MADE IN MEDA IL FUTURO DEL DESIGN HA GIÀ MILLE ANNI
FILIPPO BERTO
MADE IN MEDA
Filippo Berto
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INDICE
Prefazione Manifesto 01 Lo spirito? Nel territorio 02 Le botteghe storiche di Meda 03 195X: il Big Bang del Design 04 La scuola di Meda
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INDICE
05 Hall of fame: protagonisti e Compassi d’Oro 06 Milano e non Milano Backstage 07 Il caso studio BertO 08 Il Made in Meda del futuro in 10 tesi People of Meda
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DEDICA
A mio papà, che - incazzandosi - ci ha insegnato tutto. Grazie Ante
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PREFAZIONE
Questo libro nasce dallo sguardo di un bambino, di me bambino. Giravo per le strade di Meda con la mia biciclettina, e vedevo, guardavo, osservavo. Vedevo innumerevoli cortili, dove mi soffermavo a guardare quelle che mi sembravano migliaia e migliaia di persone al lavoro. Le osservavo, affascinato, mentre lavoravano sodo, spesso immersi in nuvole di buscaj (i trucioli di legno, ndr). Nella mia mente di bimbo mi chiedevo: “Ma quante case devono esistere al mondo per poter accogliere tutti questi mobili? Tantissime!” E anche: “Ma quante persone bravissime esistono a Meda, che lavorano così tanto e fanno cose così belle e tutti i giorni?” Li avevo sotto gli occhi i maestri, e non da poco... quando la biciclettina prendeva il vialetto di casa, incontravo il laboratorio dove mio padre Fioravante e mio zio Carlo, fondatori della ditta, lavoravano. Come tantissimi, come quasi tutti, lo facevano tra le mura di casa. La mia ammirazione per loro era sconfinata, e si allargava ai collaboratori di talento di cui, piano piano, si circondarono per far fronte al lavoro crescente. Anche più grandicello, mentro mi ritiravo in camera a studiare, dopo una pausa con i “grandi”, che immancabilmente mi facevano giocare, seguivo con lo sguardo la loro fierezza. Percepivo, in modo confuso ma inequivocabile, che erano dei “fighi pazzeschi”. Volevo essere come loro, eccome se lo volevo! Tutto ciò cresceva in me pian piano, negli anni della giovinezza: quelle scene viste fin dalla prima infanzia, quelle sensazioni e quei valori, respirati in casa e poi in ditta, hanno tracciato un percorso, per nulla facile, intimo, che ho dovuto conquistare prima di sentire mio. Ma a quel punto, quando finalmente riuscii a vincere il senso di inadeguatezza che provavo ogni qual volta mi mettevo alla prova con quei Maestri, il cerchio si chiuse. E mi si aprì una visione che non mi ha più lasciato. Meda, la mia città, il mio lavoro, le persone... l’attività del papà e dello zio che si evolveva, sempre all’insegna di un legame indissolubile con il territorio. Nasceva così in me il desiderio di conoscere meglio quelle radici così profonde. Iniziavo a viaggiare, e più andavo lontano più capivo la forza di Meda e dei suoi protagonisti.
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PREFAZIONE
Rimanevo affascinato dalla potenza dei marchi che portavano il lavoro di Meda in tutto il mondo, riscuotendo importanti riconoscimenti, successi planetari, e io sapevo da dove arrivavano quei pezzi eccezionali, e il senso di appartenenza diventava sempre più forte. Studiare i grandi brand, pendere dalle labbra dei designer famosi, impazzire di gioia nel vedere Meda affermarsi, attraverso il lavoro di quelle persone che magari avevo visto dalla bicicletta, o incontrato in laboratorio mentre conversavano con papà e zio... questo ho vissuto, questo ho sviluppato, questo ho imparato ad amare. Tutto ciò è alla base del lavoro che avete tra le mani: un libro che racconta la mia città, alle porte di Milano, che ho percorso in lungo in largo in compagnia di alcuni magnifici collaboratori, per andare a fondo di quelle radici che tanto mi hanno appassionato e tanto hanno significato per i miei concittadini, oltre che per il Design nel mondo. Eccoci quindi, nell’arco di mesi di lavoro, ad incontrare protagonisti di ogni epoca, ad ascoltare le loro storie, a completare il puzzle di una città millenaria come Meda attraverso le parole di chi la fa vivere, nei molti ruoli di questo ecosistema. Se il valore di Meda è così alto nel mondo - e lo è - il merito è di una città incredibile, con persone incredibili, che da secoli fanno cose incredibili. È il fondamento di ciò che in Ditta facciamo ogni giorno: prendiamo tutto questo valore rappresentato dal Made in Meda e lo interpretiamo per offrirlo a chi si rivolge a noi, prendendoci carico della straordinaria eredità del nostro territorio, impegnandoci per esserne all’altezza. Lo sforzo quotidiano è quello di applicare una formula che possa esprimere il meglio di questa tradizione, per permettere ai nostri clienti di godere di quel “design dei sogni” che è per noi il Made in Meda. Ho voluto provare a narrare questo valore, in un atto - questo libro - che è il mio modo di ringraziare per la fortuna di esserne parte. Filippo Berto
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MANIFESTO
PERCHÉ QUESTO LIBRO? Perché mi sono incazzato. Non adesso, no. Mi sono incazzato quando avevo quattro anni e vedevo mio padre incazzato a sua volta perché non gli pagavano i meravigliosi capitonné che faceva con le sue mani. Mi sono incazzato quando il talento smisurato di mio zio produceva pezzi poi firmati da altri. Mi sono incazzato quando vedevo spegnersi per sempre le luci dei laboratori nelle vie di Meda che tanto mi piacevano, nei miei giri in bici di bambino. Mi sono incazzato quando in ditta cercavamo apprendisti e non li trovavamo. Mi sono incazzato quando ho cercato le scuole che formano gli apprendisti e non le ho trovate. Mi sono incazzato nel vedere il lavoro artigiano ridotto a macchietta in spot tv e non faceva ridere. Mi sono incazzato guardando tutti rincorrere il prezzo e dimenticare il valore. Mi sono incazzato nel vedere il mio paese scordarsi di essere in grado di produrre la migliore qualità al mondo. Mi sono incazzato nel riscontrare la mancanza di valorizzazione del lavoro artigiano. Mi sono incazzato per tanti motivi diversi, nei tanti anni di vita e lavoro a Meda. In pratica ogni volta che mi sembrava di capire quanto sbagliassimo, quanto male trattassimo noi stessi e il nostro talento, quanto poco costruissimo per il futuro, nel nostro quotidiano affannarci. Oggi però sono felice. Perché sono riuscito a fare un piccolo passo nella direzione opposta a tutto questo: il libro che avete in mano. Grazie per la vostra considerazione e per il tempo che vorrete dedicare a un’idea diversa della mia città, che rende maggior giustizia al grande valore che ha sempre espresso e sempre esprimerà. Filippo Berto
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Lo spirito? Nel territorio
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CAPITOLO 01
7 Keyword di riferimento:
#milleannifa #beatogiovannioldrati #umiliati #galètta #legnamée #pestilenze #badesse
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LO SPIRITO? NEL TERRITORIO
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Quali ragioni storiche ed economiche hanno fatto nascere il fenomeno del Made in Meda, mille anni fa? Da dove deriva la sapienza artigianale diffusa? Perché sono state più che altro le donne a mettere le basi del settore economico nascente?
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CAPITOLO 01
Pochi sanno che quel Monastero fondato a Meda nell’Alto Medioevo (dove ora sorge il complesso architettonico Antona-Traversi) ha avuto anche il ruolo di far nascere un comparto economico che, una decina di secoli dopo, avremmo chiamato Design. E di quei pochi, quasi nessuno (a parte il nobile Antona-Traversi, da noi intervistato) è consapevole del fatto che l’economia nascente in ambito “legno-arredo”, come si sarebbe poi definito, fu opera essenzialmente di donne. Perché donne erano i committenti dell’epoca, perché donne erano le influencer dell’epoca, perché donne erano – semplicemente – i clienti. Non donne comuni, ma donne di potere, forti e volitive, che sulle proprie spalle reggevano il peso degli obiettivi e delle responsabilità che oggi sono dei manager. Erano anch’esse manager ante litteram di uno dei “progetti” più importanti della storia: il cristianesimo. Stiamo parlando delle Badesse. Sono state le Badesse, succedutesi alla guida di un Monastero benedettino che, già importante in partenza, divenne sempre più rilevante con il passare del tempo, a far sì che i contadini alle loro dipendenze, nel poco tempo che residuava dal lavoro dei campi, iniziassero a dare forma a qualche mobile di servizio per i locali del Monastero, a realizzare qualche elemento di arredo, che poi andava riparato… Nacque così una “piccola economia” fatta di un contado che piano piano, per volere di quelle manager del tempo, apprese i primi rudimenti di un “saper fare” che avrebbe portato i loro pronipoti molto ma molto lontano. Andiamo con ordine.
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LO SPIRITO? NEL TERRITORIO
Per partire alla scoperta del DNA manifatturiero della Brianza dobbiamo intraprendere un viaggio che ci riporti a oltre #milleannifa. È infatti in quell’epoca che nasce – proprio a Meda – Giovanni Oldrati, o meglio #sangiovannioldrati, la cui ricorrenza nel calendario dei Santi cade il 26 settembre. L’Oldrati da Meda, che la Chiesa avrebbe canonizzato l’anno stesso della sua morte, nel 11591, fu infatti una figura centrale nella storia della manifattura brianzola, oltre che persona di rilievo nell’ordine religioso di cui faceva parte, l’Ordine degli Umiliati.
Giovanni fu il primo prete che riformò l’Ordine degli #umiliati. Tale Ordine, nato dalla volontà da parte di alcuni membri del clero di prendere le distanze da quei costumi della Chiesa ritenuti troppo rilassati e inclini al lusso terreno, propagandava un modello di austerità e frugalità, accompagnata da un orientamento verso il lavoro manuale, equiparato, nella visione dei suoi creatori, a un’idea di benessere giusto e concreto, da guadagnarsi con il lavoro e non sfruttando rendite preacquisite. Gli Umiliati misero in pratica i loro insegnamenti, con l’obiettivo di incidere in modo reale ed effettivo sulla società dell’epoca: arrivarono infatti a promuovere leggi contrarie alle spese legate a consumi di lusso e voluttuari (le cosiddette “leggi santuarie”, che si applicavano in particolare all’abbigliamento e ai gioielli, intesi come sfoggio di vanità) e contemporaneamente si impegnarono intensamente sul fronte delle attività lavorative. Il focus principale degli Umiliati fu la lavorazione della lana, ed è alla loro opera di diffusione e formazione “professionale” – come si direbbe oggi – che si deve largamente lo sviluppo in Brianza nei decenni e nei secoli successivi di una fiorente attività manifatturiera. La loro opera – sviluppatasi grazie anche alla presenza di “centri territoriali” molto efficienti ed attivi, cioè le “domus” (case) – fu fondamentale e si articolò su due livelli. Uno più direttamente collegato alle attività lavorative, e un altro – non meno importante – imperniato su un concetto culturale di affrancamento dei ceti inferiori dai gruppi sociali dominanti.
1 Alcuni spostano l’esistenza di Giovanni Oldrati (anche citato come Oldradi, o Oldrato) di 50 anni, tra XI e XII secolo; le fonti non sono chiare.
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CAPITOLO 01
In sostanza, gli Umiliati insegnarono ai contadini la lavorazione della lana. E anche se con gli anni persero d’importanza nel tessuto socio-economico del tempo, rimasero il punto di svolta di una società che – da sempre caratterizzata da una non comune tensione positiva verso il lavoro – aveva trovato nella manifattura della lana motivo e ragione di pensare a qualcosa di diverso, di alternativo, di maggiormente remunerativo rispetto alle tradizionali attività agricole. Siamo alla fine del XIII secolo, e la lavorazione della lana in Brianza segnò, a livello embrionale, un diverso rapporto con il lavoro, dove l’iniziativa indipendente – mai fino ad allora affrancata dai padroni terrieri – si aprì a nuovi orizzonti. Vi erano sì le corporazioni, ma non mancava la tolleranza verso chi era desideroso di darsi più da fare, in ambito – ad esempio – commerciale. Negli statuti della Societas Mercatorum di Monza del 1326 si può infatti leggere la seguente affermazione:
“gli operai che sono nello stesso tempo dei mercanti... [possono] volendolo lavorare per qualsiasi mercante”2
Il Quattrocento vide la piena affermazione della manifattura legata alla lavorazione della lana, e le esportazioni di panni del monzese erano il triplo di quelle di Milano, che rimaneva centrale come piazza commerciale (al Broletto vi era la compravendita di panni, ma anche di metalli preziosi e lavorati). In questi anni, all’inizio del Quattrocento, alla città di Monza, in virtù della sua forza manifatturiera, gli Sforza garantivano privilegi di varia natura, tra cui un autonomo sistema di pesi e misure e perfino la creazione di una propria monetazione.3 In questa stagione, l’intraprendenza brianzola si declinò anche in altri settori, come la lavorazione del ferro (peltro, aghi, ferro in filo, chiodi), che mise le basi per un rinnovato interesse dei nobili e dei politici verso la regione briantea, aprendo così canali di comunicazione fondamentali per gli sviluppi economici successivi.
2 Bressan E. (a cura di) Storia della Brianza, vol. II “Economia, religione, società”, Cattaneo Editore, Annone di Brianza (Lecco) 2007, p. 7 3 Ivi, p. 9
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LO SPIRITO? NEL TERRITORIO
L’intraprendenza brianzola stava infatti per conoscere un nuovo grande capitolo della sua storia, che avrebbe connotato l’economia regionale in modo incisivo alla fine del XV secolo. Alla lungimiranza dei duchi si sommava l’esigenza del mondo contadino di migliorare la produttività agricola, cosa che fece attraverso l’allevamento del baco da seta. La “galètta”, il bozzolo del baco da seta, ricorre anche nei detti popolari, come questo:
“la #galètta lè quela che ten aver l’uss tutt l’an”,4 che trasmette bene il senso della redditività “all-year-round” dell’attività gelsibachicola, comparto economico che sarebbe rimasto tra le opere centrali della manifattura brianzola, con importanti ricadute sulle attività commerciali, sulle infrastrutture e sull’organizzazione del lavoro. Peraltro, le guerre e #pestilenze del Quattrocento non risparmiarono certo la Brianza, fiaccando e intralciando pesantemente l’iniziativa manifatturiera ed imprenditoriale. Ma la Brianza non soccombette, superò ogni difficoltà, pur pagando prezzi altissimi per le ricorrenti crisi di quel periodo, in termini di vite umane, contrazione delle produzioni, difficoltà politico-sociali. Il rapporto della Brianza con la città di Milano, da sempre foriero di iniziative, idee e stimoli di ogni tipo, continuò però a crescere e – anzi – si registrò un’interazione più che positiva con la nuova classe sociale cittadina più abbiente, arricchitasi grazie alle lavorazioni, ai commerci e relativi indotti (si pensi ad esempio all’industria degli aghi ben avviata a Concorezzo, così come a quella del cappello in feltro sviluppatasi a Monza). Operosità, commerci e intraprendenza favorirono forme di patti sociali e accordi tra contado e zona urbana, e fu proprio il crescente interessamento delle classi abbienti milanesi nei confronti della Brianza a far nascere tutto il comparto della seta, che vide nella coltivazione del baco, in seno ai nuclei familiari contadini, un importante
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CAPITOLO 01
punto di partenza. Bene si integrò tale attività presso le famiglie del contado, dove appunto – come si ricordava poc’anzi in forma di detto popolare – la redditività della gelsibachicoltura contribuiva in misura crescente al sostentamento familiare, indipendentemente dalle stagioni, 12 mesi l’anno, e arrivava a costituire, in molti casi, la fonte primaria di reddito. L’influenza dell’allevamento del baco da seta in relazione alla coltivazione del gelso segna positivamente la vita economica della Brianza per parecchi decenni, contribuendo in modo decisivo all’affermazione della manifattura. Un’evoluzione permessa in gran parte dell’operosità e attitudine al lavoro delle famiglie contadine, che non di rado impegnavano anche i bambini. L’industria serica – che quindi comprende tutti gli aspetti della lavorazione e del commercio della seta – affiancò e in certo qual modo sostituì, nell’epoca immediatamente successiva, lo storico comparto della lavorazione della lana, nato dagli insegnamenti degli Umiliati. Il fenomeno ebbe ripercussioni positive anche su mestieri: nascevano così nuove figure professionali, che avrebbero a loro volta supportato lo sviluppo dell’industria serica in generale, e l’affermazione di quella che oggi chiameremmo cultura imprenditoriale. I contadini brianzoli del XVII e XVIII secolo, epigoni delle professionalità multi-tasking di oggi, erano in grado di…
“...podar viti e moroni...tagliar biade...pettenar filosello...battere tela”5 Nonostante l’intraprendenza, però, le loro condizioni di vita erano vicine alla sopravvivenza, in quanto i proventi dell’attività di gelsibachicoltura andavano sempre e solo ai proprietari terrieri. Anche l’agricoltura stessa, lasciata nelle mani dei conduttori e lontano dalle attenzioni di chi, proprietario del fondo, avrebbe avuto mezzi e capacità per migliorarne la produttività, versava generalmente in cattive condizioni, mentre tutte le energie e le risorse venivano concentrate sulla redditizia e sempre più promettente gelsibachicoltura.
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Ivi, p. 37
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LO SPIRITO? NEL TERRITORIO
Nella prima metà dell’Ottocento, la tradizionale disponibilità del ceto contadino a industriarsi per migliorare, anche di poco, le proprie condizioni di vita si orientava quindi verso professioni artigiane volte a soddisfare i bisogni della comunità locale.
Nei tempi morti del calendario agricolo, ecco che dal lavoro della terra si passava al lavoro del bottaio, del sarto, del calzolaio, del falegname. In particolare, l’abitudine di alcune fasce di popolazione contadina di dedicarsi alla realizzazione di mobili si segnalava già nella seconda metà del Settecento. In questo scenario va inquadrato il fenomeno, che analizzeremo nel capitolo seguente, dedicato alla genealogia delle botteghe, del lavoro che il Monastero di San Vittore assegnava ai contadini in termini di lavori più o meno piccoli di falegnameria, dapprima con interventi di riparazione e piccole creazioni, e poi via via con committenze sempre più importanti di mobilio ed altri elementi, spesso anche sacri. Furono le #badesse, come dimostrato dai documenti amministrativi tuttora visibili presso l’archivio dell’ex Monastero, ad assegnare alle famiglie, nel corso dei lunghi inverni di inoperosità contadina, questi incarichi di #legnamée, che si sarebbe evoluto nei secoli in un vero e proprio settore composto da ebanisti, decoratori, intagliatori, eccetera. Grazie all’impulso rappresentato dal Monastero, l’attività artigianale, volta inizialmente a soddisfare piccole esigenze del borgo e dei suoi abitanti, venne quindi intensificandosi.
Fu nel trentennio compreso tra gli anni 1850-1880 che le attività manifatturiere divennero il settore dominante,
sia a causa della crisi del settore agricolo, sia di una trasformazione del DNA territoriale che vide concretizzarsi le tendenze e le evoluzioni dei decenni e dei secoli
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CAPITOLO 01
precedenti, in una strutturazione di competenze nate nelle aziende tessili e grazie ai capitali da esse derivanti. Come già citato, si registra che nella metà dell’Ottocento, in vari distretti, tra cui Meda,
“presso la maggior parte delle famiglie coloniche si esercita[va] anche il mestiere del legnajolo”.
Anche se il “fare i mobili” non fosse mai un’attività esclusiva ma si accompagnasse sempre a quella del contadino, la strada per la nascita di un comparto – dapprima artigianale e poi autenticamente industriale – si può ricondurre, oggi, a quegli anni. Tant’è che nel 1890 la produzione di mobili, nel comune di Meda, aveva assunto una rilevanza fortissima, con migliaia di lavoranti impegnati a realizzare elementi di arredo di ogni tipo, dal seggiolame agli armadi, dai letti alle tavole per i pasti. E se vi chiedete dove venivano realizzati questi mobili, la risposta è…
“nelle botteghe artigiane, nella quasi totalità dei casi coincidenti con le abitazioni di chi svolgeva queste lavorazioni”.
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Le botteghe storiche di Meda
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CAPITOLO 02
7 Keyword di riferimento:
#medioevo #donne #pianinovennali #disruption #francesi #marketingdel700 #500laboratorinel1900
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Per quale motivo proprio a Meda si affermarono moltissime botteghe artigiane? In che modo a Meda, fin dal Medioevo, si è lavorato su strategie di medio-lungo termine (piani novennali)? Come si arriva a penetrare il mercato francese senza mai essere usciti da Meda? Com’è stato possibile per Meda attirare numerosi talenti da ogni parte del mondo?
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CAPITOLO 02
Meda è stata per secoli – ed è tuttora, anche se in nuove forme – un mondo di laboratori, un brulichio di attività, un affascinante scenario di operosità. Da questa dimensione lavorativa del territorio, più unica che rara, evolutasi gradualmente e in modo organico con la popolazione, emergono i giganti del Novecento, le cui opere sono ammirate in tutto il mondo. Studiamo insieme, con l’ausilio e il prezioso contributo di studiosi locali e dei protagonisti ancora in vita, la genesi sia dei giganti sia dei personaggi minori (ma non per questo meno importanti). Per tutti – grandi nomi che avrebbero dominato il mondo del Design e sconosciuti terzisti – le prime esperienze di lavoro si svolgono nel focolare domestico, e i ragazzi, dopo qualche anno di scuola, si mandano “a bottega” per imparare il mestiere. In pochi decenni il talento Made in Meda si fa conoscere su mercati sempre più importanti, e i migliori già raggiungono – a inizio Novecento – le piazze commerciali di Germania, Francia, Stati Uniti, Canada, Argentina. Vediamo come si è evoluto questo ecosistema unico al mondo, attraverso il racconto – diretto o indiretto – di chi l’ha vissuto.
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
#MEDIOEVO. Il territorio è dominato da una presenza: un monastero retto da Badesse, le quali regolano tutti gli aspetti della vita. Per secoli e secoli, infatti, la figura della Badessa disponeva •
delle nomine pubbliche (come quelle del parroco e di altri referenti importanti);
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del potere legislativo (stabilivano cosa fosse lecito e cosa no);
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della proprietà immobiliare di tutte le abitazioni sul territorio.
Si capisce quindi per quale motivo “questa città è sempre stata in mano alle donne” (cit.). Come accennato nel capitolo precedente, infatti, è grazie alle Badesse se gradualmente – nei mesi invernali, mentre l’agricoltura riposa – i fattori incaricati di coltivare le terre di proprietà della Chiesa abbracciano una seconda attività, quella del legnamée. Nei preziosissimi raccoglitori custoditi negli archivi dell’ex monastero – circa 4.000 pergamene amministrative risalenti agli anni 1100 - 1300 – si trova un’enorme quantità di documenti che ordinano “un armadio”, la riparazione di una finestra, un piccolo mobile e così via. Erano ambienti in cui, nonostante i secoli bui, l’attività ferveva in modo fin troppo vivace, al punto che le liti per le terre (o per qualsiasi altro motivo) erano spesso ad opera di personalità di rilievo, arrivando talvolta perfino al cospetto dell’imperatore o del Papa.
Segno di una vitalità che ha precise ragioni d’essere. L’ecosistema del lavoro, sotto l’egida del monastero, riesce a prendere forma e a trovare un suo sviluppo, proprio grazie alla realtà di queste #donne: monache e Badesse. È in questa organizzazione, infatti, che – a differenza di ciò che accade sotto i nobili,
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CAPITOLO 02
nei territori limitrofi – i contadini possono avere una prospettiva concreta sul futuro, perché le Badesse lavorano per #pianinovennali. Ciò si traduce nel fatto che per nove anni una famiglia ha assicurato un tetto, da mangiare, da lavorare. Pochi chilometri più in là, invece, dove il fattore lavora per il nobile, tutto questo non esisteva, perché le condizioni di lavoro sono immensamente più precarie: basta una stagione di maltempo per ridurre alla fame un mezzadro e la sua famiglia. Condizioni pre-esistenti favorevoli: ecco cosa contraddistingue il nascente ecosistema dei lavoratori del legno, nei secoli di dominanza del Monastero di San Vittore su Meda.
Accade poi – dopo mille anni – l’evento traumatico, la #disruption, come diremmo oggi, in cui succede l’inimmaginabile. Il mondo crolla: il monastero con dieci secoli di storia viene ceduto al francese Giovanni Giuseppe Maunier. Il Monastero diventa improvvisamente laico, e per giunta in mano ai #francesi. Come spesso succede, alle #disruption fanno seguito sviluppi inattesi e violenti: la Francia arriva a Meda e – in certa misura – Meda arriva in Francia, senza muoversi di un passo. Inevitabilmente si innesca una fortissima ibridazione con tutto ciò che – nel mobile e non – è di origine francese. E quei contadini che, anno dopo anno, stagione dopo stagione, insieme a famiglie allargate di persone di ogni età (bimbi, donne, nonni: tutti contribuivano alla produzione artigianale, ma anche alla divulgazione virale del sapere artigiano), si sono attivati nel mondo dell’artigianato del mobile, iniziano a familiarizzare con le espressioni prestigiose dell’arredo d’Oltralpe. Non tutti, naturalmente, ma una parte consistente di coloro che, magari dopo aver rilevato il proprio minuscolo fondo agricolo dai nuovi proprietari, iniziano l’avventura della bottega artigiana. Grazie al know-how sviluppato nei decenni e secoli precedenti, nell’arco di molte generazioni, si sentono pronti a farlo.
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
La strategia immobiliare del periodo, che accompagnava quella economica, era volta a far fruttare l’enorme proprietà dell’ex monastero, con conseguente vendita progressiva dei terreni, in frazionamenti piccoli e piccolissimi, da parte dei nuovi proprietari francesi. Dice lo storico Felice Asnaghi:
Con la trasformazione da società agricola ad artigiana, le stalle ben presto si trasformarono in botteghe e laboratori, e nelle antiche corti del paese il muggito della mucca, il nitrito del cavallo e il grugnito del maiale lasciarono il posto al battere del martello o della mazzetta, allo stridere della sega a nastro, al fragore dei motori. Non c’era famiglia artigiana che non ambisse a possedere un pezzo di terra per costruirsi una casa con annesso il laboratorio. Si creò un doppio movimento: da un lato l’emergere di moltissime piccole botteghe artigiane, dall’altro il fenomeno della mancanza di manodopera per lavorare le terre, fattore che diede luogo a un impulso anche immobiliare: molti proprietari terrieri furono infatti costretti a costruire nuove cascine per attirare forza lavoro fresca per l’agricoltura: famiglie provenienti dall’alta Brianza, dalla bergamasca e infine anche dal Veneto. Quanto alla fascia di società che decide di diventare legnamée, si assiste negli anni a cavallo tra Settecento e Ottocento alla nascita vera e propria di un settore, qualcosa che si era sviluppato per secoli nel sottobosco del mondo contadino ed ora – complice il coinvolgimento della società francese – trova le sue prime forme di espressione indipendente. Quei mobili meravigliosi in arrivo dalla Francia, infatti, avevano spesso bisogno di riparazioni, dopo le operazioni di trasloco, e – successivamente – di manutenzioni
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CAPITOLO 02
e rifacimenti. E, guarda caso, alla bisogna di un mobile nuovo, anche i francesi residenti a Meda finirono ben presto per apprezzare l’artigiano locale, che non era affatto da meno dei rinomati fabriquants de meubles francesi.
L’inizio di una grande apertura di Meda al mondo: senza rendersene conto, a differenza dei paesi limitrofi, Meda si scopre protagonista ante litteram di un settore tutto da costruire. La riprova? Capita che mobili settecenteschi in vendita dai migliori antiquari riportino, sul retro, il nome di un artigiano e quello di una città: Meda. Si può dire che la prima pagina del libro Made in Meda riporti certi comò e certe comode di fine Settecento di cui ancor oggi si parla6. Iniziano, con la cessione del monastero ai francesi, cento anni di sviluppo molto forte e significativo, dove Meda è toccata da numerosi “segni del destino” che prefigurano il suo brillante avvenire, pur negli alti e bassi che normalmente si avvicendano in città. Felice Asnaghi riconduce i fattori di sviluppo che favorirono, circa due secoli e mezzo fa, il forte impulso verso il settore del mobile del territorio di Meda, un impulso che si è sostanziato nella nascita di centinaia di botteghe artigiane, talvolta minuscole, ma capillari su un territorio relativamente poco esteso, a queste variabili: •
la vicinanza e la relativa facilità di comunicazione viaria con la grande Milano, da sempre motore dell’economia lombarda e italiana;
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la presenza di una enorme forza lavoro contadina la quale, per secoli, a fianco della consueta attività, si era resa disponibile per lavori di falegnameria che contribuissero al sostentamento della famiglia: tutti potenzialmente pronti a diventare forza lavoro competente, oltre che a buon mercato;
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Vedi il capitolo successivo: “Made in Meda nel secolo dei lumi, ovvero: il #marketingnel700”.
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•
LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
la presenza di diverse botteghe atte alla costruzione e riparazione degli arredi e dei manufatti, e che lavoravano già al servizio di monasteri, conventi e chiese (a Meda, la bottega dei fratelli Cassina lavorò su tutto il territorio milanese al servizio di architetti già a partire dalla seconda metà del Settecento);
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la soppressione, nel 1773, dell’Università dei legnamari da parte di Maria Teresa d’Austria, premessa essenziale per lo sviluppo dell’artigianato e dei traffici; si trattava infatti di una corporazione che difendeva rigidamente gli interessi dei maestri immatricolati e controllava anche l’introduzione in città di merci di altra provenienza imponendo dogane e dazi. La sovrana, spezzando questi vincoli secolari e corporativi, creò condizioni favorevoli all’economia e allo sviluppo del libero mercato, gettando le basi del distretto del mobile brianzolo che vedrà il suo definitivo decollo come sistema produttivo due secoli dopo;
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l’aumento, da parte dei francesi, della richiesta di artigiani che sapessero sia riparare i mobili d’Oltralpe danneggiati durante il viaggio, sia montarli in loco;
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la presenza sul territorio, già a inizio Ottocento, di falegnami divenuti veri e propri maestri d’arte, impegnati ad arredare chiese, santuari, cattedrali o ville patrizie disseminate nella campagna lombarda, la stessa Villa reale di Monza e le magnifiche dimore di Milano;
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l’abbattimento delle barriere doganali con l’Unità d’Italia, e il conseguente allargamento a dismisura del mercato;
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gli accorti investimenti in piccole imprese ad alto tasso di sviluppo che lavoravano per i commercianti di Milano messi in atto da chi aveva acquisito un patrimonio dopo la soppressione dei monasteri e conventi decretata da Giuseppe II d’Asburgo prima e da Napoleone in poi;
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l’affermarsi di queste stesse persone sulla tribuna politica, con conseguente maggiore possibilità di influire sull’assegnazione di commesse statali;
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l’aumento delle infrastrutture legate ai trasporti, con l’allestimento, a metà Ottocento, del tracciato ferroviario delle FFSS (e delle Ferrovie Nord qualche decennio dopo); notevole ad esempio il sodalizio trasporti/impresa, con i binari delle Ferrovie Nord che a Meda raggiungevano gli stabilimenti dell’azienda Salda, in modo da trasportarvi direttamente all’interno il legname e farvi uscire i mobili grezzi;
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il canale commerciale internazionale aperto tra Meda e i commercianti delle principali città europee ed americane, ai cui magazzini arrivavano i mobili brianzoli;
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l’arrivo in Brianza di maestri d’arte nel campo dell’intaglio, della figura e della finitura dei mobili (intarsio, laccatura, doratura) da Venezia, da Milano, dal Piemonte, fattore che diede grande impulso alla produzione di manufatti di eccellente qualità e alta classe;
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la presenza di maestranze medesi nelle aziende parigine, presso cui si recavano a lavorare su commissione; il contatto diretto con realtà più evolute permise un miglioramento notevole della loro professionalità, con un impatto positivo anche sulla capacità di formare altri operai;
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la formazione, da parte dell’Accademia delle Belle Arti e della Scuola Superiore
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CAPITOLO 02
d’Arte al Castello Sforzesco di Milano, di artisti e scultori del legno in grado di portare il loro sapere, in qualità di insegnanti, nelle scuole serali di Arte e Mestieri comunali e parrocchiali di Meda e della Brianza; •
le importantissime fiere campionarie di Milano, delle diverse città francesi e tedesche;
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la nascita di cooperative del mobile;
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la costruzione di palazzi espositivi (esposizioni permanenti) nei diversi centri brianzoli;
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la creazione, nel secondo dopoguerra, di un connubio tra l’industria del legno e la ricerca legata all’innovazione, nell’ambito della quale si valorizzarono sia la capacità manuale sia la managerialità aziendale, dando ampio spazio al talento degli architetti milanesi che inaugurarono la stagione del Design made in Italy con il forte coinvolgimento di protagonisti della scena imprenditoriale e artigianale medese.
Il positivo rapporto dell’industria manifatturiera, nello specifico mobiliera, con la politica e l’economia – fin dal secondo dopoguerra, con il piano Marshall – permise agli imprenditori locali di accaparrarsi le commesse dagli enti pubblici e di accedere ai finanziamenti statali finalizzati alla costruzione di nuove fabbriche. Un’evoluzione permessa in gran parte dalla operosità delle famiglie contadine, che non di rado si applicavano a queste lavorazioni con tutti i componenti, bambini compresi.
Come si vede, la storia del saper fare artigiano a Meda tocca, nel suo dipanarsi, molti momenti importanti diversi – oggi diremmo milestones.
Alcuni di questi sono segnati da storie profondamente belle, significative e – forse a causa della proverbiale riservatezza brianzola – piuttosto poco raccontate. Grazie agli studi di Felice Asnaghi, siamo in grado di condividerne alcune.
MADE IN MEDA NEL SECOLO DEI LUMI, OVVERO: IL #MARKETINGNEL700 Nel 2000, un noto antiquario milanese intento a restaurare della mobilia scopre che sul coperchio della comoda c’è la seguente scritta:
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
1794 fatto Carlo Asnago falegname in Meda detto Baretone Qualche anno dopo sui giornali appare la notizia del ritrovamento, da parte di un altro antiquario, di un comò fabbricato nella bottega “Cimnaghi” nel secolo XVIII. Sul retro del mobile da camera c’è la scritta:
Meda lì 6 settembre 1790 Giò Batta Cimnaghi In tutte e due i casi la scritta funge da autocertificazione del prodotto di qualità tipica di quel tempo. NEWS DAL PASSATO… QUANDO MEDIA È IL MESSAGGIO (ED È SCRITTO SU UN MOBILE) Rimanendo nel secolo dei Lumi, consultando le pubblicazioni del settore apprendiamo che nel 1759 i “maestri di legno” Cassina costruiscono e intagliano il pulpito del Duomo di Como e con loro lavora Luca Cassina, al quale, nel 1770, vengono commissionati gli arredi della sacrestia del santuario della Beata Vergine a Vimercate su disegno dell’architetto ingegnere Francesco Croce7. Nel 2011, in occasione del restauro del santuario del Santo Crocifisso di Meda, i volontari intenti a smontare la cantoria collocata sulla controfacciata scoprono la seguente scritta a inchiostro all’interno del pannello che ricopre la seconda putrella delle quattro che sorreggono la balconata:
1814, 22 dicembre I fratelli Cassina fecero la presente cantoria e 7 Francesco Croce (1696-1773), affermato architetto-ingegnere, viene chiamato a dirigere i lavori di chiese, ville e palazzi in tutta la Lombardia; è attivo nella Veneranda Fabbrica del Duomo, dove progetta la guglia più alta (quella della Madonnina); a lui è anche attribuita la ristrutturazione di Palazzo Clerici a Milano e della villa Clerici-Cicogna di Trecate; è attivo poi a Saronno dal 1729 al 1736 per seguire la costruzione di Palazzo Visconti a Somma Lombardo. Si potrebbe supporre che successivamente sia stato chiamato dai Clerici a ricostruire la casa di villeggiatura di Meda, oggi Doro (fonte: Felice Asnaghi).
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CAPITOLO 02
cassa d’organo essendo fabbricieri di questa chiesa monsieur Pietro Busnelli, Carlo Rho, Amadeo Cassina uno de’ suddetti fratelli, Francesco Cimnaghi detto Farina e Giacomo Cagliani fattore di Casa Medici di Seregno ed essendo parroco di questa chiesa il molto reverendo don Carlo Quaglia. Si travagliò tutto dì di questo 22 e posta in opera per lasciare libero di disporre il nuovo organo fabbricato dal celebre signor Eugenio Biroldi di Varese e di lui nipote Luigi Maroni8
Da questo “pezzo di legno” abbiamo la conferma che i fratelli Cassina, tra cui Amedeo, gestiscono una bottega di falegnameria e conosciamo i nomi dei fabbricieri, cioè coloro che coadiuvano il priore nel sovraintendere e controllare la gestione economica del beneficio parrocchiale: Carlo Rho, nato il 29 marzo 1774, falegname domiciliato in casa propria nella “cassina” detta Badia (la prima cascina a destra della via Cialdini al di là del passaggio a livello) con la moglie Monica Pagani, classe 1776 di Barlassina, le figlie Carolina (1804) e Cherubina (1815). Amadeo Cassina nato il 26 agosto 1780, di mestiere falegname; sposato con Maria Orsenigo, classe 1787; i figli: Giosuè (1808), Antonio (1810), Giberto (1812), Rachele (1806), Rosa (1817), Teresa (1819). Nella stessa casa abita il garzone di bottega Giuseppe Covio (1798) di Appiano. I figli maggiori studiano e la moglie è una filatrice. Giacomo Cagliani, nato il 16 marzo 1760 a Caponago, vive con la moglie, Cristina Varese (nata a Cambiago, cucitrice), e i figli Daniele (classe 1806, calzolaio nato a Caponago) e Teresa (classe 1803, di Caponago, cucitrice). La famiglia abita nella fattoria di casa Marchesi Brivio. Francesco Cimnago detto Farina, nato il 25 settembre 1795, contadino: abitante in casa De Pietri (via San Martino-Piazza Volta), sposato con Rosalinda Mascherona
8 Asnaghi, F., Dalla chiesa di Santa Maria al santuario del Santo Crocifisso. Storia, arte e fede della chiesa madre di Meda, Comunità pastorale Santo Crocifisso, Salvioni Stampe, ottobre 2017.
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
di Cabiate (classe 1798) e la madre Rosa Maria Mascherona (1774), la sorella Teresa (1798), la figlia Laura (1809). L’altro fratello Cassina non nominato è Vincenzo, nato il 30 gennaio 1768 a Meda, di mestiere falegname; sposato con Rosa Canobbia, classe 1778, cucitrice; i figli e conviventi sono: Gaetano (1805), Carlo (1807), Flaminio (1813), Cherubino (1818), Cherubina (1801), Carolina (1808), Angela (1811), Teresa (1813)9. PIAZZA 5 GIORNATE, MILANO: UN MEDESE SUL MONUMENTO Il giovane Gaetano Cassina, nato il 9 febbraio 1805, sposato con Francesca Marelli (cucitrice), di mestiere falegname, partecipa alle Cinque Giornate di Milano, tra il 18 e il 22 marzo 1848, che spingono il comandante austriaco Radetzky in ritirata. Ecco come viene raccontata la sua tragica avventura nel pieno di queste tragiche giornate. Gaetano Cassina di anni 42 domiciliato a Meda, artigiano mobiliere (ditta Eredi Cassina). Ogni settimana si recava a Milano con il calesse per affari e portava sempre con sé una borsa per l’argento e una per l’oro. Il 18 marzo del 1848 purtroppo arrivò in città proprio nel bel mezzo della battaglia, vi trovò le barricate e i Milanesi in grave difficoltà. Girò il calesse e si mise a correre verso la Brianza in cerca di rinforzi, ma i soldati austriaci lo bloccarono, gli requisirono le borse e lo fucilarono. Fu insignito della medaglia d’oro e il suo nome figura con gli altri caduti sul monumento realizzato dallo scultore Giuseppe Grandi in piazza Cinque Giornate a Milano. Alla famiglia fu consegnata la somma di lire 15010. DATI STATISTICI Per rendere più completo questo scenario, è importante riportare alcuni dati statistici sull’evoluzione demografica a Meda, anche in rapporto all’artigianato. Nel 1817 ci sono 41 falegnami e nel 1838 ben 48 dichiarati11; nel 1874 una inchiesta nazionale censisce 1250 lavoratori a domicilio e un’altra del 1904 segnala ben 500 laboratori artigiani12. Da uno studio effettuato presso la Camera di Commercio di Milano, si conferma che agli inizi del secolo scorso operano #500laboratoriameda, la maggior parte dediti alla falegnameria. Ai proprietari terrieri, trovatisi così senza manodopera, non resta che costruire nuove cascine ai margini del paese per dare dimora ai nuovi arrivati.
9 Ricerca di Felice Asnaghi; fonte: Comune di Meda, Ruolo generale della popolazione del 1819. 10 Ricerca di Felice Asnaghi; fonti: per i dati anagrafici, Comune di Meda, Ruolo generale della popolazione del 1838; per le notizie sulla vicenda di Gaetano Cassina, Archivio Museo del Risorgimento di Milano. 11 Ricerca di Felice Asnaghi; fonte: Comune di Meda, Ruolo generale della popolazione del 1817 e 1838. 12 Felice Asnaghi, Meda terra di fede e di lavoro, Amministrazione Comunale, stampa Elleci, Meda, dicembre 1985.
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CAPITOLO 02
Anno
Popolazione
1838
→
1980
1861
→
3116
1881
→
3876
1901
→
5410
1911
→
6986
1921
→
7750
1931
→
8943
1945
→
10202
1951
→
11510
1961
→
14883
È sull’onda di questa espansone che immigrano a Meda migliaia di uomini e donne, trovando lavoro nelle fabbriche del mobile quali la Salda, la Baserga, la Lanzani, nella tessitura serica Bertolotti, nelle cascine contadine, nelle fornaci, nelle trance, ma soprattutto incrementando le botteghe artigiane del legno e tutto l’indotto del settore. Il fenomeno assume proporzioni ancora più grandi nel secondo dopoguerra, con la massiccia immigrazione veneta e meridionale.
La dinamica demografica che appare dai dati statistici è eloquente: nei cento anni successivi all’unità d’Italia, la popolazione di Meda si quintuplica.
OUTSOURCING. DA UN QUARTIERE ALL’ALTRO DI MEDA È proprio così, sono tutti falegnami (legnamée), anche se fino al secondo dopoguerra pochi hanno macchinari. Se si vuole tagliare le tavole di legno, ci si reca dai Longhi di via XX Settembre (i Gian), dai Caronni di via Roma (i Vutan) o dai Buraschi di via Como (i Bürasch). Se invece si vuole sagomare parti del mobile in stile, ci si rivolge agli Asnaghi (i Ruminèj) nella loro bottega di via Carducci, dove è in funzione la fresatrice. I Cazzaniga (i Pénpén) di via Solferino invece sono specializzati nell’incannatura ed impagliatura, mentre i milanesi Pietro Negri e Umberto Caimi sono maestri, rispettivamente, della doratura, laccatura e della decorazione.
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LE BOTTEGHE STORICHE DI MEDA: GENEAOLOGIA DI UN ECOSISTEMA
Randolfo Reggio apre la prima vetreria in paese e la ditta Pozzoli (Pichêpreiê) lavora il marmo e il granito. L’arte della figura, in modo particolare, è avviata da alcuni artisti della scuola veneta, fra i quali Marco Dorigo, Tito Meneghetti, Ermenegildo Zanon.
Sono scultori che approdano a Meda su richiesta delle grandi aziende nei primi decenni del secolo scorso. La loro esperienza e le loro opere influenzano i giovani intagliatori del paese che affinano, lavorando con loro, le proprie capacità artistiche.
Salda, archivio storico
Salda, archivio storico
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195X: il Big Bang del Design
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CAPITOLO 03
7 Keyword di riferimento:
#superleggera #medanelmondo #artigianomeetsdesigner #visioneestetica #compassodoro #triennale #medesefondatorefieramilano
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195X: IL BIG BANG DEL DESIGN
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Qual è “l’anno X” degli Anni 50 in cui prende il volo il Design? Cosa succede se il “saper fare” della bottega guarda finalmente fuori dalla bottega? Chi incontra? Cosa accade quando dalla cultura del pezzo singolo, dell’arredo specifico, si passa a una visione estetica, a un concetto di gusto?
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CAPITOLO 03
Anni 50. Dal cocktail di talenti, personalità, tradizioni, competenze, abilità commerciali del territorio di Meda, arricchito da un ingrediente segreto – l’ambizione di una straordinaria generazione di protagonisti –, esplode in tutto il mondo, con una gioiosa e incontenibile potenza, il Made in Meda. Nascono le icone del gusto moderno, arredi e oggetti che hanno nel DNA la capacità di sintetizzare e raccontare la bellezza e la funzionalità dell’agire umano nella vita di tutti i giorni. È in questo decennio d’oro, in un turbine di creatività, opportunità commerciali e innovazione industriale, che nasce la figura del designer come lo conosciamo oggi: un nuovo eroe della dimensione culturale ed economica internazionale, in molti casi… born in Meda.
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195X: IL BIG BANG DEL DESIGN
Illuminati da quella stella di nome Giuseppe Terragni, il più grande architetto del razionalismo italiano, nato a Meda e spentosi troppo presto, a neanche 40 anni, nel 1943, gli Anni 50 segnano il Big Bang del Design. L’intero ecosistema produttivo ed economico italiano impara molto bene in questi anni a declinare il concetto di Design, facendo tesoro delle parole di Terragni, che sosteneva di “non fare distinzione tra l’urbanista che progetta una città, l’architetto che progetta una casa, il designer che progetta una sedia”.
Nasce non a caso in quegli anni, nel 1954, un premio al talento creativo, italiano ma di standard internazionale: il #compassodoro, le cui origini vanno di pari passo con la valorizzazione mondiale del Made in Meda, non a caso protagonista fin dalle prime edizioni. Il premio adotta il simbolo del compasso di Goeringer, strumento utilizzato in scultura per definire i migliori rapporti di proporzione in ossequio alla sezione aurea. Si tratta di una selezione dura, tutta concentrata a esaltare l’eccellenza, nonché a definire una figura professionale che sarebbe divenuta centrale nell’ecosistema della produzione industriale nei decenni successivi: quella, appunto, del designer. Nato nella cultura d’avanguardia sviluppata dai grandi magazzini La Rinascente, che ne fu ideatrice e promotrice nei primi anni, il premio fu guidato dal genio di Gio Ponti, animato dalle idee e dagli stimoli di personaggi del calibro di Marco Zanuso e Alberto Rosselli, e infine battezzato da Albe Steiner (cui si deve sia l’idea del nome, sia il suo marchio). Il Compasso d’Oro è oggi la misura aurea della bellezza, un canone internazionalmente riconosciuto di estetica del prodotto, e anche – in anni più recenti – di eccellenza nel service design. In quel dopoguerra in cui prendeva forma un settore economico che avrebbe – di lì a breve – creato il fenomeno planetario del Made in Italy, l’iniziativa del Compasso d’Oro fu preceduta da alcune mostre importanti. Due in particolare, che meritano di essere menzionate anche per come rendono
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CAPITOLO 03
meravigliosamente, nelle loro definizioni, lo spirito del tempo. La prima, nell’ambito della IX #triennale del 1951, è La forma dell’Utile, dove La Rinascente presenta un appartamento tipo per quattro persone con una collezione di arredi disegnata da Franco Albini. La seconda, ospitata nei locali della Rinascente, nel 1953, è L’estetica del prodotto, con un focus sulla bellezza intrinseca della funzionalità nell’oggetto di uso quotidiano.
Siamo quindi all’anno fatidico: quel 1954 in cui vede la luce il premio Compasso d’Oro, prima edizione. E attenzione: già in questo anno d’esordio, in cui vengono assegnati solo 15 premi, figura già un vincitore “Made in Meda”: con la sedia 683 disegnata da Carlo de Carli, la Cassina di Meda figura nella selezionatissima rosa degli eletti, insieme ai realizzatori della macchina da scrivere Lettera 22 di Olivetti e agli autori di pochi altri oggetti. (Rimandiamo al capitolo 05, p. 69, l’elenco dei Compassi d’Oro riconducibili alla città di Meda, o perché sede dell’azienda vincitrice, o perché città natale del designer, o perché... sia sede dell’azienda sia città natale del designer, com’è accaduto con i premi del 1987 e del 2016!). È quindi il 1954, il cosiddetto “anno X” degli Anni 50, in cui prende il volo il Made in Meda? O è forse il 1955, anno in cui ha visto la luce (a Meda, ça va sans dire) uno degli oggetti di arredo più iconici in assoluto, la sedia #superleggera disegnata da Gio Ponti?
1,7 kg di pura genialità progettuale, tuttora in produzione, resistente non solo ai decenni ma anche agli urti. Non a caso Gio Ponti la lanciò dal secondo piano degli uffici Cassina di via Busnelli per mostrare agli stupefatti studenti del Politecnico di Milano quanto fosse robusta,
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195X: IL BIG BANG DEL DESIGN
a dispetto della sua straordinaria leggerezza! O è stato quell’anno a fine decennio – 1959/60 – che preludeva la nascita, avvenuta di lì a poco13 con un sostanzioso numero di aziende medesi presenti, della Fiera del Mobile, che così tanta importanza avrebbe avuto nella storia del Design mondiale? Oppure potremmo attribuirlo – con un doveroso gesto di amoroso omaggio – all’anno di nascita di un grandissimo designer medese, Antonio Citterio (1950)? Oppure a quel 1959 che ha dato al mondo quella straordinaria azienda di nome Flexform, fiore all’occhiello, orgoglio e patrimonio del Design mondiale, la cui sede non ha mai lasciato l’indirizzo storico medese? Stabilire quale sia l’anno decisivo di questo incredibile decennio, che ha visto il Made in Meda prendere il volo, non è possibile, questo è chiaro. Quello che si può fare è considerare un insieme di fattori, che combinandosi fra loro hanno preparato il terreno per questo esplosivo, straordinario periodo, senza precedenti né paragoni per il Made in Meda. PUNTO 1 DI 3: NEGLI ANNI 50 IL SAPER FARE GUARDA FUORI DALLA BOTTEGA: #ARTIGIANOMEETSDESIGNER Non si chiamavano designer, il più delle volte erano architetti (non sempre), ma il fatto chiave, epocale di questo periodo a Meda è che la visione progettuale entra di prepotenza nelle botteghe.
Non è più l’artigiano che concepisce, inventa e realizza – quasi in un flusso lavorativo indistinto – l’oggetto mobile, ma è una figura dotata di talento proprio, estranea alla lavorazione manuale, che “vede” l’oggetto, lo disegna, ricavando così uno spazio per sé, cioè il ruolo di “designer”. È un passaggio chiave, che vede salire alla ribalta del nostro mondo genialità incredibili come Gio Ponti, per citarne uno, ma i nomi di quegli straordinari pionieri hanno riempito i libri di Design che oggi i giovani studiano nelle università di tutto il mondo.
13 La prima edizione del Salone del Mobile presso la Fiera di Milano venne inaugurata nel 1961, in quella prima edizione parteciparono 328 aziende, con un pubblico di 12 100 visitatori, di cui 800 provenienti dall’estero (fonte: Wikipedia).
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CAPITOLO 03
PUNTO 2 DI 3: SI COMINCIA A USCIRE DALLA LOGICA “IPER-VERTICALE” DEL SINGOLO PEZZO A chi capitava di frequentare le aziende protagoniste del settore, nella stagione del secondo dopoguerra e per tutto il decennio 1945-1955, rimaneva impresso fondamentalmente un approccio: quello legato al singolo pezzo. Tale impostazione – la ditta che faceva divani, quella che faceva le cucine, quella dei tavolini, e così via, spesso interpretati magistralmente dai celeberrimi geni del Design che tutti conosciamo – era figlia di una cultura produttiva verticale. Le ditte stesse, da quelle minuscole a quelle più importanti, erano nate e si erano sviluppate così, verticalmente, diremmo oggi. Quello che succede di nuovo negli Anni 50 è che nascono i primi semi di quello che sarebbe diventato un gusto, una #visioneestetica, un insieme di fattori che armonicamente vanno a definire una produzione specifica.
È ancora presto per parlare di brand, ma è su questo tipo di visione che i brand moderni andranno a modellarsi e raccontarsi, con alcuni capostipiti pionieri nel proporre ambienti e non più singoli pezzi. PUNTO 3 DI 3: NEGLI ANNI 50 IL MONDO SI ACCORGE DEL DESIGN ITALIANO È del 1955 la prima mostra estera dedicata al design italiano: si svolge a Londra a cura di quel Marco Zanuso che nel suo corposo contributo all’eccellenza mondiale del Design annovera anche la prima cucina moderna, scevra da ogni decorazione e profondamente attuale, voluta da Ezio Longhi della Elam di Meda (la C5). In altre parole: sempre più #medanelmondo. La mostra di Londra viene replicata nel 1958, mentre il 1959 è l’anno che vede i designer nostrani conquistare gli Stati Uniti, con la mostra all’Illinois Institute of Technology di Chicago.
Siamo ormai alla fine del decennio, sta per nascere il Salone del Mobile, nel settembre 1961. Curiosità: tra i 13 citati da Wikipedia, c’è un #medesefondatoredifieramilano: Franco Cassina.
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195X: IL BIG BANG DEL DESIGN
I riflettori mondiali sono puntati da questa parte, e continuerà a essere così. Altre pietre miliari di questa visibilità internazionale saranno la mostra al MoMA di New York, Italy - The new domestic landscape, del 1972 (con fortissima presenza di talento Made in Meda) e il superamento, per importanza e centralità, del Salone del Mobile sulla Fiera del Mobile di Colonia e di Parigi, negli Anni 80.
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Lanzani, archivio storico
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La scuola di Meda
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CAPITOLO 04
7 Keyword di riferimento:
#pingpong #lunedìdipaina #convitto #ragazze #perché #iltappezzierevale #bertoacademy
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LA SCUOLA DI MEDA, OVVERO: IMPARARE L’ECCELLENZA
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Quali sono le fasi che scandiscono le attività formative nella tradizione secolare del Made in Meda? Quale patto veniva stabilito, con una cena, tra la famiglia di un giovane da formare e il padrone di bottega? Quali sono le aspettative di chi oggi impara un lavoro di eccellenza, rispetto a chi lo faceva nel Novecento?
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CAPITOLO 04
Come si impara il mestiere e come si apprende a valorizzare il talento Made in Meda? Trasmettere l’eccellenza manifatturiera non è semplice, e quando è il bagaglio culturale di un territorio ad essere trasferito di generazione in generazione le modalità non possono che essere differenziate e differenzianti, in base a numerosi fattori. L’epoca storica, innanzitutto, ma anche la strutturazione di accordi tra famiglie e laboratori, su base diffusa e capillare nella società medese. In seconda misura, la presenza di Maestri, dapprima nelle botteghe dove “si fa la storia”, e successivamente nelle aule e nei primi, embrionali laboratori degli istituti scolastici, all’inizio del Novecento. E poi il ruolo dell’industria, sia la piccola e media, sia i grandi gruppi, che nel frattempo divengono internazionali. Le voci di chi fa formazione a Meda, di chi l’ha fatta e di chi si propone di farla sono le espressioni vive e vitali di una capacità formativa che si tramanda in città – non senza tensioni evolutive – attraverso epoche, generazioni, mestieri.
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LA SCUOLA DI MEDA, OVVERO: IMPARARE L’ECCELLENZA
La fortuna di un distretto produttivo si basa sulla valorizzazione del passato, che deve sapere interpretare il presente e garantire una prospettiva futura.
Tutto questo ha un nome: Scuola.
A tutti i livelli, la città di Meda vanta tradizioni importanti in termini di insegnamento. Seguendone lo sviluppo, si traccia di pari passo anche l’evoluzione di Meda e delle sue eccellenze manufatturiere. Se nel periodo in cui il Monastero di San Vittore passò in mano ai francesi, dal 1798 in avanti, furono le maestranze parigine ad insegnare ai medesi in trasferta in Francia, furono poi i tanti maestri d’arte che arrivarono a Meda da ogni parte d’Italia – attratti dalla qualità e quantità del lavoro che già allora caratterizzava la dimensione economica di questo territorio –, a “fare Scuola”, creando quell’humus artigianale e manifatturiero caratteristico della città. Abbiamo la fortuna di poter ancora sentire, i racconti e le testimonianze di chi – nato prima degli Anni 30 del Novecento, è stato da giovane “ragazzo di bottega” e poi negli anni seguenti protagonista del mondo artigiano o industriale, e infine insegnante. Un’evoluzione che ci accompagna dai tempi delle primissime botteghe, dove la formazione professionale era anche insegnamento di vita, come in un romanzo di formazione (e non a caso terminava con la chiamata alle armi), agli anni del boom economico – che videro la nascita delle scuole di formazione, diurne e serali –, fino agli Anni 70 in cui
“si lavorava fino alle 8 di sera, poi si andava a cena, poi si tornava a lavorare e poi, verso l’una, si giocava a #pingpong”14. E poi via attraverso i floridi Anni 80-90, in cui molti artigiani si trasformarono in azienda, e molti giovani si affermarono, diventando i nuovi protagonisti. Un lungo e articolato sviluppo, fino ai giorni nostri, in cui mondo-aziende e mon-
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Intervista a Carlo Berto, co-fondatore della BertO, rilasciata il 31 marzo 2021
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CAPITOLO 04
do-scuola vivono una dialettica talvolta virtuosa, talvolta lacunosa, condizionata da standard tecnologici in perenne e vorticosa evoluzione, peraltro inutili senza i valori trasversali detti soft skills. Quante cose da imparare, per produrre l’eccellenza! Ma andiamo con ordine. HAI FINITO LE SCUOLE? A BOTTEGA, FINO AL MILITARE! IN COMPENSO IMPARI UN MESTIERE Non c’era discussione, non c’era scelta, non c’era semplicemente altro destino se non il lavoro in bottega. A Meda è stato così fino agli Anni 60. Un ragazzino, terminata la scuola dell’obbligo (in qualche caso la terza media, più sovente la quinta elementare) veniva proposto a una bottega, sulla base di un semplice accordo verbale (ma forse non serviva nemmeno quello), siglato da una stretta di mano del genitore con il padrone della bottega.
“Ti affido mio figlio, perché tu gli insegni un mestiere in cambio del suo lavoro. Da oggi fino alla chiamata alle armi”. Un accordo dal significato profondo, portato avanti con la concretezza delle cose semplici della vita e la solennità rituale di una promessa profondamente radicata nella società di quegli anni. A testimoniare la ritualità di tale passaggio, un momento simbolico, topico, che stabilisce, anche da un punto di vista formale, tale intesa tra la famiglia del giovane e l’artigiano destinato a insegnargli a lavorare (e anche a vivere): un incontro – tra l’ufficiale e il conviviale – a tavola, per una cena. Aveva anche un nome, questa pratica, si chiamava il #lunedìdipaina15. Una volta espletato il piccolo rito del lunedì di Paina, nasceva un artigiano, che avrebbe lavorato, lavorato e ancora lavorato per parecchi anni, al solo scopo di imparare a farlo, quel lavoro.
15 Ancora oggi la gente ricorda l’annuale ricorrenza del Lunedì di Paina che si celebrava l’ultimo lunedì di ottobre in concomitanza con la festa patronale della frazione di Giussano. Quel giorno tutte le botteghe artigiane restavano chiuse; così da permettere agli uomini di recarsi alla fiera di Paina soprattutto per mangiare la cazoeura. Il lunedì de Paina era anche il giorno che seguiva la visita militare per tutti i diciottenni e questo favoriva la formazione di allegre brigate che sostavano in tutte le osterie del paese creando non pochi problemi: per questo motivo venne di fatto abolita nel 1936, ma l’usanza continuò per altri decenni.
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LA SCUOLA DI MEDA, OVVERO: IMPARARE L’ECCELLENZA
Poi, arrivato il giorno della leva, con la partenza per il servizio militare si concludeva quella importante, basilare, fase formativa di tipo professionale e cominciava l’avventura dell’età adulta. “Andar militare” … ancora una volta un rito, quello della caserma e dei commilitoni, al termine del quale, ritornando a Meda, il giovane uomo poteva ambire a un posto in bottega, finalmente riconosciuto per il valore professionale che a quel punto era in grado di esprimere, insieme alla consapevolezza di sé accresciuta dall’esperienza vissuta lontano da casa.
Un mondo arcaico e semplice, dove il valore del lavoro coincideva con il valore dell’esistenza, che esauriva – insieme al servizio militare prima e la famiglia poi – il novero delle esperienze importanti della vita. Si viveva per il lavoro: impensabile oggi, normalissimo ieri. NASCE LA SCUOLA: L’APPRENDIMENTO DELL’ECCELLENZA TROVA UNA MODALITÀ ISTITUZIONALE Muoviamoci ora in avanti: quel ragazzino che ha fatto il suo lungo e approfondito apprendistato in bottega e ha poi ha servito la patria, è tornato ed ha appreso da vai maestri non solo l’arte del lavoro artigiano (sia egli ebanista, tappezziere, intagliatore o altro) ma anche quello degli affari: ha oggi una sua bottega. Siamo negli anni del boom del dopoguerra, il lavoro non manca, e inizia a diventare importante anche l’attività degli enti formatori, peraltro attivi dai primi anni del secolo. A Meda, quello che poi sarebbe diventato il Centro di Formazione “Terragni” – Afol Monza Brianza svolgeva ormai a pieno ritmo la sua attività, mettendo a disposizione addirittura un #convitto per ospitare i giovani che approdavano a Meda da tutta Italia per studiare i vari rami dell’artigianato mobiliere, perché l’eccellenza del Made in Meda era già allora ben nota, e moltissimi erano i giovani che raggiungevano la città brianzola da tutte le regioni16. E chi chiamare a insegnare l’intaglio, la tappezzeria, le arti del Made in Meda? I maestri artigiani, naturalmente! Ancora oggi, il nostro artigiano formatosi in bottega, viene chiamato a insegnare, nelle aule e nei laboratori in cui si allestiscono lezioni e sessioni di lavoro. E che non si pensi che tali insegnamenti non avessero un loro standard didattico
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CAPITOLO 04
ben preciso: è infatti agli atti il caso di quei maestri artigiani che – pur di una bravura inarrivabile nel loro settore – non avevano il titolo di studio ritenuto necessario per poter insegnare. Ebbene, prima di potersi presentare in aula o in laboratorio per formare la nuova classe di artigiani d’eccellenza dovevano, loro stessi, superare l’esame della licenza media, così da accreditarsi in modo adeguato al loro (secondo) lavoro di formatori. La giornata in bottega, la sera ad insegnare falegnameria, ebanisteria, tappezzeria (cucitura e imbottito), decorazione, progettazione… Questo il mantra di tutta una classe di artigiani –dagli Anni 60 agli Anni 80 a Meda; questo il fondamento di tanti imprenditori di grande successo negli anni successivi. E seduti di fronte a quell’artigiano-insegnante, non solo giovani uomini, ma moltissime #ragazze, potentemente motivate ad applicare l’eccellenza del Made in Meda nelle forme del lavoro di cucitrice e tappezziera. OGGI: CHI INSEGNA E CHI IMPARA. MEDA CROCEVIA DI ESPERIENZE E SPERIMENTAZIONI Sono molti i fronti di lavoro della dimensione formativa, a Meda: e l’heritage del Made in Meda vive le dinamiche sotto elencate in modo evolutivo. Uno scenario in cui anche la struttura formativa aziendale #bertoacademy si fa carico di una parte di lavoro. Come accade da secoli a questa parte, non sono solo i giovani ad apprendere il Made in Meda, ma gli stessi suoi protagonisti ad apprendere quotidianamente, attraverso le tensioni positive che il territorio esprime, come imparare a mantenere attuale una ricchezza inesauribile.
Condividere i piani didattici tra scuola e aziende. •
Supportare i giovani non solo nella formazione di tipo tecnico, ma nell’apprendimento di soft skill, per potersi rapportare meglio con gli ambienti aziendali.
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Far comprendere alle nuove generazioni le dinamiche della comunicazione, e i modi per gestirla.
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Portare i moduli formativi delle aziende a scuola, e viceversa.
16 Si trattava di un reclutamento di giovani apprendisti soprattutto nelle regioni del Meridione organizzato in collaborazione con le scuole medie inferiori, le segreterie dei rispettivi Comuni e gli uffici di collocamento al lavoro. La proposta consisteva nella frequenza gratuita del corso di un anno formativo (ottobre-giugno) presso il centro Iniasa (Istituto Nazionale per l’Istruzione e l’Addestramento nel Settore Artigiano) di Meda, comprensivo di biglietto del treno di andata e ritorno dai luoghi di origine e di una stabile ospitalità presso il collegio Ballerini di Seregno. Una navetta-pullman della ditta Dell’Orto assicurava ogni giorno il trasferimento da Seregno a Meda. Gli studenti dovevano superare esami che prevedevano un test di cultura generale, domande di geografia, conoscenze relative alla città di Milano; dovevano inoltre saper realizzare schede di disegno tecnico e ornamentale.
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LA SCUOLA DI MEDA, OVVERO: IMPARARE L’ECCELLENZA
Aiutare un giovane a nutrire, attraverso la formazione lavorativa e il successivo inserimento, non solo il suo benessere materiale, ma anche la sua anima.
Avere il coraggio di chiedere i #perché di una scelta formativa, e cercare insieme risposte. •
Aprire tavoli condivisi con le aziende del territorio.
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Sensibilizzare la cittadinanza.
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Comprendere i motivi alla base di un’affluenza alla formazione professionale di molto inferiore alle prospettive occupazionali (praticamente del 100%).
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Motivare imprenditori grandi e piccoli a ritornare nelle scuole, come si faceva quando il tessuto economico locale era più livellato, e tutto era più “vicino”.
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Far capire ai genitori e alle famiglie che #iltappezzierevale come l’ingegnere.
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Rivalutare il disegno.
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Hall of Fame: protagonisti e Compassi d’Oro
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CAPITOLO 05
7 Keyword di riferimento:
#halloffame #monacadimonza #culturadellavoro #albodoro #ricercatecnicoscientifica #culturadelprogetto #designitaliano
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HALL OF FAME: PROTAGONISTI E COMPASSI D’ORO
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Chi sono i protagonisti storici del Made in Meda? In quale momento della storia del Design la sezione aurea entra nella concezione di tutti? Quanti Compassi d’Oro sono stati vinti da protagonisti del Made in Meda?
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CAPITOLO 05
La storia del Design annovera numerosi grandi brand italiani, e i musei del Design di tutto il mondo li celebrano ogni giorno esponendo da anni – o meglio da decenni – opere che hanno saputo far innamorare ed ispirare milioni di persone, ovunque. Andiamo quindi alla scoperta di chi, partendo da Meda, ha conquistato il mondo del Design, diventando spesso un riferimento anche nel gusto, nel costume, nella cultura estetica di molti paesi. Allo stesso modo, scopriamo la gloriosa (e parzialissima) Hall of Fame dei medesi più in vista, non ché i riconoscimenti che il loro lavoro ha meritato.
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HALL OF FAME: PROTAGONISTI E COMPASSI D’ORO
I PROTAGONISTI Sapete come si definisce in italiano l’espressione “Hall of Fame”? Arca della Gloria. Un luogo mitico, dove alberga la Gloria, personificata dai protagonisti di un settore, un ambito. Spesso i personaggi che fanno parte di una #halloffame si trovano raggruppati in un luogo specifico, capace di esaltare il ruolo degli stessi. Può essere un museo, ma non necessariamente. Ricordiamo infatti, a questo proposito, che perfino un marciapiede può elevarsi al rango di Hall of Fame, come dimostra il famoso Hollywood Walk of Fame, riservato alle star del cinema.
E per le star del Design, che hanno fatto grande la nostra Meda, esiste il luogo mitico che le consacra? A parte il notevole ADI Museum - Museo del Design recentemente aperto a Milano, dove sono mirabilmente esposti tutti i Compassi d’Oro assegnati finora, inclusi quelli “medesi”, non ci risulta. È per questo che – senza pretese di esaustività e nella totale disponibilità per integrazioni e inserimenti – iniziamo noi, qui e ora, il necessario e quanto mai opportuno lavoro di riconoscimento del giusto valore, rispetto a quei protagonisti dell’eccezionale heritage di Meda. Compresa… la manzoniana #monacadimonza, ispirata a una suora realmente esistita a Meda, e il santo medese che gettò le basi della #culturadellavoro sul territorio. — CASSINA, Cesare (Meda, Milano, 1909 - Carimate, 1979) Fonda nel 1927 con il fratello Umberto (1910-1992) un’azienda artigianale produttrice di mobili, diventata nel tempo la Cassina di rinomanza mondiale. Sperimentatore e ricercatore aperto e innovativo, tra il 1947 e il 1952 produsse gli arredi per le navi Andrea Doria, Raffaello e Michelangelo. Nel 1965 cominciò a realizzare con successo la Collezione dei Maestri, che riproduceva modelli di architetti celebri come Le Corbusier (ad esempio la elegante Chaise-longue LC4). Nel 1966 (fino al 1973) Cassina fonda con Piero Busnelli la C&B, finalizzata a una produzione più vasta con l’uso di tecnologie innovative.
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CAPITOLO 05
— CASSINI, Caterina (Meda, XVII secolo) Personaggio parte della vicenda della Monaca di Monza, narrata nei Promessi Sposi. Era di Meda la figura che ispirò allo scrittore il personaggio di colei che, dopo aver scoperto la tresca di suor Gertrude con Egidio, svela il segreto, per poi scomparire nel nulla. La conversa Cassini, originaria di Meda, ebbe un destino analogo, e venne uccisa nel 1606 dall’amante di una suora, per averne scoperto l’affaire. — CITTERIO, Antonio (Meda, 16 giugno 1950) Designer di fama mondiale, partner di spicco di progetti d’architettura e design ormai celebri, con opere esposte al MoMA di New York, al Centro Georges Pompidou di Parigi e alla Triennale di Milano, è co-fondatore dello studio Antonio Citterio Patricia Viel. Vincitore per due volte del premio Compasso d’Oro (1987 e 1994) con B&B e Kartell. — GALIMBERTI, Maurizio (Como, 18 aprile 1956) Si rivela ben presto talento visuale di alto livello, ed inizia ad esprimersi nella fotografia facendosi notare sia per il contenuto delle sue opere sia per l’intrinseca capacità di innovare il linguaggio fotografico, che lo porta a collaborazioni di grande prestigio, sul piano internazionale. Nato a Como nel 1956, è naturalizzato medese. — GIORGETTI, Luigi (Meda, 5 giugno 1864 - 27 settembre 1931) Fondatore, alla fine dell’Ottocento, della Giorgetti, nata come bottega artigiana con otto operai in Piazza Volta a Meda ed oggi divenuta una realtà globale presente in tutto il mondo. Il brand ha tuttora il suo quartier generale a Meda, in via Manzoni 20. — OLDRATI, Giovanni (anche SAN GIOVANNI OLDRATI o SAN GIOVANNI DA MEDA) (Meda, 1100 ca. - Milano, 26 settembre 1159) Nato a Meda, in località Pozzolo l’attuale Bregoglio, verso la fine del secolo XI (date non certe, ndr), ispirato dalla Madonna si recò a Milano ove costituì una comunità di chierici: il Primo Ordine degli Umiliati. L’Ordine degli Umiliati, come abbiamo già visto, ebbe forte influenza negli ambienti contadini della Brianza, promuovendo l’operosità applicata alla lavorazione della lana, che secondo molti sarebbe all’origine della manifattura Lombarda. Fra le tante “Case” dell’Ordine che fondò in Lombardia, ci fu quella di Meda, certamente la più importante della pieve. Oggi è considerato il primo prete riformatore del movimento degli Umiliati. — TERRAGNI, Giuseppe (Meda, 18 aprile 1904 – Como, 19 luglio 1943) Un assoluto fuoriclasse dell’architettura, tra gli inventori del razionalismo italiano. Maestro di eccellenza, aperto alle influenze internazionali, ci ha lasciato troppo presto dopo soli 15 anni di attività straordinariamente feconda e tuttora di ispirazione.
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HALL OF FAME: PROTAGONISTI E COMPASSI D’ORO
I COMPASSI D’ORO La lista dei premi e i riconoscimenti ottenuti da persone e realizzazioni “Made in Meda” negli anni è infinito. Del resto, basta varcare la soglia di qualsiasi Design Museum al mondo per trovare, nelle collezioni, numerosissime testimonianze dell’eccellenza estetica e funzionale del Design nato a Meda. E quale migliore riconoscimento della preferenza accordata da tutti i migliori appassionati di Design, che mai rinuncerebbero ai loro arredi e complementi Made in Meda? E poi, come abbiamo già visto, ci sono le prime edizioni del Compasso d’oro, di cui il Made in Meda è protagonista. Ogni premio viene riportato completo di motivazione, laddove siamo riusciti a reperirla.
In un certo senso, è bello pensare che il valore che risplende a Meda, quando si parla di Design, venga anche dalla luce che emanano questi meravigliosi premi.
Ma veniamo all’ #albodoro delle volte in cui questo riconoscimento ha onorato il Made in Meda. 1954 — Compasso d’Oro a: Cassina per la Sedia mod. 683 (design Carlo de Carli) Motivazione del premio: Tra le innumeri sedie presentate dalla recente produzione, nella quale troppo spesso ricorrono eccessive fantasie formali e facili imitazioni, questa sedia è l’esempio di una reale “originalità” d’autore. Nella disciplina formale della sedia, oggetto preminentemente funzionale, questa produzione realizza, nella sua esecuzione ineccepibile, l’impiego di procedimenti tecnici moderni (massiccio modellato e compensato stampato) con una “composizione strutturale” degli elementi che rendono questo “pezzo”, al quale è attribuito il Premio “La Rinascente Compasso d’oro 1954”, simultaneamente un esempio di essenzialità formale e di composizione strutturale e ne fanno un vero “modello tipico”. 1970 — Compasso d’Oro a: Cassina per la Poltrona “Soriana” (design Afra e Tobia Scarpa) Motivazione del premio: Nel difficile campo di una nuova inventiva del mobile imbottito il Compasso d’Oro viene assegnato alla poltrona Soriana, in considerazione della complessità dell’immagine raggiunta con mezzi costruttivi e tecnici di notevole semplicità e coerenza.
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CAPITOLO 05
1979 — Compasso d’Oro a: Cassina per la Poltrona-Divano Maralunga (design Vico Magistretti) 1987 — Compasso d’Oro a: Antonio Citterio per il sistema seduta Sity (produzione B & B Italia) Motivazione del premio: La Giuria della XIV edizione ha deliberato di conferire il Premio Compasso d’oro 1987 al sistema di sedute “Sity” per il costante impegno dell’Azienda che, strettamente integrato con il contributo del designer, ha condotto alla realizzazione di un prodotto tipologicamente avanzato in rapporto ai mutati atteggiamenti comportamentali dell’uomo nella casa. Si avvia così un processo di rinnovamento in un settore che da troppo tempo vedeva l’impegno dei designer costretto ad operare nell’ambito della sola tradizione. 1989 — Compasso d’Oro a: B&B Motivazione del premio: Il costante lavoro di integrazione svolto al fine di coniugare i valori della #ricercatecnicoscientifica con quelli necessari alla funzionalità ed espressività dei prodotti. 1991 — Compasso d’Oro a: Cassina Motivazione del premio: Per il ruolo innovativo e la antesignana apertura internazionale della sua produzione nel panorama culturale e produttivo italiano, e per aver contribuito con la sua attività alla valorizzazione complessiva della cultura del progetto (#culturadelprogetto). 1994 — Compasso d’Oro a: Antonio Citterio per sistema cassettiere Mobil (produzione Kartell) Motivazione del premio: L’oggetto suggerisce l’idea di un lavoro d’ufficio ricco di flessibilità e caratterizzato da uno stile di pensiero giovane e innovativo. Tutte le soluzioni tecnico-formali sono convergenti e coerenti. Esemplare la scelta del chiaro rapporto fra il materiale metallico del supporto e la plastica traslucida e colorata della cassettiera. 2004 —Compasso d’Oro alla carriera a: Rosario Messina (fondatore Flou) Motivazione del premio: Una vocazione pluridecennale di approfondita ricerca di design e comfort, in un ambito specialistico dalle profonde diversità culturali nazionali, è all’origine dell’affermazione di questa azienda in campo internazionale.
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HALL OF FAME: PROTAGONISTI E COMPASSI D’ORO
L’eccellenza della sua produzione e comunicazione, in tutto l’arco della sua storia, rappresenta un contributo alla valorizzazione del #designitaliano e dei suoi prodotti nel mondo. 2016 —Menzione d’Onore Compasso d’Oro a: Flexform per la poltrona A.B.C.D. (design Antonio Citterio)
Lanzani, archivio storico
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Lanzani, archivio storico
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Milano e non Milano
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CAPITOLO 06
7 Keyword di riferimento:
#legameindissolubile #lifestyle #designnerd #connaisseur #fanaticidelbello #stellachecontinuaabrillare #cosìvicinoche
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MILANO E NON MILANO
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Quale strada della Lombardia è anche un luogo dell’anima per designer e produttori? Cosa accade se nella mappa del Design mondiale guardiamo Milano troppo da distante?
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CAPITOLO 06
Chi frequenta la zona di Meda, e vi arriva con l’automobile, imbocca una superstrada che è nota come “Milano-Meda”. E se nel nome delle cose c’è un destino, nel nome di una strada c’è un viaggio, un percorso. Tra Milano e Meda c’è un collegamento forte, fortissimo, fin dai tempi più antichi, da ben prima che venisse costruita quella strada. E se, certamente, Milano è la metropoli che tutto fa e dove tutto brilla, negli studi dei progettisti, nei reparti produzione delle aziende e – soprattutto – nelle teste pensanti dei protagonisti geniali del Design, Meda è il luogo di riferimento che si frequenta per ibridarsi con il DNA della città in cui molte volte tutto comincia. Perché quella strada non è solo un tratto viario, ma è un viaggio dell’anima, che viene percorso e ripercorso così tanto e così intensamente che a volte non sai più se stai andando verso Milano o verso Meda. Dedichiamo dunque il giusto spazio al rapporto tra questi due punti sulla mappa, sapendo che non siamo noi i primi ad unirli.
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MILANO E NON MILANO
Lo storico di Meda Felice Asnaghi, alla domanda “Quali fattori hanno fatto di Meda la città del Design?” menziona immediatamente, in cima alla lista, il legame e la vicinanza con Milano, nonché le vie di comunicazione che ben presto (prima di molte altre zone) hanno messo in collegamento Meda con Milano. Meda e Milano, Milano e Meda, un #legameindissolubile dagli albori del nostro settore, reciprocamente costruttivo e formativo.
Oggi, lo sappiamo tutti, ovunque nel mondo, chi dice Design dice Italia. A tutti i livelli, in tutti i settori, a tutte le latitudini. Sia che si parli di stile, di look, di gusto, quando il tema della conversazione è il Bello, il soggetto di ogni frase non può che essere l’Italia. Senza entrare nel merito delle radici storico-culturali di questa reputazione grandiosa – di cui gode il nostro Paese, spesso al di là della consapevolezza di noi italiani – possiamo però guardare più da vicino il #lifestyle legato agli interni, il Design che definisce e impregna gli ambienti domestici in cui viviamo. Focalizzando l’attenzione, non è difficile realizzare che il cuore del nostro settore è percepito, giustamente, nel Nordovest dell’Italia, nelle zone dove si sono create le condizioni per la nascita di realtà importanti, spesso promosse da talenti individuali di grandissima levatura. L’artigianato mobiliero di queste zone ha incontrato, a un certo punto, le prime tecnologie industriali, un passaggio che ha permesso il salto dimensionale sia del mercato, sia della cultura del design d’interni, facendo arrivare questa meravigliosa proposta di valore a un ampissimo numero di persone, su tutti i mercati di tutto il mondo. È chiaro che questo sviluppo ha potuto trovare la sua massima espressione nelle aree più industrializzate del Paese, ed è in questi distretti che i grandi nomi del Design italiano hanno reso possibile la nascita della stella del nostro gusto impareggiabile, grazie a una sapienza tecnica unica. Una #stellachecontinuaabrillare incessantemente nei cinque continenti.
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CAPITOLO 06
Tutto questo ha un riferimento in quella meravigliosa città italiana che tutti rispettiamo e amiamo: Milano. E giustamente è a Milano che molto spesso, nell’ambito del Design, viene ricondotto il concetto di Made in Italy.
Quello che abbiamo fatto con questo lavoro di ricerca, di cui il libro è espressione, è guardare con la lente questo Made in Italy del Design, e ritrovare, allo sguardo approfondito del #designnerd, cromosomi molto familiari a noi medesi.
Così familiari da ritrovarci le nostre facce, le nostre storie, i nostri nomi. Un po’ come quando – scorrendo la lista dei fondatori del Salone del Mobile, un pugno di imprenditori intorno a un tavolo, nel 1961 – scoprì che c’era almeno un medese, tra loro… se ne accennava qualche pagina fa, nel capitolo sugli Anni 50. E non uno qualsiasi, ma qualcuno che da qual momento in poi sarebbe esploso su tutti mercati mondiali, portando il suo nome medese – Cassina – ai quattro angoli del pianeta. Certo, Milano è il luogo dove l’attenzione di tutti converge, per la grandissima attrattiva e capacità di richiamo delle sue infrastrutture; inoltre, la città svolge egregiamente il suo ruolo di capoluogo di una regione votata – in termini di addetti e aziende – alla cultura progettuale e produttiva del Design, ed è giusto che sia il polo di riferimento, a livello di percezione. Ma quello che interessa a noi, in qualità di appassionati delle qualità intrinseche del Design, è indagare sulla natura di questa cultura, di #fanaticidelbello, per andare al cuore di tutto questo. E non stiamo parlando né delle grandi fiere internazionali, né delle campagne di marketing più o meno istituzionali del Made in Italy, né tantomeno dei brand di rivenditori che nascono un po’ dappertutto dandosi un tono da italiani, e che spesso si fermano solo a quello (fenomeno noto come “italian sounding”).
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MILANO E NON MILANO
Il fulcro, il nucleo originario, l’essenza del fenomeno Design nasce spesso, spessissimo, in una città che si è saputa conquistare – tra i veri #connaisseur del mondo dell’interior design – il titolo di Design Capital: Meda. È qui che hanno potuto svilupparsi ed essere realizzati moltissimi dei “pezzi” che ora ammiriamo nei musei di tutto il mondo; è qui che talenti pluri-premiati (Compassi d’Oro a volontà...) hanno trovato mezzi, persone e strutture pronte a dare forma alle loro geniali intuizioni; è qui che nasce quella interpretazione degli habitat umani in grado di affascinarci, di farci sognare.
A Meda. Vicino a Milano. #cosìvicinoche – a uno sguardo non troppo attento, a un occhio un po’ lontano, a una mente distratta dai troppi segnali – può capitare di vedere, sulla mappa mentale, solo il pallino più grosso.
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DENTRO LA STORIA Filippo Berto a tu per tu con Giovanni Antona Traversi all’interno di Villa Traversi dove sorgeva il Monastero di Meda.
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01, 02, 03, Filippo Berto intervista Giovanni Antona Traversi.
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01, Filippo Berto con Eugenio Boga— 02, 03, Filippo Berto intervista Umberto Besana, Salda.
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NEL CUORE DI MEDA Incontri speciali: come quello con il Professor Eugenio Boga – che ci ha aperto le porte della bottega storica del padre, medaglia d’oro per l’intaglio – e con Umberto Besana. 03
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01, Osvaldo Minotti con Filippo Berto — 02, 03, Osvaldo Minotti nel suo atelier a Meda.
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NELL’ATELIER DI OSVALDO MINOTTI Un maestro predestinato nelle arti dell’intaglio e della scultura che ci ha aperto le porte del suo atelier dove si respira la storia di Meda.
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01, 02, Umberto Lanzani — 03, Filippo Berto e Carlo Maria Lanzani.
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DAI MAESTRI LANZANI Umberto e Carlo Maria sono gli eredi di una lunga tradizione artigiana: da sette generazioni la famiglia Lanzani producono arredi – sedie e tavoli – per tutto il mondo.
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Il caso studio BertO
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CAPITOLO 07
7 Keyword di riferimento:
#ante #carlo #spiritodel74 #google #crowdcrafting #divanoxmanagua #futuroartigiano
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IL CASO STUDIO BERTO
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Cosa significa Spirito del ’74? Perché qualcuno dovrebbe mai far entrare degli estranei in un laboratorio sartoriale? Cosa c’entra il CEO di Google con Meda?
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CAPITOLO 07
In BertO abbiamo tanta fantasia, ci piace cercare di immaginare cosa ci riserva il futuro, e siamo appassionati di tutto ciò che è nuovo. Ma mai, mai, avremmo immaginato di poter diventare un “caso studio”. Innanzitutto, se anche voi come noi tempo fa, vi state chiedendo cos’è un caso studio, bene, la risposta che sentiamo più vicina è: “qualcuno pazzo abbastanza da tentare cose che nessuno ha mai fatto prima nel suo settore”. E se pensiamo alle esperienze che ci hanno portato a ottenere questo tipo di status, in effetti sono state esperienze da pionieri, talvolta intraprese senza una chiara idea di dove avrebbero portato, quasi sempre al netto di calcoli opportunistici. Quando ci avvicinammo al digitale, nel 2001, quando ancora in Italia le aziende attive online con approccio strategico si contavano sulle dita di una mano, certo non immaginavamo che una quindicina di anni dopo avremmo condiviso un palco con l’amministratore delegato di Google, che ci certificava ufficialmente Caso Studio #google per la conversione digitale. Quando, con il #crowdcrafting abbiamo aperto il laboratorio di tappezzeria a chiunque – concorrenti, persone comuni, curiosi, studenti e giornalisti – non immaginavamo che firme importanti del giornalismo avrebbero scritto di noi in termini elogiativi. Quando, invitati dal prof. Stefano Micelli, autore di Futuro Artigiano, accettammo con entusiasmo di partecipare al progetto di valorizzazione della manifattura Design-Apart, non sapevamo che avremmo realizzato il primo divano crowd-crafted per Manhattan. Stiamo facendo la figura degli sprovveduti? Se così fosse, invocheremo a nostra difesa quell’“ignorantezza” (così la chiama il mitico Paolo Cevoli) che a volte consente alla voglia di andare avanti di avere la meglio sui freni della razionalità e dell’esperienza.
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IL CASO STUDIO BERTO
ORIGINI. IL MADE IN MEDA ATTRAE A SÉ I TALENTI DI CARLO E FIORAVANTE BERTO Era il 1974. Fioravante Berto detto #ante e #carlo Berto (rispettivamente padre e zio dell’attuale CEO di BertO, Filippo) lasciavano il Veneto per stabilirsi in quella che avevano scelto come la terra dell’eccellenza per ciò che riguardava il loro lavoro di tappezzieri. Meda, Brianza. Un viaggio non indifferente, una scelta di vita radicale, guidata da un semplice quanto ineludibile senso del destino, ovviamente legato al lavoro. Per quella generazione, per quel tipo di persona, specificare il legame con il lavoro in qualsiasi scelta di vita è quasi pleonastico, forse si farebbe prima a specificare quali scelte, in queste vite, NON erano legate al lavoro. Il talento è tanto, la voglia di lavorare ancora di più: i due nuovi arrivati in città trovano immediatamente commesse e lavorazioni, e non tardano a divenire un punto di riferimento sulla piazza. Una piazza, quella di Meda, su cui i fratelli Berto sfidano i giovani tappezzieri locali, a chi produce a regola d’arte una poltrona di capitonné, dall’inizio alla fine, in meno tempo.
Il rispetto e la reputazione, tra chi lavora con le mani, si conquista così. E così si arriva a conquistare, in parti sempre crescenti, anche il mercato, allora vincolato a incarichi da parte di singoli committenti, con il lavoro incessante delle mani, in giornate in cui capita facilmente di non vedere la luce del sole.
Ma non c’è alcun dubbio: è qui il posto dove la capacità vuole stare, dove la fantasia si può esprimere. Dove il talento può diventare mercato, lavoro, ditta, futuro.
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CAPITOLO 07
E il futuro Carlo e Fioravante se lo costruiscono con pazienza, perseveranza e concretezza, giorno dopo giorno, diventando essi stessi motivo di ispirazione e ammirazione per chi non è di Meda, per chi osserva nascere lavorazioni e prodotti da altre parti d’Italia e d’Europa.
Perché l’attrattiva di un territorio è anche la capacità di creare talenti, come nel nostro caso della tappezzeria sartoriale. Un talento che Carlo e Fioravante hanno, sentono, sviluppano e coltivano. Proverbiale la loro incapacità di raggiungere una qualsiasi forma di soddisfazione: solo l’eccellenza assoluta – meglio se a un livello mai raggiunto prima – può distogliere la loro attenzione dalla tensione a migliorarsi, e nemmeno troppo a lungo. È su queste basi che la ditta esce dal laboratorio e – vogliosa come sempre di nuove sfide, anche oltre il prodotto, anche oltre il seminato del proprio comparto e gli orizzonti tracciati dai fondatori – si proietta sulle “autostrade informatiche”, come in quei primi anni 2000 si definiva il Web. È la sfida intrapresa dal figlio del co-fondatore Fioravante – futuro CEO – che viene “obbligato” a stare in ufficio, a pensare, a immaginare, con l’energia e la visione dei vent’anni, un nuovo modo di interpretare e reionventare l’attività del padre e dello zio. Che viene chiamato ad esprimere il suo, di talento. La dimensione del Web viene infatti esplorata e percorsa, in un incredibile primato di livello nazionale, da questa piccola azienda di Meda, che non a caso, pochi decenni dopo, sarebbe diventata, come già accennato, Caso Studio Google e Google Ambassador per le Piccole e Medie Imprese italiane.
Il talento imprenditoriale di Meda aveva trovato un nuovo modo di esprimersi, di esprimere il valore dell’azienda di famiglia. Oltre gli showroom, oltre le fiere di settore, oltre ogni metodo e canale già percorso,
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IL CASO STUDIO BERTO
la seconda generazione Berto portava Meda – tramite i canali digitali – in tutto il mondo, nel corso di uno sviluppo progressivo e graduale, ma in continua crescita, abbracciando inizialmente la strategia pubblicitaria online tra i primissimi in Italia, successivamente aprendo il primo blog aziendale sull’interior design – BertoStory, tuttora attivo e seguitissimo17–, e infine seguendo l’ascesa e l’affermazione dei social network. Senza mai per questo dimenticare un costante e incessante dialogo con i propri referenti. Un modo di intendere il lavoro, il valore del brand, la divulgazione e la distribuzione del prodotto totalmente orientato al rispetto della relazione con l’interlocutore, sia esso un cliente, un appassionato, un semplice curioso.
A qualsiasi livello, la risposta dell’azienda è sempre fedele alla tradizione di eccellenza della creatività Made in Meda. IL DNA BERTO: LO SPIRITO DEL 74 E L’ISPIRAZIONE DEI FONDATORI Cos’è lo #spiritodel74? È la cosa che c’era quando non c’era nulla. È l’unica cosa importante. È il #DNA BertO. Noi di BertO pensiamo che quel che definisce un’azienda o un marchio commerciale non sia solo una denominazione, non siano le sue sedi fisiche e non sia nemmeno la sua produzione, più o meno nota.
È una questione di identità.
Naturalmente questi elementi aiutano a definire un brand, ma in forma parziale e insufficiente, un po’ come una carta d’identità può dare informazioni su una persona,
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www.blog.bertosalotti.it
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CAPITOLO 07
ma non permette certo di conoscerla. Il tema dell’identità è molto sentito nella nostra azienda, e abbiamo fatto molte riflessioni in merito. Abbiamo capito come “essere se stessi” sia fondamentale per dare il meglio: solo conoscendo a fondo le nostre caratteristiche possiamo metterci al servizio degli altri nel modo più utile, più adeguato, più sensato. E oggi l’identità BertO si immedesima con uno spirito, lo spirito che i nostri fondatori, Carlo e Fioravante Berto, hanno adottato fin dal primo giorno della loro impresa di Tappezzeria Sartoriale.
Lo spirito di quel primo giorno, nel 1974, vive ancor oggi, a distanza di decine di anni, nell’attitudine delle persone dei vari team BertO, all’interno di tutti i luoghi di produzione, vendita, networking del nostro marchio.
#spiritodel74 ha per noi questo significato. Quando i fondatori della BertO hanno iniziato il percorso che ancora oggi portiamo avanti, non c’era nulla. Non c’era nessuno showroom, non c’era nessun negozio. Non c’erano i mezzi per consegnare i prodotti, non c’era chi si occupava dell’amministrazione, non c’era il marketing. Non c’era il servizio clienti e nessuno parlava inglese (il veneto e il brianzolo sì). Non c’era nemmeno una sede. Si lavorava a casa. Ma c’era una cosa.
C’era una potenza, nella visione e nelle mani dei due uomini, capace di smuovere, lei sola, lavoro a montagne. Non è un caso se noi, oggi, lavoriamo secondo standard di eccellenza che riscuoto-
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IL CASO STUDIO BERTO
no molto più della soddisfazione dei nostri clienti, che spesso condividono con noi punte sincere di entusiasmo. Lo dobbiamo allo #spiritodel74, quando in bottega si disputavano vere e proprie gare tra maestri tappezzieri del capitonné che nulla avevano a che spartire con vendite o clienti, ma su cui si giocava un orgoglio professionale che valeva il rispetto della comunità e di tutto il paese. Non è un caso se noi, oggi, ci impegniamo in progetti e iniziative che ci proiettano al centro dell’attenzione dell’ecosistema imprenditoriale, benché le nostre dimensioni non siano certo quelle dei protagonisti dell’economia. Lo dobbiamo allo #spiritodel74 e all’apertura mentale che ci hanno inculcato fin da piccoli. Non è un caso nemmeno se noi, oggi, allacciamo relazioni con modalità che ci hanno perfino fatti diventare Caso Studio di Google: lo dobbiamo allo #spiritodel74 e all’approccio al mercato che ci è stato mostrato: sempre innovativo e sempre affamato di novità. #spiritodel74 è tutto questo e molto di più, ed è anche per raccontarlo meglio che abbiamo scritto un libro omonimo qualche tempo fa. BERTO: IN PIEDI SULLE SPALLE DEI GIGANTI DEL DESIGN I nostri fondatori, Fioravante e Carlo Berto, scelsero Meda, nel 1974, e noi per questo gli saremo per sempre grati.
Un aspetto che potrebbe sembrare trascurabile, in questa iniziativa imprenditoriale, e che invece riveste un’importanza fondamentale, è appunto la scelta del territorio. Non le capacità tecniche e artigianali, non la visione del lavoro, non i contatti commerciali, non i prodotti... tutto questo – pur importantissimo – assume dei contorni speciali se lo guardiamo con gli occhi del territorio, concentrando lo sguardo sulla storia culturale di Meda, divenuta il centro del distretto del mobile brianzolo. La cultura del progetto, della realizzazione di eccellenza, del Design – non ci stancheremo mai di ripeterlo – ha qui una storia gloriosa e radici profonde.
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Non a caso Meda è considerata la Design Capital, tra coloro che conoscono bene il DNA del settore, e i prodotti che nascono nel distretto acquisiscono lo speciale status di “Made in Meda”, che li distingue e li qualifica come espressioni del miglior territorio al mondo rispetto alla cultura progettuale e realizzativa dell’interior design. Conoscendo l’intuito professionale e il talento per le scelte giuste, non stupisce che si sia voluto inaugurare la BertO... salendo sulle spalle dei giganti, per usare un’espressione d’effetto. Giganti che danno forma al nostro presente e orientano il futuro di tutti coloro che operano nel Design in questa città, noi compresi. Leggendo la storia di questo comparto industriale, visitando un Design Museum in qualunque continente, aprendo un libro di ogni corso universitario di Design, a moltissimi nomi che incontriamo corrispondono personaggi e imprese di Meda, realtà che hanno aperto la strada del Design come lo conosciamo e apprezziamo oggi, elevandolo a settore industriale e soggetto culturale. Non vogliamo fare un torto ai “giganti” che hanno consentito, sia ai nostri predecessori in azienda sia a noi, di salire sulle loro mitiche spalle, per provare a portare avanti una tradizione superlativa: una sezione di questo volume è infatti dedicata proprio ad alcuni di loro. APRIRE L’AZIENDA AL MONDO: NASCE A MEDA CON BERTO IL PRIMO CROWDCRAFTING DEL DESIGN Da alcuni anni (dal 2013, per l’esattezza), a Meda accade un’altra cosa speciale, oltre a tutte quelle a cui ci hanno abituato i nostri formidabili concittadini, nella storia della città.
Qualcosa di unico, di esclusivo.
Non solo Made in Meda ma anche Made in BertO hanno reso infatti – se mai possibile – ancora più unica la città di Meda grazie a un’iniziativa che è riuscita a toccare allo stesso modo e con la stessa efficacia i mondi del lavoro artigiano, della formazione professionale dei giovani e della solidarietà verso i meno fortunati. Ma andiamo con ordine. Anno 2013. In BertO avevamo (come sempre) voglia di inventarci qualcosa di nuovo. Cercavamo un’idea importante, qualcosa che ci portasse fuori dal solito (nostro) mondo. Poi, improvvisamente, un’illuminazione:
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E se invece di uscire noi, facessimo entrare il mondo in ditta? Da quel momento iniziò un film, una storia incredibile che ancor oggi ci fa venire i brividi per l’emozione, anche perché quel che ne nacque ebbe un bellissimo risvolto umanitario. Riassumendo in poche parole il progetto che ne seguì, si decise di lanciare il progetto di un divano (che poi battezzammo #divanoxmanagua) con le seguenti caratteristiche: •
pezzo unico di grande valore manufatturiero;
•
realizzazione a cura di chiunque volesse prendervi parte;
•
destinazione dei proventi dell’iniziativa a un progetto di solidarietà per la formazione professionale dei giovani.
Si capisce bene come, in questi tre semplici punti, ci sia praticamente... una rivoluzione!
In quel “realizzazione a cura di chiunque volesse prendervi parte” è infatti compreso un concetto di “porte aperte alla bottega” che semplicemente, prima di allora, non era né mai stato preso in considerazione, né mai passato per l’anticamera del cervello di nessuno! In sostanza, invitammo clienti, amici, e persino concorrenti a misurarsi con la voglia di “sporcarsi le mani” in un laboratorio artigiano come il nostro, mettendoci del proprio per la realizzazione di un magnifico divano, e contribuendo in tal modo ad aiutare alcuni giovani sfortunati di una delle città più problematiche del mondo, cioè Managua, in Nicaragua. Furono coinvolti anche gli studenti del Centro di Formazione Professionale Afol “Giuseppe Terragni” di Meda. Una classe in particolare ha lavorato, in ogni sessione del progetto, a stretto contatto con Maestri Artigiani di lunghissima esperienza e infinita pazienza. La parte di charity fu gestita in maniera ineccepibile da Terre des Hommes, partner
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dell’iniziativa, e consentì di portare finanziamenti a una scuola per falegnami, nella città nicaraguense. Il progetto fu un grande successo, ma soprattutto fu l’inizio di una visione che ha portato BertO a mettere a catalogo, in modo definitivo e permanente, indistintamente per tutti, la possibilità di venire in laboratorio e lavorare sul pezzo che si è ordinato.
Qualcosa di rivoluzionario nel sistema di produrre: anche se non accade ogni giorno, ma ogni giorno noi sappiamo che in laboratorio potrebbe entrare un cliente – che nella vita fa tutt’altro – pronto a praticare l’antica e nobile arte della tappezzeria sartoriale. E noi siamo pronti ad accoglierlo. Tutto ciò rappresenta per noi un valore nel valore. Infatti, oltre alle importantissime e svariate ricadute che DivanoXManagua ha creato, vi è anche, nel DNA di questa attività, una valorizzazione importante del ruolo dell’artigiano. Il celebre giornalista Beppe Severgnini, non certo un signor Nessuno, commentò il nostro progetto sulle pagine del suo seguitissimo blog Italians del Corriere della Sera alludendo ai reality show televisivi come MasterChef e simili: Ottima idea: un modo intelligente per rendere l’artigianato affascinante agli occhi dei ragazzi. La cucina c’è riuscita, la tappezzeria non ancora . Ebbe anche la cortesia di riportare in toto la lettera che Filippo Berto gli scrisse per descrivergli l’iniziativa, vergando per questa un bellissimo titolo: IL DIVANO OPEN SOURCE E IL FUTURO DELL’ARTIGIANATO DivanoXManagua, infine, ci regalò una soddisfazione speciale, di quelle che rimangono negli annali. Capimmo infatti, da una telefonata del prof. Stefano Micelli – il famoso autore del libro #futuroartigiano – che la nostra incoscienza e voglia di fare avevano raggiunto un risultato record.
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IL CASO STUDIO BERTO
Le sue parole furono infatti:
Ma voi state facendo il primo progetto di #crowdcrafting italiano! Fu a partire da questo nome che apprendemmo – naturalmente da un professore – di aver fatto qualcosa di importante.
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Il Made in Meda del futuro in 10 tesi
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10 Keyword di riferimento:
#designedbyyou #digitaleugualeinternazionale #sostenibilità #talentovirale #oltreimodelli #relazionisartoriali #filieratotale #menobrandpiùpersone #responsabilitàterritorio #responsabilitàfuturo
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
FAQ - Domande Frequenti sul Made in Meda a cui questo capitolo risponde:
Che futuro vogliamo per il nostro lavoro nel mondo del Design? Che futuro vogliamo per i nostri territori? Che futuro vogliamo per i nostri figli?
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CAPITOLO 08
I paradigmi futuri del Made in Meda nascono da una visione di sé che va oltre ciò che si ha sotto gli occhi oggi. Questa affermazione, che sembra voler negare l’importanza del passato, in realtà lo omaggia. Come? Perché questo è sempre stato il pensiero di chi ha fatto grande il Made in Meda, come intuirono anche coloro che per primi lo “videro” in termini di vantaggio competitivo in sé, a fine Anni 90. Tutti, sempre, hanno spostato l’asticella più in alto. Tutti, sempre, sono andati oltre quel che avevano già. Tutti, sempre, hanno scelto un percorso evolutivo. Ecco perché il Made in Meda del futuro, visto da noi di BertO, va oltre la nostra visione del presente. E in questo includiamo anche il nostro essere “Caso Studio”. Non per negare l’importanza dei meravigliosi riconoscimenti che abbiamo avuto, da Google, con il Crowdcrafting, agli inviti dalle principali università, con le tante citazioni in pubblicazioni e tesi di laurea. Tutte cose importantissime, per le quali siamo profondamente grati. Ma il futuro è diverso dal passato, anche recente. “Il futuro non assomiglia neanche al presente, che pure non sbaglia mai”, volendo citare la giornalista Natalia Aspesi. Il futuro è un’ipotesi di lavoro, per noi. Da questa ipotesi abbiamo messo a punto 10 tesi. Anche questo è Design.
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
TESI BERTO N. 1 — La relazione che hai con il cliente ti porta a un nuovo modo di progettare. KEYWORD: #designedbyyou Cosa porta un progettista a inventarsi un prodotto? La riflessione sui bisogni delle persone. Un’intuizione brillante. La conoscenza profonda di materiali e tecniche. Cosa porta un progettista a realizzare qualcosa di davvero utile e sensato? Semplice: la consapevolezza di ciò che serve a quel cliente, in quel momento, in quel luogo, in quella fase della sua vita. Come sapere tutto questo? Semplice (relativamente): occorre chiederglielo. Occorre conoscerlo. Occorre avere un canale di comunicazione aperto nei suoi confronti. Si dirà: ma ogni cliente ha idee, esigenze, gusti diversi… Appunto. Non è un suo problema, questo; al contrario, è un nostro problema trovare il modo di parlare con chi abbiamo di fronte. Con ogni singolo cliente. E progettare di conseguenza. Naturalmente con la competenza, la cultura realizzativa, il know-how tecnico ed estetico che sappiamo di avere. Ma che dobbiamo mettere al servizio di quella persona.
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TESI BERTO N. 2 — L’internazionalizzazione non esiste più. Con il digitale, Meda è ovunque KEYWORD: #digitaleugualeinternazionale Sono passati 17 anni dal primo post del primo corporate blog del Design italiano, BertoStory. 17 anni in cui non abbiamo smesso un giorno di internazionalizzare l’azienda. E non perché pubblichiamo contenuti in 7 lingue diverse. O perché vendiamo in Cina. No: perché sentiamo che Meda è ormai ovunque… ovunque se ne stia parlando. E noi ne stiamo parlando, da anni, sempre. (Anche adesso qualcuno di noi ne sta parlando). E dove si parla di Meda, c’è il Made in Meda. Ecco perché, secondo noi, l’internazionalizzazione come l’abbiamo vissuta nei decenni passati non esiste più. Non è più un obiettivo: è una dimensione. Una dimensione da vivere, da abitare. Noi abbiamo semplicemente iniziato ad abitare uno spazio più grande, un’idea più importante di un obiettivo commerciale. Lo spazio delle nostre relazioni. Perché Meda parla con il mondo tutti i giorni. E sapete una cosa? Il mondo ascolta attentamente.
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
TESI BERTO N. 3 — Sostenibilità, fattore dirimente tra le idee che vivono e quelle che muoiono. KEYWORD: #sostenibilità Che ne sarà di quel che produciamo a Meda? In quale modo possiamo rendere le nostre produzioni circolari? Che tipo di risposta sapremo dare a chi ci chiede sostenibilità, per sé e le generazioni future? Sono queste le basi su cui riflettere, lavorare, produrre. Sono queste le basi per farsi scegliere domani, o forse già oggi. Ecco dove cercare il valore da proporre. Ecco dove crescere. Siamo dolorosamente carenti, ancora, su questi fronti. Alcuni di noi sono al lavoro nel tentativo di migliorare lo smaltimento, il riutilizzo, l’impiego di materiali ecofriendly. Sappiamo benissimo che le porte del futuro sono queste. Per noi e per tutti.
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TESI BERTO N. 4 — Il talento deve essere virale: a Meda tutti devono saper disegnare. KEYWORD: #talentovirale Se il talento è parte del DNA personale di ognuno, è responsabilità di chi presiede alla crescita rendere virale il talento. Perché questo talento innato, questa capacità dentro ogni abitante della città, è il patrimonio che può scatenare il futuro, se sistematizzato. Quando un territorio è benedetto dal talento, illuminato dalla sua storia, ispirato dai suoi protagonisti, amati e ammirati in tutto il mondo, quello che deve succedere è che quel territorio diventa la patria dei talentuosi. Come una forma virtuosa di viralità, il seme del genio deve poter raggiungere tutti, fondendosi osmoticamente con il DNA del territorio. Gli strumenti? I canali? Le applicazioni? Vedi alla voce BertoAcademy.
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
TESI BERTO N. 5 — Oltre i modelli venditore/cliente, pre-/post-vendita, negozio/casa. KEYWORD: #oltreimodelli Abbiamo il nostro punto di vista sulla principale caratteristica degli innovatori, come tutti quelli di cui abbiamo parlato in questo libro. Secondo noi, la principale caratteristica di un innovatore non è la capacità di innovare. È la capacità di andare oltre. Dimenticare quel che è stato fatto. Muoversi seguendo la propria intuizione, ignorando il “si è sempre fatto così”, aprendo strade che sembrano non esistere. Perché l’innovazione non esiste mai prima dell’innovatore. E così, cercando l’innovazione nella vendita, abbiamo imparato – ispirandoci a chi ha fatto grande il Made in Meda – a toglierci il prosciutto scaduto dagli occhi. E abbiamo visto. Abbiamo visto che non ci sono più quelle vecchie care cose di un tempo. Non ci sono più venditori, né clienti. Né negozi. Ci sono atti di consapevolezza rispetto a determinate esigenze. Azioni che si traducono in una relazione più pregnante, più presente, più vicina. Un negozio? Una pagina Web? Una chat? Totalmente indifferente. La scelta d’acquisto non riguarda più i ruoli del venditore e dell’acquirente, né un luogo fisico: avviene sul piano della relazione. Dove? Dovunque ci sia la capacità di allacciarla e di assumersene i rischi. Ecco perché l’atto d’acquisto non conosce più il “prima” e il “dopo”, ma si sviluppa armonicamente lungo momenti e passaggi non necessariamente orientati verso una singola scelta in uno specifico momento. Il futuro è di chi ti è vicino, non di chi ti vende cose.
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Sergio Marchionne
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TESI BERTO N. 6 — Sartorialità applicata alle relazioni, prima che ai prodotti KEYWORD: #relazionesartoriali In quanti abbiamo inseguito il fantasma della produzione sartoriale, prima di comprendere che la sartorialità non andava applicata alla produzione, ma alla relazione? Noi ci siamo arrivati di recente. Non che abbiamo smesso di produrre arredi sartoriali. Abbiamo semplicemente spostato più a monte l’idea della sartorialità. Prima del prodotto: sulla persona cui è destinato. Un salto logico che richiede 20 secondi, e molti anni di lavoro per arrivare a quei 20 secondi. Perché arrivare al livello di comprensione del cliente necessario per poter ritagliare il prodotto sulla sua persona richiede una dedizione totale e incondizionata non al tuo prodotto, ma al tuo cliente. Solo allora si riesce ad esaudire millimetricamente i suoi desideri.
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
TESI BERTO N. 7 — Filiera totale, ovvero Meda-to-House KEYWORD: #filieratotale Con BertO, nessuno si frappone tra Meda e il piacere di un’espressione del Made in Meda, sia esso un divano, un letto, un elemento di arredo. La chiamiamo “filiera totale”, perché la massima valorizzazione del Made in Meda non può passare da mani che non esprimano la forza dell’heritage, da occhi che non colgano il significato di un primato mondiale, da intermediari che ignorino il valore di chi ha lavorato prima di loro nella filiera. L’accuratezza passa anche da una gelosa gestione di ogni singolo passaggio. Perché il Made in Meda ha attraversato il tempo per giungere a noi, facendo un lungo viaggio nel tempo. E dove i secoli si traducono in chilometri, è nostro dovere presidiare tutte le tappe del viaggio. Meda-to-House, and nothing in-between!
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TESI BERTO N. 8 — La voce di Meda risuona nei suoi ambasciatori: meno brand, più persone KEYWORD: #menobrandpiùpersone Chi entra in contatto con la BertO conosce delle persone, non solo un brand. Conosce soprattutto persone. Persone unite da un comune sentire, da un’attitudine alla sensibilità – non solo estetica, innanzitutto umana. Persone che, particolare non certo inaspettato ma per qualche motivo inatteso, si presentano con nome e cognome. Che sono disponibili al contatto, alla relazione. A non negare una richiesta di contatto sui social. A parlare anche d’altro. Nomi e cognomi. Persone. Persone meravigliose, che parlano e ascoltano, e costruiscono relazioni di valore, di quelle che Meda merita da sempre. Quando conosci una persona che vale, il Brand lo puoi anche dimenticare. Siamo andati oltre, e finalmente!
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IL MADE IN MEDA DEL FUTURO IN 10 TESI
TESI BERTO N. 9 — Un’azienda non è solo un’azienda, ma un pezzo di società KEYWORD: #responsabilitàterritorio Cosa può fare un’azienda per il Covid? Cosa può fare un’azienda per la formazione dei giovani? Cosa può fare un’azienda per aiutare chi sta male? Cosa può fare un’azienda per supportare un territorio? Che domande: può fare moltissimo. Un’azienda è un pezzo di società, e deve contribuire a migliorarla. Per un motivo molto semplice. L’azienda non è una cosa diversa dalle donne e dagli uomini che vi lavorano. Quelle persone sono parte di un’azienda tanto quanto sono parte di una comunità, di una città, di una famiglia, di una cerchia di amici, di un gruppo di tifosi, di una band che suona il sabato sera, di una classe di zumba, di una squadra di calcio. Della società. La società e l’azienda sono la stessa cosa, perché sono entrambe fatte della stessa magica e insostituibile materia. Le persone. Almeno noi la pensiamo così.
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TESI BERTO N. 10 — Il Futuro è una tua precisa responsabilità KEYWORD: #responsabilitàfuturo Quello che vivremo nel giro di dieci-venti-trent’anni dipende da quello che facciamo o non facciamo oggi. Quello che vivranno i nostri figli dipende da quello che scegliamo di fare o non fare, oggi. Quello per cui saremo ricordati dipende direttamente da quello per cui ci stiamo impegnando in questo momento. Un grande manager italiano18 usava dire ai giovani: “Siate come i giardinieri: investite le vostre energie in modo che qualsiasi cosa facciate duri una vita e anche di più”. Noi vogliamo fare cose che durino una vita e anche di più, e cose che abbiano un contenuto virtuoso, positivo, un contenuto di futuro. È una nostra responsabilità e un nostro dovere.
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01, Gio Ponti e Anna Casati, via Durini, 1979 — 02, Charlotte Perriand e Anna Casati a Tokyo
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03. Carlo Scarpa con Anna Casati, Museo Castelvecchio — 04, Philip Starck e Anna Casati, Salone del Mobile — 05, Charlotte Perriand e Anna Casati, Bambouserie Nimes.
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01, 02, 03, 04, Salda a Meda, archivio storico.
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01, 02, Vico Magistretti e Anna Casati con Rosario Messina. 03, Vico Magistretti, Anna Casati, Rosario Messina e Giulio Castelli, 1979 — 04, Magistretti, Kita, Morozzi, Cassina e Anna Casati.
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01, Rodrigo Rodriquez con il Presidente Sergio Mattarella — 02, Rodrigo Rodriquez, Alison, Anna Casati, La Chaux de Fonds — 03, A Parigi, durante la premiazione del premio per la Pubblicità con Cassina e Rodrigo Rodriquez — 04, Rodrigo Rodriquez al Compasso d’Oro, 2016.
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THANKS TO
— Giovanni Antona Traversi, per la
— Fabio Mariani, assessore alla cultura,
disponibilità al racconto di una storia
programmazione economica, ambiente
incommensurabile;
e attuazione del programma della città
— Felice Asnaghi, per averci capito, in-
di Meda, per aver compreso fin dal
coraggiato, accompagnato, con le sua
1998 che dire “Made in Meda” signi-
sconfinata conoscenza di Meda;
ficava riferirsi a un vantaggio compe-
— Carlo Berto, per essere l’anima della
titivo forte e distintivo, ed aver quindi
BertO, da sempre e ogni giorno
perseguito la strada dell’Associazione
— Marco Boga, per averci aperto le
Made in Meda ben prima che questo
porte di una casa importante
libro venisse concepito
— Eugenio Boga, per la contempora-
— Stefano Micelli, per averci aiutato,
neità del suo approccio, che comprende
con il suo lavoro costante e condiviso, a
epoche
capire chi siamo e chi saremo
— Andrea Cancellato, per l’ascolto
— Osvaldo Minotti, per la grandez-
comprensivo, e quegli stimoli giusti che
za della sua arte, così vicina e così
fanno crescere
profonda
— Maurizio Galimberti, per il suo sguar-
—Cristina Pasquini, per la passione con
do sensibile che accarezza il mondo
cui gestisce una responsabilità vitale
— Anna Casati, per il contributo impor-
per il territorio, la formazione
tante a una professione che ha aiutato
—Carlo Orsi, per i suoi insegnamenti, e
a far nascere
per la generosità con cui li porta avanti
— Gaddo della Gherardesca, per la
— Francesca Ronzoni, per il lavoro
forza della sua visione generale, e per
paziente e attento sulle giovani gene-
l’interpretazione convinta dei nostri temi
razioni
locali
— Luca Santambrogio, per l’importante
—Umberto Lanzani, per la cortesia
disponibilità nell’ambito del suo ruolo
complice con cui ha saputo condividere
istituzionale
una storia unica
— Seveso&Trezzi Architetti, per il lavoro
— Carlo Maria Lanzani, per la presen-
sul territorio, non solo professionale ma
za attiva, consapevole di un passato
anche culturale
importante, ma rivolta al futuro
— Team BertO, per rendere il sogno del
— Stefano Maffei, perché senza di lui e
Made in Meda una realtà quotidiana
i suoi stimoli - sempre presenti, sempre ispiranti - non saremmo noi — Elisa e Umberto Besana, perché
...e naturalmente alla Badessa del Monastero, per aver dato
senza di voi, senza la vostra incredibile
forma e sostanza, mille anni prima che entrasse nel dibattito
storia, oggi Meda non esisterebbe
culturale, all’immagine della donna che lavora
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THANKS TO
UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE E UN SALUTO A: Ante e Loredana, Zio Giorgio - King Flavio + Nicoletta + Maurizio + Fabio e tutta la BertO Crew — EmiLove Pfeifer — Henrik Pfeifer + Emilia Sinkovics — Valentina Ardia — Dario Bai — Mauro Baricca — Vale + Team Marketing — Marco Bettiol — Patrizia Bolzan — Marcello Pirovano — Angelo Bongio — Roberto Bonzio — Borchie di Rame & Scarpe Chiuse no remorse — Stefano Micelli & Futuro Artigiano Crew — Andrea e Michele Borri —Selena Brocca — Andrea Cancellato — Francesco Cancellato —Il Canotta — Ernesto Capobianco — Patrizia Cappelletti — Luca Carbonelli —Max “The Monkey” Carraro — Laura Coppola — Alessandro Castello + Mari Lagravinese & CastelloLagravineseStudio’s Crew — CBGB’S — Florindo Cereda — Chitarre Termozeta — Christian + Federico — Aquadulza In the House —Giovanni Covassi — Giuliana Crippa — Damir & Jelena — Luca De Pietro —Claudio e Stefano Devecchi — Stefano Epifani — Ale Formenti — Frank e Sabrina — Frigoriferi Smog — Gabriele Furia — Harvey Coniglio Gigante — Enrico Radice — Chiara Giaccardi — Matteo Rivolta — Iggy Pop — Johnny Thunders + Nina Antonia —Anna Lin + Yolanda — Aquadulza In the House — Matteo Longhi —Paolo Manfredi —Stefano + l’Americano & Polaroid Crew — Mio Cugino — Nano del Frigo — Fabio Nesi — Steve Rottame + New Zabriskie Point —Andrea Batilla — Nonna Regina — Nonna Teresa — Paguro Crew — Ivana Pais — Lorenzo Palmeri — Giulio Iacchetti — Luca Nichetto — Elio Berto — Sergio Valentini — Vale e Gaia Marelli — Chiara Maffioletti — Fabrizio Patti — Simona Panseri — Paola Bonomo + Orazio — Renato Cifo Cifarelli — Ale Cimmino — Monica Fabris — Roberto Battaglia — Luisa Collina — Stefano Maffei + Massimo Bianchini & Polifactory Crew — Cristina Giorgi — Fabio e Mirko Lalli — Fabio Lombardi — Paolo Volonterio — Giampaolo Colletti — Kim Shattuck — Joe Queer — Dee Dee Ramone — Brian Wilson — Harley Flanagan — Jimmy G — Antony Bourdain — Diana Manfredi — Francesco e Vilma Facchinetti —BAT + Punkina Okkupata — Kathleen Hanna — Mister Mojo Risin —Andrea Arrigo Panato — Il Pianola - Claudia Pignatale — Ramones — Bruno Rho — Ian Mackaye Sara Salmaso — Umberto Santucci — Monica Scanu — Stefano Schiavo — Gaia Segattini — Alessia Galimberti — Roby della Vitto —Shonen Knife & Karaoke — Il Taverna — Teatro alla Scala + Luciano & Friends — Simone Panfilo — Fulvia Ramogida — Laura Traldi — Nicoletta Murialdo — Miguel Basetta — GG Boy — Don Puccio — Nico Boy — Germano Lanzoni — Alessio Brusemini — Roberta Cassina — Terenzio Traisci — Roberto Mariano— TGL’s Friends — Tommy Doc — Jacopo Tondelli — Salvatore Vella — Giorgio & Enrico Zappa + Opificio Crew — Francesco Zurlo — Fabio Cursale — Daniele Lo Sasso — Silvia Robertazzi — Guido Bagatta — Conrad Il Brianzolo — Rita Bonucchi — Gabriele Giovannini — Federico Betti — Patrizia Musso — Chiara Alessi — Benedetto Cannatelli e tutti i nostri clienti e tutti i nostri amici che non sono in questo elenco — voi sapete chi siete.
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CREDITI
TESTI A CURA DI
EDITORIAL CONCEPT & PRODUCTION
Filippo Berto
Feelgood 1986
COORDINAMENTO
ART DIRECTION
Valentina Sala
Federico Albertini
PHOTOGRAPHY
Stefano Righi
Rotolito
Per le foto di archivio storico: courtesy of Anna Casati; Lanzani; Salda
BertO Srl Via Piave, 18 - Meda (Mb) +39 0362 333082 servizio.clienti@bertosalotti.it madeinmeda@bertosalotti.it ©2021 Berto Copyright - All Rights Reserved Tutti i diritti sono riservati. È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente volume, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di filippo berto. Le citazioni o le riproduzioni di brani di opere effettuate nel presente libro hanno esclusivo scopo di critica, discussione e ricerca nei limiti stabiliti dall’art. 70 Della legge 633/1941 sul diritto d’autore, e recano menzione della fonte, del titolo delle opere, dei nomi degli autori e degli altri titolari di diritti, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta. Per eventuali rettifiche e per segnalazioni si prega di inviare una e-mail all’indirizzo info@bertosalotti.
QUELLO CHE A MEDA CHIAMANO LAVORO, IL MONDO LO CHIAMA DESIGN