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UNA REGIONE ANTIPROIBIZIONISTA È POSSIBILE
Segue il Piemonte con 3.100,46 chili sequestrati, la Liguria con 2.023,23 e la Valle d’Aosta con 37,31. La Lombardia è una delle regioni con il tasso più alto di sequestri rapportato al numero degli abitanti, e pensare che solo una piccola parte di sostanze vengono sequestrate, quindi presumibilmente il numero di sostanze in circolazione è molto più alto: i dati che ci arrivano poi dai rapporti sia italiani che europei indicano un aumento dei consumi, in particolare un aumento dei consumi multipli di diverse sostanze.
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Questi dati ci indicano la via politica della Riduzione del danno, in un’ottica antiproibizionista che ponga il ‘conoscere per deliberare’ della persona come elemento primario per poter prendere una decisione di consumo sulla propria persona. In quest’ottica le regioni devono accogliere le nuove disposizioni, per cui la Riduzione del Danno rientra all’interno dei LEA (Livelli essenziali di assistenza) e diventa quindi elemento, appunto, essenziale, su cui investire a livello sanitario.
Oggi, lo sappiamo, l’uso personale è decriminalizzato, ma i costi della giustizia per reprimere le persone restano alti così come i procedimenti amministrativi e penali che si aprono, anche e ancora ai danni dei consumatori, ma anche ai danni delle aziende di cannabis light ad esempio, non tutelate da una legge mozzata e incompleta. Si investe ancora in repressione e poco in sicurezza, che è declinabile in molti modi, in primo luogo rispetto al diritto alla salute.
In questo periodo di elezioni capita di analizzare i fenomeni politici dal punto di vista territoriale, consapevoli del fatto che trattare con radicalità un tema è pratica possibile sia a livello nazionale, che regionale ed anche locale. Senza parlare dell’enorme lavoro che bisogna intraprendere a livello europeo e transnazionale, certamente.
Ma fermiamoci un attimo alle regioni, perché è bene capire come le istituzioni possono intervenire, ed è bene sapere cosa i cittadini possono e devono chiedere alla politica.
Il mese di febbraio si è caratterizzato dalle elezioni regionali della Lombardia e del Lazio, due delle regioni più grandi, ricche e meno antiproibizioniste d’Italia nonostante i dati ci dicono che la maggior parte delle operazioni antidroga e la maggioranza delle segnalazioni si attivino proprio in queste due regioni.
Per una questione di residenza e miglior conoscenza del contesto lombardo, darò qualche numero per far comprendere meglio la situazione.
Il 25% delle operazioni di polizia relative ai sequestri di sostanze avviene nelle regioni settentrionali, il 18% in Lombardia, superando le 3.500 operazioni. Sono stati 12.634,02 i chili di sostanze stupefacenti sequestrati in Lombardia, il 14,8% del totale che ammonta a 17.795,02 chili su un calcolo che ricopre il nord-ovest.
Il dato positivo, per non dimenticarci nulla, riguarda le segnalazioni per violazione dell’art. 75 DPR n.309/90: nel 2011 le segnalazioni in Lombardia erano sul valore assoluto 5.189, nel 2021 sono state 1.894 diventando la seconda regione del nord-ovest per segnalazioni dopo Torino, che ha preso il comando di questa classifica. Questo dato si può considerare sì positivo, ma il nostro approccio sarà sempre quello di convincere che oggi anche l’applicazione amministrativa dell’articolo 75 è incongrua alla proporzione del reato commesso, ovvero quello di consumo personale.
Un cambio di passo è indispensabile, a partire da una regioni più popolose d’Italia, perché stigma e repressione sono ancora alti e mal indirizzati anche rispetto alle nuove evidenze scientifiche. Infatti, le operazioni relative al sequestro di sostanze stupefacenti si concentrano a livello regionale, anche qui, in modo prevalente sulla cannabis, l’hashish e le piante di cannabis, con tassi elevati di sequestro rispetto alla popolazione ed un impiego delle forze dell’ordine in questo campo non indifferente, a volte inopportuno, come per l’iniziativa ‘Scuole Sicure’ che fu promossa dall’allora Ministro degli Interni Salvini e mai totalmente eliminata come approccio securitario.
Un cambio di passo, anche in questa regione, per cambiare prospettive e retoriche è possibile:a prescindere dall’esito delle elezioni lotteremo fuori e dentro il palazzo per concretizzare delle politiche quanto mai vicine ai cittadini, sotto il profilo dei diritti civili, sociali ed economici.
CHI HA PAURA DELLA RIDUZIONE DEL DANNO?
LEONARDO FIORENTINI
I“l Comitato esprime preoccupazione per l’approccio punitivo al consumo di droghe e per l’insufficiente disponibilità di programmi di riduzione e del danno. Il Comitato raccomanda che lo Stato riveda le politiche e le leggi sulle droghe per allinearle alle norme internazionali sui diritti umani e alle migliori pratiche, e che migliori la disponibilità, l’accessibilità e la qualità degli interventi di riduzione del danno”.
Così, a metà ottobre, si era espresso sull’Italia il Comitato per i diritti economici, sociali e culturali dell’ONU (CESCR) al termine della sua 72esima sessione a Ginevra. Un chiaro e autorevole invito al Governo italiano a riconsiderare l’attuale approccio verso le droghe e chi le consuma, nel solco di un recente approccio “olistico” delle istituzioni internazionali che finalmente indagano gli intrecci fra il sistema di controllo globale delle droghe e le convenzioni sui diritti umani.
Vivessimo in un paese normale questo 2023 sarebbe dedicato ad una pubblica discussione su come implementare i programmi di riduzione del danno e come modificare la legge.
Invece siamo in Italia, e per di più con un governo di destra appena entrato in carica. Così, il primo atto dell’esecutivo è stato congelare il Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze (PAND), al quale rimaneva da passare solo il vaglio della Conferenza Stato Regioni. Proprio quel PAND che inquadrava la riduzione del danno come uno dei pilastri di intervento sulle droghe, e che per questo era stato portato come prova “a discolpa” dal precedente governo a Ginevra.
Il secondo è stato affidare la delega alle “politiche antidroga” ad Alfredo Mantovano, il padre naturale della legge più criminalizzante sulle droghe, la Fini-Giovanardi.
Un secco uno-due che tramortirebbe chiunque, figuriamoci chi negli anni ha subito prima l’ostracismo, meglio la negazione, del duo Giovanardi-Serpelloni e poi il completo disinteresse del centro-sinistra, rotto solo dal timido - ma che oggi potremmo definire quasi eroico - tentativo di Dadone di convocare prima la Conferenza nazionale e redigere quindi il PAND.
Così gli operatori della riduzione del danno hanno cominciano a trovare le porte chiuse, e non solo nelle regioni di destra.
È il caso Neutravel, uno dei progetti più innovativi del panorama italiano, capace negli anni anche di trovare finanziamenti in Europa, che oggi rischia la chiusura. Nonostante il drug checking sia diventata una pratica inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza della Regione Piemonte, nulla assicura alle operatrici e agli operatori del progetto che nasce nel 2007 da una partnership tra settore pubblico e privato sociale di poter operare anche quest’anno nei luoghi del divertimento giovanile.
Ma i venti soffiano contrari anche altrove, come se da Roma fosse arrivato un qualche aut aut. Però, come ha scritto recentemente Susanna Ronconi su Fuoriluogo, non si potrà a lungo far finta che il mondo sia lo stesso di venti, trenta o quarant’anni fa. Proprio a Torino si è aperto un dibattito sulla necessità di aprire una stanza del consumo, stimolato dall’Amministrazione comunale che fa parte della neonata rete italiana per nuove politiche sulle droghe. Una rete che comincia a muovere i primi passi e che può guidare un movimento che dal basso si contrapponga alle politiche oscurantiste del Governo Meloni. Dall’alto anche il Consiglio dell’Unione europea, grazie all’iniziativa della presidenza Ceca, nelle sue conclusioni in materia di politiche delle droghe e diritti umani ha ritenuto richiamare gli stati a elaborare politiche basate sull’evidenza e sui diritti umani, sulla lotta allo stigma, sulla proporzionalità delle pene, assicurando l’accesso ai trattamenti, Riduzione del danno inclusa.
Una manovra a tenaglia quindi, che mette insieme le Istituzioni internazionali e le amministrazioni locali e che deve però avere l’attenzione e il supporto delle comunità, a partire da coloro che le sostanze le usano e che devono prendere coscienza dell’urgenza di recuperare la propria soggettività politica.