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Cronaca di un Paese disumano Max Cavallari

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Cacciari

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CRONACA DI UN P AESE DISUMANO

TESTO E FOTO DI MAX CAVALLARI A BORDO DI HUMANITY 1

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on ci state riportando in Li-N bia…vero?» mi chiede M. in un pomeriggio di attesa come tanti. Sono a bordo della Humanity 1, la nave di soccorso di Sos Humanity, da esattamente un mese, con altri 28 membri della crew e 179 persone soccorse in mare in tre rescue, tra il 22 e il 24 ottobre. M. è arrivato durante il primo salvataggio, viene dal Kashmir, ha 29 anni, una moglie e una figlia che vorrebbe portare in Europa. «Siamo in mare ormai da più di dieci giorni, se non troviamo un porto sicuro ci riporterete

in Libia?», chiede. Quanto le esperienze di vita devono aver incrinato la sua fiducia negli altri se M. arriva a dubitare del suo soccorritore? Rispondo che abbiamo poche certezze, ma no, in Libia non torneremo. Mi guarda con gli occhi di uno che si vuole fidare, non ha altra scelta.

Fino a poco prima dell’arrivo al porto di Catania, durante il briefing mattutino, mi salutava dicendomi: «Sento che oggi è il giorno buono, sento che ci saranno buone notizie». Non sapevo mai che rispondere. A 30 giorni dalle elezioni, la situazione è proprio come avevo immaginato appena salito a bordo di Humanity 1. La destra sta mettendo in pratica le promesse fatte in campagna elettorale: porti chiusi, politiche per fermare i migranti che arrivano dal mare e nessun dialogo con le Ong. Anche se come ha affermato proprio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, solo il 16 per cento dei migranti arriva in Italia grazie alle Organizzazioni non governative. I restanti arrivano spontaneamente o attraverso la Guardia costiera italiana. Così la lotta portata avanti dal governo Meloni più che all’immigrazione clandestina sembra una battaglia politica. Contro chi ha avuto la sfortuna di salire sulla nave sbagliata. «Preferisco stare un anno su questa nave invece di passare ancora un giorno

I SOCCORSI E LA CONTA DEI MORTI, L’ATTESA E LO SBARCO NEGATO. LE SBRIGATIVE DIAGNOSI A TERRA: CHI È GUARITO TORNI A BORDO. DIARIO DI UNA VERGOGNA DAL PONTE DI HUMANITY 1

Max Cavallari Fotoreporter

CRONACA DI UN P AESE DISUMANO

in Libia», mi ha spiegato, mentre ero di guardia sul ponte, L. che arriva dal Gambia. Tutti gli altri stavano ancora dormendo, lui non riusciva. Era salito a bordo da pochi giorni, durante il rescue più complesso dei tre: il gommone con 113 persone era già quasi sgonfio al nostro arrivo, abbiamo saputo solo dopo che gli scafisti gli avevano dato due pompe per rigonfiarlo, consapevoli, quindi, delle pessime condizioni in cui li avevano abbandonati. «Quante persone avete contato sulla nostra barca?», mi chiede. Gli dico, per quanto ricordo a memoria, che erano in 113. «Abbiamo perso sei fratelli l’altra sera», mi risponde facendomi gelare il sangue.

Qualche giorno dopo abbiamo celebrato i

Migranti soccorsi in mare dall’intervento della Ong Sos Humanity. Tra il 22 e il 24 ottobre prima dell’arrivo a Catania, domenica 6 novembre, sono stati effettuati tre salvataggi morti con una commemorazione collettiva nel mezzo del Mediterraneo. «Questa è la terza volta che provo a lasciare la Libia», racconta ancora L.: «Le persone che ci danno le barche per partire sono le stesse che poi, vestiti come militari, ci vengono a prendere in mare e ci riportano indietro».

Come spiega David, responsabile del Care team della Humanity 1 la situazione è la stessa da anni. «Ho iniziato a lavorare nel Search and rescue nel 2019 con la nave Alan Kurdi. Erano gli anni in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno. Il periodo dei porti chiusi. Siamo rimasti in attesa 12 giorni e ci sembrava che il tempo non passasse mai. Ormai l’attesa, invece, è diventata parte della pianificazione della missione, la media è

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