p 9
Prima edizione: Gherardo Bortolotti, Quando arrivarono gli alieni. Parti 234-361. Benway Series, 9 Progetto grafico e impaginazione: Michele Zaffarano ISBN 978-88-98222-25-4 Stampa digitale: Tipografia La Colornese S.a.s. Pubblicato da: Tielleci Editrice via San Rocco, 98 Colorno (PR) www.benwayseries.wordpress.com benwayseries@gmail.com
Gherardo Bortolotti
QUANDO ARRIVARONO GLI ALIENI Parti 234-361
Benway Series
quando arrivarono gli alieni Parti 234-361
ad Andrea Raos, (toivo)
234
Quando arrivarono gli alieni, ci trovarono privi di un progetto, pronti ad accedere a un ulteriore salto di coscienza, verso lo stadio più avanzato della nostra ignavia. Mentre le rivolte attraversavano l’Europa, uscivamo in massa il sabato sera. Il nostro abbigliamento era ciò che restava di un’epoca più grande, in quieta sintonia con l’arredamento dei locali, con i sottintesi commerciali di chi ci rivolgeva la parola.
235
Di tutto quello che potevamo fare, il futuro non era nemmeno una smentita, ma qualcosa di cui ci accorgevamo all’angolo di una strada, sotto l’insegna di un franchising fallito, che avevamo per un attimo scordato, persi nelle storie confuse delle nuove tecnologie, della palingenesi, dell’estinzione. Di tutti i sogni che avremmo potuto sognare, a noi era toccato un sogno meschino, da campagna promozionale, da televisore acceso. L’educazione di massa, l’accesso al benessere, la diffusione dei contenuti ci avevano spinto in un angolo, in fantasmagorie di concerti estivi, quartieri suburbani notturni, ricordi diafani di ricordi altrui, di sommosse, autonomia, liberazione sessuale.
236
In rete, i gruppi di discussione ritornavano sugli stessi due, tre punti, nonostante alcuni citassero rapporti del Ministero dell’economia di Singapore, il prezzo dell’olio di colza, la crisi congolese. Dopo parecchi mesi, al momento delle campagne di 9
intervento lungo le coste brasiliane, si iniziò a credere che la questione fosse in qualche modo superata. Ci trovammo a guardare per aria, in attesa di una possibile via d’uscita, mentre lungo le strade, tra le prime rovine, rimanevano incerti i segni del nostro malcontento.
237
Solo alla fine, bgmole si rese conto di quanto fosse lontano, di quanto solo fosse rimasto sul pianeta, dopo centinaia di anni di migrazioni quasi inavvertibili, attraverso periferie abbandonate, quartieri residenziali deserti, centri commerciali diroccati. Lasciava tracce discontinue, scritte anodine, oggetti di uso comune. In alcuni rifugi, installava dispositivi di memoria olografica quasi vuoti, in cui riversava immagini, video di passeggiate pomeridiane, registrazioni della propria voce che recitava elenchi.
238
Al momento del sonno, poche parole ci rimanevano da dire, espressioni come “dominio pubblico“, “pandemie“, “fiumane marziane“. I giorni a seguire ci attendevano; le vicende dei mattini, delle sere, si slegavano in costrutti spastici, in presagi, in nuove tecnologie che ci suggerivano un silenzio ancora più profondo, una via d’uscita nell’estinzione.
239
Dopo decenni, sparuti gruppi di attivisti si accampavano ancora negli spazioporti diroccati, là dove le ultime astronavi erano decollate bruciando il cemento, in una parata spettacolare le cui immagini avevano occupato, per anni, il sistema mediatico globale, alzandosi in massa verso l’orbita, oltre le trasparenze dell’atmosfera. Sapevamo che non sarebbero mai tornati. Aspettavamo, di generazione in generazione, che il rendez-vous su Proxima Centauri deformasse sufficientemente la corona di quel sole remoto, perché potessimo avere conferma, nei secoli futuri, della conclusione del viaggio. 10
240
Vennero a prenderci nei quartieri di periferia in cui ci eravamo rifugiati, battendo le vie con squadre cinofile, motociclette, drappelli di mazzieri che ci bastonavano urlando, nei giardini delle villette, in fondo alle rampe dei parcheggi sotterranei. Era una tattica del terrore ottusa. Le squadre ormai erano perse nei cicli di una coazione a ripetere, mantenuta dalle metanfetamine e dalle loro incerte capacità cognitive, e neppure i linciaggi e le impiccagioni di rappresaglia le potevano fermare.
241
Le esplosioni scuotevano i centri commerciali, provocando cedimenti di vetrate che lanciavano, nell’aria, galassie istantanee di frammenti di vetro anti-proiettile, mentre nelle corsie i beni di consumo rovinavano al suolo, in cascate di scatole di chiodi, felpe della Nike, vini a denominazione d’origine controllata. I primi rifugiati si dirigevano, di solito, verso il reparto dei cibi in scatola e della ferramenta, dove compivano fugaci cerimonie in onore del salario e della merce. Si accampavano nei parcheggi sotterranei e operavano saccheggi sistematici di benzina e prodotti farmaceutici. Dopo una settimana, si verificarono i primi scontri a fuoco, agli angoli delle vie, dietro i giardini pubblici, e alcune milizie presero il controllo dei quartieri centrali.
242
Deciso a entrare in contatto con i movimenti clandestini di resistenza, bgmole iniziò il suo fiancheggiamento aprendo un’utenza su Flickr e postando scontri di piazza e immagini d’epoca di periferie residenziali – taggate «euforia», «orizzonte del progresso», «la merce». Nelle settimane successive, si accorse che il traffico in entrata arrivava sempre più spesso da un blog malese di scripting. Nei post, datati quindici anni nel futuro, apparivano codici in php le cui funzioni, riunite secondo un ordine 11
complesso, producevano le istruzioni per un primo contatto, e l’indirizzo di un server ftp anonimo. L’esplorazione minuziosa delle sue directory richiese alcuni mesi, durante i quali le infrastrutture di rete subivano continui collassi dovuti alle incursioni della guerriglia, e solo per caso bgmole riuscì a ottenere le informazioni di cui aveva bisogno. In un file di testo, denominato «alieni.txt», con linee da canzoni dei Solid Space, nomi di navi spaziali di Iain M. Banks e appunti incongruenti come «malls in the decades to come» o «dead people in large numbers», trovò le chiavi di ricerca necessarie.
243
Aprimmo un portale verso Fomalhaut IX, nella speranza di superare il lento decadere dei corpi. Un’ondata migratoria iniziale portò sul pianeta il culto degli specchi e le prime forme di comunità monastiche dedicate alla trascrizione di testi di consumo. Il gruppo interno di ogni comunità fondava un blog centrale di riferimento, i cui dati di accesso venivano criptati in litanie asemantiche, costituite da lemmi polisillabici, a lunghezza variabile. Nel corso delle funzioni mattutine, le litanie venivano ripetute in coro, mentre sulle pareti olografiche della sala del culto scorrevano rendering 3D di frasi come «locali arredati per farti sentire più ricco» o «nel cono d’ombra dell’aggressività intraspecifica». Il gruppo degli eletti, conosciuto anche come «partito interno», si incaricava di postare sul blog frasi estrapolate casualmente da vecchie riviste di costume. Un server semisenziente era dedicato a processare in anticipo il materiale. Alcuni specialisti in ricorsività e teoria delle catastrofi erano arrivati dai centri di calcolo di Sirio per farne la prima parametrizzazione. In cambio, avrebbero ricevuto alcuni accessi perpetui al database delle registrazioni percettivo-oniriche a cui l’intera comunità si sottoponeva, da utilizzare, come fonti di numeri 12
casuali a migliaia di cifre, per lo studio delle fluttuazioni statistiche del credito di alcune economie virtuali da impiantare in rete. I novizi e il gruppo dei cosiddetti «registri intermedi» si occupavano di creare dei blog satelliti, in cui i testi pubblicati su quello centrale venivano duplicati, inserendo piccole variazioni, errori di digitazione, interpolazioni semi-consce ottenute per mezzo di particolari tecniche autoipnotiche. I blog satelliti erano attivati lungo i rami di uno specifico diagramma di link ipertestuali, che si distendeva in forme asimmetriche e secondo complicazioni sempre più fitte, via via che ci si spostava verso le zone periferiche del progetto. Alle masse dei simpatizzanti veniva aperto l’uso di un wiki a costituzione variabile, in cui era permesso un unico accesso per singola pagina e in cui l’utente inseriva contenuti liberi e taggabili. Il traffico che ne risultava veniva venduto ad alcuni inserzionisti pubblici e a fondi etici di microcredito e guerriglia mediatica, che lo sfruttavano per le campagne di propaganda politica.
244
Nel corso della giornata, quando l’attenzione aveva quasi raggiunto la perfetta ottusità che solo la fruizione massiva dei contenuti on line poteva assicurare, il flusso dei feed aveva dei cali improvvisi, quasi rivelatori, e bgmole alzava lo sguardo dal monitor, per fissare qualcosa negli angoli meno frequentati delle sue stanze, mentre la luce filtrata dalla finestra modificava lentamente la sua brillantezza, la corposità, la tessitura del suo chiarore, e la polvere, seguendo inclinazioni calcolabili ma invisibili, si stratificava sulle superfici dei mobili, sul pavimento.
245
Degli alieni il silenzio era profondissimo e lo sguardo non ci abbandonava per lunghissimi minuti, come se fossimo noi l’evento inaspettato, il dato incongruente in un quadro, fino a quel momento, sinistramente normale. 13
246
Su Beta Pictoris b trovammo un organismo dominante, sopravvissuto a tutto e costituito da correnti di polvere, scorie e ristagni di rifiuti, che attraversava il pianeta, costruendo un architettura discontinua che esprimeva un unico concetto, di disperazione e di miseria.
247
Ad un certo punto ci rendemmo conto, collettivamente, che esistevano milioni e milioni di pianeti abitati, miliardi di razze, di stirpi, di esseri senzienti che producevano in massa atti di razionalità locale e meschina, costrutti di senso di minima estensione e di durata momentanea, che si succedevano fittamente, granularmente, senza speranza né pietà, generandosi e disfacendosi nelle spire dell’espansione galattica, nei flussi spasmodici dell’entropia, dell’universo, della dissoluzione della materia in calore.
248
Riaffiorava una memoria di specie che ci ricordava come fossimo da sempre iniziati alla fine, al fallimento, all’apocalisse. Mentre le falci di luna dei satelliti minori di Epsilon Eridani III, disegnati nell’oscurità completa dello spazio interplanetario, colmavano gli schermi dei nostri monitor, i circoli più interni dell’equipaggio, le élite degli iniziati alle rammemorazioni filogenetiche, costituitesi nelle aree periferiche della nave, nei ponti abbandonati durante i secoli del viaggio, formulavano nuovi concetti di umano, che si ramificavano nel raccapriccio, nel rivoltante.
249
La routine delle passeggiate spaziali, attorno all’immenso manufatto, rinvenuto ai margini esterni dell’orbita di Plutone, consumava le vite delle missioni internazionali. Le decine di migliaia di chilometri della sua lunghezza superavano non solo i limiti percettivi di chi li sorvolava ma anche i limiti di capacità dell’intera cultura umana, a quel punto del suo sviluppo, di 14
accettarne le dimensioni e l’esistenza. Le squadre di xenobiologi, di ingegneri, di linguisti e di antropologi comparati che vi atterravano, nel tenue riverbero siderale, lasciavano passare gli anni, in una sorda contemplazione delle porzioni frastagliate di superficie, nell’inerte elencazione delle minute decorazioni esagonali su alcune sporgenze, dei frammenti filamentosi rimasti impigliati in qualche flangia anodina.
250
Alcuni gruppi di interesse, appoggiandosi al credito delle cooperative continentali dei coltivatori di soia dell’Asia sud-orientale, iniziarono un massiccio rifinanziamento delle nazioni europee, assaltando il debito pubblico di quasi tutti gli stati minori dell’Unione e sponsorizzando estesi piani di sperimentazione sociale, sviluppati attorno ai concetti chiave di estinzione e de-cittadinanza. Il progetto era quello di arrivare ad avere una testa di ponte finanziaria e militare verso la Russia, e una linea di credito per le annessioni territoriali nell’Africa centrale. Alcuni rapporti del Fondo Monetario Internazionale individuavano dai due ai cinque punti di debolezza in quella strategia. Settori minoritari dei quadri medio-alti dell’organizzazione proposero un memorandum, noto successivamente come Isadora Bluebook, in appoggio a un’eventuale strategia di contrasto da parte dei fondi pensionistici indiani e delle nuove comunità post-economiche, in corso di sviluppo negli insediamenti oceanici a sud del Madagascar. I dirigenti più conservatori, tuttavia, spingevano per la messa in atto di una vasta campagna di colpi di stato e di governi tecnici.
251
Nonostante i continui progressi nella programmazione neurolinguistica, nelle tecniche nanochirurgiche, smarrivamo in silenzio i motivi per avere ragione, per arrivare al fondo dei nostri scopi e dei nostri abusi. Nello slancio dell’in15
contro, accedemmo all’immortalità. Gli alieni ci mostrarono una cosa e, con sorpresa, ci vergognammo di sapere che era vera.
252
A testa bassa, nella minima estensione del nostro concetto di vita e di realtà, ci concedevamo alle lunghe sedute di connessione ai server del distretto, che costituivano il nostro impiego, per il quale, chiusi gli occhi e inserito il cavo nello spinotto craniale, abbandonavamo i nostri brevi giorni alle maree dei dati e dei contenuti. Riaffioravamo dopo decine di ore, quasi ripagati dal solo tempo perduto, dallo iato prodotto nella nostra vita, ma comunque anche realmente pagati, dotati di un salario che proliferava i propri ricatti nel tessuto di ciò che ritenevamo reale, come radici filiformi ed estesissime che, dalla superficie dell’ovvio, dalla giornata qualunque, arrivavano al nero cuore di ciò che non sapevamo più dire.
253
Dalle distanze della periferia, risuonavano gli allarmi antiaerei e si vedevano i fumi di alcuni incendi in corso, isolati, tra i condomini e i parcheggi dei centri sportivi. bgmole sapeva che alcune cellule di estrema sinistra avevano iniziato una campagna di guerriglia nei quartieri, assaltando uffici decentrati, piccole filiali di crediti cooperativi e di finanziarie minori. Ogni tanto, il pomeriggio, vedeva arrivare di corsa, da dopo la rotatoria, drappelli informali di giovani con il volto coperto e un tascapane a tracolla. C’era chi si fermava, una mezz’oretta, a prendere a sassate la vetrina di un’agenzia di lavoro interinale. Più spesso, proseguivano verso le uscite della tangenziale, in attesa delle prime colonne di blindati delle forze dell’ordine.
254
Nelle stazioni orbitali più esterne, alcuni anni prima, le colonie avevano dato luogo a sperimentazioni molto 16
avanzate di socialità mista uomo-macchina in cui alcuni ologrammi, generati secondo modalità aleatorie di configurazione fisica e schematizzazione caratteriale, convivevano con gli abitanti delle sterminate cubature dei corpi residenziali. Gli ologrammi conducevano delle vite in parte riferibili a quelle degli umani e in parte sceneggiate da processori dedicati alla generazione e proliferazione di trame di genere. Nella maggior parte dei casi, le comunità miste davano luogo a sottoculture fortemente settarie, organizzate attorno a uno o due ologrammi di riferimento, che si dedicavano alla memorizzazione di singoli messaggi prodotti dai restanti ologrammi e dai componenti umani. I messaggi venivano poi riprodotti casualmente, nel corso del ciclo diurno, eventualmente strutturati in sistemi di strofe, peculiari alle specifiche comunità.
255
Ci accampammo per lo più nei quartieri periferici, dove le tracce degli alieni erano ancora forti e, sui muri esterni delle banche e delle concessionarie di automobili, apparivano le scritte che avevano lasciato. Passavamo spesso davanti ai loro manufatti asimmetrici, abbandonati nei parcheggi dei centri sportivi, e sentivamo quella sensazione di sconforto e di dolore che ci avevano donato.
256
Alcuni entrarono nell’equipe Madonna e abbandonarono la fede in un domani migliore, implementato da nuove generazioni di social network e di dispositivi per la comunicazione personale. Producevano contenuti per canali tematici dedicati all’hobbistica, all’autoibernazione o alla coltivazione biologica, senza che la sera, guardando in streaming qualche serie lo-fi canadese, si ricordassero di quando assaltavano i supermarket e guidavano azioni di guerriglia urbana, mentre la polizia isolava le reti umts dei quartieri e caricava gli spezzoni dei cortei a bordo di camionette scoperte. 17
257
Gli alieni ci donarono una gestalt di invidia e desiderio che portammo, per anni, come un corpo estraneo, come un gemello siamese abortito, da trascinare nel corso dei nostri giorni.
258
bgmole controllava alcuni server belgi, rimasti attivi ma ignoti, dopo l’arrivo degli alieni e i disordini per la svalutazione dell’euro. I privilegi di amministratore gli permettevano di accedere ai file degli utenti precedenti, ai log, ai backup, e di fare raccolta di dati significativi. Fogli di calcolo di bilanci familiari, diari intimi, codici di accesso a conti correnti in Francia, in Nuova Zelanda, in Baviera, fotografie di viaggi in Malaysia, affollavano le cartelle che scandagliava nel corso della notte. Gli capitava di ricordarsi, più tardi, di visi sullo sfondo di spiagge affollate, di nomi di file, di appunti anodini che recitavano «being possible to dislike it» o «remember to hurt».
259
Alcuni sparivano e se ne ritrovavano le tracce solo mesi dopo, taggati in qualche nota su Facebook, o citati in un blog californiano.
260
Nonostante i quartieri diroccati, i massacri, la palingenesi ottenuta tra le rovine delle autostrade e delle aree industriali, continuavamo a sentire il moto inesausto di un disprezzo perenne, verso le nostre stesse vite, gli errori quotidiani, la speranza spicciola che ancora ci abitava. Gli alieni ci stavano accanto nei momenti della rammemorazione, nelle serate passate in casa senza il senso di un futuro, e ci raccontavano di un odio ancora più feroce, che però noi temevamo. Ci accarezzavano il capo e il silenzio si scavava ulteriormente, si deformava in un abisso laterale, dal nostro fianco, nella stanza, verso volumi paralleli, verso succes18
sioni infinite di salotti in cui eravamo, pure se per cause ogni volta sottilmente più crudeli, altrettanto infelici.
261
Dei pochi che morivano, ricordavamo alcune frasi. C’era chi le depositava in database dedicati, da cui attingevano sistemi semisenzienti di produzione di contenuti, per riversarli in rubriche di citazioni anonime che poi apparivano sui quotidiani free-press di Singapore, dell’America Latina e delle stazione orbitali marziane e della fascia degli asteroidi. Quelle di maggior successo, come «soluzioni militari al problema dell’ignoto», «rivolgendoti al futuro, aspettando che il sogno si interrompa» o «assegnati al compito di fare numero», venivano riutilizzate per linee di abbigliamento casual di fascia medio-bassa, e le si ritrovava sulle t-shirt degli adolescenti dei sobborghi terziarizzati, dedicati a sottoculture settarie fatte di sostanze psicotrope e particolari frequenze di beat per minuto. A un certo punto, alcune espressioni sembrarono disegnare i tratti di uno schema implicito generale. C’era chi parlava dei segni di un arrivo imminente, chi di tracce di una catastrofe antica, che andava finalmente riaffiorando. C’era anche chi vi leggeva i sintomi di un moto tellurico dell’immaginario, del primo parametrizzarsi di un ciclopico soggetto futuro, emergente dall’accumulazione dei segni, dagli scambi, dai contenuti, e destinato finalmente a proferire quello che tutti ci agitava e, le notti d’estate, oltre i lontani fragori della tangenziale, sembrava mormorare.
262
Nei parcheggi della zona industriale, capitava ancora di incontrare uno degli alieni, in silenzio, in attesa del crepuscolo. A volte faceva un cenno, quando eravamo lontani, e poi si incamminava dietro i capannoni, cercando per terra, scostando 19
frammenti amorfi, studiando i monti di scorie metalliche, le balle di stracci per gli impianti di riciclaggio del nylon, della cellulosa.
263
Dopo i primi mesi del loro stanziamento nelle nuove città galleggianti, ancorate in grappoli al largo delle coste siciliane, la maggior parte dei dirigenti e molti dei quadri delle multinazionali e degli organismi dell’economia globalizzata avevano compreso l’insufficienza delle loro opinioni, l’astrattezza dei loro convincimenti. Nei lunghi pomeriggi della loro ignavia, chiudevano gli occhi sulle ronde fasciste, sulle microscopiche repubbliche dei sobborghi, sui piccoli interventi antidemocratici nelle architetture amministrative dell’Unione Europea o dell’osce.
264
Da Deneb arrivavano, intanto, notizie di un nuovo esperimento amministrativo-militare totalitario, basato sullo spinottaggio dei cittadini, sulla manipolazione mnemonica, sull’alterazione incoerente dei cicli giorno-notte.
265
Ottenuto l’accesso ai banchi di memoria della TransData, bgmole iniziò a scaricare decine di archivi musicali, con le registrazioni di gruppi minori della Factory e della Sarah Records. In un canale di chat dedicato ai primi tentativi di lettura sintomale della rete, in vista dell’estrapolazione di gestalt antropologiche generali, dall’apparentemente caotica produzione di cultura di consumo, alcuni utenti gli avevano fornito delle discografie, accennando al fatto che era stato provato sperimentalmente che da alcuni testi dei Fieldmice o dei Joy Division, per esempio, era possibile recuperare specifiche combinazioni di chiavi di ricerca che, una volta inserite in un motore, portavano ai vecchi siti con i dati che cercava.
20