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La miglior difesa
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di Matteo Chiamenti
EssErE al fianco dEi cliEnti, incontrarli E assistErli. soprattutto nEllE turbolEnzE di oggi bisogna mantEnErE saldo il timonE, guardarE a mEdio-lungo tErminE E sfruttarE lE occasioni chE ogni momEnto nascondE. comE fa Banca EuromoBiliarE, istituto di privatE banking dEl gruppo crEdEm
Banca Euromobiliare, istituto del gruppo Credem specializzato nel private banking, è da sempre uno dei punti di riferimento per la consulenza finanziaria in Italia. Un settore, quello dell’advisory dell’Italia, che ha saputo essere ancora una volta come una controparte affidabile e preziosa per i nostri risparmiatori, anche all’interno di un contesto economico e sociale certamente non facile. D’altra parte, come ci ricorda un vecchio proverbio orientale, “la tempesta è una buona opportunità per il pino e per il cipresso per mostrare la loro forza e la loro stabilità”. E lungo questa scia virtuosa non può che collocarsi il presente e il futuro proprio di Banca Euromobiliare, come ci racconta Matteo Benetti, direttore generale dell’istituto e responsabile business unit private di Credem.
Come si è chiuso per Credem e per il polo private del gruppo il 2021? E come è iniziato il 2022?
Il gruppo Credem ha presentato poche settimane fa i risultati 2021. E sono risultati record, in termini di crescita sulla raccolta, gli impieghi e sulla capacità di creare valore. Pochi giorni dopo è uscita la pubblicazione della Banca centrale europea circa i dati relativi ai requisiti patrimoniali (Srep) delle 115 banche rilevanti in Europa e Credem è risultato l’istituto più solido a livello europeo tra le banche commerciali. Tutte belle notizie, quindi. All’interno del gruppo, il private banking sta assumendo un peso sempre più rilevante e abbiamo chiuso il 2021 con una nuova raccolta, netta e gestita, vicina ai 2 miliardi. Nel suo primo anno di vita, il nostro polo ha dimostrato la sua vivacità e la capacità a stare vicini ai clienti anche nei momenti più complessi.
A proposito di “momenti complessi”, dopo due anni di pandemia pensavamo di aver attraversato il peggio… ma da qualche settimana la situazione geo-politica è precipitata e c’è la guerra alle porte dell’Europa. Come stanno reagendo i vostri private banker e i loro clienti?
C’è, ovviamente, molta preoccupazione e la grande volatilità dei mercati rende necessario essere ancora più presenti e proattivi con la clientela. Partiamo da un paio di considerazioni: la nostra storia, recente o meno, ha sempre avuto momenti di crisi con degli impatti rilevanti sui mercati finanziari. Ogni crisi è un caso specifico e non dobbiamo dare per scontato che ciò che si è verificato ieri sia vero per il momento che stiamo attraversando. Ciò che è sempre vero, invece, è che in momenti così incerti paga essere a fianco dei clienti, raddoppiando gli sforzi per incontrarli, assisterli e concordare le mosse da fare e quelle da evitare. I player che hanno saputo alzare il livello di servizio alla clientela anche nei momenti più difficili ne sono usciti più forti. Il cliente apprezza, e ripaga, chi sa essere presente in ogni momento.
E la seconda considerazione?
È che la diversificazione è sempre l’arma migliore contro le oscillazioni di breve periodo. Motivo per cui il risparmio gestito è vincente rispetto all’amministrato, e, all’interno del gestito, vanno privilegiate le soluzioni che garantiscono la massima diversificazione tra aree geografiche, settori, valute o stili di investimento. Alcuni trend di medio-lungo, poi, rimangono veri a prescindere dal conflitto in atto e vanno sfruttati a pieno all’interno dei portafogli: penso alla green
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Matteo Benetti
economy, al digitale, alla smart mobility o al tema dell’invecchiamento della popolazione. L’asset class obbligazionaria tradizione rifugio del risparmiatore in passato, non offre più le prospettive di rendimento necessarie a rappresentare una valida alternativa, motivo per cui l’occasione deve anche essere sfruttato per una maggiore esposizione tendenziale dei portafogli verso la componente equity, storicamente bassa nei portafogli degli italiani. In sintesi, meglio concentrarci su ciò che dipende da noi, accompagnare la clientela mantenendo saldo il timone dell’orizzonte temporale medio lungo e sfruttare le occasioni che ogni momento nasconde.
Guardando al vostro sviluppo strategico, quali sono le direttrici del vostro sviluppo a 3-5 anni? La scelta del gruppo Credem di
unire le sue attività di private banking sotto la regia di un unico coordinamento indica chiaramente che la strada scelta è quella della sempre maggiore specializzazione. C’è valore in un modello dove prodotti, servizi, processi, canali di interazione sono nativamente pensati per soddisfare le esigenze della clientela più sofisticata. Stima andando, quindi, verso un una sempre maggiore specializzazione in termini di modello di servizio, modello di offerta e modello di professionalità che sono i tre pilastri del nostro piano. Per quanto riguarda il modello di servizio, stiamo accelerando verso una consulenza sempre più patrimoniale. Questo passa attraverso il rafforzamento degli strumenti di monitoraggio della qualità dei portafogli, di alerting e di reportistica ed anche attraverso lo sviluppo di un approccio strutturato per ottimizzare il patrimonio immobiliare, la finanza d’azienda e la pianificazione successoria. Abbiamo anche introdotto di recente la figura del top client specialist che interviene a supporto dell’operatività del banker nella gestione delle esigenze più complesse dei clienti. Un ulteriore passo verso una consulenza sempre più olistica, con tecnologia e risorse umane dedicate.
E sul versante dell’offerta?
Punteremo sull’ulteriore sviluppo di soluzioni private nel mondo assicurativo, investimenti nell’area dell’economia e degli asset reali, e su una vera consulenza anche nell’ambito dell’amministrata. Infine, sul tema della professionalità dei banker, siamo partiti con un nuovo modello formativo che prevede un vero e proprio assessment individuale finalizzato a rilevare le attuali competenze e a intervenire con piani personalizzati. Questo vuol dire ‘essere private’ anche nella formazione e la crescita delle nostre persone. F
Professionisti d’appalto
I contratti di appalto di servizi labour intensive non integrano una illecita intermediazione di manodopera, anche se locali e strumenti sono dell'appaltante, ma deve esservi in capo all'appaltatore il rischio di impresa ed essere garantita la sua autonomia organizzativa
Èsempre più frequente la necessità per le aziende anche del terziario avanzato, quali assicurazioni, banche, servizi informatici, operare con affidamento a terzi di attività che richiedono risorse specializzate e competenti per garantire efficienza, rapidità di intervento e un risultato finale coerente con servizi in continua evoluzione. Tutto ciò è rilevante in un contesto di attività caratterizzato da picchi produttivi o con impiego diffuso sul territorio, anche per caratteristiche tipiche del tessuto produttivo e dei servizi in Italia, con presenza di molteplici aziende di medie dimensioni, spesso correlate fra loro per appartenenza a un medesimo gruppo di controllo anche a carattere famigliare o per complementarietà dei settori in cui operano. Su questa tipologia di appalti si sono concentrate verifiche e controlli di enti ispettivi, che hanno talvolta sbrigativamente ritenuto illeciti gli accordi, asserendo che si trattava di mere intermediazioni di manodopera, non ammesse dalla legge. Tuttavia, una recente sentenza della Suprema Corte (n. 31127/2021) ha statuito che l’appalto di servizi è legittimo anche qualora l’appaltatore utilizzi locali e attrezzature dell’appaltante, purché resti in capo al medesimo il rischio di impresa, correlato alla necessità di garantire continuità ed efficienza del servizio, attraverso un’adeguata organizzazione di personale. La vicenda origina dall’azione di taluni dipendenti di un’azienda appaltatrice che aveva ricevuto una commessa per l’esecuzione di un servizio di help desk telefonico per la risoluzione di problemi relativi al software dell’appaltante. Per i lavoratori l’attività era svolta con utilizzo del software service center della appaltante, la quale monitorava altresì le attività dei dipendenti dell’appaltatrice. Si lamentava quindi la violazione delle norme sul divieto di intermediazione di manodopera e sull’appalto, con richiesta di costituzione di un rapporto di lavoro in capo all’appaltante. Il Tribunale accertava l’autonomia organizzativa e l’assunzione di rischi in capo all’appaltatrice, respingendo la domanda; sentenza confermata in sede di appello. Proposto il ricorso per Cassazione, la Corte ha rilevato che l’evolversi delle attività e dei modelli organizzativi consentono lo svolgimento di servizi in cui si prescinde dal possesso di beni materiali, essendo necessaria solo un’adeguata organizzazione di personale e di conoscenze. Nel caso in esame, la committente non si ingeriva nella linea gerarchico organizzativa dell’appaltatore, il quale si era assunto il rischio economico di impresa, consistente nel fatto che doveva garantire con adeguata organizzazione e relativi costi la copertura e, quindi, la continuità e l’efficienza del servizio negli orari previsti e per la durata del contratto. Per la Corte è, quindi, irrilevante l’utilizzo di beni della committente, mentre è necessario il requisito dell’autonomia dell’appaltatore sull’organizzazione, tipica degli appalti cosiddetti ‘leggeri’. La decisione impatta su una tematica inerente ai servizi labour intensive (che possono essere gestiti anche in smart working dai dipendenti della società di servizi), imponendo di curare con massima attenzione la negoziazione dei contratti di appalto, delineando i servizi affidati a terzi e i relativi momenti di coordinamento e verifica. Altrettanta attenzione dovrà essere posta alle modalità di esecuzione concreta delle attività, evitando confusioni o intromissioni dell’azienda appaltante, che possano essere interpretate come ingerenze nell’organizzazione dell’appaltatrice, con conseguente confusione tra le due distinte entità.
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