BORSA DI STUDIO VALENTINO MORO a XVII Edizione Terzo premio
ALBERTO PISANO Classe 4° AE
ISTITUTO STATALE “MARCO BELLI” PORTOGRUARO
a.s. 2013/2014
In un mondo lacerato e pieno di conflitti etnici e sociali, donare qualcosa di sé avvicina gli uomini?
Gocce di tempo
Il vampiro e la bambina In un remoto tempo, in un lontano villaggio, arrivò un giorno uno straniero. Al suo seguito una bambina dall'aspetto malaticcio, pareva divenisse presto figlia della morte. Cultura dei residenti era accogliere i forestieri, quantomeno per capire con chi avessero a che fare. Tuttavia lo straniero, alloggiato in una piccola abitazione, negò la sua presentazione al resto degli abitanti, e cosa peggiore, negò la sua presenza alla Santa Messa domenicale. Di conseguenza, lo straniero attirò a sé la paura dell'ignoto, al seguito i pregiudizi, al seguito i pettegolezzi. Ma questo non era tra le maggiori preoccupazioni dell'uomo: fuggiva da terre che l'avevano abituato a ciò, e soprattutto, i suoi pensieri erano tristemente riservati alla bambina che, a causa del lungo spostamento, si era ulteriormente indebolita, e i suoi occhi, ormai, erano sempre più rari al mostrarsi. Poche ore la bimba restava cosciente, e in quei fugaci minuti, l'uomo le raccontava fiabe, mentre lei cercava di consumare un pasto. Ma ogni volta le storie non riuscivano a concludersi, come neppure il piatto della piccola, che esausta sprofondava in quella soporifera autoconservazione che il suo organismo esigeva. L'uomo a quel punto prolungava il nutrimento dell'infante attraverso una flebo che penetrava l'esile braccio. Dopodiché lasciava il salotto, che per ragioni di limitato spazio ospitava il letto della bimba, e si ritirava in uno stanzino attiguo, dove aveva attrezzato un piccolo laboratorio, e lì, seduto su un tavolo, riempiva le pagine di un
diario cominciato tanto tempo addietro, quando la bambina iniziò ad ammalarsi della stessa malattia che l'aveva privata della madre. Il diario riservava pagine ai sentimenti stanchi dell'autore, altre pagine narravano i più importanti eventi vissuti fino a quel momento, altre ancora erano un registro medico, ricerche, sviluppi clinici. La protagonista di quelle note era sempre lei, la bambina. Pallida era l'aggettivo più ricorrente, e lo era tanto da sembrare un cadavere. Da quando poi accusava una profonda stanchezza, il suo corpicino necessitava costantemente di un letto su cui riposarsi; era così difficile, per l'uomo, distinguere se quel sonno non fosse eterno, e così doloroso doverle appoggiare un dito sulla carotide per accertarsene. Non avrei mai dovuto farle compiere questo lungo viaggio, scrisse sul diario, sebbene in fondo sapesse che lo spostamento era stato più che indispensabile, tanto che se fossero rimasti dove stavano lui sarebbe morto, e lei abbandonata a se stessa. Un pomeriggio, mentre analizzava coi suoi strumenti un campione di sangue della bambina, sentì bussare alla porta d'ingresso. Aprendola, gli comparve alla vista un ragazzino. Immutato nella posa rigida, lo fissò, sinché il ragazzo disse: «Mio padre è sindaco della commissione cittadina, vuole conoscervi e mi ha...». Le sue parole si consumarono, i suoi occhi avevano oltrepassato le spalle dell'uomo, fino a scorgere il letto al centro del salotto su cui un essere collegato a dei tubicini giaceva immobile. L'uomo se ne accorse, e con una violenta spinta richiuse la porta. Si volse, e avvicinandosi al letto su cui riposava il corpo candido appoggiò due dita sul collo; per un istante temette che i suoi incubi si fossero avverati, poi, con grazia, sentì la pulsazione. Guardò gli occhi chiusi della piccola per un po', prima di tornare nella sua stanza e aprire il diario. Non migliora, scrisse l'uomo, le ore in cui rimane cosciente si riducono di minuto in minuto. Necessita di una cosa e una cosa soltanto: sangue. Io non posso darglielo. Nessuno ne sarebbe disposto. Temo, anzi, sono terrorizzato all'idea di dover reiterare ciò che dovetti compiere nel
precedente villaggio. Se dovessi essere di nuovo scoperto, non potrei più fuggire, lei non resisterebbe. Tuttavia non posso arrendermi. Sto preparando gli attrezzi. Mi concedo ancora alcuni giorni per testare cure alternative. Ma non c'è più tempo. Lei non ha più tempo. Intanto, al villaggio, non poche maldicenze passavano, e di bocca in bocca cambiavano forma. Passate poi per le orecchie dei più giovani, la loro fantasia elaborò il materiale rendendolo quanto più interessante e misterioso. Varie affabulazioni giunsero anche alle orecchie degli adulti, che se pur dotati di una certa maturità, non avendo altro su cui basarsi, inconsciamente lasciarono insinuarsi le più strane dicerie sullo straniero e sul mistero che lo avvolgeva. L'uomo a malincuore usciva dalla sua dimora, lasciando incustodita la bambina, una volta sola ogni settimana, per approvvigionarsi di viveri e medicine; era l'unica occasione in cui si prestava agli occhi altrui, e sebbene fosse adamantino, sentiva gli sguardi penetrarlo, urlargli addosso parole sorde all'udito. D'altronde non poteva biasimare nessuno. Loro volevano sapere, come era giusto che fosse. Lui era un intruso maleducato nelle loro vite, un'ombra che non voleva rivelarsi, e che non poteva farlo. Non si fidava di loro; conosceva bene le sordide virtù delle persone, ne diffidava e sapeva che se riunite in un nucleo potevano fondersi in qualcosa di altamente pericoloso, da cui, come era stata sua esperienza, meglio fuggire. Un giorno in cui fu avvistato lasciare la sua abitazione, un gruppo di ragazzi si lanciarono una sfida che fece rabbrividire tutti quanti. Lasciando la decisione al caso, uno di loro avrebbe dovuto testare il proprio coraggio entrando in quella casa e prendendo un oggetto come prova. Tirando quindi a sorte, essa designò lo stesso ragazzino che aveva intravisto la figura stesa sul letto alle spalle dell'uomo, quel giorno in cui aveva bussato alla sua porta. Il ragazzino, già sapendo quale orrida visione lo aspettava, era terrorizzato e del tutto restio a mettere piede in quell'abitazione. Tuttavia, le pretese dei suoi compagni lo convinsero a sforzare una finestra e introdursi così, all'interno della casa. Ritrovandosi in salotto agghiacciò alla vista di quell'essere bianco dai lunghi
capelli sdraiato sul letto. Il ragazzino lanciò una rapida occhiata ai dintorni, notando quanto la dimora fosse spoglia. Costretto ad avanzare alla ricerca di un oggetto, entrò in una camera dove vide strani aggeggi, e lì, sopra un tavolo, trovò un quaderno, lo raccolse pronto a portarlo dai suoi amici. Non prima però, di essersi soffermato per un attimo ai piedi del letto in salotto. Notò grazie a quella vicinanza che si trattava solo di una bambina; i suoi occhi erano leggermente socchiusi e violacei, le labbra color porpora, il corpo sotto le lenzuola era sottilissimo, un braccio cereo fuoriusciva dalle coperte, la sua mano mostrava unghie screpolate e spezzate. Il ragazzino rimase rapito e toccato dal complesso della visione, azzardò qualche passo più vicino alla bimba, e quando ella improvvisamente fu scossa da un tremito e spalancò gli occhi, il ragazzo sobbalzò e sgattaiolò via da dove era entrato, inseguito da un ricordo che non avrebbe mai lasciato i suoi incubi. Qualche minuto dopo il padrone di casa tornò, e anche lui non appena mise piede all'interno fu accolto dallo spavento. Trovò difatti la bambina sveglia, alzata sulla schiena ai piedi del letto. Le mani dell'uomo abbandonarono all'istante le buste con vivande e medicine ed egli si precipitò da lei. C'era una finestra inspiegabilmente aperta, nel salotto, e la piccola al tocco era quanto mai gelida e sudata; piangeva, e sembrò che quelle lacrime fossero l'unica cosa che quel corpicino anemico avesse ancora in abbondanza. Andò a chiudere la finestra, ritenendo che si fosse spalancata a causa del forte vento e dei serramenti malmessi. Consolò la bimba tra le braccia finché non fu calma, poi la affidò al calore delle coperte, guardandola mentre i suoi occhi si chiudevano, e pregando, perché si riaprissero. Sapeva che prima o poi non sarebbe successo; quegli occhi sarebbero rimasti chiusi, per giorni, e giorni, per sempre, se non avesse fatto qualcosa. La sua pazienza traboccò; decise di agire, quella notte stessa. Il tempo era giunto alle ultime gocce. Si fiondò al laboratorio dove, travasando con le fiale alcune sostanze, preparò un intruglio dall'effetto anestetico. Dopodiché, si adoperò per sterilizzare lunghi e grossi aghi ed enumerò delle
fialette etichettandone ognuna. Infine, tutti gli attrezzi, accuratamente riposti dentro una borsa, attendevano l'oscurità della notte. Nel frattempo, l'oggetto testimone della bravata risultò essere non solo un quaderno, ma un diario, e quando i ragazzi vi lessero le prime pagine, rimasero a guardarsi negli occhi, ammutoliti. Il ragazzo che aveva sottratto il diario lo portò a suo padre, nonché sindaco della commissione cittadina, e così egli, rimproverando per prima cosa il reato commesso da suo figlio, finì poi per leggerlo, e tra le tante cose scoprì il terribile segreto di quell'essere misterioso, che s'intrufolava di notte nelle camere da letto altrui a prelevare del sangue durante il sonno delle ignare vittime. Infine le tarde ore della notte giunsero, portando le tenebre. L'uomo, imbracciando il borsone, si aggirava furtivo tra i muri delle case. Rimembrava con orrore l'ultima volta che l'aveva fatto. Se fosse stato scoperto ancora sarebbe stata la fine; per la bambina, soprattutto. Nascondendosi dal chiarore della luna, s'insinuò tra vicolo e vicolo, sinché scelse l'abitazione adatta in cui entrare: una casa defilata e di piccole dimensioni, che presumeva avesse poche camere. Possedeva gli attrezzi giusti per non essere fermato dalle serrature, e silenzioso si addentrò per la porta d'ingresso. L'ambiente era buio, ma non del tutto oscuro grazie al chiarore di luna che filtrava dalle finestre. Mosse passi privi di suono, salendo delle scale di legno, fino a trovare la camera da letto. Il suo respiro si era fatto pesante e sonoro per l'agitazione; si sforzò di calmarsi, prima di agire. Posò a terra il borsone sfilandovi il necessario, poi sospinse la porta ad aprirsi. Felpato, si avvicinò lentamente al letto, in una mano l'anestetico, nell'altra una siringa, sfilò piano le coperte, e scoprì che, lì sotto, non c'era nessuno. Sorpreso e spaventato, si affrettò a riporre tutto dentro il borsone e ad abbandonare la casa. Con le spalle al muro si teneva stretto la borsa, guardingo osservava le finestre scure, i sassolini immobili nei vicoli silenziosi; l'unico suono presente era il suo battito e il suo respiro. Ma anche la notte aveva il suo tempo, e lui non poteva perderlo.
Quindi mosse di nuovo i suoi leggeri passi tra le ombre, e si addentrò in un'altra abitazione. S'infilò in una camera, avvicinandosi al letto, ma, ancora, trovò coperte vuote, senza alcun dormiente. Irruppe in altre case, altre due, e anche quelle per qualche strana ragione risultarono disabitate. Confuso e timoroso, stava uscendo dall'ultima abitazione, quando udì un suono cupo, rimbombante riempire tutta la notte. Era il campanile del villaggio; suonava a tarde ore inoltrate, e quest'altra stranezza lo convinse che qualche cosa era andata storta. L'uomo corse rapido come il tempo verso casa, mentre il brutale suono delle campane lo inseguiva e batteva forte, e pesante, quanto il suo cuore. All'improvviso, giunto in prossimità di casa, la corsa dell'uomo si congelò, altrettanto il suo sangue. Una numerosa folla di persone con le torce accese illuminava l'ingresso, attendendolo. Alcune dita tra la schiera indicarono la sua direzione, e subito la massa si spostò verso di lui, circondandolo. Era finita. Era stato scoperto un'altra volta, e questa volta non l'avrebbe scampata. Il furore della società incombeva su di lui con torce ardenti. Ma non gli importava con quale orrenda tortura sarebbe morto. Indicò solamente la casa, dentro la quale c'era una bimba che passava le sue poche ore rimaste in una lenta discesa nel grembo della morte; temeva che aprisse gli occhi, trovandosi sola. I cittadini lo guardavano, le fiamme creavano nei loro volti disegni ghignanti. Uno di loro avanzò con una mano sollevata: reggeva il diario. «Sappiamo,» disse il sindaco, «sappiamo tutto, finalmente». Al che, ogni individuo mosse un passo in avanti, stringendo il cerchio intorno all'uomo. Il quale si rannicchiò su se stesso, chiudendo gli occhi, arreso. Pensava ad ogni secondo credendo fosse l'ultimo, ma, di secondo in secondo, non accadeva nulla. Allora si sforzò di alzare lo sguardo, e ciò che vide lo sbalordì. Era attorniato da braccia a mezz'aria, col risvolto della manica sollevato a scoprire la pelle; guardava ogni astante incredulo, e non capiva. «Noi la salveremo, attingi il nostro sangue,» disse infine il
sindaco, anch'esso col braccio teso. Ma ancora lui non capiva; era accerchiato da sconosciuti che si stavano offrendo a lui, che gli proponevano le loro vene, il loro sangue, il fluido della loro vita, e trovava inverosimile, impossibile, inconcepibile quanto stava accadendo. Ormai da troppo tempo si era abituato al male, e aveva dimenticato cosa fosse la bontà umana, non la riconosceva più, ma ne era circondato, da ogni lato, e quel giorno non ne ebbe scampo. D'allora, quell'uomo, che dapprima aveva alimentato paure e leggende, era diventato il dottore più stimato del villaggio. Con le sue conoscenze e la tecnica della trasfusione aiutò molte persone, e salvò innumerevoli vite, e per questo fu premiato con grandi onori. La bambina, invece... lei non si salvò. Le sue condizioni erano divenute troppo critiche e degenerate, ormai, irreparabilmente. Nonostante l'altruismo della popolazione, non c'era stato alcun modo di recuperarla. Prima che il suo sonno divenisse eterno, aveva aperto gli occhi un'ultima volta, guardando suo padre, (era stato per poco più di un secondo, ma per lui quel secondo non finirà mai), poi, aveva chiuso gli occhi, per l'ultima volta. Se non fosse stato per l'aiuto delle persone, non gli sarebbe rimasto più nulla dopo la morte della bimba. Ma adesso aveva a cuore ogni infermo, poiché ogni malato era la sua bambina. E ogni giorno, il dottore si presentava davanti alla lapide bianca nel cimitero del villaggio, e si spillava, dal pollice, una goccia di sangue, lasciando che bagnasse la terra ai suoi piedi. E finché il sangue fluisce, il tempo scorre, gli occhi si riaprono, le fiabe finiscono.