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La Tunisia cambia in peggio Matteo Garavoglia 72 Carta, l’inchiostro giovane Erika Antonelli
from L'ESPRESSO 28
by BFCMedia
dettaglio. Nel nostro piccolo pensavamo invece di rendere giustizia alla profondità, riportandola a chi legge». Con articoli lunghi, di approfondimento. «Abbiamo scelto di fare un periodico non solo per la forma di scrittura o il tipo di contenuti che è possibile trattare, ma anche per il lavoro che c’è alla base. Le connessioni tra le persone, il giusto tempo per fare bene e approfondire». La redazione è composta da 50 tra collaboratori e redattori, che arrivano a 200 se si contano anche i contributi per l’online. Perché Scomodo non è fuori dal suo tempo, ha un sito Internet ed è presente sui social. Solo, crede che il modo migliore per capire e far capire la realtà passi attraverso le pagine di un giornale.
«Ci muoviamo anche sul web, ma la carta ci permette di costruire una dimensione di lettura nuova, soprattutto per quella parte del nostro pubblico, i liceali, che usa spesso il cellulare. Il cartaceo è in grado di creare una rete con i territori, facendo nascere lì una redazione e alimentando il dibattito». Non a caso, il loro motto è «mettiti scomodo». Bucci lo spiega così: «Rimanda a tante cose. All’atteggiamento verso la società e all’autonomia dal punto di vista editoriale. Nel tempo, ognuno gli ha dato il suo significato, quello più importante è di non accomodarci e privilegiare l’azione e l’impegno». Per questo, secondo Bucci e Salaroli, la scrittura ha anche una funzione educativa. «Cerchiamo di fare un percorso di crescita con gli adolescenti che hanno voglia di scrivere e il mensile è
Scomodo, realtà romana, nata nel 2016 è fatta da una redazione ampia che si ritrova come una comunità capace di fare rete. Nell’altra pagina, dall’alto la redazione di Quelli che Ivrea, un giovane lettore di Scomodo, un incontro promosso dalla rivista e la redazione
il mezzo ideale. Si costruisce in modo lento e si presta a momenti ampi di confronto con i ragazzi, offrendogli la possibilità di migliorare, essere affiancati da persone più grandi».
È lo stesso principio da cui muove Zainet, il laboratorio giornalistico di media literacy dedicato alle scuole superiori italiane. «La rivista che facciamo ha un obiettivo più profondo del dare voce agli studenti o creare un giornalino scolastico nato dai giovani per i giovani. Vogliamo fornire loro gli strumenti per orientarsi nel mondo dell’informazione, imparare a gerarchizzare le notizie nell’era dei social network», dice Chiara Di Paola, caposervizio e tutor. Zainet produce un mensile spalmato però su nove pubblicazioni per seguire i ritmi scolastici. Coinvolge quasi tremila scuole e conta 651 giovani reporter.
Gaia Canestri, 18 anni, è una di loro. È molto legata al suo primo articolo su carta, dedicato a sua madre infermiera e uscito durante il picco della pandemia. «All’inizio non era stato concepito per venire pubblicato, poi la mia professoressa mi ha spinto a condividerlo. Ci tengo molto». Vorrebbe diventare giornalista e ama fare interviste «perché è affascinante dialogare con chi stimi e riuscire a farlo senza difficoltà». Anche Greta Borgonovo, 19 anni, non esclude di lavorare con la scrittura in futuro. «Trovo interessante parlare di attualità, parità di genere e politica, perché è un buon modo per informarsi. La carta la adoro fin da piccola, ho tantissimi libri in camera e dei giornali mi piace il fatto che rimangano».
La stessa passione che ha spinto Lorenzo Chiaro a creare il suo progetto editoriale, Edera. «Da piccolo mio nonno mi aveva abbonato alle riviste cartacee. Mi piace sfogliarle, guardare le foto, leggere le inchieste e i reportage. All’università ho pensato di provare a farne una io, magari affiancato da altri giovani. Mi sono confrontato con il mio amico, Enrico Tongiani, ed eccoci qui». Secondo Chiaro «è la carta a rendere il progetto concreto, reale. Il fatto che si possa trovare in giro e sia reperibile in edicola. La cosa bella è che tutti i giovani under 30 possono scrivere su Edera, ed è una soddisfazione. Siamo nati cinque anni fa, quando il cartaceo affrontava uno dei suoi momenti peggiori. Questo ci ha stimolato ancora di più a cercare di rinnovarlo». Già dal nome, suggerito da una studentessa di Agraria durante una delle prime riunioni. «La nostra frase è “la cultura cresce ovunque”, proprio come fa questa pianta. Sulla nostra rivista infatti spaziamo raccontando di musica, sport, cinema, attualità. E poi l’edera cresce velocemente ed è difficile da tagliare, una metafora della nostra attività». In abbonamento, il periodico arriva in tutta Italia e in alcuni casi anche fuori. Ma è radicato sul territorio di Firenze e città metropolitana, perché è lì che i ragazzi trovano spunti per le storie da raccontare e consegnano fisicamente le copie alle edicole.
Sulla dimensione locale ha puntato anche Quello che Ivrea, dal nome del comune pie-
montese in cui è nato il progetto. Diviso in due fasi, una campagna con l’obiettivo di raccogliere pareri e voci dei giovani sulla città e i suoi spazi e la loro successiva trasposizione sul giornale, creato da una redazione under 30. «Abbiamo pensato alla carta perché è qualcosa di durevole e può essere consultata più volte», spiega Giulia Serracchioli, operatrice culturale. Raccontare il luogo in cui vivono ha permesso ai venti ragazzi coinvolti di esprimere il loro punto di vista e costruire relazioni tra di loro. «Il fil rouge è stata la città, attorno a cui abbiamo costruito i racconti. Un altro numero, invece, ruotava attorno a come la pandemia ha cambiato il mondo dei giovani», aggiunge un’altra operatrice, Chiara Luna Targhetta.
Debora Romano, 26 anni, laureata al Dams, ha deciso di scrivere per Quello che Ivrea per provare qualcosa di nuovo. «Aspettavo da tanto un’attività che coinvolgesse i miei coetanei. Mi è piaciuto fare gruppo con persone accomunate dagli stessi miei interessi, la passione per la creatività, per la scrittura. Volevo mettermi alla prova, ho studiato cinema ed ero entusiasta all’idea di scrivere qualcosa che fosse davvero mio». Francesca Zanetto, 17 anni e iscritta al liceo artistico, invece ha trovato nella redazione lo stimolo per guardare Ivrea con occhi nuovi. «Già il progetto di per sé rende più vivibile la città perché mi fa
REDAZIONI
Lettura in classe di Zainet, il laboratorio giornalistico di media literacy dedicato alle scuole superiori italiane. Al centro, processi di stampa di Quello che Ivrea. Nell’altra pagina, una iniziativa promossa da Edera venire voglia di uscire per realizzarlo. E costituisce un’occasione per spunti e riflessioni. Se c’è qualcosa che non ti piace infatti non lo tieni per te, lo comunichi. Si crea una sinergia con gli altri e magari le cose cambiano. Condividiamo per riuscire ad agire in maniera collettiva». Poi aggiunge: «Ho avuto modo di conoscere tante belle persone, con voglia di fare. Sono appassionata di storytelling, dell’idea di rendere visivo il comunicare. Penso che raccontare quello che vivo, la mia esperienza e i luoghi che abito sia quello che voglio fare nella vita. A Quello che Ivrea sono arrivata perché pensavo di non saper comunicare con gli altri. Oggi, credo di aver imparato a farlo meglio». Sul perché il mezzo ideale sia la carta ha le idee chiare: «È un modo di trasmettere l’esperienza con diversi sensi, la vista, il tatto, l’odore. E poi il cartaceo rimane, funziona come “memento”. Una rivista è sempre lì. La vedi una volta e non ti incuriosisce, la seconda può darsi che ti avvicini a guardare di cosa si tratta. Il gusto di avere tra le mani un oggetto da sfogliare non si batte».
E allora, “scomodo” non è la postura che hanno scelto solo i fondatori della rivista che porta questo nome, ma l’atteggiamento di tutti i giovani che hanno deciso di credere in un nuovo progetto editoriale. Che è partito da uno degli strumenti più antichi del mondo, la carta, provando in parte a reinventarlo. Per raccontare, analizzare, informarsi. Senza appiattirsi sulle semplificazioni, ma guardando alla complessità e accettando la sfida di restituirla a chi legge. Sarà pure scomodo, ma da lì la vista è migliore. Q