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NON SOLO “MAL D’AFRICA”, ANCHE LA GIAMAICA PUÒ LASCIARE IL SEGNO
Il racconto di un viaggio di due settimane nel Portland, la regione più selvaggia della Giamaica el momento stesso in cui si atterra a Kingston si viene letteralmente investiti dal buio delle strade non illuminate e non asfaltate, ma piene di vita; in ogni angolo dell’isola si trovano i sound system, perennemente accesi (con un’ottima acustica) sulle sonorità reggae, affiancati da persone di qualsiasi età, genere, professione e classe, che fumano ganja, con la stessa naturalezza che noi europei abbiamo nel fumare le sigarette. Si fuma esclusivamente nei luoghi aperti: mentre si cammina; mentre si manovra un caterpillar; mentre si fa la spesa al mercato; si fuma nell’attesa, al bar, mentre si gioca a domino (molto diffuso nei bar). Del resto, in un’isola in cui le sigarette costano non meno di 15€, è comprensibile che le persone preferiscano fumarsi l’erba, che ha un costo di circa 7€/gr. Tutto splendidamente legale, perché dal 2015 il consumo e la coltivazione della cannabis sono state depenalizzate ed è oggi possibile possedere fino a 57gr di sostanza e 5 piante procapite. Nel 2015, anche l’Università delle Indie Occidentali Mona Campus ha inaugurato una piantagione sperimentale della pianta.
L’erba può essere acquistata presso le herb house o direttamente dai numerosi herbalist. Naturalmente le herb house o le aziende agricole garantiscono una qualità che in strada non è raggiungibile ed è comunque sconsigliato acquistarla per strada. Un fenomeno interessante è che, alle soglie del 2023, la depenalizzazione della cannabis ha avuto degli esiti molto differenti dagli altri Paesi che hanno regolamentato l’utilizzo e il consumo della pianta. Se in Europa e negli Stati Uniti d’America si sono diffuse migliaia di aziende agricole e negozi rivenditori, nonché centinaia di prodotti trasformati, e se in alcuni Paesi si tende alla gestione della cannabis sulla falsa riga del tabacco, in Giamaica si è semplicemente normato un fenomeno ancestrale largamente diffuso, senza particolari cambiamenti sia nella distribuzione, sia nella modalità di consumo. Ad esempio, nei Paesi Bassi, il consumo è regolamentato in modo molto stringente, tale per cui è possibile acquistare ed assumere cannabis esclusivamente nei coffee shop o nella propria abitazione. Come detto, in Giamaica l’odore inconfondibile è presente in ogni dove ed è possibile acquistarla anche nel villaggio rurale più remoto. Certamente, la ferrea regolamentazione statunitense ed europea consente anche un controllo sulla qualità e salubrità del prodotto e del suo packaging.
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Un po' di contesto e storia
Quanto avvenuto in Giamaica è da un lato un paradosso del neoliberalismo sfrenato vigente sull’isola, dall’altro è perfettamente coerente con un modello di società che reputa lo Stato inutile. La Giamaica, infatti, è vittima di un modello economico-politico appiattito su quello britannico, secondo cui lo Stato non deve fornire alcun servizio, ma anzi incentivare l’iniziativa privata, innescando anche dei meccanismi psicologici legati alla competizione, all’individualismo e alla violenza. D’altro canto, il modello inglese è inevitabile, tenuto conto che nel 2022 la Giamaica è ancora una monarchia parlamentare guidata dal re d’Inghilterra Carlo III!
In un contesto in cui il 19% della popolazione è estremamente povera (ovvero vivono con 2 US dollari al giorno), esiste un 9% di tasso di disoccupazione[1] e un’inflazione pari al 6%, l’approccio neoliberista ha determinato una nuova conformazione urbana e rurale che ha acuito la diseguaglianza almeno in due aspetti: (1) il degrado infrastrutturale dello spazio pubblico (abitazioni, strade, reti fognarie, servizi sanitari, infrastrutturali e dei trasporti) e (2) un divario socioeconomico sempre più ampio tra i quartieri residenziali in muratura, recintati e protetti da società di vigilanza privata e quegli abitanti urbani a basso reddito in quartieri fatti di tetti in lamiera e pareti in legno fatiscenti, che vengono spazzati via dagli usuali uragani. Per rendere l’idea: l’isola è estremamente ricca di acqua potabile[2] ma, a causa delle condutture che risalgono agli anni ‘60, la Commissione Nazionale dell’Acqua effettua continuamente delle interruzioni dell’acqua corrente, obbligando le persone a pagare cifre proibitive per dotarsi di cisterne da far riempire da aziende private[3]. Nel 2015, tra l’altro, il governo ha esplicitamente accolto l’invito della Banca Mondiale a privatizzare la distribuzione dell’acqua.
Un altro esempio di remissione da parte dei giamaicani e di retaggio Dickensiano, è quando il governo ha deciso di rastrellare tutte le persone con disagio mentale ed economico e di incarcerarli per 24 ore per nasconderli ai turisti sbarcati a Port Antonio dalla nave crociera.
Saranno le onnipresenti canne o il clima tropicale, ma è un popolo molto rilassato, a volte anche troppo. Sarebbero numerose le battaglie che vorrebbero intraprendere ma che non affrontano. In alcuni casi, come per Winnifred Beach, hanno saputo bloccare l’ennesimo tentativo di privatizzazione di una spiaggia frequentata dalla comunità non solo per i bagni, ma anche per feste, bancarelle, cibo ed artigianato. La maggior parte delle spiagge, infatti, è purtroppo privata con costi di ingresso (per turisti e locali) che spaziano dai 7 ai 20€.
Secondo alcuni accademici specializzati sull’isola caraibica, il colonialismo britannico nei Caraibi ha avuto l'effetto di produrre sistemi politici basati sul clientelismo, su una cultura politica polarizzata grazie anche alla monopolizzazione del potere da parte di élite economiche e politiche[4].
Il colonialismo britannico si è instaurato dopo un periodo di dominio spagnolo; all’arrivo di Cristoforo Colombo, nell’isola caraibica esistevano solo gli Arawak, presto sterminati dai coloni spagnoli. Gli arawak, come narrano diverse canzoni reggae, erano infatti un popolo pacifico ma anche orgoglioso che cercò di rifiutarsi di farsi schiavizzare nelle piantagioni estirpate dai territori che loro prima vivevano liberamente. Chi non perì ribellandosi, morì di malattia e di stenti nelle piantagioni. Avendo sterminato tutti gli indegni, l’isola divenne il porto ideale per lo schiavismo dei popoli africani verso l’America. Anche in questo periodo, in cui i colonizzatori divennero gli inglesi (1655), l’isola fu terreno di rivolte contro i torturatori; sono numerosi, infatti, gli schiavi fuggiti sulle montagne, come il popolo dei maroons, che ha combattuto per quasi duecento anni, sconfiggendo le ben equipaggiate truppe inglesi. I maroons impedirono agli inglesi di controllare il nord-est della Giamaica e tuttora controllano un territorio montano ristretto.
La più famosa maroon è Nanny, una schiava originaria dell’attuale Ghana, appartenente al gruppo etnico Ashanti, il quale in madrepatria aveva scacciato gli inglesi. Nanny, con questa eredità storica, ha guidato rivolte e vittorie, avvolte dal mistero del suo potere di fermare le pallottole con la forza delle sue melodie, aiutata dagli animali della giungla e delle montagne. Purtroppo, però, gran parte dell’umanità presente sull’isola restò in schiavitù fin quando questa non venne abolita (1834). La Giamaica ha oggi poco più di tre milioni di abitanti, quasi tutti discendenti degli schiavi che i colonizzatori spagnoli e inglesi strapparono dalle coste africane per ottenere manodopera nelle grandi piantagioni di banane, pimento, caffè, frutta tropicale e canna da zucchero.
Il Paese è stato dunque condannato a una profonda diseguaglianza, con tutto ciò che ne consegue (la letteratura accademica fornisce migliaia di riflessioni sul tema). Le élite politico-economiche, in particolare, si sono conformate a partire dagli anni ‘50, quando città come Kingston iniziavano la trasformazione in centri commerciali ed industriali, facendo accorrere la povera gente dalla campagna alla ricerca di lavoro. Tuttavia, ciò che trovarono era lavoro sfruttato ed umiliante che costringeva le persone a vivere in baracche urbane permanenti. Queste masse vennero inizialmente riunite dai sindacati-partito che, se da un lato guidavano rivolte antigovernative, dall’altro combattevano per accaparrarsi le risorse statali, da distribuire generosamente tra i propri associati in modo clientelare. Negli anni ‘80, la Giamaica divenne anche l’isola di applicazione radicale dei principi della Scuola di Chicago, imponendo una privatizzazione massiva che ha contribuito a svalutare la valuta locale, aumentato l'inflazione e quindi il prezzo di cibo e servizi. Questo da un lato ha aumentato ancora di più la fascia di poveri spinti nell’economia informale e di sopravvivenza (venditori semi ambulanti di ogni bene), dall’altra ha determinato la perdita di potere dei sindacati. Adesso che il pubblico quasi non esiste più, viene meno l’attività clientelare dei sindacati a vantaggio delle nuove gang, pesantemente armate, che gestiscono un territorio con forti disagi socio-economici. L’isola si è così riempita dei cosiddetti duppies (fantasmi), che si barcamenano nella povertà estrema e cercano di sopravvivere in un’isola che potrebbe fornire sufficiente cibo fresco e salutare a tutti i suoi abitanti, ma che tuttavia viene principalmente esportato negli USA o venduto localmente a prezzi europei. Come succede in Italia, spesso pur di sopravvivere[5], la gente si concede alla gang, non vedendo alcuna alternativa fornita dalla legalità. Ma qui, a differenza dei Paesi europei e nord americani, la gente, nonostante sia abbandonata dallo Stato, riesce comunque a restare sorridente, accogliente, disponibile e sempre pronta a fare party. Non dimenticherò mai il racconto della residente Carla Gullotta che, dopo esser stata travolta da un uragano, si è ricongiunta con i vicini per valutare i danni subiti e si è vista invitare con un gran sorriso all’ “hurricane party”: prima di mettersi a lavorare per ricostruire il villaggio e togliere il fango dalle strade, era giusto festeggiare la vita. La fatica può attendere e risulta meno opprimente se prima si è stati bene e in compagnia solidale. Come intona la nota cantante giamaicana Koffee “Coming from the west indies, I wanna just party”.
Secoli di sfruttamento, torture, di smembramento di intere famiglie, di annullamento della cultura, della lingua, delle tradizioni e delle religioni, hanno determinato un trauma collettivo persistente anche nei giovani giamaicani che vanno a ballare nelle danzhall. Gli giamaicani, a differenza di diversi popoli africani, ricorda molto bene le umiliazioni subite e, tramite la musica, cercano di recuperare la loro cultura rubata e violentata, ma sopratutto di mantenere viva la memoria storica di quanto subito.
Il reggae
Proprio per questo, la musica è la perenne presente. La Giamaica (assieme a Cuba e Brasile) è uno dei rari posti al mondo dove è possibile andare senza la propria playlist, perché la musica (reggae) è onnipresente ed accompagna sempre i tuoi passi. In città come in campagna, ogni macchina possiede delle casse con potenti subwoofer per godere dei bassi; non è raro che sul tetto della macchina venga montato direttamente un sound system. E all’arrivo del giovedì sera, inizia la festa del fine settimana, con danzhall nelle yard private e pubbliche e per le strade, con i lampioni spenti e le macchina che ti passano accanto. Come in Italia, le serate non si animano prima della mezzanotte, per proseguire fino al mattino. La festa si conclude realmente la domenica notte, spesso con ritmi più lenti, come il dub o il rocksteady. Anche per chi, come me, è sempre stata un’ascoltatrice strictly roots and culture, la danzhall ti entra nel cuore muovendo i tuoi piedi sul ritmo incalzante, mentre si osserva increduli le strabilianti danze, spesso estremamente sessualizzanti e sessualizzate. I selector suonano gli innumerevoli artisti giamaicani, amati perché cantano le storie dei sufferers, ovvero la cronaca quotidiana di una realtà troppo spesso ignorata da chi viene solo a godersi le belle spiagge e la ganja. Non bisogna tuttavia dimenticare che molte canzoni, anche famosissime nell’isola, riportano realtà estremamente violente, tanto che lo Stato giamaicano conduce politiche di censura e controllo dei testi. Secondo Spence[6], la Giamaica non ha saputo sfruttare realmente l’industria musicale della dancehall perché lo Stato storicamente si è limitato a considerarla come musica di marginali e criminali da reprimere (prima per il consumo di erba, poi per i testi sulla libertà, ma anche omofobi, sessisti e sulle armi). L’ennesimo esempio di un governo incapace di ascoltare il disagio del suo popolo per trovare delle soluzioni eque.
Cosa vedere
In Italia, la nota canzone dei Radici del Cemento avverte sulle ombre dell’isola, disincentivando un turismo inconsapevole. Purtroppo, quest’ultimo si è comunque sviluppato, specialmente nella zona occidentale (Negril e dintorni), dove i turisti vengono chiusi in lussuosi resort recintati in cui addirittura si può pagare in euro e non è essenziale parlare inglese (cosa cruciale altrove, giacché il giamaicano stretto può risultare ostico se non si padroneggia bene l’inglese). Sono numerose le persone che desiderano andare in Giamaica solamente per le spiagge, il clima e il divertimento. Legittimo, ma la Giamaica offre molto di più. Basta prendere un mini-bus da Montego Bay o da Kingston e in 3 ore si raggiunge la regione del Portland, nella parte nord-orientale dell’isola. Qui è la natura selvaggia e rigogliosa a fare da padrona[7], affiancata dalla gentilezza dei locali. Decine di cascate immerse nella giungla che confluiscono in fiumi o torrenti, dai colori cristallini e verde smeraldo. Distese infinite di palme di cocco, di banane e di ananas, piante di cacao, caffè, guava, noce moscata. Piante dalle foglie rosse intenso che sembrano fiamme in mezzo a un verde sbalorditivo e che offrono innumerevoli cure e applicazioni culinarie. La giungla e le montagne blu dell’entroterra arrivano prepotentemente fin sulle spiagge caraibiche, generando laghetti di acqua dolce e salata come a Frenchman’s cove, o adornando la spiaggia garantendo la frescura molto apprezzata (Winnifred Beach) in un clima tremendamente caldo e umido. Il Portland offre anche una barriera corallina (San San Beach), isolotti raggiungibili a nuoto o con una delle tante barchette delle genti locali. Imperdibile è la Blu Lagoon, un’insenatura mozzafiato dai colori blu, azzurro e verde, circondata dalla giungla. Le onde oceaniche consentono anche ai più sportivi di divertirsi con il surf, ad esempio a Boston Beach, per poi rifocillarsi con il tradizionale jerk.
Il viaggio
Ho visitato la regione del Portland in 2 settimane nel mese di Dicembre, muovendomi esclusivamente a piedi, con i taxi route o i mini van. Come cercato di delineare nei precedenti capoversi, in Giamaica i servizi pubblici sono ridotti all’osso, pertanto i mezzi pubblici -specialmente nel Portland che è una regione rurale e non turistica - non esistono. Lo Stato ha incentivato la nascita dei taxi che funzionano esattamente come i bus nostrani, con la differenza che nei taxi sono presenti 5 (talvolta 7) posti a sedere comodi, mentre è nell’interesse del tassista far entrare quante più persone possibili. È assolutamente comune viaggiare schiacciato dalle altre persone e dalle loro spese. Personalmente, mi è anche capitato di tenere sulle gambe una bambina con il suo zaino di scuola. Ovviamente, essendo un servizio privato, non esistono biglietti a tempo e bisognerà pagare ogni corsa in base alla distanza (il costo minimo equivale a 1,5€). Ma la musica è inclusa nel prezzo! Certo, a volte ti può capitare il tassista appassionato di Celine Dion che fa suonare le tracce a volume altissimo, ma con nessun cuore ci si può lamentare di fronte a tanto romanticismo. Capita anche, come nel mini bus verso Kingston, che il tassista metta delle hit che fanno cantare i clienti, nonostante la scomodità. Simpatico anche l’episodio di un taxi con la radio rotta e di una mamma che per far addormentare la sua neonata mette sul cellulare una canzone.. rigorosamente reggae!
Da donna, bianca e sola non mi sono mai sentita realmente sola mentre giravo per l’isola. I giamaicani, infatti, sono un popolo socievole e curioso, sempre disposto ad aiutarti e a intraprendere una conversazione. Dalle loro parole si percepisce la profonda spiritualità – non necessariamente religiosa, sebbene siano numerosi i protestanti[8]-, l’amore per la vita e per la natura, l’odio per le ingiustizie, la leggerezza e la solidarietà.
Non posso negare di aver parlato con centinaia di uomini e poche decine di donne; questo perché i giamaicani sono ossessionati dal flirt sentimentale e dal comportamento maschilista della conquista della donna, specialmente se turista -quindi, ai loro occhi, ricca. Detto ciò, rispettano i confini e non esagerano (quasi mai) con le parole, facendoti sentire a tuo agio e spesso strappandoti un sorriso per il loro eccessivo romanticismo. Naturalmente, ancora una volta, la musica reggae mostra una persistente violenza di genere con terribili tassi di omicidi dentro le case e ancora molta omofobia, favorita da una legge contro le persone LGBTQIA+. Da turista, non mi sono mai sentita in pericolo, anche quando le giamaicane mi urlavano ” brave lioness” perché mi addentravo sola nella giungla (per inciso, nella giungla non c’è fauna selvatica mortale). Naturalmente, in città, come in qualsiasi città del mondo, occorre prestare maggiore attenzione e di notte diviene necessario evitare gli spostamenti a piedi, favorendo i taxi (costosi e su cui bisogna negoziare il prezzo) anche per brevi tragitti. Tuttavia, in città come Kingston esistono vie molto larghe e trafficate assolutamente sicure, pertanto è davvero facile evitare le vie più problematiche. Al contempo, il visitatore distratto viene assistito dai locali che lo proteggono in modo molto amichevole. A un turista neofito consiglierei di andare in Giamaica dopo essersi “impratichito” con altri Stati o, comunque, di ricordarsi di coniugare la gentilezza con una sana dose di allerta e precauzione.
Se vi ho incuriositi e siete pronti a condurre un viaggio all’esatto opposto dei comodi resort della costa occidentale, vi consiglio, infine di alloggiare a Drapers (7km da Port Antonio) presso la guesthouse Drapers San, gestita da Maria Carla Gullotta e da una delle sue figlie, Francesca. Una splendida casa un po' giamaicana e un po' italiana, circondata dalla giungla e dal mare. Il mio viaggio, organizzato all’ultimo minuto, non sarebbe mai potuto essere così scevro di problemi se non avessi alloggiato da loro, le quali mi hanno aiutata a visitare i luoghi più suggestivi ed autentici, con guide professionali e competenti. Tj, il loro dipendente, cucina a richiesta dei meravigliosi piatti giamaicani e alla sera potrete rilassarvi sotto un incredibile cielo stellato, accompagnato dal canto di centinaia di ranette notturne, oppure andare a ballare in uno dei baretti di Drapers o nei locali di Port Antonio. Per chi fosse interessato a conoscere la Giamaica profondamente, Drapers è il luogo ideale sia perché ti consente di raggiungere facilmente i luoghi più selvaggi e belli, sia perché Carla è una fonte inesauribile di informazioni, aneddoti, esperienza e riflessioni sull’isola. Francesca, con la sua energia, la sua dolcezza e accoglienza, vi accompagnerà a lasciar andare l’abbrutimento e la frustrazione generato nelle società occidentali, per abbandonarvi alla serenità e alla spensieratezza e godervi appieno l’isola.
COSA PORTARE
• repellente per zanzare
• zanzariera da letto
• sandali adatti a fango e acqua
• cartine, filtri e sigarette
• macchinetta subacquea
• torcia
Focus sulle donne giamaicane
In Giamaica muoiono ogni anno il 28% delle donne, ovvero una donna giamaicana su 4 subisce violenza da parte degli uomini nel corso della vita. Il 23% delle violenze viene perpetuato da un uomo con cui non si ha una relazione (parente, vicino di casa, sconosciuto, etc), il restante dal proprio partner. Secondo il governo giamaicano, le violenze fisiche e sessuali avvengono per il 6% nelle zone urbane e specialmente verso giovani donne, spesso obbligate a sposarsi ancora minorenni (8%) con i propri aguzzini. La violenza sulle donne è solamente l’espressione più manifesta e crudele di una società patriarcale e sessista, che esercita discriminazione quotidianamente nelle piccole cose. Eppure, osservando esclusivamente le statistiche sulle discriminazioni di genere, la Giamaica sembrerebbe un Paese quasi perfetto, con un indice di sviluppo di genere pari all’88% (in Italia è del 97%!) e il 29% dei luoghi di potere istituzionali coperti da donne. Effettivamente, nell’upper class sono numerosissime le donne imprenditrici o in ruoli di potere. Inoltre, nel 2006 la Giamaica si è distinta per avere avuto la prima ministra (poi ri-eletta nel 2012) a guidare un governo delle isole caraibiche. Questo rende ancora più evidente la necessità di politiche volte al sostegno delle vittime e all’educazione verso il rispetto della vita, a prescindere dal genere, colore, orientamento sessuale, classe, etc.
In Giamaica spesso il destino di una donna è già scritto alla sua nascita e, come da buon principio protestante, verrà lasciata sola nel suo tentativo di divergerlo. Chi nasce povero, difficilmente riceverà una buona nutrizione (fondamentale per lo sviluppo cognitivo, oltre che per una salute forte) e ancora più difficilmente concluderà gli studi di base -obbligatori solo fino ai 12 anni. Questi ostacoli sociali spingono inevitabilmente le ragazze a una lotta per la sopravvivenza, fatta di piccoli e grandi crimini che vengono affrontati dallo Stato solamente con la repressione e la violenza. Inoltre, a causa di una società basata sui servizi a pagamento, spesso anche solo studiare diviene un’impresa: se la scuola è pubblica e fornisce le divise, raggiungerla implica il costo del taxi, dei manuali e il costo del cibo. Molte famiglie sono obbligate a scegliere tra il pagamento per gli spostamenti e quello per il cibo. Da rimarcare che i bambini, di qualsiasi età, vanno a scuola senza esser accompagnati da adulti. D’altro canto, in alcuni casi sono le stesse ragazze a preferire il cibo ai trasporti, giacché questi implicano spesso violenza, specialmente per le giovani meno abbienti. In altri casi, adulti e minori optano per l’illegalità che, nonostante il rischio, consente di accumulare qualche risparmio per vivere dignitosamente. L’illegalità per le donne significa sovente prostituirsi o sposarsi con uomini molto più grandi.
Come dice Carla Gullotta, «una delle molteplici e tragiche piaghe lasciate dalla schiavitù in Giamaica è la distruzione dell’istituzione famigliare, un concetto che solo adesso e con fatica, si sta ricreando. La fedeltà, per gli uomini giamaicani, non è un valore. A un anno dalla nascita del primo figlio non è raro che il neo padre si costruisca un’altra famiglia altrove. Il problema è che se la donna si trova da sola con i figli e senza lavoro, anziché allontanare il marito fedifrago e spesso violento, è costretta a tenerlo in casa passando ai suoi figli, e soprattutto alle figlie, un messaggio di subalternità profondamente sbagliato oltre che molto pericoloso».
La società maschilista e sessista ha determinato anche un’evoluzione estremamente sessualizzante delle donne. Al di là delle temperature molto alte presenti in Giamaica, la norma per le donne è vestirsi con abiti (made in China) che lasciano molta pelle visibile e serrato in taglie strette. Come noto, le donne sono anche le principali protagoniste delle danzhall, cimentandosi in passi notevoli ma anche esplicitamente sessuali. Nonostante la società sia così maschilista, le donne dimostrano chiaramente la loro forza, resilienza e determinazione.
La povertà e il maschilismo ha causato, probabilmente, anche un fenomeno sui generis: le donne, molto più frequentemente che gli uomini[9], sono gravemente sovrappeso ma fiere di esserlo. Oggettivamente, la loro cura per lo stile e l’estetica le rende molto belle e attraenti. Il grasso sul corpo, inoltre, crea anche effetti ipnotici durante le vorticose danze. Sebbene sia fondamentale essere orgogliosi di chi si decide di essere e bisogna amarsi per ciò che siamo, è innegabile, tuttavia, che l’obesità sia un problema sociale e sanitario, spesso causato da una cattiva alimentazione. Al contempo, alcune culture, specialmente nel continente africano, interpretano il sovrappeso come un indicatore di benessere e opulenza. Nei Paesi come la Giamaica la cattiva alimentazione coincide con la povertà perché il cibo spazzatura è più economico e genera maggiormente la sensazione di pienezza. Letto in questi termini, l’affascinante abbondanza dei corpi delle donne giamaicane risulta essere un’ingiustizia sociale.
Note
[1] Per confronto, in Italia la disoccupazione è del 7,9% e l’inflazione all’8%.
[2] Il nome Giamaica deriva dalla parola Xaymaca - un termine che significa "terra di legno e acqua" che veniva usato dagli indigeni per descrivere l'isola.
[3] In ogni caso, nel 2020 solamente il 70% della popolazione veniva raggiunto dall’acqua corrente potabile (McDonald, David A., Susan J. Spronk, and Daniel Chavez. "Public water and Covid-19: dark clouds and silver linings." (2020).
[4] Edie, Carlene J., ed. Democracy in the Caribbean: Myths and realities. Praeger Publishers, 1994.
[5] In Giamaica esiste il salario minimo, pari a 50 euro settimanali
[6] Spence, KimMarie. "When money is not enough: Reggae, Dancehall, and policy in Jamaica." The Journal of Arts Management, Law, and Society 49.1 (2019): 45-60.
[7] In Giamaica il 55% del suolo è giungla.
[8] Il 65% della popolazione è protestante e il 21% non segue alcuna religione.
[9] Nel 2022, il 14% dei maschi era obeso a fronte del 41% delle femmine.