BIANCA CAMILLA GAMBRIOLI
AUTORITRATTO
Prima edizione giugno 2015 Stampato presso New Digifast, Inc. via Nomentana 534 Roma, Italia www.newdigifast.it ISBN: 687-3-81549-615-2 Stampato in Italia © 2015 casa editrice Hachette Fascicoli Impaginazione: Bianca Camilla Gambrioli
© 2015 Bianca Camilla Gambrioli Tutte le opere pubblicate appartengono a Bianca Camilla Gambrioli Senza regolare autorizzazione è vietato riprodurre questo volume, anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, senza l’autorizzazione scritta dell’editore.
SOMMARIO Introduzione Studio
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Autoritratto
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Mirrors
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Opere
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Black Hole
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Tribes
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Partially
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Way out
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Ringraziamenti
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Sitografia
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INTRODUZIONE L
’autoritratto, durante la storia dell’umanità, è stato una forma espressiva ambivalente: antica e moderna allo stesso tempo. Infatti possiamo considerare, con un po’ di licenza poetica, le pitture murali preistoriche come forme ancestrali della rappresentazione di sè, inserita nel contesto dell’ambiente e della società. Anche i bambini, nelle loro prime esperienze artistiche, tendono a disegnare personaggi umani, dalle caratteristiche generiche, ai quali viene aggiunto con una scrittura incerta un ulteriore attributo: “io”. Da qui si inizia a notare l’ambivalenza: pur essendo l’autoritratto un soggetto istintivo, nelle sue forme più naturali non ha le caratteristiche proprie di un “autoritratto” classico, infatti il sè e l’altro non sono distinguibili, rientranti entrambi in una singola forma canonica che rappre-
A sinistra: Penelope, olio su tela (2010) A destra: For a Smile, pastelli ed inchiostro su carta (2011)
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senta un essere umano. Più un simbolo che una vera raffigurazione, principalmente per difficoltà tecniche e cognitive: sia i bambini che i paleolitici avevano difficoltà nel percepire se stessi. Nel Medioevo, ma soprattutto nel Rinascimento, questo è cambiato, grazie ad una semplice invenzione tecnologica: lo specchio piatto. Finalmente l’uomo comune, e soprattutto l’artista, poteva conoscere con precisione i tratti del proprio volto, e poteva quindi rappresentarli. L’autoritratto non era più un simbolo raf-
figurante la comunità, ma il singolo individuo. L’analisi, prima incentrata sulla società, si è spostata verso la psicologia, al singolo dettaglio teso a rappresentare uno stato d’animo o una caratteristica della mente. Questo, metaforicamente, è stato anche il mio percorso: l’autoritratto che parte come inserimento nella società, con tutte le sue problematiche dovute al rapporto con l’altro. I dipinti di queste pagine sono stati eseguiti tra il 2010 e il 2011, e rappresentano dei simboli in cui ho inserito il mio volto per comodità, elevando la mia espe-
rienza a valore universale. Esprimono quindi dei concetti: solitudine, sofferenza, scissione. Nella loro espressività violenta, mostrano senza pudore parti di me, puramente spirituali, senza nessun reale riferimento fisico. Affermo di essere Io il soggetto, ma potrebbe essere chiunque, come un omino sulla parete di una grotta. Il mio principale limite erano le capacità esecutive: vedevo, ma non riuscivo a rendere sul foglio le particolarità del mio volto. Questo libro contiene il mio studio, il mio percorso, e tutte le riflessioni sulla scoper-
ta di sè tramite l’autoritratto. Non è un saggio teorico, nè un manuale pratico, è una raccolta di esperienze. Racconterò tramite parole e immagini come sono arrivata a capire, e a realizzare, sul disegno e sulla comprensione di sè, un viaggio che dura da cinque anni, e penso si possa considerare senza errore come appena iniziato.
A destra: I’m your Mind, olio su tela (2010) Confessiones II, olio su tela (2010) A sinistra: Heroes for Ghosts, olio su tela (2010) Tighter, please, olio su tela (2010)
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And in my mind In the faraway here and now I've become in control somehow And I never lose my wallet Because I will be the picture of of discipline Never fucking up anything And I'll be a good defensive driver And it's funny how I imagined That I would be that person now But it does not seem to have happened Maybe I've just forgotten how to see That I'll never be the person that I thought I'd be And in my mind When I'm old I am beautiful Planting tulips and vegetables Which I will mindfully watch over Not like me now
I'm so busy with everything That I don't look at anything But I'm sure I'll look when I am older And it's funny how I imagined That I could be that person now But that's not what I want But that's what I wanted And I'd be giving up somehow How strange to see That I don't wanna be the person that I want to be And in my mind I imagine so many things Things that aren't really happening And when they put me in the ground I'll start pounding the lid Saying I haven't finished yet I still have a tattoo to get That says I'm living in the moment And it's funny how I imagined That I could win this, win this fight But maybe it isn't all that funny That I've been fighting all my life But maybe I have to think it's funny If I wanna live before I die And maybe it's funniest of all To think I'll die before I actually see That I am exactly the person that I want to be Fuck yes I am exactly the person that I want to be
In My Mind - Amanda Palmer
“
“
In my mind In a future five years from now I'm one hundred and twenty pounds And I never get hungovers Because I will be the picture of discipline Never minding what state I'm in And I will be someone I admire And it's funny how I imagined That I would be that person now But it does not seem to have happened Maybe I've just forgotten how to see That I am not exactly the person that I thought I'd be
STUDIO
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AUTORITRATTO I
l mio percorso è iniziato nel settembre 2010 nei corsi di pittura di Adriano Fida, che è stato mio maestro di vita e d’arte da allora. Dopo i primi esercizi basilari per la costruzione di un volto, ovvero proporzioni, forme generiche e semplificate di occhi, naso e bocca, il disegno da realizzare era un autoritratto. Questo per molteplici ragioni, innanzitutto perchè è qualcosa di estremamente familiare a cui però prestiamo pochissima attenzione. Sappiamo riconoscere il nostro volto, ma in realtà, non lo ricordiamo. E’ una delle figure che vediamo più spesso nella nostra vita, ma abbiamo difficoltà a ricostruirlo nel suo dettaglio. Per un artista la consapevolezza dei propri tratti è fondamentale, perchè si tende ad inserire un po’ di sè in tutti i disegni, anche ritraendo altri. Il metodo di Adriano prevede una la-
boriosa attenzione al dettaglio, che va costruito tramite un tratteggio uniforme a 45°. Prima che il disegno, viene l’osservazione dell’ombra e della forma. Continuando a seguire il corso non ho imparato solo a disegnare, ma soprattutto a vedere. E vedere è già accettare, cosa che, parlando del proprio volto, non è affatto facile. Inizialmente, per paura, si modifica ciò che si vede, si ingentilisce o si rende più grottesco. Queste variazioni ci dicono molto sul modo in cui percepiamo la nostra stessa figura. Io in questo disegno ho raddriz-
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zato ed ingrandito gli occhi, rimpicciolito il naso, ingentilito il sorriso: ho disegnato la figura che vorrei essere, in una sovrapposizione di percezione e desiderio. La modifica più importante penso sia nell’espressione: è più pacifica, più sicura. E’ l’esatta rappresentazione di come mi sentivo io in quel momento, nell’atto di disegnare, in cui, diversamente dalla vita reale, ho il pieno controllo delle mie fattezze e delle espressioni facciali (che, come si può notare dal “sorriso”, sono un argomento problematico). Il disegno è un regno dominato dalla creatività, in cui possiamo impostare parametri e regole, in cui si riversano speranze e aspettative, in un vortice che è totalmente nelle nostre mani. Il disegno figurativo rimane saldamente ancorato alla realtà, di cui rispetta molte leggi e sta all’artista entrare negli spiragli, non creando dal nulla ma modificando un mondo che funziona già di per sè e ha una sua dignità. Come strumento di analisi per questo è formidabile: l’interpretazione sta nello scarto tra realtà e rappresentazione, in cui si possono perfettamente riconoscere la mano e la mente nel disegnatore.
Io so che la mia forma si trova nei millimetri di scarto tra la piega delle labbra della fotografia e quella del disegno. Ho imparato a riconoscere quelle labbra, ad amarle, e a percepirle doppiamente come mie. Studiando per mesi i minimi dettagli del mio volto me ne sono appropriat e mi sono riconosciuta, soprattutto nelle differenze. Ho capito la mia dimensione sia sul piano fisico, che mentale. Questo è stato il mio primo autoritartto degno di questo nome, perchè dà dignità semplicemente al mio volto, alla mia esperienza persona-
le, senza il bisogno di raccontarla o di renderla simbolo di qualcos’altro. L’esperienza è stata così appagante che l’autoritratto è diventato uno dei miei principali mezzi espressivi. Ogni disegno si avvicina di più all’immagine che ho di me.
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MIRRORS I
l problema del mio primo autoritratto era l’ingentilimento delle forme, che sì, è uno scarto mentale, ma è anche il simbolo di una non completa accettazione di me stessa. Questo si vede principalmente sul piano fisico, poichè la figura nel ritratto è più bella nel senso canonico del termine. Ma è davvero così importante rientrare in questo canone? Quello che voglio dimostrare con questi disegni è semplicemente un’espressione di vanità? No, lo scopo è catturare l’essenza, che non viene dalla perfezione, ma dalla particolarità. C’è bellezza anche nella rottura di una perfetta simmetria, che ci ricorda la nostra natura organica e caotica, non fatta di curve eleganti ma di carne irregolare. Accettare tutte queste piccole imperfezioni significa abbracciare completamente la propria natura umana, e in quan-
to tale fallace. Non è un discorso esclusivamente legato al piano fisico: la perfezione è anche quella di pensare un individuo sempre come forte, sicuro e deciso, relegandolo però così ad uno stato di eroica piattezza. Mentre invece lo scopo di un disegno realistico è sempre stato quello di rendere la realtà tridimensionale su un supporto bidimensionale: vale sia per i volumi che per i sentimenti. Personalmente ho avuto problemi a rappresentare tutto ciò, principalmente a causa della difficoltà nel ri-
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conoscere il mio stesso corpo, ma il disegno si è dimostrato un importantissimo strumento risolutore. Negli ultimi anni il mio aspetto esteriore, così come il mio carattere, hanno subito intense variazioni, come ci si può aspettare da un periodo di transizione come il mio che va dall’adolescenza all’età adulta. Mi è sembrato che tutti i punti fermi che avevo tremassero, per poi svanire, e avevo molta difficoltà a comprendere e categorizzare questo cambiamento. Che forma ha il mio corpo? Sono magra, sono grassa o sono muscolosa? I miei occhi sono piccoli e inespressivi o grandi e dolci? Il mio sorriso è riservato o inesistente? Ho un volto elegante o sgraziato? Che forma ha la mia mente? Sono una vittima o un’assalitrice? La mia voce trema o è brillante? Desidero il contatto con l’altro o mi ritiro da esso? Sono forte, o sono debole? La necessità di definirmi dentro una categoria era straziante perchè pensavo fosse necessario comprendermi per decidere cosa scegliere e come comportarmi. Ho quindi iniziato a disegnarmi, anche ossessivamente. E’ una serie di autoritratti allo specchio, alcuni realizzato in digitale, trami-
te tavoletta grafica Wacom Bamboo, Photoshop CS5 e pennelli che simulano una riuscita pittorica. In media sono state necessarie due o tre ore per ogni disegno. Non avevo mai lavorato allo specchio ero sempre partita da una fotografia, quindi è stata un’esperienza nuova. Una foto ha dei bordi definiti e invariabili mentre il disegno dal vero è più nebuloso, incostante, non ti permette di concentrarti sul dettaglio, poichè devi lavorare sulla resa della forma generale di un soggetto che, per quanto possa provare a rimanere immobile, cambia continuamente
la sua posizione. Ancora più strano è lavorare su se stessi, essere allo stesso tempo soggetto e oggetto, ma soprattutto sentirsi coscienti di sè, vedersi riflessi su uno specchio e rappresentarsi su un foglio di carta. Penso che possa essere il miglior esercizio possibile per la comprensione di sè, perchè la nostra presenza è amplificata tre volte. Il risultato mi ha lasciato molto soddisfatta, la figura realizzata non era un’idealizzazione di me, ma qualcosa che, pur non essendo uguale, si avvicinava molto a quello che mi sentivo, una figura spogliata di simbolo
o di poesia per rappresentare semplicemente un essere umano. Non ho avuto paura di mostrare i miei difetti e le mie irregolarità ma anzi le ho amplificate, facendo di uno sguardo spento o di un doppio mento un punto d’orgoglio semplicemente perchè fanno parte di me. Il desiderio di crescita e miglioramento è sano e produttivo, ma non per questo bisogna screditare ciò che si ha già. Ad esempio io mi rendo conto che la mia tecnica potrebbe migliorare sensibilmente, ma gli errori che vedo non sono fallimenti, sono punti di partenza per il lavoro successivo. Nella progressione dei lavori si nota soprattutto la diversità tra un soggetto e l’altro. A stento sembrano la stessa persona. Questo è evidentemente un problema di percezione, legato alla mia deliberata volontà di enfatizzare il dettaglio. In questo modo non emerge la definizione della mia estetica o del mio carattere, ma uno spettro dentro al quale oscillo. La realtà non ha una singola interpretazione, così come una persona non può essere rinchiusa dentro rigidi schemi. La comprensione e l’accettazione devono tener conto anche di questo. Io so di essere allo stesso tempo, ma
in momenti diversi, tutte le figure contenute in queste pagine. Sono miei tutti questi atteggiamenti apparentemente in contraddizione tra loro, e me ne sono accorta disegnando semplicemente ciò che vedevo, senza la pretesa di rappresentare alcunchè. Si varia quindi da un’apatica incertezza di una figura tozza ad uno sguardo smunto e malinconico ad una posa sicura con occhi maliziosi. Ciò che ho visto e registrato in quel momento, con modestia e sincerità. Anche il tratto e i materiali, negli autoritratti a tecnica tradizionale di queste due pagine, danno consi-
stenza alla riuscita dell’immagine complessiva. Il senso è che nulla è lasciato al caso, ogni scelta è espressione interiore, dalla carta alla matita alla posa. Questo studio mi ha dato consapevolezza, ma è solo uno studio. Il mio scopo è tornare al simbolo, stavolta rappresentando davvero me.
OPERE
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BLACK HOLE “I’m frantic in your soothing arms - I can not sleep in this down filled
world - I’ve found safety in this loneliness - But I can not stand it anymore - Cross my heart hope not to die - Swallow evil, ride the sky - Lose myself in a crowded room - You fool, you fool, it will be here soon - It comes alive, It comes alive, It comes alive - And I die a little more.” (Unnamed Feeling, Metallica)
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uesto dipinto è il primo risultato nell’applicare le regole che ho imparato. Tutti sono stati realizzati come pitture digitali, con tavoletta grafica Wacom Bamboo e Photoshop CS5. La mia “presenza” in questo lavoro è nascosta, ma riesco a riconoscermi nei pochi tratti che traspaiono. E’ la
rappresentazione della rabbia passivo aggressiva, che si mostra benevola ma in realtà è ancora più pericolosa, poichè non ha valvole di sfogo, e tende a consumare dall’interno chi la prova, che si sente giustificato da questa apparente innocenza.
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TRIBES “Darkness is a harsh term don’t you think? - And yet it dominates the things I see - Stars hide your fires - These here are my desires - And I will give them up to you this time around - And so I’ll be found - With my stake stuck in this ground - Marking the territory of this newly impassioned soul” (Roll Away Your Stone, Mumford and Sons)
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ome il precedente, lo stile di questo dipinto si colloca in un filone leggermente fantasy/dark, pur rimanendo un autoritratto. Dalle immagini nelle pagine successive si può capire meglio il mio metodo di lavoro. Innanzitutto, essendo la mia formazione basata sullo studio del reale, ho bisogno di un riferimento fotografico. Non è un obbligo da seguire può essere stravolto cromaticamente e morfologicamente, ma è necessario per definire meglio volumi e composizione. Questo serve principalmente a evitare tratti troppo stilizzati e simili tra loro, soprattutto nella forma di occhi, naso e bocca. Il secondo passaggio è la bozza del disegno. Le linee non devono necessariamente essere precise o gradevoli, devono semplicemente definire dove si andrà a posizionare un determinato oggetto, comprese ombre e luci. In questa fase si
iniziano a decidere le modifiche dall’immagine iniziale, in questo caso le decorazioni in oro, che daranno al ritratto il suo senso simbolico. Per aggiungere questi dettagli spesso uso altri riferimenti fotografici. La pittura digitale, consentendo di spostare e modificare linee senza cancellarle, offre un ottimo strumento per la realizzazione di un disegno di base soddisfacente. A questo punto si va a definire una palette cromatica. Come si può notare, l’immagine di partenza ha un incarnato blu, mentre io ho preferito
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usarne uno naturale. Ogni pittore digitale ha le sue palette preferite, testate direttamente sul campo di battaglia, oppure trovate online, o definite tramite lo strumento contagocce, che compensa la sua utilità nel realismo con una certa limitazione della libertà espressiva. La palette definisce i toni scuri, medi e chiari, più alcuni accessori, tipo tonalità più verdi o rossastre. Per questo dipinto ho utilizzato dei pennelli digitali che imitano i pennelli piatti reali, con bordi definiti e texturizzati. Per non accentuare troppo la consistenza ho alternato
con il pennello per sfumature, che rende i passaggi cromatici più omogenei. Questo pennello dovrebbe essere usato con parsimonia, perchè tende a dare un effetto troppo finto, soprattutto per gli incarnati. Inizio dipingendo un primo livello con ombre, medi e luci abbozzate, sottotono, senza badare eccessivamente al dettaglio, con dei colori uniformi. Questo livello è una bozza, serve come base per le lavorazioni successive, non ha bisogno di essere esageratamente elaborato. Livello dopo livello, come con le
velature nella pittura, inizio a tirare fuori volumi, sfumature morbide e dettagli. La sovrapposizione di molti colori trasparenti permette di ottenere precisamente la tonalità che si desidera in uno specifico punto. Impostando dimensioni e risoluzione adeguatamente alte si è liberi di lavorare minuziosamente nei dettagli, e di ottenere, in caso, una stampa di buona qualità. Alcuni dettagli della pelle, come pori e macchie, sono stati aggiunti tramite texture fotografiche sovrapposte con vari metodi di fusione, per aumentare la sensazione di realismo.
E’ però sempre importante ridurre il lavoro mentre si dipinge, in modo da poterlo osservare nella sua interezza, e definire un senso oltre al virtuosismo. In questo caso io volevo rappresentare una forza primordiale, come quella di una mistica regina delle foreste, con uno sguardo fermo e pericoloso, come una pantera.
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PARTIALLY “It took so long for me to speak up - It was the hardest thing to say - Taken right up to the entrance - At the last minute turned away - Just can’t look you in the eyes - So let’s dim the lights - Get a case out - Pack up your pride - It’s over, we’re out of time - Delete me - I’m on your side - For everything that could have been - At least we took the ride - There’s no relief in bitterness - Might as well let it die” (Encoder, Pendulum)
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n questo dipinto il fantasy è stato sostituito con il fantascientifico, e il dark con delle tonalità quasi pastello. Il punto centrale, sia dal punto di vista strutturale che concettuale, è il contrasto. Infatti i colori prevalenti sono il viola e il giallo, che sono complementari, ovvero opposti nel cerchio cromatico. Questo mi ha dato anche l’occasione di sviluppare in maniera più chiara e approfondita un incarnato violaceo: per questo dipinto ho dovuto trovare una nuova palette per la pelle, non potendo fare affidamento sulla collaudata realistica, nè tantomeno sul contagocce. Da qui si può aprire una piccola parentesi: ho voluto inserire le foto iniziali per far capire quanto esse servano solo come punto di partenza. Non credo sia neanche necessario avere delle foto scattate con professionalità, a meno che non si voglia raggiun-
gere un risultato iperrealista e completamente identico al riferimento. Io sostanzialmente mi trovo ad usare le fotografie per pose, espressioni e ombre, anche se per rendere l’espressività un ottimo metodo è fare la faccia che si vuole rappresentare, aiuta ad essere in sintonia con il sentimento che si vuole raffigurare. Sentimento che in questo caso è la sensazione di essere parziale. La tecnica rispecchia il significato: ho usato dei pennelli pesantemente texturizzati, senza mai ricorrere a sfumature, per dare l’idea di qualcosa di grezzo
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e incompleto. E’ allo stesso tempo riflessione concettuale e confessione personale: il punto di partenza è stato un discorso legato alla realtà digitale e alle intelligenze artificiali, che, nella visione comune, sono percepite come difettose, in quanto mancanti dei fondamentali attributi di “realtà” e “umanità”. La figura rappresentata potrebbe essere un androide, a tutto diritto una forma di vita, parzialmente inserita nel mondo fisico, tramite il corpo, e parzialmente in quello digitale, tramite la sua programmazione. Trovandomi io stessa in una condizione di incer-
tezza, più mondana, dato che stavo ristrutturando casa, mi sono particolarmente riconosciuta dell’idea di non avere un luogo legittimo. I solchi sul viso sono presi da uno strappo in una scatola di cartone ondulato, e la forma che avevano mi ha affascinata moltissimo, ed è praticamente stata il punto di partenza. La macchia su cui si si diramano potrebbe essere tanto ruggine quanto oro: la parzialità è una condizione ambigua, di rovina o di valore, è il punto di svolta per un cambiamento. Le reazioni possibili sono di spavento o di sorpresa, tutto sta all’inter-
pretazione. Sono molto soddisfatta dell’ambiguità del risultato, perchè anche io stessa ho dubitato del valore assoluto di questo dipinto: non ne ha uno, l’interpretazione positiva o negativa deriva direttamente dallo stato emotivo di chi la guarda. Credo che questo sia uno dei miei autoritratti meglio riusciti, la mia figura è riconoscibile, e concentra in maniera armonica e reale molti elementi della mia personalità e del mio vissuto, essendo ambiguità e scelta temi a me molto cari. L’unica vera differenza con me sono gli occhi. Di persona so di avere degli
occhi davvero poco espressivi, mentre nei miei disegni è l’esatto opposto, per compensazione. Trovo che i miei occhi rappresentati comunichino molto meglio dei miei occhi reali. Nella realtà il mio mezzo di comunicazione prediletto è l’espressività della bocca, elemento che già inizia a venire espresso in questo dipinto.
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WAY OUT “Once I rose above the noise and confusion - Just to get a glimpse beyond this
illusion I was soaring ever higher, but I flew too high - Though my eyes could see I still was a blind man - Though my mind could think I still was a mad man - I hear the voices when I’m dreaming - I can hear them say - Carry on my wayward son - There’ll be peace when you are done - Lay your weary head to rest - Don’t you cry no more” (Carry on Wayward Son, Kansas)
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entre proprio la bocca è il centro focale di questo dipinto. La volontà di mantenere un aspetto grezzo è più evidente, e sebbene sia un dipinto digitale cerca di imitare la sensazione data dal tratto a matita, realizzata tramite un pennello apposito. La costruzione è stata un po’ diversa rispetto alle altre volte: la prima mano è molto geometrica, e ha dei colori completamente diversi dal risultato finale, che è la sovrapposizione paziente di piccoli tratti dai colori brillanti. Per questa seconda, e stranamente ultima, mano ho usato principalmente rossi, aranci e gialli puri, la trasparenza non è data dall’opacità del colore ma dal limitato spessore del tratto. L’effetto che volevo rendere era di una ragnatela o di un gomitolo, qualcosa di confuso, contorto e complesso.
Come si può notare dall’ultima immagine nella pagina successiva, ho deciso di fare un cambiamento in direzione d’arrivo: il passo precedente a quello finale è molto più pieno e lavorato, si era perso il rapporto con lo sfondo. Quindi ho deciso di cancellare solo in alcune zone il livello base, lasciando trasparire il nero e amplificando la sensazione di ruvida incompletezza. E’ quel genere di ripensamento possibile solo grazie alle tecniche digitali. Per la prima volta ho tralasciato gli occhi: in questo dipinto perdono la
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loro solita carica espressiva per lasciare il posto alla mia gioia e la mia croce: le labbra. La bocca è una parte del volto che ho sempre adorato, forse soprattutto per la mia difficoltà a mantenere un contatto visivo, che mi ha portata a concentrarmi sui movimenti delle labbra durante una conversazione. Proprio per questo in situazioni di disagio tendo a coprire la bocca, perchè sono cosciente di tutti i piccoli movimenti che fa, e son sicura che possa esser letta molto più facilmente dei miei occhi. Nonostante questo rapporto privilegiato, ho sempre avuto molte dif-
ficoltà nel disegnarla, nel rendere la morbidezza, il leggero stacco cromatico con la pelle, che diventa poi fortissimo con il nero del cavo orale, ma soprattutto ho sempre avuto paura di rappresentare le piccole crepe che danno forma e consistenza. Ho provato a farlo qui, con una bocca rossa, allungata, espressiva anche nella sua deformazione. Mi sono davvero messa alla prova, cercando di rappresentare l’elasticità giusta, lo sforzo, senza cadere nel grottesco o nel caricaturale, volevo che mostrasse l’intensità di un momento ambiguo, sofferto ma pieno di forza. Pen-
so che il risultato sia stato adeguato alle aspettative, e alla fine di questo percorso sono addirittura riuscita a rappresentare la parte di me che più conosco come mia. Quello che più emerge, sia per il metodo sia per l’oggetto della rappresentazione, è un’idea violenta. Ma questa interpretazione non potrebbe essere più lontana della realtà dei fatti: è infatti un’opera che parla di crescita personale. Le mani che artigliano il volto non hanno un intento violento, ma deciso. Per raggiungere determinati risultati, è necessario un sacrificio, che spesso è un periodo di soffe-
renza che permetterà di raggiungere uno stato migliore. Così è nella vita emotiva, in cui i traumi devono essere rivissuti per essere superati; così è in quella fisica, in cui l’esercizio e il dolore portano i muscoli a crescere e a rafforzarsi; così è in quella artistica, in cui un paziente, e spesso frustrante, studio permette di mettere al mondo le proprie creazioni.
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RINGRAZIAMENTI P
otrà essere scontato, ma prima di tutto vorrei ringraziare la mia famiglia. Si sono accorti abbastanza presto della mia passione per il disegno e l’arte, e l’hanno sempre supportata, sia in termini economici che di incoraggiamento. Mia madre specialmente mi ha spinta dove avevo paura di andare, indirizzandomi verso la serietà ed il lavoro, principalmente nel campo della grafica. Ha anche una collezione con tutte le mie locandine, e ha sparso i miei biglietti da visita tra tutti i suoi conoscenti. Mio padre si è fatto riempire la barba di pittura verde per farmi fare una foto per un dipinto, e penso che questo dica tutto. Mia sorella ha avuto l’onore/onere (e soprattutto la pazienza) di posare per me quando ho iniziato a disegnare. E anche in tempi recenti, quando con suo disappunto la sua faccia si è trovata coinvolta nella mia passione per i tratti più “brutti” del volto. Il quadro però è venuto benissimo. Parte della famiglia va anche considerata Camilla. Lei è la mia Musa. Punto. Lei è l’entusiasmo puro per tutto ciò che produco. Detiene anche la più ampia collezione privata di miei dipinti/disegni/cose. Jacopo avrebbe dovuto correggermi le bozze, ma è improbabile che lo farà sul serio (invece l’ha fatto). Va comunque ringraziato perchè c’è sempre, soprattutto per una critica costruttiva, una cosa davvero rara da trovare, non solo in pittura. Ultimo, ma assolutamente non meno importante, Adriano. Gran parte di ciò che sono lo devo a lui, mi ha aperto un mondo e mi ha salvato la vita. Ha sempre creduto in me, a volte molto di più di quanto lo facessi io stessa, e questo mi ha dato tantissima forza per andare avanti.
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SITOGRAFIA Il mio sito web: http://biancagambrioli.wix.com/biancagambrioli Il mio portfolio Behance: https://www.behance.net/biancagambrioli La mia pagina Deviantart: http://lilythula.deviantart.com/ Il mio blog Tumblr: http://lilythula.tumblr.com/ Il sito del mio Maestro: http://www.adrianofida.com/ Informazioni sull’autoritratto: https://it.wikipedia.org/wiki/Autoritratto Pennello PS matita: http://n-a-r-i.deviantart.com/art/ Pencil-Brush-by-Nari-2nd-EDITION-416255384 Pennello PS tradizionale: http://sandara.deviantart.com/art/My-brushes-351007003
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Vedere, guardare ed osservare. Tre verbi molto simili a cui questo testo fornisce differente interpretazione. Autoritratto non è un manuale tecnico, non si arroga il diritto di poter comunicare alcun insegnamento tranne che tramite la personale esperienza dell’autrice. Esso è una raccolta di parole, annotazioni e pensieri, un diario scritto a posteriori che ripercorre i singoli passi dell’esperienza pittorica che è la scoperta della propria immagine ritratta su di una tela, spesso una rappresentazione che spaventa poiché ha come requisito l’accettazione della realtà. Accompagnare una giovane ragazza durante questo percorso porta ad osservarne i cambiamenti di prospettiva e di considerazione di sé; mutazioni e ripensamenti che la seguiranno sino al varcare la soglia della maturità in cui riesce ad osservare il mondo e ritrarlo senza averne timore. Un piccolo viaggio interiore che porta alla riflessione e dà lo spunto per intraprendere il proprio alla ricerca di un accettazione di cui spesso si sente troppo la mancanza. Luigi Jacopo Santamaria
Bianca Camilla Gambrioli è nata a Cagli (PU) nel 1993, ma ha vissuto a Roma per tutta la sua vita.. Si è diplomata al Liceo Classico, ha frequentato per due anni il corso di Disegno Industriale alla facoltà di Architettura all’Università la Sapienza di Roma, per poi scoprire la sua strada specificamente nel Graphic Design. Attualmente frequenta il corso di Grafica Editoriale all’Accademia di Belle Arti di Roma. E’ allieva da quattro anni del Maestro Adriano Fida, pittore figurativo italiano di fama crescente. Da lui ha appreso il disegno realistico e le tecniche pittoriche.