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Alla scoperta del corpo Nadia Terranova

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Occorsio

Occorsio

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insomma dove andiamo, chiede lei appena prende posto sul sedile anteriore. Lo chiede sempre, tutte le volte che va in macchina con uno con cui passerà la serata, uno che è passato a prenderla sotto casa e che ha fatto aspettare un po’, ma non troppo, e senza studio di quell’attesa, lo ha fatto aspettare perché doveva davvero finire di prepararsi, guardarsi un’ultima volta allo specchio, sistemare il rossetto che sbava sempre agli angoli, cambiarsi all’ultimo momento le scarpe, quelle colorate fanno scena ma alla fine sembrano sempre un po’ sbagliate. E anche se le userà pochissimo, giusto per camminare dal portone alla portiera, dalla portiera alla porta del ristorante e viceversa, anche se di quelle scarpe ricorderà soprattutto che se le è sfilate per abbandonarle ai piedi di un letto, bisogna che pure per quei pochi minuti siano le scarpe giuste. È impossibile saperlo prima. Prima dell’ultimo minuto. E insomma dove andiamo, chiede. Ora sta pensando a che macchina sia quella su cui è salita, non sa nulla di macchine, non ne sa riconoscere una. Già una volta, con un altro amante, ha fatto una pessima figura: quello era venuto a prenderla con un’auto rossa, erano andati a cena, dopo cena si erano baciati, si erano baciati ancora, infine si erano staccati per continuare in auto, solo che lei si era fermata davanti a un’altra auto, dello stesso colore. Che però, a giudicare dalla faccia che aveva fatto quell’amante lì, era molto meno costosa della sua. L’imbarazzo era venuto giù come una scure. Sì, poi avevano fatto l’amore lo stesso, ma come si fa sopra i cristalli rotti. Ecco, con lui non vuole ripetere lo stesso errore, non vuole gaffe, non vuole morire d’imbarazzo. Che ogni cosa sia perfetta, si è detta inaugurando il mascara nuovo davanti allo specchio. Così, prima di salire ha guardato bene la macchina che la aspettava davanti al portone: il colore, la marca, la Non aveva mai fatto caso al suo corpo, a come desiderasse essere baciata o toccata , e non aveva mai fatto caso a quanto poco fosse importante da chi

targa. Memorizza i dettagli e se li ripete prima di sedergli accanto e anche dopo, perché lui le piace più di quell’altro, più di tutti gli amanti di un’estate che sembrava la più noiosa di tutte, e invece. Invece è andata così, come un’interruzione netta. Niente viaggi. Niente biglietti per fuggire dall’altra parte del mondo, niente mete scontate o pazze o esotiche o banali, niente foto di sabbie bianche in infinite distese da piazzare sui social network, niente capitali estere da girare sudando fino alle dita dei piedi. Niente di niente. L’estate sta passando nella città che è sempre la stessa anche se si traveste da agosto e vuole farsi ostile dalle saracinesche semichiuse, anche se c’è solo una pizzeria svogliata che invece non ha chiuso saracinesca, anche se la vera protagonista non è lei ma sono gli scarafaggi la notte vicino ai cassonetti. Li conosce tutti, uno per uno, sono lunghi e gialli con delle striscette nere, li conosce perché torna spesso tardi e quando la lasciano vicino al portone fa il giro largo per non sembrare una donnina timida che ha paura della notte. Passa accanto ai cassonetti, guarda gli

scarafaggi che camminano in tutte le direzioni e si vanno incontro l’un l’altro, e mentre li guarda si ripassa i dettagli della serata, e della scopata: ce n’è una diversa ogni sera, nell’estate in cui ha deciso che la meta delle sue vacanze è il suo corpo. In fondo è quello il luogo più sconosciuto del mondo intero. Il suo corpo, e tutti gli altri dopo.

Nei suoi trentasette anni di vita, prima di quell’estate, non ci ha mai fatto davvero caso. Sì, ha studiato fin dalle elementari quei disegni buffi e tetri sui sussidiari per spiegare ai bambini le ossa e gli organi interni. Li guardava con la solita ansia vorace di memorizzare i nomi più difficili per fare bella figura, ed è per questo che sa da sempre cosa sia una tibia e non ha mai chiesto perché i genitali non avessero freccette né spiegazioni e sembrassero disegnati con tratti più veloci, come a voler far presto per sbarazzarsi del pudore. Quella è la visione del corpo che le è stata consegnata, e ci ha messo trentasette anni per liberarsene, o meglio: ha lasciato che a un certo punto cadesse per terra facendo il rumore di un quadro che si spezza, e che ricorda ai proprie-

PA R O L E D ’A M O R E

Con Nadia Terranova, 44 anni, scrittrice messinese di nascita e romana d’adozione (“Trema la notte”, Einaudi, è il suo ultimo romanzo) prosegue la serie di racconti dedicati all’eros, che L’Espresso ha inaugurato il 31 luglio. In apertura, Viola Ardone ha raccontato un amore giovanile nella notte dei Mondiali dell’82. Matteo Nucci ha proseguito con “L’abisso del desiderio”, poi Anilda Ibrahimi ha scritto “La sposa americana” tari di non essere mai appartenuto a loro. E ricorda a noi quanto non esista il controllo su nulla, tantomeno su ciò che ci illudiamo di possedere.

In quei trentasette anni in cui ha vissuto, lei ha amato, baciato, abbracciato, stretto corpi, accarezzato la pelle degli altri e a volte la sua, si è masturbata e ha masturbato, si è impegnata a piacere a tutti e infine a sé stessa, ha scelto modelli femminili mitici, inarrivabili, da copertine patinate, e poi li ha distrutti quando le hanno detto che doveva accettarsi com’era, ha sognato di essere più slanciata, magra, liscia di quella che era, di avere i capelli meno crespi, all’improvviso più lunghi o irrimediabilmente corti, ha finto di avere coraggio, di essere disinibita, dopo essere stata pudica. E sempre senza sapere perché. Quello era il rapporto con il corpo che aveva ereditato dal mondo, o almeno che le era sembrato di ereditare. Con un corpo astratto, magari lucente ma intangibile, un corpo che non la riguardava e finiva per essere così ingombrante da nascondere il suo.

E insomma dove andiamo, sta chiedendo all’uomo che quella sera sarà il suo amante. Muove le mani per fare tintinnare i braccialetti, e anche per diffondere nell’abitacolo il profumo nuovo che si è comprata. Lo ha spruzzato sui polsi, sulle caviglie e dietro le ginocchia, per far sì che si muova quando lei si muove. È un’eredità che la affascina dalle donne del secolo scorso, che sapevano camminare, ancheggiare, e sapevano esattamente quanti millilitri fossero la quantità giusta per essere forti e indimenticabili. Lei non lo sa, va a senso, agita la boccetta e spruzza. Nell’incertezza, aumenta.

E insomma dove andiamo, chiede. Nell’estate in cui ha deciso che la meta è il suo corpo – quel corpo che all’improvviso ha scoperto capace di amare per una sera soltanto, di amare, godere, far godere – non le interessa veramente la destinazione. Non le interessano i ristoranti, del resto sono tutti chiusi. Quasi tutti: gli uomini che la invitano a uscire, o che lei invita a uscire, riescono sempre a trovarne qualcuno aperto, magari spostandosi di qualche chilometro verso il mare, o inerpicandosi per stradine buie in collina. Lei non aveva mai fatto caso a quanti locali inaspettati potesse nascondere la città in estate, anche perché in estate non c’era mai, sempre impegnata in

vacanze prenotate mesi prima e di rado all’altezza delle foto che le avevano ispirate, e ancor meno all’altezza dei suggerimenti, della sua stessa voglia di andarci. Non aveva mai fatto caso a quanti angoli carini potessero nascondersi spostandosi dai soliti tracciati, né a quanti orribili scarafaggi si impadronissero dei marciapiedi lasciati liberi dagli umani. Del resto non aveva mai fatto caso al suo corpo, a ciò che le piaceva davvero, a come desiderasse essere baciata o toccata, e non aveva mai fatto caso a quanto poco fosse importante da chi.

E insomma dove andiamo, chiede con poco interesse, mentre si ripete i dettagli della macchina rossa su cui è salita, ossessionata dalla brutta figura che l’aspetta dietro l’angolo, quando sarà un po’ brilla finita la cena e avrà dimenticato tutto e, per la fretta di baciarsi e finire a letto, scambierà una macchina per un’altra.

E insomma dove andiamo, un posto vale l’altro, pensa mentre si inebria del suo stesso profumo e mette una mano dentro la borsa per essere sicura di avere preso il telefono.

Non ci ho pensato, risponde lui.

Non ci ho pensato e non ho prenotato da nessuna parte, rincara, e ride.

Ecco, finalmente qualcuno che non ha bisogno di prenotare un inutile preludio alla scopata che verrà, pensa lei, mezza spaventata e mezza sollevata.

Non ci ho pensato ma sai che facciamo, andiamo dove ci porta la macchina – conclude lui.

Cosa vuoi dire, chiede lei.

Era un modo di dire di mio nonno, dice lui. Quando uscivamo insieme mi metteva sul sedile davanti senza cintura, e guidava, non potrei dire senza meta, in fondo una meta ce l’abbiamo tutti in testa, no? Non ho mai capito se non la dichiarava o la capiva strada facendo. Comunque andavamo dove ci portava la macchina, girovagavamo a volte mezz’ora, a volte un pomeriggio intero, ma non avevamo mai la sensazione di non aver concluso niente. Scusa, mi sa che ho già parlato troppo, conclude.

Lei pensa che non aveva ancora notato che bella voce ha lui. Una voce sicura e non spavalda, quieta e non soporifera. È il tono a piacerle. Poi tira su lo schienale. Tua moglie non si accorge che tiri giù i sedili, chiede ridendo. Sa perché l’ ha detto, per interrompere un’intimità che rischia di diventare ingombrante, e tutto per colpa di quel ricordo, e di quella frase così esatta per raccontare, insieme, l’infanzia di un altro e la sua estate di adesso. E anche per precisare subito che a lei la fedeltà non interessa, men che mai nelle sue infedeltà.

A volte sono io a tirarli su i sedili dopo che lei prende la macchina, risponde lui, e sta già girando le chiavi. Anche lui vuole precisare qualcosa, che il suo matrimonio è suo e non riguarda lei, né quella serata.

Andiamo dove ci porta la macchina, ripete lei nella notte mentre si allontanano da casa, dagli scarafaggi, dall’unica pizzeria aperta e abbassano tutti e due i finestrini per far uscire il profumo in eccesso. Q

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Ecco, finalmente qualcuno che non ha bisogno di prenotare un inutile preludio alla scopata che verrà , pensa lei , mezza spaventata e mezza sollevata

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