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Fitocomplessi e nuove interazioni

BeLeaf GENNAIO-MARZO 2022 FITOCOMPLESSI E NUOVE INTERAZIONI

Valentina Zanon psicologa-psicoterapeuta a indirizzo cognitivo-Comportamentale perfezionata nell'uso medico della Cannabis presso la facoltà di medicina dell'Università degli Studi di Padova

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LA FIGURA DELLO PSICOTERAPEUTA NELLE TERAPIE A BASE DI CANNABIS MEDICA

La letteratura sull’utilizzo di prodotti a base di Cannabis per il trattamento di disturbi di tipo organico è in continua crescita. A livello ministeriale, la Cannabis è consigliata per la terapia del dolore neuropatico a seguito di lesioni midollari, ma anche per la gestione di sintomi in malattie degenerative quali sclerosi multipla, Parkinson e Alzheimer. E’ indicata per la gestione degli effetti collaterali di nausea e vomito che accompagnano la chemioterapia, radioterapia o terapie per hiv. È inoltre indicata come stimolante dell’appetito in pazienti anoressici o oncologici e per il trattamento del glaucoma. L’effetto miorilassante della Cannabis può ridurre i movimenti involontari del corpo nella sindrome di Gilles de la Tourette.

Tuttavia, ad oggi, ancora poca attenzione è data agli aspetti psicologici legati all’assunzione di Cannabis oltre che all’utilizzo della Cannabis stessa come potenziale coadiuvante di un percorso psicoterapico.

La figura dello psicoterapeuta risulta essere invece centrale in qualsiasi percorso terapeutico con cannabinoidi. A seconda delle casistiche, lo psicoterapeuta può essere il punto di accesso come inviante verso un professionista medico/naturopata per l’avvio di percorsi di cura mirati a coadiuvare una terapia psicologica in atto, oppure divenire il punto di approdo per pazienti inviati da medici prescriventi Cannabis Medica che necessitano di una adeguata psicoeducazione alla sua gestione. In entrambi i casi, la figura dello psicoterapeuta porta un valore aggiunto al percorso di cura del paziente. Vedremo ora le due casistiche.

Molte persone si rivolgono ad uno psicoterapeuta per affrontare disturbi d’ansia e depressione, disturbi del sonno, irrequietezza ed eccessivi livelli di stress. Spesso si rileva la tendenza a grande rigidità di pensiero, tensione e irritabilità. Sempre di più, si presentano disturbi correlati a dipendenze comportamentali o da sostanze riconducibili a una disregolazione del sistema dopaminergico. Una presa in carico congiunta con un esperto naturopata può indirizzare queste persone verso il migliore prodotto contenente percentuali variabili di cannabidiolo (CBD) e divenire un valido coadiuvante alla psicoterapia.

Interessanti dati preliminari indicano il potenziale del CBD come ansiolitico e antipsicotico utile alla riduzione dei livelli di cortisolo nel sangue in soggetti ad alto rischio di psicosi (E. Appiah-Kusi et al. 2020) oltre che come modulatore del sistema dopaminergico (C. Calpe Lopez et. al) utile per la riduzione dei sintomi di astinenza e sintomatologie correlate

al craving lasciati da abuso di sostanze. Gli effetti antidepressivi del CBD sono documentati su studi animali ma anche le prime sperimentazioni umane appaiono promettenti vista l’assenza di effetti collaterali (M.S. Garcia-Gutierrez, 2020). L’effetto miorilassante del CBD, sfruttato nel farmaco Epidiolex per il trattamento di epilessie, a dosaggi più moderati, può essere un ottimo alleato nel trattamento cognitivo-comportamentale dell’insonnia e di tutti i disturbi correlati all’ansia.

Nel secondo caso, persone afflitte da disturbi di tipo organico, intraprendono percorsi di cura a base di Cannabis Medica contenente percentuali variabili di tetraidrocannabinolo (THC), sostanza dagli effetti psicotropi, ovvero in grado di modificare lo stato psichico di un soggetto alterandone la percezione, la cognizione, lo stato di coscienza e conseguentemente il comportamento. Alcuni studi riportano effetti euforizzanti e rallentamenti in alcune funzioni neuropsicologiche oltre che alterazioni percettive; tuttavia, la letteratura esistente è scarna e manca di un sufficiente numero di pubblicazioni con studi approfonditi e replicabili.

Qui, lo psicoterapeuta diventa fondamentale come punto di accesso ad uno screening psicologico che possa valutare l’effettiva compatibilità della struttura psichica della persona per sostenere una terapia a base di Cannabis Medica e per fornire una corretta psicoeducazione e accompagnamento a tutte quelle persone che entrano per la prima volta in contatto con l’esperienza psichedelica e ai loro famigliari. Al momento, le linee guida ministeriali escludono la possibilità di intraprendere un percorso di terapia a base di Cannabis Medica in presenza di una storia psichiatrica importante e con il concomitante utilizzo di psicofarmaci. D’altro canto, e’ importantissimo sottolineare che in altri paesi si esplora l’utilizzo della terapia psichedelica con varie sostanze psicoattive. L’alterazione di coscienza indotta dal THC può accelerare e approfondire il percorso terapeutico, studi preliminari su volontari affetti da PTSD indicano una significativa riduzione dei sintomi e di attivazione neurale misurata con fMRI nei soggetti sotto effetto di THC. Un filone di assoluto interesse che Chacruna C.S.C. , nel suo piccolo, si impegna ad approfondire. Per apportare un piccolo ma concreto contributo alla ricerca, è in atto la strutturazione e la raccolta di casistiche che possano iniziare ad alimentare le evidenze circa il possibile utilizzo della cannabis anche in ambito psicologico.

Un approccio terapeutico con Cannabis, infatti, può essere intrapreso giustamente solo se avviato in parallelo ad un percorso altrettanto significativo di consapevolezza personale, del proprio funzionamento e del proprio atteggiamento verso la cura e la malattia. La possibilità di estrarre il massimo potenziale beneficio dall’azione sinergica di questa pianta con il nostro sistema risiede primariamente nella capacità di affrontare un cambio di paradigma che possa restituire equa importanza a tutti i livelli sui quali si organizza l’equilibrio psico fisico della persona. Corpo, Mente, Spirito. L’Associazione Chacruna C.S.C. si propone di lavorare in maniera sinergica con il paziente con un team di professionisti medici, psicoterapeuti e naturopati in grado di seguire passo passo il percorso terapeutico di ogni associato con un’assistenza multidisciplinare altamente competente che possa restituire valore ad ogni aspetto della cura e del benessere.

IN WEED WE TRUST

CANNABIS E GLAUCOMA:

UNA STORIA DI ATTIVISMO E TERAPIA

Il glaucoma è una malattia che colpisce gli occhi ed è una delle principali cause di cecità irreversibile in tutto il mondo. Nonostante ciò, la pressione intraoculare, il principale fattore di rischio, può essere migliorata farmacologicamente. Nella sfida al glaucoma, Cannabis e farmaci a base di cannabinoidi sono stati utilizzati fin dagli anni ’70 del secolo scorso. Proprio in quegli anni, a causa del glaucoma, la storia della Cannabis Terapeutica ebbe il suo inizio.

IL GLAUCOMA

Il termine glaucoma proviene dal greco gláukōma, derivato da glaukós, ovvero “glauco, ceruleo, celeste”, perché l’occhio colpito appare di un azzurro opaco tendente al grigio. In medicina con questo termine si indicano un gruppo di malattie eterogenee caratterizzate da un aumento della pressione introculare (intra-ocular pression, IOP). L’associazione tra elevata IOP ed insorgenza del glaucoma fu descritta per la prima volta nel 1622 dal medico inglese Richard Banister, che nel suo “Trattato di centotredici malattie degli occhi e delle palpebre” così enunciava: l’occhio diventa più solido e duro di quanto dovrebbe essere in natura.

L’aumento di pressione oculare dipende dall’umor acqueo, un liquido che circola all’interno dell’occhio, che ne assicura il nutrimento e il mantenimento della sua forma rigida. L’umor acqueo circola normalmente nell’occhio tra la parte anteriore del cristallino e la parte posteriore della cornea e defluisce attraverso apposite vie. Se per qualche motivo queste vie si ostruiscono, il deflusso del fluido dalla camera anteriore dell’occhio viene limitato, causando un accumulo di pressione, come avviene per l’acqua dietro una diga. Gli scienziati sospettano che l’aumento della IOP contribuisca al glaucoma diminuendo il flusso di nutrienti al nervo ottico. I medici distinguono 2 principali tipi di glaucoma: [1]

• ad angolo aperto: spesso asintomatico, è causato da un’alterazione dei sistemi di deflusso dell’umore acqueo che progredisce lentamente, ma inesorabilmente. • ad angolo chiuso: si manifesta improvvisamente, meno comune del precedente, è caratterizzato da un’ostruzione al deflusso più brusca e severa; può portare a sintomi come dolore oculare intenso, arrossamento oculare, edema corneale, nausea, vomito e visione sfocata.

Dopo la cataratta, il glaucoma è una delle principali cause di cecità nel mondo, colpendo più di 60 milioni di persone nel mondo. In Italia si stima siano colpite più di un milione di persone.

La forma più comune, il glaucoma ad angolo aperto, distrugge le cellule della retina dell’occhio e degrada il nervo ottico. Questi danni costringono il campo visivo, che alla fine scompare, insieme alla vista del paziente. Il glaucoma è una malattia subdola, perché spesso non causa alcun sintomo e ci si accorge della sua presenza quando ha già fatto molti danni. Per questo motivo è consigliata una visita oculistica periodica, specie dopo i 40 anni. I ricercatori non hanno ancora identificato le cause del glaucoma, ma solo i fattori di rischio. Oltre all’aumento di IOP, altri fattori di rischio sono l’età e l’etnia, in quanto la frequenza del glaucoma aumenta con gli anni ed è più comune tra persone di origine africana e ancor di più tra gli originari dei Caraibi.

Poiché un’elevata IOP è l’unico fattore di rischio significativo per il glaucoma che può essere controllato, la maggior parte dei trattamenti fino ad oggi mirano a ridurla.

TRATTAMENTI ANTI-GLAUCOMA

Il primo approccio anti-glaucoma si basa sulla terapia farmacologica, generalmente mediante colliri. [2] I farmaci mirano a ridurre la pressione intraoculare agendo su diverse vie di circolazione dell’umore acqueo, come il reticolo trabecolare, un reticolo formato da tessuto connettivo e cellule. Il fluido scorre attraverso questo tessuto in un piccolo canale ed esce dall’occhio, dove si unisce al flusso sanguigno.

La pilocarpina, un agonista colinergico, contrae il muscolo che controlla la forma del reticolo trabecolare, rendendo più facile il passaggio del fluido; è un farmaco molto efficace ma che, stringendo molto la pupilla, tende a ridurre ulteriormente il campo visivo.

I Beta-bloccanti, come il timololo, interferiscono con la produzione del fluido da parte dell’epitelio ciliare; anch’essi molto efficaci, sono sconsigliati in caso di asma o problemi cardiaci.

Gli agonisti alfa-2, come l’apraclonidina e la brimonidina e gli inibitori dell’anidrasi cabonica, come l’acetazolamide, riducono la quantità di fluido prodotto, ma non sono privi di effetti collaterali. Abbiamo poi gli analoghi della prostaglandina F2A (latanoprost, unoprostone), farmaci abbastanza sicuri che facilitano il passaggio dell’umore acqueo dall’occhio. Quando i farmaci non riescono efficacemente a ridurre la IOP, si passa alle opzioni chirurgiche. Il canale trabecolare può essere tagliato con un laser, permettendo al fluido di uscire più facilmente. In alternativa, un chirurgo può rimuovere un pezzo della parete dell’occhio e permettere al fluido di defluire sotto la congiuntiva. I medici possono anche inserire minuscoli tubi di drenaggio all’interno dell’occhio, per permettere il drenaggio del fluido verso gli strati esterni dell’occhio. Infine, il laser, il calore o il freddo possono essere usati per distruggere l’epitelio ciliare, che secerne l’umore acqueo. Gli interventi chirurgici non sono comunque privi di complicanze, sebbene siano molto rare; per questo si effettuano quando non ci sono altre alternative.

CANNABIS E GLAUCOMA: UNA STORIA DI ATTIVISMO

I primi report sull’utilizzo della cannabis per abbassare la IOP risalgono al 1971. Da allora, la pianta ha raggiunto uno status quasi mitico come farmaco miracoloso per il glaucoma. Inoltre, è grazie al glaucoma (o meglio, alla possibilità di poterlo curare) che nel 1974 la rivoluzione della Cannabis Tera-

peutica è iniziata.

In quell’anno Robert C. Randall, un uomo di 26 anni con un glaucoma avanzato e mal controllato, osservò che gli aloni intorno alle luci che sperimentava a causa della sua alta IOP scomparivano dopo aver fumato cannabis. Iniziò allora a coltivarla nella sua casa a Washington, ma le sue piante vennero scoperte durante un’incursione della polizia in un appartamento vicino. Quando si trovò davanti alla Corte di Giustizia, egli presentò l’affermazione, allora inedita, che il

glaucoma di cui soffriva era alleviato dal fumo di canna-

bis, un’idea che persino il suo avvocato fece fatica all’inizio ad accettare senza ridacchiare. Le risate durarono comunque poco. Randall infatti si sottopose ad una serie di test presso l’Università di Los Angeles per supportare la sua tesi e, nel 1976, un giudice della Corte Suprema americana stabilì che il signor Randall “fece di necessità virtù […] il male che ha cercato di evitare, la cecità, è maggiore di quello che ha compiuto”. Le accuse contro di lui vennero respinte e Mr. Randall divenne il primo utilizzatore legale di cannabis per mo-

tivi medici.

Grazie al suo impegno civile, all’Università del Mississippi vanne avviato il Marijuana Research Project, guidato dal farmacologo Mahmoud A. El Sohly. Questo fu il primo programma statunitense di coltivazione statale di Cannabis Medica, che nella sua storia travagliata ha fornito legalmente Cannabis a 22 pazienti, tra cui lo stesso Randall, fino al 1992, anno in cui fu sostanzialmente dismesso.

Dopo il caso giudiziario, Randall diventò un attivista per la legalizzazione della cannabis per scopi medici e fondò l’Alliance for Cannabis Therapeutics, un’associazione bipartisan molto attiva negli USA. Egli fu una figura chiave anche in un’altra causa, che portò ad una controversa e per molti versi rivoluzionaria sentenza del 1987. La decisione, che fu successivamente ignorata dai funzionari della Drug Enforcement Administration (DEA, l’agenzia anti-droga degli USA), fu scritta dal giudice amministrativo capo dell’agenzia, che scrisse che la cannabis era “una delle sostanze terapeuticamente attive più sicure conosciute dall’uomo“. Robert C. Randall è morto nel 2001.

L’EFFICACIA DELLA CANNABIS E DEI CANNABINOIDI NEL GLAUCOMA

Cannabis e cannabinoidi sono efficaci nel glaucoma per due motivi principali:

1. Abbassano la pressione intra-oculare: questo effetto è ottenuto attraverso l’interazione con il recettore CB1, così come dalla modulazione della sintesi di prostanoidi attraverso la via della cicloossigenasi (COX); i recettori CB1 sono ampiamente espressi sia nella retina che nelle strutture oculari anteriori come il reticolo trabecolare, il canale di Schlemm, l’iride, il muscolo del corpo ciliare e l’epitelio pigmentato ciliare; questa distribuzione ubiquitaria suggerisce che più vie possono essere coinvolte nell’effetto di abbassamento della IOP dei cannabinoidi attraverso la regolazione della produzione di umore acqueo e il suo deflusso. 2. Esercitano un effetto neuroprotettivo: vari studi hanno dimostrato che i cannabinoidi proteggono le cellule gangliari retiniche (RGC) da vari tipi di danni; tre meccanismi principali sembrano coinvolti negli effetti neuroprotettivi dei cannabinoidi: inibizione del glutammato, dell’endotelina-1 e del rilascio di ossido nitrico.

I CANNABINOIDI UTILI NEL GLAUCOMA

Diversi studi clinici hanno mostrato che i cannabinoidi riducono la IOP e rallentano la progressione del glaucoma. Il cannabinoide più studiato e che dà i migliori risultati è senz’altro il tetraidrocannabinolo (THC).

Questo è vero se il THC viene somministrati per via orale, endovenosa o per inalazione (somministrazione sistemica), ma non quando è applicato direttamente all’occhio sotto forma di collirio (somministrazione locale). Ciò perché il THC, come la maggior parte dei cannabinoidi, è una molecola liposolubile che non si scioglie facilmente in ambiente acquoso (non-polare). Per ovviare questo problema, si stanno

provando nuove formulazioni, come quelle con ciclodestrine che facilitano la solubilizzazione del THC.

La Cannabis inalata o assunta per via orale, il THC e i cannabinoidi sintetici in forma di pillola e le iniezioni endovenose di diversi cannabinoidi naturali hanno tutti dimostrato di ridurre significativamente la IOP, sia nei pazienti con glaucoma che negli adulti sani con IOP normale. Nella maggior parte degli studi, questo effetto dura per tre o quattro ore. La breve durata d’azione e gli effetti collaterali in alcuni casi ne limitano l’utilizzo.

Per ridurre gli effetti collaterali, si può usare THC in combinazione con il cannabidiolo (CBD). Il CBD da solo è anch’esso in grado di ridurre la IOP, ma solo modestamente e comunque induce una certa tossicità oculare. Il cannabigerolo (CBG) è invece in grado di ridurre la IOP e non presenta particolare tossicità. [3]

Anche la palmitoiletanolamina (PEA) somministrata oralmente ha una certa efficacia nel ridurre la IOP e riduce di molto la vasodilatazione intraoculare, senza presentare effetti collaterali. [4]

LA TERAPIA “CUCITA” SUL PAZIENTE: LE PAROLE DEL DOTTOR LORENZO CALVI

“Nonostante il gran numero di manoscritti sull’uso dei cannabinoidi nel glaucoma, l’evidenza scientifica complessiva su questo argomento rimane controversa … Oltre alla mancanza di studi controllati randomizzati, dobbiamo anche sottolineare che la maggior parte dei manoscritti citati risalgono agli anni 70 e ai primi anni 80. Questo può rappresentare un’ulteriore limitazione perché i manoscritti di quel periodo presentano spesso problemi di divulgazione dei dati, analisi statistica, omogeneità della popolazione e valutazione della sicurezza. Per queste ragioni, l’evidenza scientifica su questo argomento rimane limitata”. Queste sono le conclusioni di una revisione sistematica della letteratura pubblicata nel 2020. [5]

Non sembra essere d’accordo con queste conclusioni il dottor Lorenzo Calvi, Medico Anestesista, Etnofarmacologo, Visiting Professor presso l’Università di Milano e collaboratore di Cannabiscienza.

“Io nella pratica ho trattato circa 150-160 pazienti col glaucoma e la cosa straordinaria è che potrei dire che al massimo mi vengono in mente 1 o 2 persone per cui non c’è stato nulla da fare, mentre in tutti gli altri abbiamo avuto un risultato eccezionale, al 98% della casistica. Inoltre, la quantità di farmaco (cannabinoide, ndr) utilizzato è irrisoria rispetto alle altre indicazioni della Cannabis. Bastano infatti solo poche gocce e ciò comporta una compliance del paziente ottima, perché non andiamo ad indurre effetti collaterali psicotici”.

Questo è quanto affermato dal dottor Calvi in un recente webinar sull’argomento, precisando però che buoni risultati si possono ottenere solo personalizzando la terapia, che deve essere “cucita” su misura sul paziente: “la personalizzazione della terapia rappresenta la summa del ragionamento terapeutico applicato sartorialmente nelle dinamiche del quotidiano del singolo paziente” continua il dottor Calvi, “la personalizzazione si traduce nella strategia clinica di approccio del medico in un percorso terapeutico che passo dopo passo deve essere calibrato alle esigenze e all’evoluzione della patologia; il compito del terapeutico è di dirigere e guidare, trasmettendo al paziente come utilizzare al meglio gli strumenti cannabinoidi disponibili”. Il tutto, continua il dottor Calvi, “rispettando il più possibile, nella valorizzazione farmaceutica, il fitocomplesso originale della pianta, la sinergia naturale tra cannabinoidi e terpeni che ci permette di ottenere un farmaco efficace, potente a bassi dosaggi e clinicamente sicuro”.

L’esperienza dell’utilizzo di Cannabis e cannabinoidi nel glaucoma può essere traslata anche ad altre patologie: “ciò che mi ha fatto aprire gli occhi sulla Cannabis, che prima era vista solo come un modo per divertirsi, è vedere personalmente i risultati della terapia che progrediscono. Quando vedi un paziente che fa cose che non faceva più ti fai delle domande. Dovremmo fare un corso per far vedere ai colleghi qual è la forza dei cannabinoidi e quanto poco andiamo a rischiare con il loro utilizzo. Questo è il vero risveglio, che ti fa venire il bisogno di approfondire queste terapie. Ciò a patto che venga rispettata l’importanza del triangolo galenico: medico, paziente, farmacista. È necessario che ci sia un confronto continuo tra queste tre entità, se uno di questi passaggi viene a mancare, stiamo perdendo qualcosa. La Cannabis soprattutto richiede questo sforzo, questa comunione, che viene ripagata dall’efficacia della terapia”. CANNABIS E GLAUCOMA: LE CONCLUSIONI

REFERENZE:

1 Harry A Quigley.

Glaucoma.

Lancet. 2011 Apr 16;377(9774):1367-77. 2 Robert N Weinreb, Tin Aung,

Felipe A Medeiros.

The pathophysiology and treatment of glaucoma: a review. JAMA. 2014 May 14;311(18):1901-11. 3 Colasanti BK, Craig CR,

Allara RD.

Intraocular pressure, ocular toxicity and neurotoxicity after administration of cannabinol or cannabigerol. Exp Eye Res 1984;39:251–9

“L’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali” è una delle indicazioni ministeriali per l’utilizzo di cannabis e cannabinoidi. Questa indicazione è frutto di decenni di studi, pre-clinici e clinici, che mostrano l’efficacia dei cannabinoidi nel ridurre la IOP e nel tenere sotto controllo la progressione del glaucoma. A questi studi si sommano la miriade di report aneddotici di numerosi pazienti che hanno trovato sollievo dal glaucoma consumando Cannabis.

I problemi principali nell’utilizzo dei cannabinoidi riguardano la loro elevata lipofilia, che non permette facilmente di formularli come colliri. Anche gli effetti collaterali centrali, soprattutto del THC e la breve durata d’azione ne limitano l’utilizzo.

Ciò precisato, la Cannabis Medica e i cannabinoidi rimangono una valida alternativa terapeutica per trattare il glaucoma, anche perché la legge vieta di utilizzarli come prima opzione. La loro efficacia è confermata soprattutto dalla pratica clinica, come riportato dal dottor Lorenzo Calvi, a patto però di personalizzare la terapia, che deve essere “cucita” su misura, rispettando le esigenze di ogni singolo paziente.

4 Gemma Caterina Maria Rossi,

Luigia Scudeller, Chiara Lumini, et al.

E^ect of palmitoylethanolamide on inner retinal function in glaucoma: a randomized, single blind, crossover, clinical trial by pattern-electroretinogram.

Scienti_c Reports volume 10,

Article number: 10468 (2020)

5 Andrea Passani, Chiara Posarelli,

Angela Tindara Sframeli, et al.

Cannabinoids in Glaucoma

Patients: The Never-Ending

Story.

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