizioni sono spesso effettivamente tridimensionali, grazie all’utilizzo di materiale plastico applicato, ma molto più spesso sono solo illusionisticamente tridimensionali. La minuziosa attenzione per il dettaglio viene addolcita però dalla composizione generale, che prevede molti spazi vuoti. Gli elementi sono orchestrati in maniera calcolata, le relazioni tra i vuoti e i pieni sono sapientemente studiate. La sensazione finale è di un fondo arioso sul quale si stagliano numerosi piccoli oggetti nitidi, precisi. In questa calcolata geometria richiama molto la cultura del giardino zen, nel quale ogni elemento è posizionato come singolo ma in relazione con il contesto, dove il vuoto ha maggior preponderanza del pieno, anzi dove il vuoto da vero significato al pieno. Le sue composizioni sono rarefatte, trasmettono lentezza: lentezza di realizzazione ma anche lentezza di lettura perché hanno bisogno di essere indagate prima nell’insieme, poi dettaglio dopo dettaglio e infine è necessario rimettere insieme i singoli stimoli per tornare a una visione completa. Mitsuharu giunge anche a composizioni più astratte, nella quale la superficie pittorica richiama quasi la superficie lunare resa con colori brillanti e dalla quale emergono immagini e simboli.

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SAWADA MITSUHARU Reflexion sur le temps Olio su tela, 122x60 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1994

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Laurent Gerbert (Svizzera 1959) Laurent Gerbert è un artista svizzero che si inserisce nel filone dell’arte materica. Tale ricerca ha le sue origini alla fine degli anni Cinquanta, da artisti come J.Pollock, J.Fautrier e J.Dubuffet, E.Baj, R.Crippa, A.Tapies e A. Burri. Pur con esiti espressivi diversi, gli artisti affini all’arte materica condividono il concetto che l’artisticità sia intrinseca al materiale utilizzato. L’immagine è data dal materiale stesso, con la propria consistenza, la propria texture, il proprio spessore, le proprie trasparenze. L’arte materica si avvicina all’arte informale e ne rappresenta in un certo senso una branchia: per gli artisti materici è la materia stessa a parlare. Essa quindi non deve essere utilizzata per rappresentare altro da se stessa ma deve essere giostrata affinché, grazie ad accostamenti e contrapposizioni, ogni tipologia possa risultare al massimo della propria espressività. Rispetto all’arte informale puramente pittorica però l’opera polimaterica richiede più tempo. La stratificazione di materia infatti richiede una calibrazione più meditata delle relazioni e degli spazi, una valutazione ponderata dei pesi ottici e effettivi. La scelta del formato quadrato concorre a creare una superficie equilibrata sulla quale costruire la composizione partendo dai singoli elementi. In questo caso Gerbert gioca con i pesi creando una composizione dalla base stabile e apparentemente inamovibile, che si rarefà ed alleggerisce con la progressione verticale.

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LAURENT GERBERT Le Jumeau Tecnica mista, 142 x 132 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1994

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Eduardo Arroyo (Madrid 1937) L’arte di Eduardo Arroyo è camaleontica e, pur prendendo spunto da tutto, non assomiglia a niente. Il suo pensiero però è coerente, pur manifestandosi in differenti evoluzioni: egli prende le mosse dalle immagini tipiche della società moderna (volantini, locandine ecc…), nelle quali le figure sono piene, belle, tridimensionali, paiono immortalare la profonda realtà mentre invece nascondono un triste impoverimento di umanità e contenuti. Da lì egli compie il percorso inverso: scarnificando le figure, appiattendo le forme mette in immagine il profondissimo concetto di omologazione sociale e accettazione passiva di determinate tendenze che considera tipico delle società contemporanee. Arroyo pera questa trasposizione concettuale concentrandosi sul dettaglio; parte della sua opera è basata sul concetto di decontestualizzazione, di frantumazione in mille piccoli elementi accostati e osservati, indagati e approfonditi singolarmente. Nella sua pittura emergono coscientemente i dissidi tanto tenuti nascosti nella società contemporanea . Arroyo non rinuncia a utilizzare un linguaggio leggero, fa dell’ironia il suo maggior mezzo di comunicazione e trasforma le sue immagini in favole che però, a differenza della conclamata realtà, fanno meditare. La maschera è uno degli elementi più ricorrenti nella sua pittura. Il riso però non è un riso disincantato, ma una manifestazione del profondo affetto che lega Arroyo all’uomo e alla vita, che vive e rappresenta senza paura di metterne in luce gli aspetti positivi ma anche negativi. Non è una caso che la sua formazione giovanile sia giornalistica e non artistica. Altro evento fortemente significativo per la sua produzione è l’esilio a Parigi dal 1958 al 1982, autoimposto come forma di opposizione all’avvento della dittatura franchista in Spagna. Eduardo Arroyo sceglie volutamente un linguaggio neutro e altamente leggibile per le sue opere allo scopo di rendere i suoi messaggi universali e altamente comprensibili.

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EDUARDO ARROYO Waldorf Astoria Acrilico su carta, 104x97 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1997

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Bengt Lindström (Storsjokapell, Svezia 1925 – Njurunda, Svezia 2008) Bengt Linstrom deve molto alla cultura nordica. In particolare l’artista ha conosciuto, amato e in parte anche condiviso l’esperienza di vita nomade delle popolazioni Lapponi dalle quali ha ereditato il legame simbiotico con la natura e la loro capacità di immedesimarsi in essa con sensibilità e rispetto, come figli e non come dittatori. Lindström si discosta dal concetto romantico di sublime: se da una parte è concorde nel ritenere che l’uomo è insignificante davanti alla forza della natura, dall’altra egli ridona profondità e valore a questa insignificanza. Proprio nel rendersi conto di questo rapporto fortemente sbilanciato sta la grandezza dell’uomo, che pur così piccolo e insignificante è arrivato a fare tanto! L’ammettere la propria piccolezza, il prenderne atto, è l’unica strada affinché l’uomo si possa inserire in maniera armonica e proficua nella natura, portandone avanti il processo creativo. Il suo rapporto con la natura è un rapporto sereno, completo e appagante e questo è riscontrabile anche nell’armonia delle sue composizioni, spesso realizzate solamente con i colori primari. Bengt Lindström dipinge, ma è anche tra i primi a realizzare opere di Land Art visibili solo da elicottero. In entrambe le manifestazioni artistiche il suo stile è riconoscibile dall’emergere delle figure direttamente dalla materia. In una materia densa e spessa, disordinata ma pur sempre potenzialmente generativa, il pittore si muove con il proprio corpo, attraverso gesti che spesso assomigliano a danze, avvicinano il fare arte di Lindström a forme rituali nel quale l’uomo si immerge completamente. Dal caos iniziale all’equilibrio e ordine: nel suo fare arte Lindström rivive ogni volta il momento della creazione. 24


BENGT LINDSTRÖM Senza titolo Acrilico su tela, 146x114 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1999

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Peter Klasen (Lubeck 1935) Peter Klasen nasce in una famiglia di appassionati d’arte: il nonno era un mecenate e un collezionista, lo zio un allievo di Otto Dix. La naturalezza con cui si approccia alla storia dell’arte e alle evoluzioni dell’arte del Novecento gli deriva da questa forte familiarità con artisti e critici. La sua origine artistica risiede nel NewDada, ma il suo percorso continua attingendo man mano ai nuovi stimoli che i colleghi mettono a disposizione. Grande fonte di ispirazione è per lui la Pop Art, alla quale si sente in parte affine ma dalla quale prende le distanze. Le sue opere pullulano di oggetti, i prodotti di quella società capitalista messa in scena appunto dalla Pop Art americana ma il suo pensiero mira non a conferire valore al prodotto ma a demistificare il prodotto spesso in favore di una maggior consapevolezza della realtà. Egli stesso dichiara di voler dipingere immagini di una ‚banalità feroce‛. La sua denuncia a una società che mette in primo piano lo stereotipo e che trasforma tutto in oggetto trova un forte veicolo nella rappresentazione femminile. Le sue donne belle, perfette, da rotocalco, diventano pure immagini e perdono la profondità dell’essere umano. Il tema, che si inserisce nel contesto sociale degli anni ’60 nel quale la donna spesso era pura immagine, sarà una costante fino al 1973. Nelle opere di Peter Klasen assistiamo ad una convivenza forzata di elementi, convivenza che volutamente appiattisce e sterilizza. Se il suo stile si arricchisce dal contatto con le nuove tendenze artistiche, e addirittura le precede come nel caso di alcuni esperimenti artistici degli anni ’70 che anticipano il graffitismo, modificandosi nel corso degli anni, Klasen rimane fedele all’utilizzo di colori vivaci e satinati, all’utilizzo di acrilici brillanti che ben si confanno all’estetica da rotocalco che lo caratterizza.

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PETER KLASEN Rêve. Femme de Lettre Collage e guaches su tavola, 63x53 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 2005

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Piergiorgio Zangara (Palermo 1943) Piergiorgio Zangara si forma a Palermo ma si trasferisce nel 1975 a Milano dove, grazie all’appoggio della galleria Arte Struktura ha abbandonato definitivamente al sua iniziale figurazione per dedicarsi al campo dell’Arte Concreta. Dal 1999 aderisce al Movimento Madi Internazionale, fondato nel 1946 a Buenos Aires da Carmelo Arden Quin. Il Madi propone la creazione un’arte che non rappresenti nulla, che non celi alcun significato simbolico o nascosto. L’opera d’arte Madi (Materialismo Dialettico) è nient’altro che l’oggetto stesso, con i propri colori, la propria spazialità, la propria superficie. L’opera Madi non rappresenta, è semplicemente quello che si vede. Altra caratteristica dell’opera Madi è che spesso è pensata per poter assumere altre forme e altre sembianze, essendo predisposta per esempio ad essere appesa come si vuole, ad essere esposta a discrezione. L’esperienza artistica per Madi deve essere un’esperienza ludica nella quale l’artista semplicemente propone un oggetto d’arte ma lascia libero l’interlocutore di utilizzarlo a piacimento. Piergiorgio Zangara non vuole rivestire l’opera delle proprie emozioni, ma vuole che lo spettatore si senta assolutamente libero di provare le proprie. Piegiorgio Zangara gioca con le superfici sovrapposte, con forme geometriche, con trasparenze e opacità per creare un oggetto ex novo, che abbia valore per le proprietà intrinseche e non perché copia di qualcosa già esistente. Se il gioco funziona allora l’oggetto può riportare lo spettatore a quella dimensione puramente ludica ma spesso ormai accantonata dove la creatività individuale. L’arte Madi, proprio per il suo valore ludico, è estremamente contemporanea perché utilizza senza remore e senza paura i nuovi mezzi, le nuove tecniche, i nuovi materiali.

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PIERGIORGIO ZANGARA Opera Mddi n 198, 2011 Legno, plexiglass, alluminio 72 x 67 x 7 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 2012

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Serge Vandercam (Copenhagen 1924 – Wavre 2005) Serge Vandercam è pittore, scultore e fotografo. Dal secondo dopoguerra si inserisce nella ricerca informale belga e viene fortemente influenzato dal Surrealismo. Le sue opere trasformano la realtà in sogno, le impressioni in espressioni. La sua carriera artistica è un susseguirsi di sperimentazioni sia tecniche che formali. Entra a far parte come fotografo nel 1948 del movimento Cobra, dal quale attinge non solo la volontà di riportare l’arte a un maggior contatto con la natura, ma anche l’idea che l’arte sia collaborazione e che quindi una creazione artistica possa essere frutto di più mani. In questo senso Vandercam opera a stretto contatto con poeti, scrittori e già negli anni ’50 realizza i suoi cosiddetti word-painting. Passa la sua vita tra l’Italia e il Belgio, fagocitando senza sazietà stimoli artistici e visivi, tecniche artistiche e non che utilizzerà nel corso di tutta la propria vita artistica. Il suo fare arte è caratterizzato da una sorta di ansia latente che non lo fa mai fermare si uno spunto o su un movimento ma genera un continuo spostamento di interessi da una tecnica all’altra, da un risultato espressivo ad un altro. La sua pittura sembra rispondere alla frenetica necessità di dare forma a un irrefrenabile pensiero. Le sue tele sono superfici riempite di colori accesi e materici, dove la gestualità è predominante ma dove è evidente anche la forte attrazione alla cromia vivace che egli deriva dal suo avvicinarsi all’arte primitiva. Dagli anni ’70 si dedica anche alla scultura. Vandercam è strettamente legato alla città di Albisola, dove ha vissuto a lungo e che gli ha dato lo stimolo per l’utilizzo della ceramica nella sua produzione artistica.

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SERGE VANDERCAM La visione di Ezechiele olio su tela, 146 x 198 cm

proprietĂ Ezechia Baldassarri deposito presso Accademia Tadini di Lovere

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Corneille (Liegi 1922- Auverse-sur-Oise 2001) Autodidatta in pittura, Corneille vive la propria adolescenza in Olanda, turbato da due contesti difficili da affrontare: la famiglia che osteggia la sua vocazione pittorica e lo scoppio della seconda guerra mondiale. Nonostante questo Corneille riesce a muovere i propri passi nel mondo delle arti e nel 1948 è tra i fondatori del gruppo COBRA (COpenaghen, BRuxelles, Amsterdam), uno dei movimenti artistici più significativi del secondo dopoguerra. Il fascino che egli nutre per le culture artistiche diverse lo avvicina al primitivismo inaugurato da Matisse e sperimentato da molti artisti dopo di lui. Per Corneille l’arte è anello di ricongiungimento tra uomo e natura, mezzo per superare l’eccessiva razionalizzazione e recuperare una dimensione istintiva e primordiale. Le sue composizioni sono deliberatamente irreali: la fisica non ha campo nella sua opera, la scienza non dialoga con la pittura, anzi, la pittura è un mezzo per rendere possibile anche il fisicamente impossibile, per ribaltare le regole della fisica, per avvicinarsi al paradiso terrestre ormai ingabbiato in un mondo di regole fisse e spesso distanti. L’amore di Corneille per le cosiddette culture primitive si manifesta in numerosi viaggi in Africa, continente da lui amato, ma anche in molte altre mete: dall’Africa al Sudamerica, da Parigi a NewYork, fino in Italia dove acquista una casa e si dedica alla stesura di un testo.. Durante quei viaggi i colori delle sue composizioni si intensificano. Con una proporzione inversa, all’aumentare dei viaggi e degli stimoli, diminuisce nelle composizioni di Corneille la sovrapposizione di elementi. Assistiamo infatti a un progressivo definirsi delle linee, a un graduale raggiungimento di un ordine compositivo che non significa tanto diminuzione degli elementi quanto maggior consapevolezza della portata espressiva dei segni.

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GUILLAUME CORNEILLE Le monde des fables, 1977 Serigrafia su tela, 154 x 285 cm

Accademia Tadini di Lovere, acquisizione 1996

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GUILLAUME CORNEILLE Féerie brasilienne, 1996 Serigrafia su tela, 146x106 cm Accademia Tadini di Lovere, acquisizione 1996

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Michael Franke (Bonn 1957) Miachel Franke ha una visione molto tradizionale e molto ambiziosa di cosa è fare arte: fare arte veramente, senza seguire le logiche di mercato o di moda, significa portare equilibrio, bellezza, significa inserirsi nella crescita collettiva dell’umanità dando il proprio contributo contro il disgregamento dell’armonia, aiutare l’evoluzione verso il bello. L’atto di creazione artistica quindi è un atto spirituale, sacro e non banalizzabile. Per questo motivo Franke comincia la creazione artistica creando da se la maggior parte dei pigmenti e dei leganti e procedendo, dalla preparazione del fondo, con un’accurata sovrapposizione di tinte, dal più chiaro al più scuro, con l’intento di replicare sulla tela niente altro che luce. In questo Franke è molto legato alla storia dell’arte italiana, in particolare al periodo Rinascimentale, conosciuto grazie ai suoi studi universitari ma anche tramite ripetuti e prolungati soggiorni in Italia, in particolare a Roma e a Venezia. Da questi soggiorni Franke trae ispirazione per le sue opere, spesso vedute architettoniche o paesaggistiche, rese con una pennellata vibrante che ricalca il riverbero della luce. Torna spesso nelle sue opere il tema del mare e del cielo. Nel mare egli vede una metafora dell’essere umano, profondo e insondabile, toccato dalla luce e dalle correnti della superficie ma ugualmente guidato da correnti invisibili e interiori. L’uomo come figura non è mai ritratto nella sua produzione artista, ma è presente come sguardo: la natura è infatti rappresentata con la consapevolezza che solo l’uomo, tra gli esseri viventi, può raggiungere. Mare e cielo instaurano un dialogo tra di loro, ma sono anche metafora del dialogo che si instaura tra lo sguardo dell’artista e lo sguardo del visitatore. Come cielo e aria si toccano e si modificano reciprocamente, le persone entrano in contatto tramite la propria superficie ma si trasformano e riflettono a vicenda.

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MICHAEL FRANKE Cielo e acqua Tecnica mista su tela, 65x100 cm Accademia Tadini di Lovere, acquisizione 2000

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MICHAEL FRANKE Cielo e acqua Tecnica mista su tela, 100x65 Accademia Tadini di Lovere acquisizione 2000

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Joe Tilson (Londra 1928) Rappresentante della Pop-Art inglese – per la quale espone alla Biennale di Venezia nel 1964 - Joe Tilson mette bene in evidenza il concetto che sta alla base di questa corrente artistica: impossibile, inutile e perfino dannoso dare un valore agli stimoli visivi gerarchizzandoli. Non esistono immagini di serie A e di serie B, perché la nostra mente è ugualmente segnata da immagini volutamente e ricercatamente ‚artistiche‛ così come da immagini banalmente commerciali, da immagini semplicemente utili e così via. Tutto entra a far parte della nostra essenza quindi tutto, indipendentemente dalla provenienza, è ugualmente importante. Da qui prende piede l’arte di Tilson che, fagocitando stimoli visivi di ogni genere, restituisce allo spettatore delle sue opere l’immensa eterogeneità della sua cultura. È così che nelle sue opere convivono riferimenti all’attualità così come alla mitologia greca, cultura classica e cultura popolare nonché numerosi riferimenti simbolici primordiali come i quattro elementi o il labirinto. Grande importanza ha la geometria, sia nel rapporto tra contenuto e contenitore, sia nel rapporto tra i diversi elementi della composizione. La geometria, la proporzione, il numero, suscitano in Joe Tilson enorme fascino, non nella propria valenza aritmetica ma nella valenza mitica, in relazione agli elementi terrestri, alle forze della natura, al cosmo. Il lavoro di Mondrian e di altri artisti contemporanei che hanno introdotto la geometria pura nell’arte ha sicuramente ispirato Joe Tilson, che ammorbidisce però le forme e le riveste di rimandi più precisi alla geometria astrale o naturale. Joe Tilson spazia non solo negli spunti visivi ma anche nelle tecniche, e anche attraverso di esse esprime il suo eclettismo culturale: la stampa, la pittura, la lavorazione della ceramica rappresentano per Tilson mezzi espressivi di uguale dignità, che mirano al raggiungimento dello scopo, la creazione artistica.

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JOE TILSON The Rite of Spring Carta foderata, 155x122 cm Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1995

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JOE TILSON The Mask of Dionysos Multiplo in ceramica, 86x106x5,3 Accademia Tadini di Lovere acquisizione 1995

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Bibliografia                   

M. COMPTON, M. LIVINGSTONE, Joe Tilson, L’agrifoglio Edizioni, Milano M. PERIN, , Bengt Lindström, ed, Galleria San Carlo, Milano D. HAUGHTON, Lindsay Kemp, editorial Domus, Milano 1987 V. SGARBI, Corneille, ed. Galleria San Carlo, Milano 1987 CORONA, Michael Franke. Montsalvatsche, Agorà edizioni, Palermo 1992 S. DEPt, Bengt Lindström, fureur et connaisance, Edition Van Dick, Schelle 1993 P. DAIX, Michael Franke, Galerie Forum Lindenthal, Köln 1994 R. CRIVELLI, Corneille. Libre comme un oiseau, ed. Galleria San Carlo, Milano 1995 M. SCAICCALUGA, Carlos Puente, ed. Orti Sauli, Genova 1995 L. CAPRILE, R. CRIVELLI, M. PAQUET, Corneille, ed. Giovanni di Summa, Roma 1996 Carlos Puente, ed. Galleria BAT, Madrid 1997 D. HAUGHTON, Lindsay Kemp, ed. Galleria San Carlo, Milano 1997 R. MILLER, Bengt Lindström, Galerie Willy Schoots, Eindhoven 2000 M. PADERNI, Carlos Puente, ed. Galleria San Carlo, Milano 2001 Serge Vandercam. Regards d’eau, terre de feu, peintures, aquarelles, céramiques, Galerie 2016, Bruxelles 2002 M. CORGNATI, Peter Klasen… I have a dream…, ed. Galleria San carlo, Milano 2005 Serge Vandercam. Un protagonista contemporaneo, Circolo degli artisti, Albisola Marina 2005 Crescit eundo. Donazioni ed acquisizioni di opere dalla fine dell’800 ad oggi destinate al fondo per la Galleria d’arte moderna e contemporanea, ed. Grafica & arte, Bergamo 2003 M. CORGNATI, Eduardo Arroyo, 2006

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