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Buio a Mezzogiorno Antonio Fraschilla

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Cacciari

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DI ANTONIO FRASCHILLA

edotti e abbandonati. Elettori di S centrodestra e classe dirigente del Mezzogiorno in queste ore si sentono lasciati al loro destino dai partiti e dal duo trainante del governo, la presidente del

Consiglio Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, e il vicepresidente e ministro straparlante Matteo Salvini, della Lega. Un Sud abbandonato non solo nelle scelte recenti per la formazione del governo, con appena quattro ministri che vivono al di sotto di

Roma, ma anche nella compagine dei sottosegretari e nella guida dei gruppi parlamentari. In soldoni, non ci sono esponenti delle regioni meridionali nelle stanze dei bottoni e anche l’agenda politica non sembra delle migliori: taglio del reddito di cittadinanza, spesso unica risorsa nelle aree dove non c’è lavoro vero; autonomia differenziata in stile leghista spinto; rimodulazione del Pnrr che andrebbe in danno alla quota del 40 per cento stanziata per il Mezzogiorno, tanto che i sindaci meridionali stanno protestando a Bruxelles. Ma anche il fantomatico Ponte sullo Stretto sembra più un favore alle grandi imprese del Nord che non a Calabria e Sicilia, che non hanno oggi infrastrutture stradali e ferroviarie degne di un Paese moderno. In BUIO A ME ZZOGIORNO

somma, il messaggio del governo Meloni sembra chiaro: addio Sud, terra di 5 stelle e di pessima classe politica e dirigente.

MATTEO E L A RIDOTTA LOMBARDA Il segretario della Lega, dopo il flop elettorale, è stato commissariato dai lombardo-veneti Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, ma anche dal mini-

FUORI DAI GIOCHI: GRANDI OPERE APPANNAGGIO DEL NORD, QUESTIONE MERIDIONALE ASSENTE. E SALVINI ABBANDONA L’IDEA DI IMBARCARE PEZZI DI CLASSE DIRIGENTE DEL SUD

stro Roberto Calderoli che tiene ancora i rapporti con i bossiani. Il concetto che in incontri riservati hanno trasmesso a Salvini è semplice: «Adesso concentrati sul Nord e metti da parte il progetto del partito nazionale». E così è stato: Prima l’Italia, il contenitore che è servito in questi anni per imbarcare politici ed esponenti della società civile meridionale, al momento è stato messo da parte. Non se ne parla più. E nelle scelte di governo Salvini ha tracciato una strada chiara: cinque ministri su cinque sono Antonio lombardi. Oltre a lui, GiuFraschilla seppe Valditara di Milano, Giornalista Roberto Calderoli di BerCOABITAZIONE

Matteo Salvini, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e leader della Lega, bisbiglia a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio e leader di Fratelli d'Italia gamo, Alessandra Locatelli originaria di Como e Giorgetti di Varese. I viceministri della Lega sono Edoardo Rixi di Genova e Vannia Gava di Pordenone. Dei nove sottosegretari, solo una vive al di sotto di Roma, Giuseppina Castiello, con la delega ai rapporti con il Parlamento: «Una delega che non prevede nemmeno un ufficio, aria fritta», dice un leghista del Sud eletto al Parlamento, ma rimasto fuori da tutti gli incarichi. Tra i sottosegretari non proprio del Nord in quota Lega c’è Luigi D’Eramo, abruzzese dell’Aquila, ma nelle chat leghiste si sottolinea come sia un nome voluto da Massimo Casanova, il titolare del Papeete di Milano Marittima. Locale nel cuore del Capitano, che da lì ha fatto cadere il governo

Conte I tenendo in mano un cocktail e ballando sulla sabbia. Perfino nelle scelte dei vertici dei gruppi parlamentari della Lega non c’è traccia di eletti al di sotto di Napoli se non per uno dei quattro vicepresidenti del gruppo alla Camera, Domenico Furgiuele di Lamezia Terme. «La trazione del Nord mi piace: presidente della Camera, capigruppo, ministri, tutti del Nord», ha esultato l’assessore regionale del Veneto Roberto Marcato. «La verità è che Salvini ormai non risponde nemmeno al telefono», dicono i leghisti meridionali. Di certo tra i delusi ci sono vari deputati arrivati da famiglie storiche di centristi e democristiane, come il segretario della Lega in Sicilia Nino Minardo o il collega della Campania, Gianpiero Zinzi, ma anche l’av-

vocato Giacomo Saccomanno in Calabria. Sono tanti i delusi tra i provenienti dal mondo centrista, tutti speravano in un posto al sole che Salvini ha riservato soltanto a una stretta cerchia di fedelissimi. Il Capitano però non solo ha chiuso il progetto Prima l’Italia, ma per stare in piedi ha dato carta bianca a Calderoli per lo sciagurato progetto di legge sull’autonomia differenziata che di fatto condanna le regioni più povere e con meno servizi e trasferimenti dallo Stato a rimanere periferia d’Europa. Per compensare mediaticamente l’autonomia Matteo sta rilanciando il progetto del Ponte, rimettendo in pista le aziende che avevano già vinto la gara con i governi Berlusconi: colossi come Webuild del gruppo Salini. Anche qui la spinta del Nord, mentre sul fronte ferroviario e stradale Calabria e Sicilia sono indietro di decenni e non sanno cosa sia l’alta velocità. Per essere chiari: anche le linee nuove previste nel Pnrr, come la Catania-Palermo, non sono ad alta velocità. Ma tant’è, chi pensava al partito nazionale di Salvini e all’addio alla vecchia Lega Nord è rimasto con un pugno di mosche in mano; al punto che nelle chat riservate dei leghisti meridionali s’inizia a parlare di «fare qualcosa» prima del fantomatico congresso della Lega: fondare una corrente che possa poi diventare un partito a trazione meridionale, per esempio.

GIORGIA L A NORDISTA A sorprendere elettori e dirigenti meridionali, alcuni saliti in fretta anche sul carro di Fratelli d’Italia, sono in generale le prime scelte e gli annunci del governo Meloni che riguardano il Mezzogiorno. A partire dalla squadra di governo: tredici ministri hanno radicamento in regioni del Nord, appena quattro quelli che davvero vivono sotto Napoli o ci hanno vissuto di recente. Nello Musumeci, che ha avuto la delega al Sud, Raffaele Fitto, che ha avuto la delega agli Affari europei, politiche di Coesione e Piano nazionale di ripresa e resilienza, il campano Gennaro Sangiuliano alla Cultura e la sarda Marina Elvira Calderone che si occuperà di Lavoro e politiche sociali. Difficile considerare del Sud Adolfo Urso, che da anni ormai vive fuori dalla Sicilia con la sua famiglia e non ha alcun collegamento elettorale con l’isola. Stesso discorso per il presidente del Senato Ignazio La Russa, milanese d’adozione e con il figlio che è socio in aziende della galassia Berlusconi. Dunque, pochissimo Mezzogiorno a Palazzo Chigi. Ma il segnale chiaro del disinteresse al

TRA LE MISURE MALVISTE DA ROMA IN GIÙ, IL TAGLIO DEL REDDITO DI CITTADINANZA, L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA IN STILE LEGHISTA SPINTO, LA RIMODULAZIONE DEL PNRR

EX GOVERNATORE

Sebastiano Musumeci, per tutti Nello, è il ministro per il Sud e il mare del governo Meloni. Nell'ultima legislatura è stato presidente della Regione Sicilia

tema è lo svuotamento del ministero del Sud: Musumeci non ha le deleghe principali che avevano i suoi recenti predecessori, Giuseppe Provenzano e Mara Carfagna, e cioè quelle alla Coesione territoriale e al Pnrr per le regioni meridionali. Ha il compito di redigere un Piano Sud in raccordo con altri ministeri e siederà al tavolo interministeriale sul mare e sulle spiagge, lasciate da Daniela Santanchè perché in palese conflitto d’interesse visto che possiede quote nel Twiga di Flavio Briatore a Forte dei Marmi. Musumeci come contentino potrebbe avere la delega alla Protezione civile, che non riguarda certo politiche per il Mezzogiorno. Difficile in queste condizioni, e senza maneggiare alcuna leva economica, che possa contrastare alcune politiche che invece porteranno avanti i colleghi lombardi. A partire dall’autonomia differenziata. Negli ultimi giorni è circolata la bozza scritta dal collega Calderoli e che nelle intenzioni del ministro per gli Affari regionali e le autonomie deve essere approvata senza correzioni da parte di Palazzo Chigi e del Parlamento. Una bozza condivisa da Calderoli solo con i governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, due su tre leghisti, ma con il democratico Stefano Bonaccini che sul tema è sulla stessa lunghezza d’onda della Lega. Un testo che non è stato discusso in alcuna commissione parlamentare, tra l’altro. Una bozza che di fatto non dà regole chiare e prevede sempre il criterio della spesa storica, tranne che per alcune eccezioni per le quali si fa riferimento a livelli essenziali delle prestazioni tutti ancora da definire. Il governo Meloni ha già annunciato anche altre azioni che non premiamo i territori più fragili: il taglio al reddito di cittadinanza per gli idonei al lavoro, che nelle aree senza imprese e produzione resteranno comunque disoccupati. Un tema chiave per la tenuta sociale di periferie e città meridionali che non può essere affrontato senza strategie complesse e organizzate. Il governo sul reddito di cittadinanza vuole andare dritto, come ha detto la presidente Meloni. C ’è poi un altro spauracchio per le regioni meridionali: l’annunciata rimodulazione del Pnrr, che rischia di andare in danno alla quota 40 per cento fissata per il Mezzogiorno. A proposito: il governo Draghi ha sì fissato questa quota, di poco superiore a quello che spetterebbe comunque in base alla popolazione e insufficiente per ridurre i divari di cittadinanza, ma non ha fatto nulla per aiutare le amministrazioni meridionali ad avere professionalità in grado di redigere progetti per partecipare ai bandi. Così le risorse al Sud non stanno arrivando nella quota prefissata e il sindaco di Milano Beppe Sala in tempi non sospetti ha detto: «Siamo pronti a spendere le risorse non utilizzate del Pnrr». Cioè quelle del Sud. Contro la riscrittura del Pnrr si stanno mobilitando molto sindaci meridionali confluiti nella rete Recovery Sud, che raggruppa quasi cento Comuni. «Non accettiamo l’assalto ai finanziamenti del Pnrr che i Comuni e le lobby politico-economiche del Nord stanno lanciando contro un piano che già di per sé è insufficiente a colmare i divari storici che ci condannano agli ultimi posti nelle classifiche europee su Pil, occupazione, infrastrutture e servizi sociosanitari», dice il sindaco di Acquaviva, Davide Carlucci. Il governo Meloni-Salvini sembra però pensare a tutt’altro che al Mezzogiorno. Mentre per quanto riguarda il ministro della Lega la sorpresa sarebbe in fondo stata se avesse agito al contrario, la sorpresa vera è Meloni: che voglia così un po’ punire le regioni feudo dei grillini di Giuseppe Conte?

LOMBARDO-VENETI

In alto: il bergamasco Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le autonomie del governo Meloni. Sotto: Massimiliano Fedriga, presidente della Regione FriuliVenezia Giulia

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