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GIUSTIZIA

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DAL 1907

DAL 1907

TERESA MAZZOTTA

«Il mio obiettivo principale: favorire il reinserimento sociale dei detenuti»

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Teresa Mazzotta, direttrice del carcere di Bergamo dal 2018, giovane donna dal carattere fresco, predisposto al cambiamento e all’innovazione, è arrivata in un momento non facile per la struttura penitenziaria di Via Gleno ma è riuscita in breve tempo a far emergere le sue capacità, riqualificando completamente il penitenziario di Bergamo.

Non dev’essere facile per una donna affermarsi in un settore delicato come il carcere. Ci racconti la sua esperienza. Il cambiamento all’interno dell’amministrazione penitenziaria è iniziato circa un ventennio fa. L’ultimo concorso, al quale ho partecipato, è stato superato, per il 70%, da donne. C’è stata una progressiva apertura verso la figura femminile come direttrice del carcere, anche se, qualche volta, soprattutto all’inizio, mi è capitato di percepire perplessità per il fatto di essere una donna giovane all’interno dell’amministrazione. L’errata conoscenza della realtà penitenziaria fa immaginare il carcere come un luogo oscuro e, forse, la figura maschile viene associata ad un’idea di forza ma la vera forza discende dal dialogo, dall’apertura, dalla capacità di innovare nel rispetto delle norme e delle regole. Come donna sento di possedere una forte empatia, che mi facilita nel decodificare gli indicatori non verbali connessi all’espressione delle emozioni dell’altro: in questo mondo, puro valore aggiunto.

È arrivata a Bergamo in momento poco idilliaco per il carcere di via Gleno, come avete gestito la situazione? In un’intervista da lei rilasciata a seguito delle spiacevoli vicende accadute nel 2018 ha parlato di rilancio. Quali sono i cambiamenti che sono stati apportati? Sono arrivata appena accadute le ben note vicende giudiziarie e ho puntato sulla motivazione del personale, in particolare della polizia penitenziaria. Il territorio doveva inoltre conoscere realmente la struttura, la comunità penitenziaria. Importante creare un ponte tra carcere e collettività esterna, restituire ai cittadini una visione corretta, anche attraverso un grande lavoro di comunicazione. Don Fausto Resmini, scomparso a causa del Covid-19 lo scorso anno, cui è stato intitolato il 19 aprile u.s. il carcere di Bergamo, alla presenza della Ministra della Giustizia Marta Cartabia, è stato una figura importante: ha favorito la costruzione di una sinergia con il territorio.

Marzo 2020. In molti carceri ci sono state ribellioni da parte dei detenuti per la paura del Covid. Voi come avete vissuto quel periodo? Quali protocolli anti-contagio sono stati istituiti? Devo ringraziare il personale, la polizia penitenziaria che ha sempre

lavorato nonostante il dramma che il territorio stava vivendo. All’inizio della pandemia abbiamo stilato con gli operatori sanitari interni, che dipendono dall’ASST Papa Giovanni XXIII, un protocollo basato su distanziamento e DPI. Triage a tutti all’ingresso e, quando vi è stata possibilità, due tamponi molecolari ai detenuti Nuovi Giunti, uno all’ingresso e uno dopo circa 14 giorni per accertare la negatività prima di immetterli a vita comune. Questo ci ha consentito di salvaguardare la salute della comunità penitenziaria. Non vi sono stati tumulti, ritengo, in quanto abbiamo fornito sempre un’informazione continua sull’evoluzione della pandemia. È venuto a trovarci anche il sindaco Gori che ci ha fornito computer utilizzati per skype e per la didattica a distanza. L’Amministrazione penitenziaria ci ha dotati di telefoni cellulari per far comunicare i

ristretti con le famiglie tramite WhatsApp. Fino al lockdown anche i colloqui in presenza sono stati effettuati con le mascherine chirurgiche, poi autoprodotte grazie alle suore. Trasparenza e dialogo sono stati fondamentali, unitamente all’ascolto dei timori e delle legittime richieste dei detenuti. aumento o una diminuzione degli arresti in quest’anno di pandemia? Circa 530 detenuti, di cui 35 detenute. Durante il lockdown sono fortemente diminuiti gli ingressi: siamo scesi al di sotto delle 400 presenze a giugno 2020 ma, dopo la riapertura, sono aumentati nuovamente in maniera importante.

Quali attività possono svolgere i detenuti durante le loro giornate? problematica del sovraffollamento degli istituti penitenziari. Com’è la situazione qui a Bergamo? Ci sarebbe un modo per prevenirlo? Il carcere di Bergamo ha una capienza di 315 posti mentre, ribadisco, sono attualmente presenti circa 530 detenuti: un alto tasso di sovraffollamento, determinato da un elevato numero di accessi. Bisognerebbe intervenire sui reati c.d. bagatellari evitando l’applicazione della

State lavorando a qualche nuovo progetto? Diverse attività: c’è il forno interno che garantisce il pane alle mense scolastiche, la rivista Spazio, la scuola primaria e l’istituto alberghiero, l’alfabetizzazione per stranieri, il laboratorio per aspiranti estetiste e parrucchiere, quello di assemblaggio, il corso di caffetteria & latte art. Stimoliamo i detenuti a concludere gli studi, a intraprendere un percorso universitario. Sono da poco cominciati percorsi formativi in campo agricolo. È partito, in questi giorni, un importante progetto che vede la collaborazione del Comune di Bergamo - Ambito Territoriale di Bergamo, Casa Circondariale di Bergamo Don Fausto Resmini, ABF - Azienda Bergamasca Formazione, Confindustria Bergamo e Soroptimist International Bergamo: confezione tessile per detenuti e detenute, che prevede anche la riqualificazione di uno spazio interno. custodia cautelare in carcere e facilitando l’accesso alle misure alternative, attraverso una rete sociale pronta a intervenire su quei soggetti senza riferimenti familiari e risorse, per evitare che il carcere diventi luogo di detenzione sociale.

Cosa migliorerebbe del sistema penitenziario italiano? Punterei sulla revisione critica del detenuto, facilitandone il reinserimento sociale. L’abbattimento della recidiva si realizza offrendo ai ristretti reali possibilità di crescita culturale, riqualificazione professionale, opportunità lavorative sia durante la pena che in fase di dimissione. Le strutture detentive devono anche avere spazi adeguati, appetibili per investimenti da parte dell’imprenditoria, del terzo settore. È necessario, quando non vi è una elevata pericolosità sociale, pensare al carcere come extrema ratio, investendo sulle misure alternative e sulla probation. Ilaria De Luca

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