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L’ipercosa di Lucia sul set colloquio con Lucia Mascino di Francesca De Sanctis

Tra cinema e t eatro L’ipercosa di Lucia sul set

colloquio con Lucia Mascino di Francesca De Sanctis La vita di provincia, la libertà della grande città. Gli incontri importanti. Ora l’attrice ha un sogno: “ Vorrei lavorare con Almodóvar”

ausa pranzo. «Almeno P stacco un attimo», dice lei. In quell’oretta però, più che riempire lo stomaco con un po’ di cibo riempie la stanza di parole. Prende una sedia, si mette comoda e inizia a raccontare. «Non mi fermo mai, a volte mi sorprendo anch’io. Riesco a fare cose incredibili...». Per esempio? Cenare sul lago di Como e presentarsi il mattino dopo, sul presto, nell’isola d’Elba, tanto per citare alcuni dei luoghi più recenti in cui Lucia Mascino (ricordate “Una mamma imperfetta”?) ha trascorso le sue giornate, passando da un set cinematografico all’altro. Pur di rispettare gli impegni di lavoro fa di tutto e agisce col buio. «Io uso la notte per viaggiare, è proprio in quelle ore che andrebbe girato il vero film! Altro che 007», scherza l’attrice: «Ho anche affrontato delle traversate notturne in gommone pur di arrivare in orario sul set. Il vantaggio di oggi, rispetto a tanti anni fa, è che adesso gli spostamenti sono più organizzati. Una volta non lo erano. Mi capitò, un giorno, di non riuscire a raggiungere il posto in cui dovevo tenere un laboratorio. Fu un disastro».

Partiamo proprio dal cinema allora. Per la prima volta la vedremo recitare in un film con con Aldo, Giovanni e Giacomo, “Il più bel giorno della nostra vita”, in uscita a Natale. Un’esperienza molto diversa rispetto al percorso intrapreso finora, come è andata?

«Sì, è vero, un’esperienza diversa ma di cui sono molto contenta. Un giorno è venuto a vedermi recitare in teatro il regista Massimo Venier. Dopo aver assistito al monologo mi ha raccontato del film a cui stava lavorando e mi ha chiesto se volevo farne parte. E così eccomi nel ruolo della madre che lascia tutto, figlia compresa, per trasferirsi in Norvegia. Poi però la figlia si sposa, lei arriva al matrimonio e spariglia tutte le carte. Mi piace questo personaggio perché è libero e indipendente. E completamente disinteressato a ciò che pensano gli altri. Io vengo dalla provincia, da Ancona. E lì si dice “come fai sbagli”. Ecco una delle cose belle di una grande città come Roma, per esempio, è che nessuno ti giudica, sei libero di lasciarti andare. Ed è questo che mi piace del personaggio, per il resto siamo due donne molto diverse».

Ha appena finito di girare anche il nuovo episodio della miniserie Sky “I delitti del Barlume”. Si sarà affezionata al commissario Fusco...

«Il commissario Vittoria Fusco è un personaggio che mi piace molto, è anche cambiato col tempo, ora risulta meno compresso. Ha cambiato look, Vittoria si è trasformata in una donna più sicura di sé. E interpretarla per tanti anni ha reso più forte anche me».

Sul set è in compagnia di un attore con il quale ha lavorato tanto anche in teatro: Filippo Timi. Come vi siete conosciuti?

«Ci siamo conosciuti al centro sociale Link di Bologna, credo nel 1998.

Lucia Mascino, 45 anni

Lui faceva già parte della compagnia di Giorgio Barberio Corsetti e in quei giorni teneva un laboratorio. Lui faceva la ruota senza mani e io correvo in cerchio dicendo “Non mi basta, non mi basta” per un provino. Ci siamo riconosciuti, avevamo tutti e due quella “ipercosa”, quell’essere continuamente attivi, sì è la “ipercosa” che ci unisce. Poi ci siano rivisti sul set di un film. Un giorno Giulietta De Bernardi mi disse: “Sto girando un film con papà (il regista Tonino De Bernardi), c’è anche Filippo Timi, vuoi venire?”. E così sono andata. Giulietta ha cominciato a dirmi “ buttati in scena, buttati in scena”. Alla fine mi sono ritrovata dietro un bancone mentre baciavo Filippo. Quella scena è finita nel film “Fare la vita”. Poi io e Filippo abbiamo lavorato molti anni insieme in teatro, prima nella compagnia di Giorgio Barberio Corsetti (“Graal”, “Il processo”, “Metafisco cabaret”, eccetera), fino ai suoi spettacoli, da “Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioches” fino a “Preghiera della sera”, nato durante il periodo di pandemia e che tornerà in scena dopo l’estate. Siamo diventati amici, diversi ma simili. Una sera venne a vederci anche Mariangela Melato. Andava in scena “Favola”. Dopo lo spettacolo venne in camerino e disse: “Non lasciatevi mai”. Fu una gran bella soddisfazione, io l’adoravo».

Un altro incontro importante è stato quello con Lucia Calamaro, autrice di “Smarrimento”, un monologo cucito addosso a lei. Come ci si sente ad essere per la prima volta in scena da sola?

«Senti che stai facendo un azzardo... Ci sei solo tu e basta. Non hai appigli. E Lucia Calamaro è contraria ad ogni forma di istrionismo. Questo significa, per esempio, che se c’è un uomo da interpretare, quell’uomo avrà la mia voce e basta. Situazione difficile, che però può essere anche di sblocco, desiderio di entrare in conflitto con il pubblico, cosa che al cinema non succede. Questo monologo ha debuttato nel 2019, ma poi è rimasto fermo a causa della pandemia, finché fra gennaio e febbraio è stato a Roma, Napoli e Milano. L’incontro con Lucia, come quello con Filippo, sono incontri speciali. Lo è anche quello con Giuseppe Piccioni, per esempio. Ecco, ci sono incontri che lo sento, hanno un potenziale. Mi piacerebbe sviluppare fino in fondo certi potenziali, anziché intraprendere nuove strade. E magari approfondire certi personaggi. Penso, per esempio a Fabrizio Gifuni e al lavoro portato avanti con il personaggio di Aldo Moro, in teatro, al cinema, fino alla bellissima serie tv di Marco Bellocchio».

Ci sono anche incontri mancati, incontri mai avvenuti ma sognati...

«Si, tanti. Mi limito a citare alcuni registi stranieri con i quali mi piacerebbe lavorare: Baz Luhrmann, Fatih Akin e Pedro Almodóvar».

Prima del cinema e del teatro c’era la matematica, giusto?

«Sì, la matematica è stato il mio primo amore, tant’è vero che mi ero anche iscritta alla Facoltà. Ma già durante il periodo delle scuole medie avevo una certa predilezione per le materie più creative. Per esempio amavo dipingere. Scrivevo anche dei raccontini. Al compleanno della mia amica Valentina le regalai un cd in cui io cantavo “Auschwitz” di Francesco Guccini. Insomma, mi piaceva regalare emozioni. Poi un giorno mi sono iscritta a un corso di teatro sperimentale e mi sono detta: “Oddio, è questo che voglio fare!”».

E i racconti di famiglia su Virna Lisi che effetto avevano su di lei?

«Dunque, Virna Lisi era la cugina di mio padre. E in casa si parlava di lei, che però viveva a Jesi. In effetti io l’ho incontrata una sola volta all’aeroporto di Parigi, stava andando a Cannes. Abbiamo parlato poco e questo un po’ mi dispiace. Poi nel 2014 feci un provino proprio per interpretare sua figlia, ma lei morì poco dopo e così non abbiamo mai lavorato insieme. Però nel corso degli anni ho incontrato la sua truccatrice, la sua parrucchiera che mi hanno parlato molto di lei».

In questi ultimi due-tre anni ha riflettuto su sé stessa, sul suo lavoro?

«Ho capito che avevo fatto tante cose che non avevo voglia di fare. A me interessa far accadere qualcosa. Scrive Nureyev : “Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa o essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità”». Q

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