10 minute read
Libro Bianco sulle droghe Aspettando la svolta
ASPETTANDO LA SVOLTA CHE NON C’È ANCORA
Leonardo Fiorentini
Advertisement
Ci risiamo. Come ogni anno, a fine giugno, un nutrito gruppo di associazioni della società civile pubblica il Libro Bianco sulle droghe, giunto ormai alla dodicesima edizione. E come ogni anno questo rapporto indipendente sugli effetti e i danni del Testo Unico sulle droghe in Italia certifica il fallimento delle politiche proibizioniste. Quest’anno già dal titolo, “War on drugs. 60 anni di #epicfail", il Libro Bianco pone grande attenzione all’anniversario della firma della convenzione unica sulle droghe del 1961. Le ricadute di stigmatizzazione su milioni di giovani, l’ingolfamento del sistema giudiziario, l’incarcerazione di massa e l’esplosione delle prigioni, oltre che l’assoluta inefficacia nella limitazione dei mercati illegali e degli usi personali, hanno finalmente messo in luce come la war on drugs abbia provocato più danni di quelli delle sostanze stesse, sia in termini sanitari che sociali, ambientali ed economici. Nel libro si ricostruiscono quindi le motivazioni geopolitiche alla base delle convenzioni e la loro evoluzione, affrontando anche il difficile problema della loro riformabilità o flessibilità. In Italia i devastanti effetti penali di una legislazione criminogena sono sotto gli occhi di tutti. Nonostante la pandemia la legge “antidroga” resta il volano delle politiche repressive e carcerarie: senza detenuti per spaccio o senza quelli dichiarati “tossicodipendenti” non ci sarebbe alcun sovraffollamento carcerario. Purtroppo, questi invece continuano ad entrare in carcere a ritmi ormai impazziti: un terzo di chi entra in carcere è accusato di semplice spaccio, mentre oltre il 40% dei neocarcerati è “tossicodipendente”. Alla fine dell’anno oltre il 35% dei detenuti è dentro per violazione della legge sulle droghe, mentre le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per la sua violazione sono 235.174, il dato più alto da 15 anni a questa parte. Secondo la media degli ultimi anni, 7 su 10 di questi processi arriverà a condannare gli imputati. Un rapporto altissimo, se pensiamo che invece i processi per i reati contro la persona o il patrimonio hanno tassi di condanna ben diversi: 1 a 10. Insomma, una filiera ben oliata ed efficientissima nel perquisire, arrestare e condanna-
re; o anche solo segnalare per mero consumo. Nonostante le restrizioni del lockdown le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite nel 2020 sono state 31.016 (che vanno ad aggiungersi alle 1.312.180 persone segnalate dal 1990). Quasi 3000 sono minorenni, il 97% dei quali per possesso di cannabis. In un terzo dei casi segue la sanzione amministrativa, come il ritiro della patente e del passaporto: sono state 8.587 nel 2020. Conferme arrivano anche rispetto a violazioni dell’art. 187 del Codice della Strada, ovvero guida in stato di alteraIl Libro Bianco è promosso zione psico-fisica per uso di sostanze da La Società della Ragione stupefacenti. Anche se i dati disponibili insieme a Forum Droghe, Antigone, sono piuttosto disomogenei, quelli che CGIL, CNCA, Associazione ci sono confermano che la rilevanza Luca Coscioni, ARCI, LILA e dell’uso di droghe negli incidenti straLegacoopsociali con l’adesione dale è bassissima: l’1,46% negli incidenti di A Buon Diritto, Comunità di rilevati dalla Polizia stradale. Pensate San Benedetto al Porto, Funzione che sugli oltre 45 milioni di controlli su Pubblica CGIL, Gruppo Abele, strada effettuati negli ultimi 4 anni da ITARDD e ITANPUD, può essere parte dei carabinieri, le violazioni accerordinato in qualsiasi libreria e tate rappresentano appena lo 0,06% store on line, oltre che essere dei controllati. Insomma, parrebbe che consultato su fuoriluogo.it/ le persone che usano droghe abbiamo librobianco molto più buonsenso di chi ci governa. Va detto che quest’anno una novità in effetti c’è. Per la prima volta da molti anni è stata consegnata al Parlamento entro i termini di legge la relazione governativa. Addirittura firmata dalla Ministra Fabiana Dadone, la quale ribadisce l’impegno a convocare entro l’anno la Conferenza Nazionale. Peccato che abbia fatto già un passo falso, escludendo la società civile riformatrice dai primi incontri preparatori e cancellando la “riduzione del danno” dai gruppi di lavoro preparatori. Ai più non è sembrata una gaffe, quanto piuttosto un imbarazzo rispetto al confronto con le associazioni e le persone che usano sostanze, che chiedono una svolta chiara nelle politiche e nella legislazione. Bon ton a parte, il metodo è sostanza, soprattutto quando si deve convocare un’assise che deve valutare il disastro del Testo Unico sulle droghe. Da parte della rete italiana per la riforma delle politiche sulle droghe, che giusto lo scorso anno aveva autoconvocato la conferenza, attesa formalmente da 12 anni, c’è la disponibilità a confrontarsi. Sempre che il confronto lo si voglia, e che si accetti la possibilità che una svolta sia necessaria.
SICURI DI ESSERE TANTO “DIVERSI DA LORO”?
Barbara Bonvicini e Riccardo Giorgio Frega
Il 22 maggio 2021 la band hard rock dei Maneskin, dopo avere trionfato a Sanremo col brano “Zitti e buoni”, conquista anche la vetta d’Europa, riportando l’Eurovision Song Contest in Italia dopo oltre trent’anni. Dei veri “bad ass”, questi Maneskin, musicisti trasgressivi e controcorrente. Lo si intuisce subito dai loro testi roventi, dove addirittura ardiscono cantare parole come “coglioni” e “cazzo”, ma soprattutto dall’atteggiamento sopra le righe del loro frontman Damiano, bellezza efebica e maledetta, che si distingue per il make up metrosessuale, la bigiotteria demoniaca a decorare abiti in pelle e latex e tatuaggi bene in vista: “Rock never dies” proclama dal palco, supponiamo perché ritenga di essere tra coloro che contribuiscono a tenerlo in vita.
Chi si sarebbe mai immaginato che bastasse evocare “la droga” per fargli rinnegare protagonisti e storia del genere musicale che interpreta, pur di smarcarsi dallo “stigma del drogato”?
Pochi minuti dopo la vittoria di Amsterdam, infatti, comincia a circolare in rete e, soprattutto, sui social network una foto che parrebbe immortalare Damiano con la testa china sul tavolino del salotto della Green Room (il luogo dove i concorrenti dell’Eurovision assistono allo spettacolo ed attendono il verdetto delle giurie) intento “nell’inconfondibile” gesto dello sniffare cocaina. Qualsiasi essere umano dotato di logica ed intelletto si rendereb-
Non sarebbe stato più dignitoso (e più rock) negare di avere “pippato” in diretta, ma tutelare il proprio diritto e la propria privacy
be conto che la vicenda è assurda sin dal principio. Lo scatto ritrae solo il cantante col capo chino, l’assunzione di stupefacente è totalmente presunta, così come la natura dello stupefacente stesso. La foto, sfocata e poco chiara, è l’unica inquadratura nota e non esistono altri filmati utili a chiarire alcun dettaglio della condotta. Il caso avrebbe potuto essere derubricato a “fake gossip” semplicemente per il fatto che assumere cocaina in diretta in un gigantesco studio televisivo circondato da telecamere non è un’idea brillante, se poi rischi l’eliminazione. Eppure l’insinuazione diventa virale. Nel giro di poche decine di minuti le ricondivisioni sono nell’ordine delle centinaia di migliaia, la domanda fa il giro del mondo ed è sulla bocca di tutti: “Damiano dei Maneskin è un drogato?”. Sono in molti a chiederne, per questo, la squalifica dalla kermesse. La vicenda si intrufola anche in sala stampa, durante la tradizionale conferenza coi giornalisti dopo la finale, dove, a domanda diretta, inizia la crociata mediatica “contro la droga” del gruppo capitolino: Damiano nega categoricamente di averne assunta durante l’evento, di averne mai consumata in vita sua e ci tiene a precisare che la droga è il male, che fa male e che uccide la creatività. Non solo, per lavarsi l’anima dal sospetto promette al mondo che farà degli esami del sangue il giorno seguente per provare a tutti il proprio candore. Questo evento è interessante per una serie di elementi diversi. Forse il primo da evidenziare, perché il più folle, è che il dibattito sulle “droghe” tende a deragliare fuori dai binari della razionalità con una violenza tale da invertire persino l’onere della prova. Qui non era Damiano che doveva discolparsi, erano nel caso gli accusatori a dover fornire prove certe dell’accaduto. Il contrario è impossibile: siete mai stati a Honolulu? No? Provatecelo. Altro punto irrazionale. Con che faccia puoi dire di non assumere “droghe” se non hai fatto altro che bere tutta la sera? Perché nessuno fa notare l’enorme approvvigionamento di alcol a disposizione degli artisti durante lo show? Non basta acchittarsi e truccarsi per essere “diversi da loro”, bisogna dimostrarlo cercando di rompere le regole del gioco che “loro” hanno fissato: quelle che dividono il consumo di sostanze tra le “buone” legali e le “cattive” illegali e che legittimano, nel caso di queste ultime, il discredito e il giudizio verso chi le consuma. Invece di parlare di “psicoattivi” consumati, la band più trasgressiva del momento ha preferito tornare al trotto nell’ovile della morale, pur di non doversi confrontare con triviali pettegolezzi. Perché di questo si tratta: chiedere il ritiro di un premio appena consegnato ad un artista che si scopre essere consumatore di sostanze significa dare un
giudizio morale, non ritenerlo degno di produrre arte, musica o intrattenimento per il pubblico. Del resto quando mai il consumo di sostanze è andato a braccetto con l’arte e la creatività umana? Cosa c’entra col consumo di “droga” il fatto che la canDispiace vedere dei ragazzi zone sia piaciuta al pubblico e alla giuria? L’Eurovision è una manifestazione giovani e di talento che, canora o si premiano look e presunta integrità morale dei concorrenti? Non spaventati dalla macchina sarebbe stato più dignitoso (e più rock) del fango, si prodigano negare di avere “pippato” in diretta, ma tutelare il proprio diritto e la propria a soffiare sul fuoco del proibizionismo privacy ricordando che ciò che gli artisti fanno nella loro vita privata non ha nulla a che vedere con la qualità della propria produzione artistica, e che quindi non dovrebbe essere oggetto di curiosità o dibattito, anziché promettere un test in Eurovisione come una educanda in coda per un prelievo all’Avis? Lo “stigma del drogato” è ancora evidentemente troppo potente, nonostante tutti i progressi fatti dalla scienza e dalla parte migliore della società civile per invertire la demonizzazione delle sostanze e di chi le consuma. Tanto potente da annichilire di paura i Maneskin e convincere il loro management a lanciare la band in un nuovo mercato: quello dei tour mediatici pro proibizionismo. In una intervista di
Stupefatti è il podcast qualche settimana dopo alla nota riviantiproibizionista che ogni sta Vogue Italia, “Don” Damiano dichiasettimana racconta il mondo ra che “la creatività viene da una mente delle sostanze stupefacenti: cosa sana. Allenata. Lucida. Il cervello è una sono, quel’è la loro storia e come macchina che deve avere gli ingranaggi si assumono in sicurezza. Inoltre a posto e la droga è solo una grandisracconta i danni del proibizionismo sima zozzeria”. Del resto che ne sanno e come un approccio laico e di creatività Bob Marley, i Pink Floyd, scientifico alle droghe sarebbe Handrix, i Rolling Stones, Baudelarie, il modo migliore per tutelare la Rimbaud, Van Ghog, Warhol e quelle salute pubblica e contrastare le migliaia di artisti che hanno fatto la stonarcomafie. Stupefatti si può ria dell’arte utilizzando le sostanze per ascoltare gratuitamente su potenziare la loro percezione ed acuire
Spotify, Apple Podcast, Google i propri sensi?
Podcasts e Amazon Music. Intendiamoci, la sobrietà è una scelta legittima, così come dovrebbe esserlo il consumo. Dispiace vedere dei ragazzi giovani e di talento che, spaventati dalla macchina del fango, si prodigano a soffiare sul fuoco del proibizionismo solo per tutelare il loro mero interesse economico e la loro carriera. È meschino scagliarsi a posteriori “contro la droga” fingendo così di voler abbattere uno stereotipo, quello della rockstar “che si fa”. Se vogliamo rompere gli stereotipi, caro Damiano, bisogna evitare di usarli nelle proprie canzoni descrivendo gli spacciatori come gente “strana”, dimenticandosi che nella maggior parte dei casi sono ragazzi giovani, che non hanno avuto modo di individuare e coltivare le proprie passioni e che spesso finiscono in carcere per reati non violenti. In conclusione, il tema “droghe” meriterebbe un po’ più di rispetto da chi ha come maggiore cruccio quello di scegliere il giusto brand di eye-liner per la prossima esibizione.