Kerdemix: Autodeterminazione in Forma Ludica

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI ROMA Dipartimento Progettazione e Arti Applicate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa

Diploma di Laurea di I Livello

Corso di Grafica Editoriale

Titolo

KERDEMIX:

Autodeterminazione in forma ludica

Anno Accademico 2017/2018

RELATORE: Prof. Enrico Pusceddu

CANDIDATA

Bianca Camilla Gambrioli Matricola: 12361


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ABSTRACT “Kerdemix” è il progetto di un gioco da tavolo di ruolo con narrativa ed estetica fantasy, dedicato ad una nicchia di giocatori

devoti disposti a dedicare molte ore a svolgere questa attività in compagnia, lasciandosi stimolare dai suoi ricchi temi, soprattutto

a livello visivo. Il punto focale di questo gioco è la differenza tra i vari tipi di libertà, quindi l’autodeterminazione dell’individuo e il suo rapporto con l’altruismo e l’individualismo, ma anche il contributo che ha la diversità di influssi in questo legame.

La tesi è strutturata in una parte pratica, ossia il gioco in sè, nella forma di tabellone, carte informative, pedine dei personaggi;

ad essa è strettamente legata una relazione teorica che va ad analizzare gli aspetti specifici a livello stilistico e storico del genere

fantasy e del gioco da tavolo, una parentesi sulle implicazioni etiche, e un artbook che va ad esplicare le scelte di design adoperate.

FONTI ICONOGRAFICHE

La seguente pubblicazione è composta nella parte pratica da immagini originali realizzate dall’autrice propriamente per il progetto di tesi. Tuttavia per la parte teorica per esplicare al meglio gli aspetti stilistici e artistici degli argomenti trattati sono stati inseriti dei contenuti scaricati dal web. L’autrice non possiede i diritti di queste immagini, e si riserva di utilizzarle senza scopo di lucro a fine illustrativo, riportandone sempre il titolo e l’autore,/autrice, conscia che queste opere non le appartengono intellettualmente.


Sommario PREFAZIONE 10 INTRODUZIONE 12 La Storia Reale 13 La Storia Fantastica 14 Il Gioco 16 Cosa c’è Dietro 17 CAPITOLO I: FANTASY

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FONDAMENTI 20 La Sospensione dell’Incredulità Caratteristiche del Genere 21 Il Viaggio dell’Eroe 23

21

PANORAMICA STILISTICA 26 Tipi di Narrazioni 27 Generi e Sottogeneri 28 PANORAMICA STORICA Storia e Magia 35 Preistoria 36 Iconografia Antica 37 Epica Mesopotamica 40 Mitologia Greca 41 Cultura Celtica 43 Miti Norreni 46 Epica Cavalleresca 47 Rappresentazioni Pittoriche Letteratura per Ragazzi Letteratura per Adulti Letteratura Contemporanea Illustrazione 64 Cinema e Serie TV 72 Videogames 77 Gdr e Giochi da Tavolo

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49 54 55 59

79

CAPITOLO II: GIOCHI DA TAVOLO FONDAMENTI 82 L’Istinto del Gioco 83 Le Regole 84 Il Flusso 84 L’Eustress 86 PANORAMICA STILISTICA 88 Generi di Giochi 89 PANORAMICA STORICA La Piramide dei Bisogni India 94 Preistoria 94 Egitto 95 Grecia 96 Roma 96

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92 93

80


Cina e Giappone 97 Giochi Moderni 98 Wargames 99 Giochi di Ruolo 101 Magic: The Gathering CAPITOLO III: TEMI

102

106

FILOSOFIA E MORALE 108 Il gioco e la Consapevolezza 109 Buddhismo 110 Kant 112 Diversità 113 CAPITOLO IV: DESIGN

114

CHARACTER DESIGN Fondamenti 117 Avventuriera 1: Kriake Avventuriero 2: Norio Avventuriero 3: Hulagu Avventuriera 4: Cualee Stregone 127 Incantatrice 128 Mercante 131 Orafo 132

116

ENVIRONMENT DESIGN Fondamenti 135 Villaggio Portuale 138 Villaggio Assolato 141 Villaggio Paludoso 142 Villaggio Geotermico Villaggio Boscoso 146 Altare di Kandt 149 Stregone 150 Incantatrice 153 Mercante 154 Orafo 157

134

119 120 123 124

145

GRAPHIC DESIGN, INTERFACE & PACKAGING 158 Logo 159 Applicazioni 160 Cristalli 162 Creature 162 Caselle Speciali 163 Punteggi 163 Icone 163 Carte, Pergamene ed altri Oggettini 165 Possedimenti 167 Scheda Personaggio 169 Scatola 171 BIBLIOGRAFIA 174 RINGRAZIAMENTI 176


P r e fa z i o n e

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INTRODUZIONE 12


La Storia Reale Kerdemix ha avuto un lungo sviluppo. E’ nato nella

mente del suo creatore, Silvio Corso, durante un periodo difficile passato nel 2014, e questo gioco è stato la sua salvezza, dando uno scopo e una direzione alle sue abilità, mettendo insieme l’intuizione, la strategia

e la programmazione acquisita dopo lunghi anni di

esperienza passati su giochi da tavolo e su videogiochi, per creare un tabellone artistico e innovativo che combini diverse tipologie di giochi scelte tra le sue

preferite. Durante una lezione di “Fondamenti di Au-

tomatica” decide quindi di chiamare il suo gioco nascente “Kerdemix”, utilizzando la parola chiave KER

rappresentante il nucleo in ambito matriciale, un ca-

posaldo delle applicazioni lineari che fornisce informazioni fondamentali sul comportamento dell’appli-

cazione considerata, e la preposizione DE, puramente

decorativa, accostata a MIX sintomo del miscuglio di emozioni, esperienza e applicazioni riconducibili al gioco stesso.

Questa passione e l’utilità che ne è derivata hanno

infuso forza nello sviluppo di quello che è un regola-

mento estremamente complesso, che ha avuto bisogno di varie limature, passate di mano in mano tra

amici e parenti disponibili. Tra queste persone risulto

anche io che scrivo questa tesi, da quando nel 2015, durante una serata in un pub, Silvio mi ha coinvolta

nel progetto chiedendomi di portare alla luce la sua visione tramite delle illustrazioni. Inizialmente, l’ho aiutato a definire in maniera più chiara proprio questa visione, collaborando con lui per creare un sottobosco

narrativo più coerente che potesse motivare i gioca-

tori ad approfondire la conoscenza di questo mondo immaginario, aumentandone il significato simbolico e soprattutto etico. Successivamente mi sono dedicata alla rappresentazione vera e propria, prendendo que-

sto mito appena creato e trovando un modo di rappresentarlo in maniera appropriata tramite la pittura

digitale, studiando approfonditamente i linguaggi del character e environment design così come gli stilemi

propri del genere fantasy, arricchendo la mia compeLe due menti che stanno dietro a Kerdemix. DALL’ALTO:

Bianca Camilla Gambrioli: illustrazioni e graphic design Silvio Corso: proprietà intellettuale e regolamento

tenza con letture, workshop e corsi appositi, conden-

sati poi nei capitoli di questa tesi. Ecco a voi, quindi, tutto ciò che è dietro il mondo di Kerdemix.

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La Storia Fantastica Più di mille anni fa Kerdemix era un sereno

arcipelago composto da cinque isole poco distanti tra loro, nelle quali gli autoctoni avevano

sviluppato particolari abilità magiche derivanti dalla tipologia di habitat in cui vivevano. Col

passare del tempo, i Kerdemiti che popolavano

l’arcipelago compresero che il rispetto del valore, della dignità e della diversità di ogni essere

vivente avrebbe accresciuto il loro benessere e le loro competenze magiche, dando la possibilità di

far sorgere maghi completi in grado di effettuare evocazioni di ogni genere. Il prolifico arcipelago era quindi destinato ad un’espansione economica

e culturale tale da far invidia a qualsiasi altra regione del mondo, e così accadde.

Paesi lontani si indispettirono e cercarono di

invadere Kerdemix per fermare la loro esponen-

ziale crescita di potere. I solidali abitanti unirono

ancor di più le loro forze collegando artificialmente le isole. quindi consentendo spostamenti

rapidi e difese strategiche: la grande isola Kerdemix divenne una fortezza magica inespugnabi-

le. Durante le continue battaglie sui vari fronti, gli strateghi nemici non individuarono punti

di debolezza e decisero di inviare dei sabotatori per creare confusione tra i villaggi cercando

di creare disagi nei loro traffici commerciali e, per insinuare tra di loro la pericolosa condizione mentale del dubbio. Kerdemix tentennò, alcuni abitanti caddero in depressione per il susseguirsi di guerre, altri non riuscivano più a fidarsi dei vicini e compagni, certi maghi si tolsero la vita per

non rischiare di farsi contagiare dal male. Coloro

che “scelsero” di farsi influenzare e di non reagire ai negativi fattori esterni, avevano oramai reso l’oscurità vittoriosa.

Durante le cruente battaglie a meridione, un

abile mago di nome Kirk del villaggio Paludoso, comprese il momento di debolezza di Kerdemix

e decise di approfittarne autoproclamandosi dittatore. Con la scusa di liberare il popolo dalla

malvagità esterna, diventò lui stesso il motivo della disfatta dell’isola. Kirk incoraggiò i Kerdemiti

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contagiati dal male a unirsi alla sua causa, sottrasse energia vitale agli abitanti ancora sani ottenendo così immensi poteri e trasformandosi lentamente

in demone, il demone mago più potente al mon-

do. La sua alterazione psicofisica ebbe come effetto

principale un’insana possessività compulsiva: per

proteggere la sua terra dagli attacchi esterni innalzò

una barriera impenetrabile che circondasse l’isola

impedendo l’attraversamento a oggetti e persone; per impedire l’uso di magie intrappolò la sapienza magica prodotta dai cinque villaggi all’interno di

cristalli di energia; per non essere pugnalato alle spalle evocò il potente colosso Zabbor e altri forti combattenti al suo servizio; infine per controllare

al meglio i Kerdemiti, creò l’altare Kandt, al centro del regno Kerdemix, che divenne il suo trono e negò ogni forma di comunicazione, di sviluppo e di amore tra i villaggi, distruggendo chiunque volesse interferire con il suo malato piano egoistico.

Dopo molti anni di arrendevolezza, alcuni uomi-

ni coraggiosi ebbero l’intento di ripristinare sane

connessioni tra le cinque province di Kerdemix ma la presenza mentale del demone e i suoi guerrieri non furono mai sconfitti definitivamente. Kirk si

rese conto che la fondamentale sofferenza dell’invecchiamento stava indebolendo la sua pressante

gestione e capì di doversi collocare in un luogo più

sicuro. Creò quindi il monte Revers, una maestosa montagna con la punta rivolta verso il basso e un sentiero che sale vorticosamente, difficile da percorrere e pieno d’insenature dove far vivere i suoi abili combattenti difensori. Sulla cima tonda e

piatta dell’ostile montagna risiede ora il malvagio Kirk che da fin troppo tempo controlla e si intro-

mette comodamente, in ogni movimento sospetto, tra gli abitanti di Kerdemix.

Appena ti svegli, Kirk ti sussurra malvagia-

mente questo messaggio: “Ti conosco da quan-

do sei nato, non provare a sfidarmi! Uccidi gli altri, ti aiuterò”.

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Il Gioco Unendo il classico tabellone a serpentina re-

golata da un dado con la lotta tra creature tipica dei giochi di carte collezionabili (tipologie che verranno esplicate nel capitolo dedicato alle varie categorie di giochi), Kerdemix risulta una

mescolanza di gioco di fortuna, strategico e

di ruolo. I giocatori scelgono uno degli otto avventurieri disponibili, e possono decidere del loro destino all’interno del mondo di Ker-

demix. Infatti ci sono due modi per vincere il gioco: essendo Libero o Liberatore.

Chi è Libero decide di mettere la sua auto-

determinazione sopra quella degli altri abitan-

ti, slegandosi dal giogo del tiranno realizzando

esattamente i suoi piani. Potranno infatti gi-

rare liberamente per cercare di sconfiggere ed eliminare chiunque si ribelli al demone, competendo per la supremazia, libero in un mon-

do di schiavi. L’essere Libero coesiste con le

proprie necessità, nel concetto di autonomia, obbedendo ad una legge che si è liberamente scelta.

Chi è Liberatore invece preferisce che tut-

ti siano liberi insieme a lui, ponendosi come

arduo obiettivo quello di uccidere il demone, e potrare la pace e la comunicazione all’interno di tutte le terre. Essere Liberatore significa esternare il desiderio di passare alla storia donando a tutti gli esseri viventi di Kerdemix, la

libertà di agire e pensare senza alcun impedimento dettato dal demone.

Per compiere questi obiettivi i giocato-

ri avranno delle monete d’oro, per comprare merci, dei punti vita, che ne determinano la

sopravvivenza fuori dal Limbo, dei punti fato

per cambiare la sorte dei dadi, dei cristalli

per poter usufruire della magia, dei soldati al proprio servizio per poter combattere stra-

tegicamente contro i nemici, degli amuleti e

delle propietà terriere che garantiscono bonus giornalieri, e degli incantesimi che si possono

acquistare per combinare la magia dei cristalli,

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interagendo con personaggi come lo stregone, l’incantatrice, i mercanti e gli orafi.

Le varie azioni sono suddivise tra mattina,

pomeriggio e sera, e la fase psico collaborativa in cui tutti i giocatori partecipano contempo-

raneamente per guadagnare ulteriori cristalli. Durante la fase di movimento le scelte fatte sono fondamentali, perchè daranno forma a diversi stili di gioco, basati su obiettivi differenti, a breve o a lungo termine, tramite la scelta su quali risorse acquisire.

Cosa c’è Dietro Nei quattro capitoli che compongono questa tesi andremo quindi ad analizzare tutto il mondo teorico e storico dietro la crea-

zione di questo gioco, partendo dal genere letterario al quale appartiene, ovvero il fantasy, che per sua natura esplora il rapporto

tra il bene ed il male tramite il simbolismo e l’immaginazione, arrivando fino alle rappresentazioni moderne e contemporanee

dell’illustrazione, senza dimenticare però le radici pittoriche nella storia dell’arte. Si passerà poi all’analisi del gioco da tavolo, concentrandosi inizialmente su un argomento spesso ignorato, ovvero l’utilità piscologica e sociale dei giochi, non solo passatempi di evasione ma storicamente veri e propri baluardi di benessere e cambiamento. Da qui ci si collegherà quindi alle varie

filosofie che hanno alimentato la creazione di questo gioco, tra cui il buddhismo, l’etica kantiana e la celebrazione della diversità.

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Capitolo I: Fantasy

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FONDA MENTI 20


Caratteristiche del Genere “Fantasy” è il termine inglese per narrativa fantastica, ovvero un tipo

di racconto che non è basato su delle regole dettate dalla coerenza storica o naturale, lasciando quindi grande libertà di creazione e rappre-

sentazione all’autore. Per la gran parte è associato alla presenza della

magia e di creature sovrannaturali, ed abientato in mondi molto diversi dal nostro, con una particolare attenzione al conflitto tra Bene e Male.

Nonostante abbia molti tratti comuni con dei generi consanguinei

come la Fantascienza e l’Horror, se ne distingue per delle canonizza-

zioni chiare e per le tematiche trattate, che nel primo sono fortemen-

te influenzate dalla visione del futuro e da una tecnologia credibile, e nel secondo dalla forte presenza di tematiche spaventose e a volte disgustose. Abbraccia moltissimi tipi di elaborati umani, dall’arte alla

letteratura alla cinematografia, e preso nella definizione più estesa del

termine è stata una delle prime espressioni narrative dell’umanità: la mitologia. Ancora oggi molte opere contemporanee prendono a piene

mani ispirazione dai miti antichi, sia direttamente riesumando divinità

di culti pagani, sia indirettamente nella ripresa della struttura narra-

tiva. Nell’immaginario comune però è più facile vedere associata a

questo genere un’estetica medioevale o gotica, con delle connotazioni storiche ben precise destinate a dare realismo al mondo immaginario

creato. Questa si può considerare una forte contraddizione insita nel genere: da una parte infatti è legato alla massima creatività, dall’altra Differenze stilistiche tra i tre generi di fiction: (pagina a fianco)

FANTASY: “Paladin” di Huru Namba

deve essere reso coerente da un filo comune che ne leghi gli elementi, in modo da non infrangere la sospensione dell’incredulità.

(sopra)

HORROR: “Sketch 82” di Riley Dannenbring

FANTASCIENZA: “Layout 2” di Emmanuel Shiu

La Sospensione dell’Incredulità Tale fenomeno è stato descritto per la prima volta nel 1817 da Samuel Taylor Coleridge nella sua “Biographia Literiaria”:

“Venne accettato, che i miei sforzi dovevano indirizzarsi a persone e personaggi sovrannaturali, o anche romanzati, e a trasferire

dalla nostra intima natura un interesse umano e una parvenza di verità sufficiente a procurare per queste ombre dell’immaginazione quella volontaria sospensione dell’incredulità momentanea, che costituisce la fede poetica”. In questo modo quindi il

lettore accetta che alcune norme che regolano l’universo di cui sta usufruendo non siano compatibili con quello in cui ci si trova, a favore del proprio divertimento e del senso del meraviglioso. Questa accettazione non è però infinita, ma anzi è una linea che è

bene non oltrepassare, perchè non appena subentra la logica il fruitore si distacca immediatamente dall’opera. Per evitarlo quindi

vengono creati dei canoni coerenti tra loro, e dei limiti agli avvenimenti fantastici: per esempio, in delle storie in cui è presente

la magia, questa non sarà onnipotente, ma avrà dei vincoli come l’energia (che si consuma di più negli incantesimi più potenti),

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la morale (ad esempio nella magia oscura o del sangue che richiede sacrifici umani) o la natura

(alcune specie potrebbero non essere naturalmente predisposte ad essa). E’ un concetto par-

ticolarmente importante soprattutto nell’ambito

del design di personaggi e ambienti, perchè la sua percentuale può cambiare drasticamente il

carattere di un’opera: si nota subito una differenza stilistica tra gli spallacci giganteschi, pe-

santissimi e pieni bi spunzoni di un orco del

videogioco online World of Warcraft, a bassa

credibilità, rispetto a quelli discreti e funzionali di The Witcher. Inoltre l’illustratore deve man-

tenere coerenti anche le sue fonti di ispirazione,

soprattutto se si rifà ad una specifica cultura, per evitare spiacevoli fenomeni di errata appropriazione culturale o incomporesioni degli elementi visivi o artistici di un determinato pe-

riodo storico, come potrebbe essere errato piantare un abete nel deserto. L’abuso costante di

questa sospensione però porta alla creazione di clichè, che a meno che non siano volutamente

intenzionali e parodici spesso denotano la scarsa qualità di un’opera.

(sopra)

“Ezrev vs the Frost Giant” di Brian Marvin P. Sola

“Witchcraft” di Anna Soliak

(sotto)

La differenza tra la credibilità di The Witcher (a sinistra) e quella di World of Warcraft (a destra).

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Il Viaggio dell’Eroe Spesso confusi con i clichè sono i tropos narra-

tivi, che in questo genere sono stati ampliamen-

te studiati dal mitologo americano Joseph John Campbell (1904-1987), che forgiò la teoria del

Monomito e del Viaggio dell’Eroe. Partendo dalle definizioni Jungiane di archetipi, Campbell sosteneva che ogni narrazione mitica o fantastica

è in realtà una variazione di una singola grande

storia, data la corrispondenza di strutture in miti

provenienti da luoghi e tempi molto diversi tra loro, che variano per rendere più comprensibile e contemporaneo il valore che l’opera vuole tra-

smettere. Riassume il concetto citando un inno

dai Rigveda, testi sacri dell’Induismo, che così recita: “Una è la Verità, ma i Saggi la chiamano

con molti nomi”. Questo senso è per lui legato al concetto di una psiche inconscia comune a tutta

l’umanità, che cerca di rendere il mondo “trasparente alla trascendenza” trovando un significato ai fenomeni della nascita, della vita e della morte

spiegandoli con delle metafore ultraterrene che possiamo riscontrare proprio nei miti, soprat-

tutto se cosmogonici, ovvero della creazione del mondo.

Espletavano inoltre un’importante funzione

sociale per il mantenimento di determinate re-

gole dello status quo, stimolando un ordinato conformismo visto come unica naturale direzio-

ne di vita. Campbell identifica questi bisogni in

quello che chiama il Viaggio dell’Eroe, ovvero una serie di tappe fisse che il protagonista di

queste narrazioni deve affrontare per poter far

raggiungere la catarsi nello spettatore tramite

(dall’alto verso il basso)

“La Tortura di Prometeo” Gioacchino Assereto Il Re Leone Buddha

“Mosè” di Guido Reni

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delle grandi sofferenze, descritte nell’opera “L’Eroe dai Mille Volti” del 1949. L’eroe parte nel suo mondo ordinario, dominato dalle sue consuete abitudini, con un certo grado di pace, ma riceve una chiamata all’avventura dentro un al-

tro mondo, popolato da strani poteri ed eventi, che rappresenta il suo inconscio. Accettando questa chiamata dovrà affrontare delle sfide, da solo o assistito da

compagni o oggetti magici, che metteranno alla prova le sue abilità, arricchen-

dolo ogni volta di una nuova proprietà fisica o caratteriale. In ultima istanza verrà messo alla prova da un’esperienza radicale, vicina alla Morte, come rap-

presentazione del cambiamento, e riuscendo a sconfiggerla riceverà un premio, ovvero l’autocoscienza che porterà con sè di nuovo nel mondo ordinario, spesso

sotto forma di nozze alchemiche nel ricongiungimento con la propria metà nell’androgino, l’essere completo (ovvero, sposerà la principessa).

Riassunto ai minimi termini consiste quindi in una successione di Separazio-

ne, Iniziazione, e Ritorno. Classici esempi di questo schema sono considerati Prometeo, Buddha, Mosè, Maometto e Gesù, o in tempi più moderni la saga

di “Star Wars” del 1977 di George Lucas (da molti considerata più fantasy che fantascienza), “Il Re Leone” della Disney (1994), il videogioco del 2012 “Jour-

ney”, e l’arco epico di Magic: the Gathering “The Weatherlight Saga” (19972001) e molti altri.

(a sinistra)

The Journey

(sopra)

Luke Skywalker di Star Wars

“Cristo Crucificado” di Diego Velasquez

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Panora mica Stilistica 26


Tipi di Narrazioni Fondamentale è quindi l’intersezione tra il

mondo ordinario e quello straordinario, che la storica e scrittrice Farah Jane Mendlesohn

(1968) analizza nel suo libro “Retorica del Fantasy” (2008), riconoscendo diversi tipi di interazioni.

La prima è il Portale, letteralmente un passag-

gio tra i due mondi, che ne spiega la separazione, e spesso porta a narrazioni in cui i protagonisti devono esplorare il mondo non proprio, come

ne “Il Leone, la Strega e l’Armadio” (1959, C.S. Lewis) o “Il mago di Oz” (1900, L.F Baum).

Non c’è differenza tra mondo reale ed immagi-

nario nel tipo Immersivo, nel quale gli elementi meravigliosi non sono messi in discussione nel

contesto della storia, percepita tramite l’espe-

rienza di un protagonista nativo di quel mondo, come nella maggior parte dei racconti ambientati in un contesto medioevalizzato, come “Il Si-

gnore deli Anelli” (1954-1955 J.R.R. Tolkien) o

il ciclo di “Shannara” (1977-in corso, T. Brooks). E’ invece catalogato come Intrusivo quando ad

una narrazione fortemente realista si insinuano delle caratteristiche sovrannaturali, che rompo-

no l’equilibrio del protagonista che dovrà gestir-

(pagina accanto)

“Seraph” di Antonio De Luca (dall’alto verso il basso) PORTALE:

“Senza Titolo” di Robin Combol

Il Leone, La Strega e L’Armadio IMMERSIVO:

“House Building” di John Odgson INTRUSIVO:

“Weird” di Brandon Hanserd (pagina seguente) LIMINALE:

“Hatzegopteryx” di Elisa Tamagnoli

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le, come in “Dracula”(1897, B. Stoker) e nelle

opere di H.P. Lovecraft (1890-1937). L’ultimo tipo, più raro, è considerato il Liminale, spesso

utilizzato in maniera satirica o ironica, in cui il

mondo appare quello ordinario ma è in realtà popolato da avvevimenti straordinari, che sono

normali per il protagonista ma spaesanti per il

lettore, come la saga di “Artemis Fowl” (20012012, E. Colfer).

Generi e Sottogeneri Questi diversi tipi di commistioni e declinazioni della narrazione hanno dato vita negli anni a diversi sottogeneri del Fantasy,

che sono fortemente caratterizzati sia a livello tematico che, più interessante ai fini di quest’analisi, visivo. Alcuni sono diret-

tamente derivati da alune opere fondamentali che hanno aperto la strada a cloni ed emulatori, altre sono dovute all’evoluzione

culturale del mezzo narrativo, che vedremo in maniera più approfondita nella sezione dedicata alla panoramica storica. Il tipo più diffuso e riconoscibile è sicuramente il genere Epico, o High Fantasy, definizione coniata dallo studioso Lloyd Alexander nel 1971, che indica un mondo di tipo Immersivo solitamentre narrato dall’Eroe, un personaggio più comunemente giovane

che deve maturare e sviluppare un suo speciale talento o abilità, al fine di sconfiggere delle forze oscure. Proprio questo conflitto tra il Bene e il Male è uno dei punti focali, e il dilemma morale è spesso acuito dal grande svantaggio di forze a favore della malvagità, che però poi inevitabilmente soccombe. A livello di design ci saranno delle nette differenze tra le due fazioni: il

Bene sarà chiaro, con colori caldi come tonalità di marrone, arancio, verde vivace se non direttamente il bianco, in figure pulite

(da sinistra)

EPICO

“Applibot” di Alex Negrea

“Champions of Purity” di Michalivan Duqolo

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e infantili oppure stoicamente solide, mentre per

il Male prevarranno tinte scure, colori metallici, rossi scarlatti, viola o verdi acidi, con decorazioni

ricche di punte o spirali, su creature mostruose e

simili a degli animali. Solitamente è ambienta-

to in un mondo simile al medioevo europeo o al primo rinascimento, ma anche a decorazioni ad intreccio di tipo vichingo o celtico. L’esempio

perfetto è ovviamente il Signore degli Anelli, che soprattutto con l’adattamento cinemato-

grafico di Peter Jackson del 2001 ha creato un paradigma così perfetto da essere subito diventato un classico.

Simile a livello visivo, ma leggermente diverso a

livello tematico, è il genere Eroico, o Sword and

Sorcery, in cui non si trova un conflitto che met-

te in pericolo l’intero mondo, ma più che altro un dramma personale in cui risalta l’eroismo del

protagonista. Ricco di azione e violenza, trova le

sue origini nell’epica più antica, mesopotamica, greca e cavalleresca, quindi si può declinare seguendo l’influenza delle varie culture da cui viene preso spunto.

Se invece la storia è ambientata in un mondo

di tipo Intrusivo o di un Portale in cui la componente sovrannaturale è scarsa, si può parlare ge-

nericamente di Fantastico, o più accuratamente in inglese di Low Fantasy. Le interpretazioni di questo termine tendono a variare, perchè spesso

viene usato per definire delle opere più realistiche, come per esempio “Le Cronache del Ghiaccio e

del Fuoco” di G.R.R.Martin (1991-in corso), che però è ambientato in un mondo secondario, senza contatto con il nostro, mentre in altre richie-

de che la storia sia basata sul mondo reale, come

per esempio “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (1865). Come regola generale

(dall’alto)

EROICO:

“Conan di Alexsandr Nikonov

“Executor” di Dmitry Prosvirnin LOW FANTASY:

“Lord Lyonel Baratheon facing Ser Duncan the Tall of the Kingsguard” di Chase Stone

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però si può affermare che almeno per il design è importante che ci sia una logica molto più forte che per l’Epico o l’Eroico, perchè deve

comunque risultare credibile al fruitore. Si

possono quindi usare dei contrasti spiazzanti tra gli elementi quotidiani e quelli sovranna-

turali, che sicuramente saranno più brillanti, saturi e ibridati con elementi naturali.

Da questo genere sono nate moltissime sot-

tocategorie, come l’Urbano, ambientato in

una città moderna che può avere zone segretamente popolate da elementi magici, come

ad esempio in “Harry Potter” di J.K.Rowling

(1997-2007, poi trasposto in film dal 2001), in cui il mondo dei maghi vive nascosto negli

interstizi di quello dei “Babbani”, riprendendo

per il primo elementi più medioevaleggianti, come castelli e mantelli.

Questa sovrapposizione può avere connotati

più spaventosi nel Dark Fantasy, che si avvici-

na all’horror, e sarà quindi spesso ambientato

“Knight and Dragon” di Tyler Walpole “Shadowrun” di Catalyst Game Labs “Monster Pit” di Studio Castel City

“Dark Fantasy Ruins” di Jorge Jacinto

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di notte e sarà connotato da tonalità scure, in un ambiente altrimenti mondano, come per esempio nel telefilm Supernatural (2005-in

corso) nel quale due fratelli si trovano a cacciare creature mitologiche e demoniache.

Simile, ma con una connotazione meno terrificanti, è il Romantico

Paranormale, molto in voga negli ultimi anni soprattutto nel pubbli-

co femminile giovanile, come nel caso polarizzante di “Twilight” di

Stephanie Meyer (2007), nel quale una ragazza si innamora di un

vampiro (e poi di un licantropo), ovviamente molto poco mostruosi, ma molto attraenti.

Sempre ambientato nel nostro mondo possiamo trovare lavori Elf

Punk come il romanzo “Wicked Lovely” (2007, Melissa Marr) o il

“Dracula” di Abigail Rorer

“Vampire Smile” di GLPing

“The Royal Family” da Hellboy 2 di goldenrod1034

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Myth Punk esemplificato dalla serie di libri e poi film di “Percy Jackson e gli Dèi dell’Olimpo” (2005-2014 di Rick Riordan, film del

2010), che sono ibridi tra il fantasy e il cyberpunk, in cui creature mitologiche, rispettivamente fate e divinità greche, si insinuano nella vita dei protagonisti, prendendo visivamente spunto quindi dalla cultura celtica o greca.

L’opposto è invece il Fantasy Scientifico,

spesso una distopia in cui il mondo è tornato ad uno stato medievalizzante ma con tecnolo-

gie avanzate, come per esempio nei videogiochi Final Fantasy (1987-in corso, Square Enix) e Guild Wars (2005-in corso, Arenanet), che

hanno quindi degli influssi più simili allo scifi, con grande attenzione quindi al mecha design. Simile a tutti questi ultimi sottogeneri, ma più

“Artemis Fowl” di Dan Shayu

“Zeus Character Concept” di Shyamli Verma

“Thor” di John Staub

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difficile da definire, è il New Weird, un genere giovanissimo nato negli anni ’90 e ispirato alle storie delle riviste Pulp anni ’60, che ha come scopo principale l’abbandonarsi al bizzarro, mescolando fantasy, horror

e fantascienza, con contenuti allegorici sociali e spesso una forte dose di umorismo, come per esempio i racconti di Neil Gaiman (1960) e Terry Pratchett (1948-2015).

“Starfinder” copertina

“New Charr Tank” da Guild Wars 2

“The Buried Giant” di Tim Mcdonagh

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Panora mica Storica 34


Storia e Magia Le origini del fantasy sono incredibilmente antiche, poichè è strettamente connesso ad una delle

fondamentali capacità che caratterizzano l’essere umano: la fantasia. Fin dall’epoca preistorica l’homo

sapiens ha trovato stretti i confini imposti dalla realtà e ha iniziato grazie all’intelletto a mescolare quello che vedeva creando qualcosa di completamente nuovo, e immaginando un mondo più profon-

do e complesso di quello che lo circondava. La magia in effetti è proprio questo, è l’idea che si possa agire sulla realtà in maniera indiretta, tramite due modalità che l’antropologo James George Frazer (1854-1941) nella sua opera “Il Ramo D’Oro” (1890) ha diviso in simpatica e simpatetica. La magia

simpatica è quella che agisce tramite similitudine, ovvero trovando delle somiglianze tra fenomeni, nella convinzione che l’effetto somigli alla causa. Esempi di questo tipo di magia vengono trovati in molte civiltà tribali, come la Danza della Pioggia dei Nativi Americani, antichi Egizi e popolazioni

Balcaniche, che simulando il piovere dovrebbe stimolare le precipitazioni, o come le scene di caccia nelle pitture rupestri preistoriche, che andremo ad analizzare approfonditamente più avanti dato che si incanalano perfettamente nel discorso dell’iconografia nella magia. Il secondo tipo, ovvero quello

simpatetico, ha effetto tramite il contatto, reale o metaforico, secondo il principio per cui quando due cose interagiscono si appartengono e continuano a subirne gli effetti a distanza, in una sorta di quan-

tum entaglement ante litteram. A questo secondo tipo appartengono molti rituali, come per esempio le maledizioni che si basano su capelli o oggetti appartenuti alla vittima, le bamboline vodoo, ma anche le relique sacre dei santi della cristianità.

(pagina a fianco)

“Waterhouse Magic Circle” di John William (dall’alto)

Danza della Pioggia Nativo Americana Donne che praticano riti Voodoo

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Preistoria Le prime rappresentazioni di questo tipo di magia, e quindi per estensione di Fantasy, possono

essere ritrovate nelle grotte di Trois-Frères nel sud della Francia, dove nella zona definita “Santuario” gli uomini paleolitici avevano realizzato dei graffiti di svariati animali e scene di caccia, approssimati-

vamente durante il 13000 a.C., probabilmente come rito propiziatorio per assicurare fortuna durante l’approvvigionamento di cibo. In questo modo l’immagine divenne simbolo della cosa reale, in una corrispondenza tra l’icona e l’essere: dipingo me stesso che caccia un bisonte, riuscirò a cacciare il

bisonte. La pittura assume quindi un significato enorme, e il simbolo dimostra la potenza di questo

parallelismo nelle prime istanze della creatività della nostra specie, in grado di superare quello che vedeva per addentrarsi in un mondo fatto di eterei collegamente extrasensoriali.

Particolarmente interessante è poi una di queste creature rappresentate, il cosiddetto “Sciamano

Danzante”, la prima forma di ibrido, o mostro, della nostra storia: è una figura in parte umana e in parte animale, una fusione fantasiosa non esistente in natura, ma presente nella mente dei suoi

rappresentatori. Questo tipo di ibridazione e di simbologia della commistione tra uomo e natura non sarà l’ultima, ma anzi dimostrerà una grande brama da parte dell’uomo di immaginare creature

superiori, “altre”, in mescolanza degli attributi dati agli animali. Per lo psicologo Clare W. Graves (1914-1986) nella sua analisi delle culture antiche ciò che è sacro è intoccabile, il risultato di un

taboo inalterabile, e per questo le immagini ancora più che il linguaggio tendono a rimanere simili, come una grammatica sostanziale dell’immaginario. Andremo adesso ad analizzare come questa

grammatica si è sviluppata nelle più influenti mitologie, nell’arte, nella letteratura degli ultimi due secoli e nei nuovi mezzi di comunicazione di massa.

(da sinistra)

Ricostruzione

Rappresentazione originale su pietra dello

Sciamano Danzante

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Iconografia Antica Possiamo per esempio trovare rappresentazioni

simili con un salto di molti secoli in varie culture, come quella mesopotamica, egizia e greca, nelle

quali i simboli si riferiscono spesso allo scorrere

del tempo, rappresentati tramite degli anima-

li totemici legati all’alternarsi delle stagioni. Le proprietà di questi animali venivano traslate nelle tipicità dei vari momenti dell’anno, e poi trasfor-

mate in divinità antropomorfe. Per questi popoli antichi c’erano solo tre stagioni, ovvero la Primavera, l’Estate e l’Inverno.

La primavera era la natura in potenza, la ce-

lebrazione della fertilità e della terra, che veniva

rappresentata dall’animale che veniva cresciuto per generare e nutrire i figli, ovvero la Vacca

(Hathor, Iside per gli Egizi), e il suo compagno

che la rende fertile, il Toro (spesso simbolo anche del Re e della sua parte più bestiale, in quanto

dominante sulla natura). Questa associazione del

Toro con la regalità e la natura torna anche in molti racconti Greci, come per esempio il mito di Teseo e il Minotauro, nel quale l’eroe deve af-

frontare un mostro col corpo di uomo, ma la testa

di toro (a rappresentare il suo intelletto bestiale), figlio del Re Minosse, che dominava sulla patria

di Teseo, che in questo caso dovrò sconfiggere sia la sovranità sia la sua componente irrazionale, divenendo uomo e Re a sua volta.

L’Estate invece è la natura in trionfo, esuberan-

te e violenta nel suo splendore, accostata quin-

di ad animali maestosi come il leone e l’aquila, a volte fusi insieme in figure fantastiche come

le Sfingi o i Grifoni. Anche questi animali, es-

sendo dominanti nel regno animale, vengono

Iside Alata

Dio Sumero con testa umana

Scena di combattimento attribuita all’Epopea di Gilgamesh Il Dio Egizio Hator

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spesso associati del Re, anche per il legame con il colore oro, predominante nel periodo estivo (dal

sole cocente alle messi mature) che rappresenta la generazione divina, quindi un potere scaturito

dall’alto e presente nel sangue. Infatti li ritroviamo anche in culture più lontane, come quella latina (per l’acquila) o medioevale (il leone come simbolo delle casate più potenti).

L’ultima stagione infine, l’Inverno, rappresenta la fine della vita: con l’arrivo del freddo le piante

muoiono, gli animali scompaiono, il mondo diventa più vuoto, ma allo stesso tempo pronto per rifiorire nella primavera, in una perfetta ciclicità. La Morte in generale è un concetto ambivalente, perchè simbolizza sia il termine delle cose, sia il loro cambiamento e trasformazione, quindi può avere in sè

sia significati positivi che negativi. L’animale totem di questa stagione è il serpente, che a causa della

muta della sua pelle veniva considerato immortale, e poteva essere ucciso solo schiacciandogli la testa, inoltre veniva spesso rappresentato nell’atto di mordersi la coda, formando il cerchio dell’infinito dell’Ouroboros.

L’esperienza di morte, come abbiamo visto, per Cambell è sostanziale al Viaggio dell’Eroe, quindi

spesso nella mitologia incontreremo questo animale per simboleggiare delle prove che terminano con la morte che conferisce caratteristiche magiche, come possiamo vedere anche nei rituali di alcune

tribù nelle quali gli sciamani, grazie a veleni, sostanze psicotrope, privazioni, e addirittura ferite au-

Le dee egizie Maat e Hathor su papiro Il mito di Gilgamesh in altorilievo

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toinferte al ventre nel caso degli Eschimesi, raggiungono uno stato di coscienza superiore.

Sempre il serpente rappresenta questo viag-

gio dentro l’inconscio, come la forma a spirale, che trasporta chi la osserva nel profondo (non è un caso che i templi greci in onore del dio

degli Inferi, Ade, fossero delle gallerie a spira-

li che affondavano nel terreno, per facilitare la comunicazione dei fedeli con i defunti tramite dei percorsi che annebbiavano la coscienza). Ri-

entrando in un terreno canonicamente più Fantasy, il serpente è anche assimilabile alla figura

del Drago, con aggiunta di ali che rappresentano

lo spirituale, poichè permettono di allontanarsi

dalla terra, e quindi dal mondo materiale (simbologia presente anche negli angeli, che si av-

vicinano a Dio, mentre i demoni avendo ali di pipistrello, un animale notturno, si allontanano

dalla luce divina). Possiamo trovare nelle varie culture diversi tipi di draghi, e gli attributi ani-

maleschi che gli vengono aggiunti ci raccontano

del loro carattere, e se rappresenta una concezione della morte negativa o positiva.

Dea dei Serpenti Ouroboros

la divinità sumera Ningishzida

Dio egizio Horus bambino circondato dall’Ouroboros

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Epica Mesopotamica Molti di questi simboli si trovano nel raccon-

to sumero (anche se le sue gesta ci sono arrivate tramite la testimonianza dei Babilonesi, che

come contributo storico stanno ai Sumeri come i

Romani ai Greci), delle avventure di Gilgamesh, epica concepita tra il XII e il VIII secolo raccolta da tradizioni ancora più antiche, quindi spesso

incoerenti tra loro. Egli è il re di una città sumera, imparentato con delle divinità e per questo

sovrumanamente potente, al punto che la dea Ishtar Inan si innamora di lui, ma essendo ri-

fiutata si vendica inviandogli contro una nemesi, Enkidu, un uomo con le corna di toro. Questo

nemico rappresenta la sfida della bestialità, pre-

sente in ogni essere umano, contro la ragione.

Enkidu, grazie alla sua superiore forza bruta, riesce a sconfiggere Gilgamesh, ma si rifiuta di ucciderlo perchè nel frattempo tra i due era

nato un forte rispetto reciproco e la bestia rico-

nosce la superiorità delle doti di comando del re, quindi i due decidono di allearsi.

Resasi conto dell’errore, Ishtar si unisce con al-

tre divinità per fermarli inviando contro di loro altre creature mostruose, tra le quali un Leone

Chimera, che vengono tutte sconfitte. Trami-

te l’inganno però riescono ad uccidere Enkidu,

provocando incredibile sofferenza a Gilgamesh, che non accettando la sua morte decide di intraprendere un pericoloso viaggio alla ricerca di una

magica pianta in grado di donare l’immortalità. Superando enormi peripezie riesce a trovarla, ma

(in questa pagina)

Statua di Gilgamesh in pietra

Il mostro del Chaos e il dio del Sole

Epopea di Gilgamesh in altorilievo

(nella pagina a fianco) Gilgamesh e Enkidu

“Ercole e L’Idra” di Antonio del Pollaiolo

Tondo de il Minotauro

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essendo stremato si addormenta lì accanto, e durante la notte questa pianta viene mangiata da un serpente. Il nostro eroe viene quindi mes-

so di fronte all’impossibilità di aiutare il suo amico, e l’ineluttabilità della morte.

Qui il mito termina in due versioni differenti: in una Gilgamesh, non

rassegnandosi, viaggia fino in fondo agli Inferi per incontrare Enkidu, ma muore nel tentativo di riportarlo in vita. Nella seconda, più in-

teressante, Gilgamesh non accetta la morte come concetto generale, quindi passa i suoi giorni a cercare un modo di diventare immortale. Raggiunta la vecchiaia viene a sapere di una montagna abitata da un

gigante che dovrebbe essere in grado di garantire la vita eterna: una volta raggiunto, il gigante gli rivela che il segreto è scrivere il proprio nome sul fianco della montagna. Questo significa che non è possibile

sfuggire alla morte, ma si può diventare immortali grazie alle proprie gesta, che vivranno come segno della propria esistenza.

Mitologia Greca I miti greci sono ricchissimi di avvenimenti magici e creature fantastiche, quindi ci concentreremo su un racconto specifico

che ne contiene molte: il “Dodekathlos”, ovvero le dodici fatiche di Eracle, raccolte nel 600 A.C. da Pisandro da Rodi. All’inizio

della storia, in un ascesso di follia causato da Era, Eracle uccide moglie e figli, e deve trovare un modo per espiare le sue colpe. Il re Euristeo gli propone delle sfide, mettendo in palio la mano di sua figlia (a simboleggiare le nozze alchemiche e la riunione con il femminino, come abbiamo visto).

Queste prove sono 12, o per una ragione calendariale dei dodici mesi, o perchè i greci contavano a base di dodicesimi, usando

le falangi invece delle dita intere. Questo mito è utile per capire la storia del Fantasy poichè molte delle prove comprendevano la

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lotta contro una creatura mostruosa, e ad ogni

vittoria Eracle acquisiva un’abilità in più, sia indossando la pelle dell’animale sconfitto e

quindi acquisendone le peculiarità, sia perchè doveva trovare dei metodi razionali per sconfiggere la parte bestiale.

Queste creature per esempio erano l’Idra, un

serpente al quale crescevano tre teste per ognuna mozzata, il Leone Nemeo di cui indossa la pelle

una volta sconfitto, acquisendone la forza, e due simboli di morte come il serpente La-

done, che ha la stessa radice di Leviatano,

ed era il custode del giardino delle Esperidi, dove si trovavano delle mele che conferivano l’immortalità, quindi pienamente in line con la simbologia di morte e rinascita associata al serpente, e Cerbero, cane a tre teste rappre-

sentanti le tre età dell’uomo e le tre stagio-

ni, che si trovava a guardia degli Inferi Dea Madre rappresentante la morte. Come abbia-

mo visto nella schematizzazione del Viaggio dell’Eroe, la discesa negli Inferi è fondamentale per poi concludere il racconto con una catarsi del fruitore.

“Hercules” di de Farnesio

Cerbero

l’Idra

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Cultura Celtica Anche se relativamente più vicina, diffusasi

circa dal VI secolo a.C., la cultura celtica ci ri-

mane molto più oscura, anche se estremamente più viva a livello iconografico, proprio grazie

alla sua reinterpretazione in chiave fantastica. Innanzitutto quando parliamo di “Celti” non

intendiamo una società organica ed omogenea, ma estremamente frammentaria sia dal punto di vista geografico che culturale, dato che era

un popolo diviso in clan che abitava un’area va-

stissima che comprendeva quasi tutta l’Europa, non solo le isole Britanniche ma anche parte

della penisola Iberica, della Francia, delle Alpi, dei Balcani e addirittura una parte della penisola Anatolica. Già nel primo millennio dopo Cristo

però a causa dell’espansione dell’Impero Roma-

no e dei popoli Germanici i Celti hanno visto il loro territorio ristretto a quello che ci risulta più

familiare, ovvero l’Irlanda, il Galles, la Scozia, l’Isola di Man e la Bretagna.

Dato che la lingua celtica non aveva forma

scritta, le sue tradizioni erano esclusivamente tramandate tramite l’oralità, e si può ben capire

che gran parte del patrimonio culturale sia an-

dato perduto a causa delle molteplici invasioni:

prima i Bretoni, poi i Vichinghi, poi i Cristiani, poi gli Inglesi protestanti, e infine, come piace dire agli Irlandesi, il mondo intero. Ognuna di

queste culture però non ha solo conquistato, si è integrata con la popolazione locale, creando una

commistione di influenze incredibilmente ricca

e complessa. Per questo è difficile al giorno d’og-

gi distinguere visivamente i Celti dai Bretoni dai

“Pixie” di Alan Lee

Le differenze tra la cultura celtica e la concezione moderna:

NEL VESTIARIO: “Celtic Clothing” di Pauline Weston thomas Foto dall’evento a tema celtico/medioevale di Montelago NEI GIOIELLI: Fibula di Tara in oro Collana in argento con nodo celtico

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Normanni, anche se ogni anno in tutti il mondo si svolgono moltissime celebrazioni nei Festival

Celtici, il Paganesimo è una religione ricono-

sciuta con i suoi salmi e riti, e la cultura pop ne ha abusato a piene mani. Vedendo qualcosa di

celtico, lo riconosciamo immediatamente come

tale, anche se probabilmente è una versione annacquata e imbastardita di quella che effettivamente era la cultura di questo popolo.

Quello che comunque può essere appurato

sono dei miti riportati dai monaci cristiani dopo

la conversione dell’Irlanda da parte di San Patrizio del 432, e risultano delle congruenze inte-

ressanti, ma anche degli elementi di distacco. Le divinità celtiche non erano veri e propri dèi, ma

membri di una specie diversa da quella umana, ovvero il Piccolo Popolo, anche conosciuto come

Sidhe. Questo era composto da varie creature

sovrannaturali, come folletti, fate, gnomi ed elfi, e a causa di una sconfitta da parte degli invasori

Milesiani (provenienti dalla penisola Iberica, che

però era identificata come l’Aldilà) viveva nascosto, tra le pieghe che separano il nostro mondo da uno parallelo.

Queste pieghe diventavano più sottili in cor-

rispondenza del cambio delle stagioni, anche in

questo caso tre, ovvero l’autunno Samhain (oggi celebrato come Halloween), la primavera Bèlt-

ane e l’estate Lùnasa (così chiamata in onore della divinità Lugh). Generalmente la convivenza

con gli umani era pacifica, se venivano fatte delle

sufficienti offerte di panna, oppure conflittuale

ma con un sottofondo scherzoso, dato che più che essere pericolose, queste creature erano fastidiose, considerata la piccola statura e l’uso limitato della magia. Questa è la visione del fantasy

“Fairy” di Alan Lee

“The Quarrel of Oberon and Titania” di Sir Joseph Noel Paton

“Lugh Celtic knotwork design” di Ingrid “GrayWolf ” Houwers

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che è stata tramandata più spesso nella prima letteratura, relegandola alla sola attenzione dei più giovani, proprio per la comicità insita in queste figure.

wAnche divinità più importanti, come Dagda, il padre degli Dèi, venivano trattate con la stessa

colloquialità, infatti erano considerato onnipotente, ma aveva bisogno di rotelle per trasportare la sua

gigantesca mazza, e veniva spesso raffigurato in maniera comica con una tunica così corta da coprirgli

a stento le natiche, oppure con un pancione sporgente per aver mangiato troppo pudding dal suo calderone magico. Un altro suo oggetto magico importante era anche un’arpa, perchè i Celti crede-

vano che la musica avesse poteri incantatori, essendo in grado di evocare o controllare le emozioni, rendendo anche possibile l’accesso agli umani al mondo delle fate. Si presume che le canzoni fossero

complementari alla narrazione mitologica, data la grande importanza conferita alla figura del Bardo, che ancora rimane sia con l’arpa come simbolo dell’Irlanda, sia come principale fonte di diffusione della cultura Celtica tramite la musica popolare. Anche Tolkien colse questa influenza, infatti nelle sue opere troviamo moltissime canzoni da lui composte per accompagnare le avventure dei protago-

nisti, e come poi vedremo un suo merito è stato anche di reinterpretare in chiave più seria e “adulta” le creature del Piccolo Popolo.

(dall’alto e da sinistra)

Fibula di Hunterston (dettaglio) “Pixie” di Criptid Creations La divinità celtica Dagda Arpa celtica su bronzo

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Miti Norreni Andando avanti cronologicamente troviamo le Saghe Nordiche come per esempio quelle in poesia

de “L’Edda Poetica” (circa XIII secolo d.C) e “Beowulf ” (datazione incerta, forse trascritto tra il 975 e

il 1025 d.C.) o quelle in prosa come “L’Edda di Snorri”, una raccolta di miti compilata nel 1220 d.C. dallo storico islandese Snorri Sturluson.

Solitamente è un tipo di epica che viene citata più o meno direttamente quando si vuole creare una

civiltà guerriera, dato che i Vichinghi erano un popolo la cui economia si basava poco sulla produzio-

ne e molto sulla razzia, tendenza rispecchiata dalla belligeranza delle sue divinità. Il tratto più caratteristico è probabilmente la loro concezione dell’Aldilà, ovvero il Valhalla, che si trova ad Asgard (uno

dei nove mondi che popolano l’Universo; il nostro si chiama Midgard), sul quale regna il re degli Dèi, Odino. Qui erano ammessi solo i guerrieri morti in combattimento, alcuni nelle sale del Valhalla, altri

nei campi Fòlkvangr, guidati dalle Valchirie e dalla Dèa guerriera Freyia, componendo un esercito per aiutare le divinità durante gli eventi del Ragnarok: il tramonto degli Dèi.

Durante questo avvenimento è previsto che occorrano terrificanti disastri naturali, nel quale il mon-

do sarà sommerso e poi riemergerà di nuovo, in una concezione ciclica dell’universo, che necessita di

costanti rinascite. Non è un caso che tutto ciò avverrà quando Jormungandr, il serpente gigantesco figlio del dio dell’inganno Loki, e che si trova avvolto intorno a Midgard mordendosi la coda, rilascerà

le sue spire lasciando che il Grande Oceano invada la Terra: anche qui la figura del serpente è inesorabilmente legata al concetto di morte e ciclicità.

Tyr tradisce Fenrir

Rappresentazione della battaglia di Ragnarok

Pietra con rune incise

Thor combatte il Serpente

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Epica Cavalleresca Ancora più influente, sia a livello tematico che

visivo, soprattutto per i generi Epico ed Eorico, è sicuramente il ciclo Arturiano , basato sulle avventure di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, fortemente caratterizzato da temi magici

e basato nell’epoca basso-medioevale. Non è un

testo unico, ma è un corpus di leggende bretoni, in parte un’aggiunta di singoli autori successivi, che hanno scritto in numerose lingue come

latino, francese, inglese, tedesco e italiano: pur parlando quindi di avvenimento basati sulla penisola britannica, è diventato iconograficamente emblematico di tutta l’Europa medioevale.

Queste storie infatti, come le precedenti chan-

son de geste diffuse negli ambienti cortesi della Francia del XII secolo, vennero ampiamente

dvulgate nelle varie lingue romanze, creando un grande interesse nella popolazione, che poteva

ascoltarne in maniera accessibile la decantazione in poesia. Questi racconti narravano le gesta di prodi Cavalieri, le loro sfide contro malvage

creature magiche, e grandi amori romantici. I

loro protagonisti sono estremamente noti nella nostra cultura popolare, data la grande quantità

di rielaborazioni che si sono conseguite nei se-

coli: non si può non conoscere le storie di Artù, Merlino, Lancillotto e la Fata Morgana. Queste

leggende vennero riprese soprattutto durante il XIX secolo in Inghilterra, in quello che viene

chiamato il revival Vittoriano, durante il quale molti intellettuali ed artisti, per far fronte

“The Accolade” di Edmund Blair Leighton “King Arthur” di Charles Ernest Butler

“How Sir Lancelot Fought with a Fiendly Dragon” di Arthur Rackham

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all’imperante rivoluzione industriale, cercarono

un esempio di indistruttibile stabilità morale. Possiamo vedere quest’influenza nei poemi “Gli

Idilli del Re” (1859, Lord Alfred Tennyson) e “In Difesa di Ginevra” (1909) del padre del movi-

mento Preraffaellita, William Morris, che come

molti suoi seguaci pittori trarrà profonda ispira-

zione dai poemi cavallereschi. Anche un nuovo

mezzo artistico e puramente tecnologico come la fotografia non sarà immune da queste influen-

ze, come si può chiaramente vedere con le opere di Julia Margaret Cameron (1815-1879) ed al-

tri fotografi aderenti allo stile del pittorialismo, che si rifaceva alle composizioni della pittura

tradizionale. Per tutti loro il Ciclo Arturiano rappresentava una nostalgica analisi dello spirito

perduto del mondo, la fragilità della bontà e l’ipermanenza del potere.

Legato al ciclo cavalleresco troviamo l’Orlan-

do Furioso, pubblicato nel 1532 da Ludovico Ariosto, opera evidentemente più matura poichè mette in discussione gli stereotipi del ca-

valiere in chiave ironica: Orlando infatti non

riesce a risolvere la sua parzialità tramite la conquista della fanciulla il ricongiungimento nell’androgino, poichè lei è innamorata di un

altro, e questo rifiuto lo porta alla perdita della ragione. Quindi il suo amico Astolfo dovrà re-

cuperare il suo senno perduto sulla Luna, caval-

cando un grifone ( leone, estate), sconfiggendo un drago (serpente, inverno) e salvando una fanciulla ( fertilità, vacca, primavera).

“Gareth and Lynette” di Julia Margaret Cameron “Arthur Wounded” di Julia Margaret Cameron

“Ruggiero e Angelica” di Gustave Dore

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Rappresentazioni Pittoriche Anche se ci rimangono pochi testi dell’epoca Paleocristiana dal IV al VIII secolo, il periodo gotico

ha avuto una grandissima influenza sulla letteratura e l’arte successive. In particolare i demoni e altre creature mostruose, già esse di derivazione Medio Orientale (come i Pazuzu, gli Djin e gli Efeti) e

Orientale ( come draghi e pipistrelli descritti da Jurgis Baltrusaitis (1903-1988) ne “Il Medioevo Fantastico” del 1955) confluiranno nell’immaginario del seicento sottoforma di quello che viene conside-

rato il “Grottesco Barocco”. Ma già dall’inizio dei Cinquecento creature demoniache simili, chiamate “Grilli Gotici”, emergevano da paesaggi idilliaci o da oggetti quotidiani nella pittura di Hieronymous

Bosch (1453-1516), che veniva indicato nel 1560 dall’umanista Felipe de Guevara come “l’inventore

dei mostri e delle chimere”, mentre nella sua biografia scritta da Karel van Mander i suoi lavori sono indicati come “fantasie meravigliose e strane [...], spesso più macabre che piacevoli da guardare.”

(dall’alto e da sinistra) Gargoyle Hyena

Il demone assiro Pazuzu Chimere gotiche

Mascherone grottesco

“Giudizio Universale” (dettaglio) di Hieronymus Bosch

“Bird Monster with Wings and Horn” di Hieronymus Bosch “The Garden of Earthly Delights” di Hieronymus Bosch

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Successivamente la ragione riprese il soprav-

vento con il periodo dell’Illuminismo, per poi

cedere però di nuovo il passo alla fantasia nel periodo Romantico, che si nutre delle ombre che erano emerse dall’Età dei Lumi. Riemerge il folkloristico, il simbolismo, la commistione magica tra l’immagine e la realtà. I dipinti di Johann Einrich Fussli (1741-1825) mostrano queste ombre, rappresentano i demoni che fuoriescono dal sonno della ragione, traendo grande ispirazione dall’onirico e dalle opere di William Shakespeare, soprattutto le creature fatate di “Sogno di una Notte di Mezza Estate”: era infatti considerato un pittore di storie antiche. Il Romanticismo non era però solo costituito dal rinnegare la ragione, ma anche un forte nazionalismo, che intende riprendere le radici perdute dei popoli. Per Caspar David Friedrich (1774-1840) questo significa studiare il folklore germanico, inserendo dei richiami alla cultura e alla mitologia del suo paese all’interno dei dipinti, riuscendo a rendere psicologico il paesaggio, che incarna i mutamenti dell’animo umano che possono riconoscersi nell’oscurità crepuscolare di rovine, alberi ritorti, atmosfere cupe e fantastiche. In questo modo ispirò anche autori più contemporanei, come per esempio Alan Moore, oltre all’intera subcultura gotica moderna. Questa ripresa dell’antico si tinge anche di misticismi, con artisti come Gustave Moreau (1826-1898), che faceva parte di sette spiritualiste che prendono ispirazione dai culti greci, protocristiani ed indiani. Ad esempio la sua opera “San Giorgio ed il Drago” (1869) si basa sull’Enuma Elis babilonese, una cosmologia epica in cui proprio i draghi sono la rappresentazione del caos, che deve essere sconfitto per essere reso ordine dalle divinità tramite degli strumenti magici, come ad esempio una spada fatta di vento (che ricorda molto la folgore, simbolo della nuova generazione, con cui Zeus sconfisse Crono). Più orientato sullo studio del paesaggio era in-

vece Arnold Bocklin (1827-1901) rappresenta il

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(dall’alto e da sinistra)

“Il Risveglio di Titania” di Henry Fuseli “Demone” di Johann Heinrich Fussli

“The Nightmare” di Johann Heinrich Fussli “Edipo e la Sfinge” di Gustave Moreau

“Abbazia nel querceto” di Caspar David Friedrich “Paesaggio invernale” di Caspar David Friedrich

“Cimitero dell’Abbazia sotto la neve” di Caspar David Friedrich “Eracle e l’Idra” di Gustave Moreau

“San Giorgio e il Drago” di Gustave Moreau

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(in questa pagina, dall’alto e da sinistra)

“L’isola dei Morti,1” di Arnold Böcklin

“L’isola dei Morti, 3” di Arnold Böcklin

“Ophelia” di John Everett Millais “Perseo” di Edward Burne Jones

“Tristan and Isolde with the Potion” di John William Waterhouse

“The Legend Of Perceval” di Frank Cadogan Cowper “Midsummer Eve” di Edward Robert Hughes (pagina a fianco)

“The lady of Shalott” di John William Waterhouse

“Circe offering the cup to Ulisses” di John William Waterhouse

“Lamia and the soldier” di John William Waterhouse

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bisogno umano di tornare all’immaginazione dopo un’epoca troppo incentrata sulla razionalità, rifa-

cendosi ad un’epoca mitica e poetica invasa dalle emozioni, che lui considera la vera natura dell’essere umano. Rappresentava spesso delle figure fantastiche e mitologiche sovrapposte a delle architetture classiche, creando degli strani mondi che rivelavano una forte ossessione con il tema della morte.

E’ di fondamentale importanza parlare poi dell’arte dell Confraternita dei Preraffaelliti, fondata nel

1848 da W.H. Hunt, J.H. Millais e D.G. Rossetti, alla quale si aggiunsero successivamente anche E. Burne-Jones e J.W. Waterhouse, sulla base dell’idea che la pittura fosse stata corrotta dal manierismo

di Raffaello e Michelangelo, e che fosse necessario ritornare alle origini. Questa ossessione con il Quattrocento non emerge solo dallo stile pittorico, ma anche dalle tematiche, che prendono spunto

dal medioevo e dai racconti folkloristici. Troviamo quindi moltissime rappresentazioni del Ciclo Ar-

turiano e delle tragedie di Shakespeare, dipinte con un tripudio di dettagli ed elementi naturali, che hanno estremamente influenzato l’illustrazione fantasy successiva.

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Letteratura per Ragazzi Inizialmente, riprendendo la tradizione di fa-

vole e fiabe, il fantasy si può trovare nelle storie

fatte per essere raccontate ai più giovani, parti-

colamente propensi a far viaggiare la fantasia e

ad accettare la sospensione dell’incredulità obbligatoria nelle narrazioni non realistiche. E’ im-

portante per la nostra ricerca poichè era e rimane una peculiarità dei libri per l’infanzia quella di essere ricchi di illustrazioni ad accompagnare il testo, poichè era necessaria una comprensione

più diretta per i lettori giovani. Possiamo quindi considerare una forma di questo genere anche

i romanzi di Lewis Carroll, nome d’arte per Charles Lutwidge Dodgson (1832-1898), “Alice

nel Paese delle Meraviglie” (1965) e “Alice oltre lo Specchio” (1871), nei quali è presente un’in-

credibile narrazione di un mondo che agisce con

regole sue, spesso magiche ed incomprensibili, e popolato da creature antropomorfe o direttamente prese dai bestiari fantastici, come il Grifone. L’autore stesso ha illustrato i libri, portando alla luce con pochi schizzi di penna le figure incredibili del Paese delle Meraviglie.

Sulla stessa linea si trova “Il Mago di Oz”

(1900, Frank L. Baum e Libby Hamilton), ricco di illustrazioni realizzate da W.W. Denslow che

rappresentano la protagonista Dorothy e i suoi

alleati antropomorfi affrontare grazie ad oggetti magici le pericolose avventure per sconfiggere la Malvagia Strega dell’Ovest.

“The lion and the unicorn” di John Tenniel

illustrazione da “il mago di Oz” di W.W. Denslow

Copertine per rivista “Weird Tales”

Copertine per rivista “Fantasy”

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Negli anni ’30 questo tipo di letteratura si espande fino a diventare più

commerciale e si orienta di più verso i ragazzi che i bambini, grazie alla diffusione delle economiche riviste Pulp (chiamate così perchè realizza-

te con la polpa di legno, meno costosa della carta) che negli stati uniti

fungono da raccoglitore per vari autori che scrivono di horror, fantasy e

fantascienza, prendendo largo spunto dal romanzo gotico. Una di que-

ste è “Weird Tales”, alla quale contrinuirono anche H.P. Lovecraft, P. Howard ed E.A. Poe.

Letteratura per Adulti Non si può parlare di fantasy senza considerare John Ronald Ruel Tolkien (1892-1973), che ne è giustamente considerato il

padre. Professore di lingue in varie prestigiose università inglesi, inizia anche lui scrivendo racconti per bambini, come “Lo Hobbit” (1937) che narra di Bilbo Baggins, un Hobbit, una razza immaginaria di uomini molto bassi e molto inglesi, amanti della

pace, della tranquillità e del buon cibo, che viene catapultato in un’avventura fantastica dallo stregone Gandalf e da nove nani, comandati da Thorin Scudodiquercia. Data la sua piccola statura e la sua natura furtiva, Bilbo viene assoldato come scassinatore

per intrufolarsi nella Montagna Solitaria, sottratta ai Nani dal Drago Smaug che adesso siede sul loro tesoro. Il nostro ampio

gruppo di eroi dovrà affontare molte peripezie, compresi dei Troll poco svegli, il furto di barili di vino al Re degli Elfi, una foresta oscura piena di ragni, e un uomo che può tramutarsi in orso. Bilbo uscirà profondamente cambiato dal suo viaggio, e improvvi-

samente la sua Contea gli sembrerà molto più piccola di quanto a lui sia confortevole. Questo breve ma coerente spiraglio su un

(dall’alto e da sinistra)

Copertina per rivista “Weird Tales”

Illustrazione da “lo Hobbit” di Eric Fraser “The Elvenking’s Gate” di J.R.R. Tolkien

“Bilbo comes to the huts of the raft elves” di J.R.R. Tolkien “The trolls” di J.R.R. Tolkien “Smaug” di Tove Jansson

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mondo immaginario avrà enormi ripercussioni

sulla storia del genere, perchè le sue tematiche scherzose eppure molto mature riusciranno a

sfondare la porta della letteratura per adulti, più

seria ed impegnata. Nelle sue lettere, raccolte postume dal figlio Christopher nel 1981, Tolkien

afferma infatti: “rimango infallibilmente delizia-

to dal trovare giustificazione alla mia opinione: che le “storie di fate” sono in realtà un genere per

adulti, per il quale esiste un pubblico affamato”.

Successivamente rimise mano a questo mondo, ampliandolo, dotandolo di una sua mitologia

interna, di una struttura incredibilmente vivida

e complessa, fino anche a creare dei linguaggi completi per i suoi abitanti. Questo mondo è

la Terra di Mezzo narrata nella trilogia del “Si-

gnore degli Anelli”, composta da “La Compa-

gnia dell’Anello” (1937), “Le Due Torri” (1954)

e “Il Ritorno del Re” (1977). Il nipote di Bilbo, Frodo Baggins, eredita l’anello trovato dallo zio

nel romanzo precedente, che si rivela essere un

manufatto molto più oscuro di quanto credessero: non è solo un talismano che garantisce una

lunga vita, ma era la fonte del potere di Sauron, il Signore Oscuro che millenni prima aveva conquistato tutte le Terre Sconosciute capeggiando

armate di terribili mostri come Orchi, Goblin, Troll e Spettri. Sconfitto, parte di lui era rimasto

nell’anello, conservato dal Re degli Uomini, ma poi passato di mano in mano fino a Bilbo, ossessionando ogni suo proprietario e corrompen-

dolo. Gandalf, lo stesso stregone dell’avventura precedente, organizza una riunione di tutte le creature avverse all’oscurità per distruggere que-

sta minaccia, e lì si forma la Compagnia, formata da Frodo ed altri tre Hobbit, Sam, Merry e Pipi-

“Galadriel e Frodo” di Alan Lee

“Lothlorien” di Alan Lee

“Le porte di Moria” di Alan Lee

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no, due umani, Aragorn discendente dei Re degli Uomini e Boromir figlio del Sovrintendente di

Gondor, l’elfo Legolas e il nano Gimli, oltre ov-

viamente a Gandalf stesso. Rispetto alle peripe-

zie affrontate ne “Lo Hobbit”, queste sono mol-

to più drammatiche ed oscure, andando a toccare temi come la corruzione morale, la lealtà ed il

destino. La Compagnia verrà separata, riunita, dovrà affrontare tradimenti ed enormi battaglie, e tragiche perdite. Infine sarà proprio il piccolo

Frodo, un mezz’uomo senza importanza, a distruggere l’anello una volta per tutte, liberando la Terra di Mezzo dal giogo dell’Oscurità.

Nonostante ora sia consderata una struttura

classica, per l’epoca quella di questo romanzo era incredibilmente innovativa, dato che prese crea-

ture tipiche del folklore celtico, come per esempio gli elfi, ma le trasfigura donandogli dignità e profondità: non sono più piccole creaturine dedite a terrorizzare i contadini e a fare scher-

zi, ma un popolo fiero, spirituale e immortale, di un’algida bellezza. Stravolge anche la figura

dell’eroe protagonista, che normalmente sarebbe stata di diritto di Aragorn, alto, forte e di sangue

reale, mentre qui è Frodo, un’ometto spaventato e confuso, che però grazie alla purezza del suo animo riesce a resistere al lungo dalla tentazione

del male, fino a salvare il mondo. Incontriamo

inoltre anche creature immaginate dall’autore, oltre agli Hobbit stessi, come gli Hurukai, elfi torturati fino dimenticare le loro origini, terribili

e crudeli, ciechi nella loro sete di distruzione, oppure i Nazgul, regnanti umani tramutati in spettri dalla corruzione e ora legati perennemente a

“Battaglia al fosso di Helm” di Alan lee “Frodo, Sam e Gollum” di Alan Lee “il Re Stregone” di Alan Lee

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Sauron. La divisione tra Bene e Male è netta, anche se come abbiamo visto è facile scivolare

nella schiera oscura, vendendo la propria etica per acquisire potere, come lo stregone Saruman.

Contestualmente Tolkien creò una vera e

propria opera mitopoietica, anche se non sopravviverà per vederla data in stampa, ma

sarà pubblicata postuma dal figlio nel 1977. Questo libro, che difficilmente si può chia-

mare romanzo, ricalca lo stile delle mitologie cosmogoniche antiche, quasi come se fosse

un testo sacro contenente la verità sulla creazione di Ea, la guerra tra i sovrannaturali

Valar e Maiar, le cronache della Prima Era con la creazione dei Silmaril, gioielli fatti di

luce pura, ed infine la narrazione degli Anelli che porteranno agli sviluppi del Signore de-

gli Anelli. E’ interessantenotare come viene a nascere questo mondo, che riprende dei temi

che abbiamo già visto nella cultura celtica: la divinità Ilùvatar insegna l’arte del canto

agli Ainur, degli esseri angelici, che tramite la musica, in una immensa e sovrannaturale

sinfonia cooperativa, portano alla luce ogni

cosa presente al mondo, ponendo fine al Vuoto e creando il mondo di Arda, abitato da una

particolare melodia, quella dell’intelligenza, incarnata negli Elfi e negli Umani.

“La compagnia dell’Anello” di Alan Lee

“The Orc Host is ambushed in Brethil” di Ted Nasmith

“The Hill of Slain” di Ted Nasmith “Aqualonde” di Ted Nasmith

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L e t t e r at u r a C o n t e m p or a n e a Grazie all’enorme successo di Tolkien nascono

molti emuli, ora che il fantasy è entrato a pie-

no diritto tra le schiere della letteratura “seria”,

come per esempio “Le Cronache di Shannara”, serie di romanzi scritti da Terry Brooks a partire dal 1977, ambientati nel nostro mondo dopo la distruzione causate da un’olocausto nucleare che ha portato l’umanità a regredire ad un sistema

pre industriale, con però l’aggiunta della magia. I protagonisti di quest’avventura generazionale

fanno parte della nobile di Shannara, di sangue

metà umano metà elfico, il cuo scopo è proteggere la loro terra da malvagi pericoli.

Più legato invece alla critica politica e socia-

le, con una lettura in chiave femminista, è “Le Nebbie di Avalon” (1983) di Marion Zimmer

Bradley, che si basa sulle storie del ciclo Artu-

riano, ma con un’importante modifica: data la condizione femminile dell’epoca, le donne che

circondano Re Artù non sono mai state ben sviluppata ma rimanevano personaggi monodimen-

sionali. L’autrice si prefigge quindi il compito di raccontare le loro storie, soprattutto quella della

Fata Morgana, che viene reinterpretata come una figura enormente dotata e gravata dalla grande

responsabilità sociale di difendere ciò che rimane

della cultura celtica pagana contro l’avvento del Cristianesimo.

E’ interessante dal punto di vista della carat-

terizzazione la “Saga di Kushiel” di Jaqueline Carey, il cui primo libro, “Il Dardo e la Rosa” è

“The Elf Queen of Shannara” di Keith Parkinson “Scions of Shannara” di Keith Parkinson “Le nebbie di Avalon” di Braldt Bralds

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stato pubblicato nel 2001. Segue le vicende di

un mondo con una storia alternativa alla nostra, nel quale esseri sovrannaturali come gli angeli

hanno influenzato il passato unendosi ai mortali, generando la razza degli Angèline. La particolarità di questo romanzo è la grande varietà di

ambientazioni, che riprendono la cultura di vari paesi in specifici momenti storici caratterizzandi: ad esempio la Francia è descritta come quella barocca seicentesca, l’Italia è cristallizzata in un quattrocento direttamente seguito all’Impero

Romano (la figura di Gesù, o Yeshua, è estrema-

mente differente, quindi manca completamente

l’influsso storico del cristianesimo), la Germania è popolata da clan barbari, l’Inghilterra è

ancora pienamente Celtica, e ogni popolo ha il suo tipo di magia e folklore caratteristico.

Con la maturazione del genere troviamo an-

che delle versioni comiche, che sfruttano la

sensazione di bizzarria causata dal fantastico a scopo umoristico, come la serie di “Mondo Disco” (1983-2015) di Terry Pratchett, di intento dichiaratamente parodico. Basti pensare ad uno

dei suoi protagonisti, Rincewind, un mago codardo senza nessuna abilità, e assolutamente non interessato ad essere un eroe, che suo malgrado

si ritrova catapultato in pericolosissime avventure, dalle quali esce incolume tra una lamentela e l’altra, casualmente anche salvando il mondo svariate volte. Un altro elemento peculiare, che

aumenta la componente comica, è la conformazione del mondo: esso è un disco con delle ca-

scate che sbordano dai suoi margini, tenuto sulle spalle di quattro giganteschi elefanti a loro volta

Dal libro “Prescelta e l’Erede: le storie di terre d’Ange - la saga di

Phèdre” di Jacqueline Carey

Illustrazione da “Il Dardo e la Rosa” di Jacqueline Carey

Illustrazione da “Il Mondo Disco” di Terry Pratchett

Illustrazione da “Interesting Times” di Terry Pratchet

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poggiati su una tartaruga che pigramente fluttua nello spazio; questo mondo è dominato dalla magia, che ha qui la stessa importanza che la gravità e l’elettromagnetismo hanno nel nostro, ed è in grado

di deformare la realtà così come la gravità deforma lo spazio-tempo. Utilizzare questa magia consiste nel dire all’universo come si vuole che esso sia, in termini che esso non può ignorare, ma questo richiede un enorme sforzo, equivalente a quello ricavato dall’effettuare praticamente quell’azione che

si ricerca, a causa della Legge di Conservazione della Realtà, quindi molti maghi preferiscono agire senza magia.

Similmente bizzarri, anche se un po’ più oscuri ed onirici, sono i romanzi di Neil Gaiman, che ri-

prende e ripropone divinità modernizzate in “American Gods” (2001) e i fumetti dedicati al Dio del

Sogno, Sandman (1989-2015). Nella sua personale mitologia, Gaiman parte dal presupposto che una divinità è più potente più i suoi seguaci la venerano e gli offrono sacrifici: questo ha creato divinità po-

tentissime, come i fratelli Sogno, Morte e Follia in “Sandman”, mentre ha decretato l’indebolimento

degli Dèi antichi, che inseriti in un contesto urbano attuale devono ridursi ad escamotage più o meno degradanti, mentre proliferano le divinità giovani create dalla modernità come Media, Technical Boy e Mr. World (Dèi rispettivamente dei mass media, della tecnologia e della globalizzazione), presenti

in “American Gods”, nel quale queste due generazioni entrano in conflitto per reclamare il mondo e la fedeltà dei suoi abitanti.

(dall’alto e da sinistra)

“The Folio Society” di Dave McKean “Sandman” di Dave Mckean

“American Gods” di Dave McKean

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Nascono quindi diversi sottogeneri, come

quelli che abbiamo analizzato nella parte iniziale

del capitolo, che porteranno poi a fenomeni editoriali globali, come per esempio la saga di Harry

Potter (1997-oggi nelle sua varie iterazioni) di

J.K. Rowling, nata come libro, diventata poi film, videogioco, gioco di ruolo testuale, spettacolo teatrale, parco di divertimenti, e evento culturale e

di marketing. Nata come romanzo per ragazzi, ma strutturato come racconto di formazione, questa storia è stata in grado di accompagnare

i suoi lettori fino all’età adulta, aggiustando di conseguenza il tono ed i contenuti ad un pub-

blico progressivamente più maturo. Il protago-

nista, Harry, parte come un orfano, scopre di poter accedere alla magia, va in una scuola segre-

ta per padroneggiarla, lì incontra due splendidi archetipici amici, Hermione e Ron, che lo aiuteranno ad affrontare pericoli sempre più mor-

tali, perchè lui è il ragazzo che è sopravvissuto, e la sua Profezia lo porterà a scontrarsi con il

malvagio Voldermort, colui che non deve essere nominato, fino a sconfiggerlo. I primi romanzi sono leggeri, ci accompagnano nella scoperta del

meraviglioso mondo dei maghi, che vive insieme a quello degli umani ma invisibile ad esso, pro-

tetto da strati di magia che hanno isolato la co-

munità magica, che quindi è rimasta a molti usi

e costumi simil-medioevali. Ma andando avanti, questo mondo diventa sempre più oscuro, ricco di creature pericolose, e di persone ancora peg-

giori. La saga si conclude nel settimo libro con un’enorme battaglia dei ragazzi, ormai giovani

adulti, contro le forze del male, incarnate, che

con molti sacrifici e perdite verranno sconfitte.

La differenza di tono tra il primo ed il settimo film:

Poster di “Harry Potter e la Pietra Filosofale”

Poster di “Happy Potter e i Doni della Morte part 2” “Harry Potter - The Flying Keys” di Mary GrandPrè “Rescue of Sirius” di Mary GrandPrè

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Possiamo notare come la malvagià nella saga sia

incarnata nel legame con la figura del serpente: la casa magica che incarna dei valori più violen-

ti, manipolatori e crudeli è infatti Serpeverde, con una serpe come stemma, e da essa proviene

il Signore oscuro, capace di parlare Serpentese, accompagnato dal fido pitone Nagini, e anch’egli sagomato con tratti serpentini, come le narici a

fessura. La Rowling infatti ha auto grande ma-

estria a unire e cucire diverse mitologie nel suo romanzo, soprattutto per quanto riguarda le creature sovrannaturali, come vari tipi di draghi, fe-

nici, basilischi, coboldi, folletti, e moltissimi altri descritti nel libriccino “Animali Fantastici e dove Trovarli” (2001), riccamente illustrato e poi tra-

sformato in un film nel 2016, con grande gioia di molti creature designer, che si son potuti sbizzarrire nella creazione di favolosi mostri magici.

Molte di queste opere letterarie, come andre-

mo adesso ad analizzare, non si limiteranno a vivere sulla carta stampata ma avranno grande

influenza sul cinema e la televisione, dando una forma chiara a come interpretare il fantasy a li-

vello visivo, argomento che particolarmente ci interessa per i fini di questa tesi.

Stendardo Serpeverde

“Wand Fight” di Mary GrandPrè

“Battle with the dragon” di Mary GrandPrè “Pixie Mayhem” di Mary GrandPrè

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Illustrazione Prima ancora che nel cinema però sono sta-

ti gli illustratori ad aprire le danze per questo

genere, e negli anni ’70 possiamo vedere un grande revival della cultura fantasy, influenza-

te dal successo de “Il Signore degli Anelli” e la diffusione dei giochi di ruolo. Legato al primo

dobbiamo sicuramente citare Alan Lee (1947), che ha illustrato l’edizione del 1992 della trilogia di Tolkien e quella del 1999 de “Lo Hob-

bit”, le cui opere abbiamo già visto nel paragrafo dedicato alla letteratura per adulti, ma anche rivisitazioni di opere classiche come l’Iliade e

l’Odissea di Omero (1993) e le Metamorfosi di Ovidio riraccontate da Adrian Mitchell e

rinominate “Shapeshifters” (2009). Insieme a

John Howe è inoltre stato concept artist per la

resa cinematografica del Signore degli Anel-

li, raccontando il suo lavoro nello sketchbook pubblicato nel 2005, dato che la sua arte è stata

fondamentale per la direzione artistica del film, basato sui suoi precedenti acquerelli, ma anche

su dei modelli veri e propri di armi e costumi che ha personalmente creato per gli attori.

Per Larry Elmore (1948) invece la svolta della

carriera è avvenuta quando ha iniziato a gio-

care al gioco di ruolo Dungeons & Dragons, ed è poi stato assunto nel 1981 grazie alla sua

passione da TSR Inc., che produceva il gioco, e disegnerà per loro manuali, illustrazioni di

libri, poster e calendari. Successivamente è passato a illustrare per Magic: the Gathering e il MMORPG EverQuest, è il suo stile è estrema-

mente riconoscibile, quasi archetipico dell’immaginario fantasy degli anni ’80, anche se oggi è considerato superato.

Il tratto distintivo di Frank Franzetta (1928)

è invece più legato al fumetto, dato che fin dall’età di sedici anni si è dedicato a questo stile

di disegno, principalmente per opere fantasy e

fantascientifiche, ma anche storiche e western. E’ particolarmente famoso anche per la sua interpretazione di Conan il Barbaro, che ha influenzato grandemente la stilizzazione di tutto

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(dall’alto e da sinistra)

“Dragon” di Larry Elmore

“Fantasy Scene” di Larry Elmore

“Conan the Destroyer” di Frank Frazetta “Deathdealer” di Frank Frazetta

“Dungeons & Dragons” di Frank Frazetta

“Laurana Dragonlance” di Frank Frazetta “At the Earth’s Core” di Frank Frazetta

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il genere Eroico (Sword and Sorcery in inglese). Inoltre nel 1980 ha fondato una galleria, chiamata

“Franzetta’s Fantasy Corner”, che ospita una collezione permanente delle sue opere (alcuni disegni

originali hanno il valore di 1 milione di dollari), ma anche di altri artisti, emergenti o affermati, che lavorano nell’ambito dell’illustrazione, dando grande visibilità e dignità a questo genere di arte spesso non considerata al pari di altre per il suo legame con l’intrattenimento commerciale.

Spesso viene paragonato a Franzetta il peruviano Boris Vallejo (1941), dato che anche lui ha iniziato

a lavorare a 16 anni e ha illustrato per Conan il Barbaro, ma si è specializzato in poster cinematografici e copertine di romanzi dipinti con pittura acrilica diluita, con delle tonalità di colore estremamente vivaci.

Cromaticamente più sobrio è invece Luis Royo (1954), che lo ha portato ad essere un’icona soprat-

tutto per gli ambiti del fantasy più gotici e vicini alla cultura metal. Ha infatti collaborato a lungo con

la rivista Heavy Metal Magazine, per la quale ha realizzato molte copertine, con uno stile fantasy ma un tocco prettamente dark ed erotico.

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(pagina a fianco)

“the Lochness Monster” di Boris Vallejo “Caduceus” di Boris Vallejo

“Girl and dragon” di Boris Vallejo (in questa pagina)

“Educa” di Luis Royo

“Woman Warrior” di Luis Royo “Dead Moon” di Luis Royo

“Black Fantasy Sword” di Luis Royo

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Anche Gerald Brom (1965) condivide questo

gusto per delle atmosfere oscure, che ha portato nella serie di Magic: the Gathering chiamata “Dark Sun”, per la quale ha lui stesso progettato

l’ambientazione, e nel videogioco della Blizzard “Diablo”, il più dark della casa. La sua pittura è caratterizzata da toni molto pacati e poco saturi, spesso gestiti da piccole varia-

zioni tonali sul grigio, con figure scarsamente illuminate che emergono dal buio.

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(nella pagina a fianco, dall’alto e da sinistra) “Stormbringer” di Gerald Brom “Elzeny” di Gerald Brom

“Night Bells” di Gerald Brom

“The Devil’s Rose” di Gerald Brom (in questa pagina, dall’alto e da sinistra) “Black Angel” di Gerald Brom “Lost God” di Gerald Brom

“Insurrection” di Gerald Brom “Horse” di Gerald Brom

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Sono invece completamente diverse le illustra-

zioni di James Gurney (1958), ricche di luce e

di dettagli vibranti, simili ai dipinti preraffaelliti, basate su un’impeccabile conoscenza della

tecnica pittorica, che ha espresso nei suoi libri didattici “Imaginative Realism”(2009) e “Color and Light” (2010), nei quali spiega le tecniche

per poter dipingere in maniera realistica a partire dall’immaginazione. Questa infatti è proprio la sua specialità, espressa nei libri che lui stesso

ha scritto e illustrato della serie “Dinotopia” (1992-2007), nel quale tratteggia come sarebbe il nostro mondo se i dinosauri non si

fossero mai estinti, ma anzi avesse continua-

to a vivere in armonia con gli esseri umani, analizzando questo percorso nelle varie epoche storiche.

Possiamo trovare la stessa attenzione per il re-

alismo nelle opere di Donato Giancola (1967), che lui stesso descrive come un lavoro classico-a-

stratto-realista su fantasy e fantascienza, ispira-

to ai grandi autori del passato come Van Eyck,

Velàsquez, Caravaggio, Vermeer e Rembrandt. Anche lui ha collaborato con Magic: The Ga-

thering, fino a diventare un autore di culto e a scatenare il collezionismo delle carte da lui il-

lustrate, diventando il più popolare tra gli artisti legati al gioco. Ha inoltre creato un artbook con delle illustrazioni basate sul Signore degli Anel-

li, “Middle Earth: Visions of a Modern Myth” (2010), nel quale rappresenta gli avvenimenti fantastici con lo stesso spessore delle composizioni dei pittori classici.

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(pagina a fianco)

“Garden of Hope” di James Gurney

“Song in the Garden” di James Gurney

“Dinosaur Boulevard” di James Gurney “Progeny” di Donato Giancola

“Eowyn vs the Witch-King” di Donato Giancola (questa pagina)

“Song in the Garden” di James Gurney

“Flight Past the Falls” di James Gurney

“Dinosaur Boulevard” di James Gurney “Joan of Arc” di Donato Giancola “Silk Road” di Donato Giancola

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Cinema e Serie TV La fascinazione delle immagini evocate dal

fantasy non poteva rimanere a lungo lontana da

adattamenti ai linguaggi visivi, ma la sua complessità di esecuzione ha tenuto spesso lontani i registi da questo genere, finchè l’avanzamento

tecnologico non ha permesso una piena attuazione di questi mondi di fantasia. Inoltre spesso

questo genere è stato considerato inferiore ad

altri, ed era quindi afflitto da un budget basso e una conseguente scarsa qualità di produzione e performance degli attori, spesso volutamente esagerate e poco credibili.

Nella storia più antica del cinema possiamo

comunque trovare artisti di un certo spessore come Fritz Lang e la sua interpretazione dei Ni-

belunghi del 1924, e con l’avvento del sonoro la

trasposizione de “Il Mago di Oz” nel musical di Victor Fleming (1939), e nei decenni a seguire molte produzioni Hollywoodiane a basso bud-

get che riprendevano episodi mitologici o biblici, traq cui è necessario ricordare “Giasone e gli Argonauti” (1963, Harryhousen) per la realizza-

zione dell’Idra, di scheletri ed arpie tramite la tecnica dello stop motion.

Da questo filone è nato un fenomeno tutto ita-

liano, detto “Spada e Sandali” oppure “Peplum”, che ha dominato le sale tra il 1958 e il 1965 con film di serie B che tentavano di emulare il modello Americano con un budget ancora più ridotto, come le serie di “Maciste”, “Eracle e “San-

sone”. Il genere era abbastanza diffuso da creare

Due scene dal fim “I Nibelunghi”

“Il Mago di Oz” di Victor Fleming

“Giasone e gli Argonauti” di Don Chaffey

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parodie, come per esempio l’assurdo “Monty Python e il Santo Graal” (1975) che riprende il ciclo Arturiano, poi diventato film di culto, in cui tra le tante gag ricorrenti una erano gli attori

che simulavano di cavalcare dei cavalli, perchè la produzione non poteva permettersi animali in carne ed ossa.

Negli anni ’80 troviamo invece un boom del

fantasy, soprattutto nel genere Eroico, con film come la serie di “Conan il Barbaro” (1982 -

1983), visivamente basato sulle illustrazioni di

Franzetta, che però ai nostri occhi più moderni

non viene considerato particolarmente accattivante data la rappresentazione poco realistica del

vestiario succinto del protagonista, che ad oggi viene considerato uno degli esempi di come non

fare character design, ma che all’epoca riscosse enrome successo, anche grazie alla presenza fisica statuaria di Arnold Schwarzenegger.

Nello stesso periodo il regista Jim Henson

creò due film considerati icone del genere, “Dark Crystal” (1982 ) e “Labyrinth” (1986 ), enrambi artisticamenti curati dal concept artist Brian Froud, famnoso per le sue creazioni di fate e

nani. Il primo è un racconto canonicamente Epico, venduto come storia per famiglie ma

molto più oscuro di quanto il pubblico si aspet-

tasse, anche grazie all’uso molto realistico di ef-

fetti speciali reali come gli animatronics, all’epoca ancora poco diffusi, per rednere in maniera

realistica le atmosfere originali delle favole dei Fratelli Grimm, dato che il regista credeva che fosse più sano per i bambini spaventarsi e saper

gestire la paura piuttosto che esserne protetti.

“Sansone e Dalila” di Cecil B. DeMille

“Totò contro Maciste” di Fernando Cerchio

“Monty Python e il Sacro Graal” di Monty Python “Conan il Barbaro” di John Milius

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Il film si apre 1000 anni nel passato, quando il misterioso Cristallo Nero viene danneggiato dai malvagi Skekses, portando il mondo in un caos

che può essere ripristinato solo grazie all’ultimo sopravvissuto della razza dei Mistici, il giovane Jen, che dovrà superare molte avventure insie-

me ad una ragaza, una tribù di nani canterini e un’orchessa astrologa.

Simile è il tono di Labyrinth, che però è pro-

priamente un musical, indimenticabile grazie alla partecipazione del cantante David Bowie

nei panni dell’eccentrico Re dei Goblin, l’antagonista della quindicenne Sarah che, per un de-

siderio sbagliato, deve ritrovare il fratellino Toby

all’interno del labirinto del mondo dei Goblin, separato da quello reale. Loro sono praticamente gli unici attori “umani” del film, il resto del cast è

composto da creature assurde e meravigliose realizzate tramite pupazzi o animatronics. Quan-

do venne rilasciato nei cinema il film non ebbe

un grande successo, anzi fu un’enorme perdita,

dato che era costato quasi 30 milioni di dollari, ma ne aveva incassati meno della metà, portan-

do il regista ad abbandonare la carriera, fino alla

sua morte quattro anni dopo. Eppure negli anni successivi riscosse sempre più successo, portando alla produzione di fumetti, graphic novel e

addirittura un reboot annunciato nel 2016, a testimonianza della rinascita del genere nel corso

Tre immagini dal film “The Dark Crystal” di Frank Oz e Jim

Henson

“Labyrinth” di Jim Henson

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del nuovo millennio, come vedremo più avanti. Nel frattempo ci sono stati registi già affer-

mati che hanno scelto di trovare ispirazione nel fantasy, come per esempio Ridley Scott con“Le-

gend” (1985), che non fu un successo commer-

ciale ma vinse svariati premi per effetti speciali, make up e costumi, per l’enorme mole di lavoro impiegata per protesi e trucchi, con il team di

artisti più grande mai usato per un film. Anche in quest’opera troviamo unja forte contrapposi-

zione tra Bene e Male, dato che il Signore delle Tenebre per impadronirsi della Terra la fa spro-

fondare in una notte perenne, disturbata solo dalla luce degli Unicorni, che dovranno essere

salvati dal protagonista Jack, impegnato nel salvare anche la principessa Lili, in una trama molto classica.

Sulla stessa linea linea in questo periodo si tro-

vano molti film di poco successo, ma poi rivalutati in seguito, come LadyHawke, The Brincess Bride, Willow e Highlander.

Il vero cambiamento avverrà nel cinema come

era stato per la letteratura con “Il Signore degli

Anelli”, che sconvolse completamente le dinamiche rappresentate in precedenza, con una produzione ad altissimo budget (quasi 350 milioni di dollari per tutti e tre i film), un’ancora più alto ricavo (poco meno di 3 miliardi di dollari), ma

Due immagini da “Labyrinth” di Jim Henson

Due immagini dal film “Legend” di Ridley Scott Immagine promo per “Legend” di Ridley Scott

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soprattutto un successo immediato di enorme

risonanza sia tra i critici che tra il pubblico, tanto da vincere ben 17 premi Oscar. Finalmente gra-

zie al regista Peter Jackson si era riuscito a provare che il fantasy poteva essere non solo rappre-

sentato in maniera seria e profonda, ma anche

profittevole, dando il via a moltissime altre produzioni di qualità, che ne riprendevano anche la

cifra stilistica curata e attenta a dettagli realistici. Spesso sono comunque adattamenti da libri

già affermati con vari gradi di successo, enrome

come nel caso di Harry Potter di cui abbiamo

già trattato, parziale come per la serie mai com-

pletata tratta dalle “Cronache di Narnia” (libro: 1950-1956 C.S. Lewis; film: 2005-2010) orien-

tato verso un pubblico più giovane, e scarso per “Queste Oscure Materie” (1995-2000), fermato al primo film, “La Bussola d’Oro” (2007), ma per il quale ora è previsto un reboot televisivo.

Dpvendo considerare quest’ultimo medium, a

causa del successo e della qualità di produzione

attuale, è fondamentale citare la recente traspo-

sizione delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, nominata “Il Trono di Spade” per la trasposizione su piccolo schermo dal 2011, con un’estetica

estremamente curata per essere il più credibile possibile. Certo, troviamo anche draghi e non morti, ma gran parte del fascino di questa serie

Tre immagini da “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson

“Le Cronache Di Narnia, La Sedia d’Argento” di Joe Johnston

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deriva dall’intrigo politico e dalla moralità grigia dei personaggi, rendendolo un prodotto più facilmente godibile anche per un pubblico

più adulto e impegnato. Visivamente si possono chiaramente vedere le

ispirazioni che sono state seguite per la creazione dell’abbigliamento

delle varie casate, da uno più vichingo per i nordici Stark ad uno arabeggiante per i Martell a Sud, passando per varie sfaccettature medio-

evali e tribali nel mezzo, creando un mondo complementare al nostro e quindi molto credibile.

Videogames Se per il cinema rappresentare il fantasy è stato un passo difficile, così non è successo per i videogames: infatti per loro natura

essi non sono legati ad una rappresentazione realistica, ma possono inglobare una varia gamma di scenari e creature straordinari. Una difficoltà di progettazione è però l’aspetto estetico della GUI, ovvero graphic user interface, che consiste in tutte quelle schermate, pannelli e messaggi che permettono al giocatore di interagire con il gioco. Inizialmente la versione digitale era più

scarna rispetto a quella dei giochi da tavolo, riccamente decorati, a causa dei limiti della visualizzazione sui primi schermi, ma mano a mano con crescita della potenza dei computer si sono raggiunti livelli di estrema finezza decorativa, che poi ha anche influenzato la sua controparte “reale”.

didascalia (dall’alto e da sinistra)

“Sansa Stark e Oberyn Martell” dal Trono di Spade di David Benioff e D.B. Weiss

Immagine da “Golden Axe”

Il gioco da tavolo “Hero Quest” Immagine Di “Golden Axe”

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Un esempio di questa interfaccia vera è uno dei

primissimi giochi fantasy, “Golden Axe” (1989), un picchiaduro a scorrimento da fruire nelle sale giochi, nel quale si trovano un paio di informa-

zioni con un font genericamente bastoni e qual-

che barra colorata per controllare le statistiche del protagonista, anch’egli poco realisticamente

poco vestito come il Conan suo contemporaneo. Dieci anni dopo però possianmo trovare enor-

me passo avanti con “Baldur’s Gate” (1998) per

la console Atari, innovativo sia per la struttura di gameplay, ispirata al gioco di ruolo Dungeons

& Dragons, sia per il suo assetto grafico molto curato. Al lato dello schermo infatti troviamo moltissime informazioni sintetizzate con delle

icone illustrate in modo tale da risultare tridimensionali, oltre a dei bordi per pannelli e dialoghi decorati ad imitare dei materiali antichi.

Data la breve storia del medium, ma anche la

prolificità del fantasy in esso (soprattutto nei

mmorpg, o massively multiplayer online role

playing game, sia nelle varianti stilistiche occidentali che orientali), sarebbe molto lungo e complesso selezionare alcuni titoli, visto che si sono susseguiti molto velocemente, e spesso con

poche variazioni tematiche ed estetiche rispetto a quello che già è stato analizzato, come per

esempio la differenza del livello di credibilità di titoli come World of Warcraft rispetto ad altri

più realistici come the Witcher. Un fenomeno

interessante è però quello della digitalizzazione

dei giochi cartacei, come per esempio quelli di carte originati proprio da questi due titoli, ovve-

(questa pagina)

Artwork di “Golden Axe” per Mega Drive

Tre immagini dal videogioco “Baldur’s Gate” per PC

(pagina a fianco)

Due immagini dal videogioco “Heartstone: Heroes of Warcraft” per PC, console e mobile

Immagine dal mini-videogioco di “Gwent” da “The Witcher III”

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ro “Heartstone” (2014) per Warfcraft e “Gwent” (2018) per the Witcher, che mantengono lo stile

grafico anche nel “tavolo” digitale su cui si svolgono le partite, il primo abbondantemente deco-

rato in ambientazioni multicolore, il secondo basato solo su un sobrio tavolo di legno con accenti di metallo brunito. Le illustrazioni delle carte di

entrambi i giochi sono però state pesantemente

influenzate da Magic, che come risulterà ovvio per il grande numero di volte in cui è stato citato anche nei paragrafi precedenti, detiene un ruolo

principe nell’estetica ludica del fantasy, e il nostro Kerdemix non è da meno.

Gdr e Giochi da Tavolo Che sono effettivamente il succo della nostra

ricerca, quindi ne parleremo più approfondita-

mente nel prossimo capitolo dedicato alla storia

e all’importanza del concetto di gioco nella nostra cultura.

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C a p i t o l o II: G i o c h i

80

da

T avo lo


81


FONDA MENTI 82


L’Istinto del Gioco Se nella storia dell’umanità c’è un principio altrettanto importante quanto la fantasia del creare

mondi immaginarii, è proprio l’attitudine a giocare. In un certo senso sono due facce della stessa

medaglia, un istinto primordiale che porta la nostra specie a superare i confini della realtà prestabilita, creando nuove regole, nuove sfide, nuovi orizzonti per la nostra creatività. Questo è stato ricono-

sciuto da Sigmund Freud (1956-1939), padre della psicanalisi, nel suo saggio del 1909 “Il Poeta e la

Fantasia”, nel quale afferma che “Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale”, descrivendo l’atto con il quale il bambino giocando costruisce un suo mondo, cambiando l’assetto di quello reale. Tutti i bambini infatti posseggono questo istinto innato al gioco, non solo negli esseri

umani ma anche in molti animali, che si preparano alle sfide della vita adulta simulando in sicurezza comportamenti più pericolosi come la caccia, traendo estremo godimento da un atto che è sì educativo, ma soprattutto ludico.

Nella lingua latina infatti si distingueva tra il ludus, dotato di una connotazione più tecnica, studiata

e basata su regole rigide, e il iocus, che invece era più libero e spensierato, identificato proprio con Io-

cus, la divinità dello scherzo. Possiamo quindi già notare due diverse cognizioni di divertimento, uno sregolato ed istintuale, ed uno più strutturato e complesso; per questa tesi e per la forma che Kerdemix

prende con le sue molteplici e complicate regole, ci concentreremo prevalentemente su questa seconda interpretazione anche quando useremo la parola “gioco”.

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Il Flusso Nel libro “La Realtà in Gioco” (2013), dall’interessante sottotitolo “Perché i giochi ci ren-

dono migliori e come possono cambiare il mondo”, l’autrice e game developer Jane McGo-

nigal analizza i tratti positivi dei giochi, e il modo in cui ci donano felicità. Per raggiungere questa sensazione è stato studiato dallo psicologo Mihaly Csìkszentmihàlyi (1934) che sia

necessaria una condizione che ha denominato flusso (o flow nell’originale inglese), ovvero la sensazione soddisfacente ed esaltante di realizzazione creativa e di funzionamento accresciuto, e dalle sue ricerche è emerso che la vita quotidiana ci deprime per la sua carenza

di flusso, che invece è abbondantissima nelle attività ludiche, siano esse sportive, creative

o propriamente nei giochi, in generale in tutte quelle attività che richiedono un lavoro duro fortemente strutturato. Questo ci dona motivazione, un coinvolgimento intenso e

ottimistico con il mondo che ci circonda, in cui sentiamo che le nostre potenzialità sono pienamente espresse. Ma cos’è nei giochi che crea tanta gioia?

Le Regole Per l’autrice ci sono quattro tratti che definiscono un gioco, anche nella marea odierna che ci circonda. Il primo è l’obiettivo, ov-

vero l’esito specifico verso cui tende l’attività dei giocatori, concentrando la loro attenzione e orientandoli verso la partecipazione al gioco stesso, dando un senso di finalità. Il secondo punto è composto dalle regole che impongono dei vincoli alla realizzazione

dell’obiettivo, eliminando o limitando le modalità ovvie con cui raggiungerlo, quindi spingendo i giocatori ad esplorare spazi di

possibilità precedentemente inesplorati, liberando la creatività e favorendo il pensiero strategico. Subito dopo c’è il sistema di feedback, che dice ai giocatori quanto sono vicini al raggiungimento dell’obiettivo, nella forma di punti, livelli, una classifica o

una barra di avanzamento, fungendo da promessa che l’obiettivo può essere davvero raggiunto e fornendo la motivazione per cui continuare a giocare.

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Ultimo, ma non meno importante, è la vo-

lontarietà della partecipazione, che implica che chi gioca conosca e accetti di buon grado tutti i

punti precedenti, stabilendo un terreno comune

sul quale le persone possano giocare insieme. E’ proprio questa libertà di entrare nel gioco o abbandonarlo quando si sceglie di farlo a ga-

rantire che un’attività ricca di tensione e sfida venga sentita come sicura e piacevole.

Tra questi il punto che sorprendentemente ci

rende davvero felici è il più inaspettato, ovvero

proprio le regole. L’autrice prende ad esempio un classico gioco da tavolo, Scarabeo, il cui obiettivo

è semplicemente comporre parole lunghe e com-

plesse con tessere con una lettera ciascuna. Nella vita normale, lo chiamiamo semplicemente scrivere, e tranne rari casi non è un’attività partico-

larmente interessante. Quello che lo rende un gioco divertente è proprio il limite che il rego-

lamento ci impone: abbiamo solo sette lettere, non possiamo sceglierle, ne esistono un numero

finito, e dobbiamo iniziare dalle parole scritte da altri giocatori. Lo stato di operare esattamente ai limiti della propria abilità è quello di flusso, ciò

che ci diverte è proprio lottare contro i limiti del gioco, contro degli ostacoli non necessari. Nella

vita di tutti i giorni siamo messi costantemente

di fronte a miriade di ostacoli diversi, che però non ci portano gioia, anzi, ci deprimono.

Qual è la differenza allora? E’ la mentalità

con cui li si affronta. Gli ostacoli “reali” sono

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un dovere, sono necessari per la nostra sopravvivenza, ci sono dei risultati negativi quando non li superiamo, e quindi abbiamo paura di sbagliare e

siamo limitati nella nostra azione. Questo lavoro duro è logorante, fuori dal nostro controllo, perché spesso non è coerente con le nostre abilità o

le sottoutilizza, non abbiamo un’immagine complessiva chiara di quello

a cui stiamo dando un contributo, e non vediamo la fine o un risultato. Il gioco invece è liberatorio, perché è liberamente scelto, perché sono ostacoli

completamente arbitrari e “inutilmente” complessi ai quali però ci siamo

sottoposti volontariamente, in una sfida che accresce autostima, ottimismo e una felicità proattiva.

L’Eustress Il drammaturgo Noel Coward (1899-1873) ha espresso bene questo concetto: “il lavoro è più divertente del divertimento”.

Tutti questi limiti infatti ci portano ad un vero e proprio lavoro, uno sforzo molto pesante che si fa ogni volta che si gioca.

Quando si vanno ad analizzare altri tipi di divertimento canonico, ovvero quelli di tipo rilassante come guardare la televisione, mangiare cioccolata, fare shopping, o starsene semplicemente tranquilli, si riconoscerà che le sensazioni successive non sono

esattamente positive, anzi, ci fanno sentire quasi peggio, togliendoci motivazione, fiducia e coinvolgimento a favore di un mero

annebbiamento. Solitamente queste attività vengono scelte in risposta a delle sensazioni negative come la tensione e l’ansia, per

controbilanciare il senso di stimolazione e oppressione percepito, andando però nella direzione opposta verso noia e depressione.

Stress vs Eustress

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Un altro tipo di intrattenimento invece, definito dalla McGonigal come

divertimento robusto, genera una sorta di stress positivo, ovvero l’eustress, dal prefisso greco eu- che significa “buono”. Esso è fisiologicamente identico allo stress classico, dato che porta alla produzione di adrenalina, attiva i

circuiti di gratificazione e aumenta l’afflusso di sangue verso i centri di controllo dell’attenzione nel cervello, ma cambia fondamentalmente il nostro

stato d’animo. Quando abbiamo paura di sbagliare o ci troviamo in pericolo, oppure abbiamo una fonte esterna che applica pressione su di noi, come

nel caso dello stress sul lavoro, l’attivazione neurochimica estrema non ci rende felici, ma irritati e combattivi, o comportamenti di evitamento come

il cibo, il fumo e la droga. Nell’eustress non siamo spaventati o depressi, ma lo abbiamo scelto, quindi siamo fiduciosi e ottimisti, dato che abbiamo

scelto il nostro lavoro duro godiamo della stimolazione e dell’attivazione. Ci sentiamo in grado di affrontare la sfida, di riunirci con altri, di fare, in una tonificazione ottimistica che risolleva l’umore molto più del semplice rilassamento, poiché è attiva, non passiva.

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panora mica stilistica 88


Generi di Giochi Ciò che è stato scritto fin’ora ha una valenza

molto ampia applicabile a tutti i tipi di giochi,

dal tennis ai videogame sparatutto agli scacchi. In questa sezione invece ci occuperemo esattamente dei giochi da tavolo, e ai vari tipi che si possono incontrare negli scaffali dei negozi.

Innanzitutto, un gioco si può dividere in tre

componenti, distinte dal creatore di giochi Spar-

taco Albertarelli (1963) in una piramide che può ruotare rispetto a quali due elementi siano più importanti, quindi alla base, e quale sia invece il

completamento del tutto, sulla punta, ed è utile

da tenere presente durante lo sviluppo del gioco. Questi concetti base sono la meccanica, che

racchiude in sé le regole del gioco, strettamente legata alla dinamica, ovvero come ci si muove all’interno di una partita, come per esempio lanciando i dadi, ed infine, più spesso posizionata

alla punta della piramide, ma più importante per

un grafico, è l’estetica, che rende coerente e visivamente accattivante il tutto.

Una prima divisione basata sulla dinamica si

può tracciare in tre grandi categorie, ovvero gio-

chi di fortuna, giochi di strategia, e giochi misti. Un esempio del primo tipo può essere il gioco dell’oca, nel quale il giocatore non deve fare as-

solutamente nulla se non lasciarsi andare alla sorte, espressa tramite il lancio di un dado che

determina il suo avanzamento sulla pedana. E’ un tipo di giochi spesso considerato infantile,

poiché non richiede abilità o pensiero profondo, ed è spesso frustrante perché la vittoria è completamente casuale.

Al completo opposto troviamo i giochi di stra-

tegia, che non lasciano nulla al caso, ma anzi ri-

Illustrazione tratta da “Insight” n°5

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chiedono grande concentrazione ed allenamento, come per esempio gli scacchi. In questo caso

le partite possono essere molto avvincenti, ma sappiamo già che vincerà il più esperto, quindi è difficile per un neofita appassionarcisi. Il tipo più diffuso è di tipo misto, che mescola la ne-

cessità di essere abili con un pizzico di fortuna, come per esempio in tutti i giochi di carte, o in

alcuni giochi da tavolo regolati da dadi, come Ri-

siko! e Cluedo. Alla fine di una partita a questi giochi sono tutti contenti: come afferma sempre Albertarelli, il vincitore sarà convinto di essere il

più bravo, mentre il perdente può semplicemente dire di essere stato sfortunato. Kerdemix ricade

in questa terza categoria, mescolando un forte pensiero strategico alla sorte dei dadi.

Una seconda divisione generale può essere fatta

tra i giochi astratti e quelli di simulazione, nella quale i primi non hanno riscontro nel mondo

reale, come la Dama o Trivial Pursuit, mentre i

secondi imitano dei contesti di vita vissuta, come Monopoli per il mercato immobiliare o proprio Kerdemix per l’isolazionismo nazionale e

lo sfruttamento capitalista delle risorse. Si può inoltre prevedere la presenza o no di diplomazia, fondamentale in giochi come Diplomacy e

presente anche nel nostro, dando la possibilità di stringere patti e alleanze tra giocatori.

Un altro tipo di classificazione è quella narrati-

va, ovvero una distinzione sulle storie e gli scopi dei vari giochi, e come abbiamo visto per i generi del fantasy è una lista in perenne evoluzione, so-

prattutto in un mercato frenetico come quello at-

(dall’alto e da sinistra)

Dado a 6 facce Scacchi

“Risiko”

“Trivial Pursuit”

“Monopoly”

“Diplomacy”

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tuale, che vede un aumento della produzione e del consumo di giochi da tavolo. Non andremo qui ad

analizzare le categorie dei giochi a scacchiera e dei giochi propriamente di carte, né dei giochi di ruolo

puri, ma solo dei giochi in scatola svolti su una plancia (che a volte possono comprendere anche delle carte e una componente ruolistica, anche perché quest’ultima sarà più ampiamente discussa nella sezione della panoramica storica).

La prima categoria che incontriamo è quella dei giochi di percorso, che si basano un tragitto che deve es-

sere seguito dai giocatori, e generalmente vince chi arriva per primo al traguardo. Il più basilare è il classico gioco dell’oca, ma si possono aggiungere diversi livelli di difficolta, come per esempio in Taboo, nel quale

per procedere bisogna indovinare in squadra determinate parole. Nei giochi di posizionamento invece non è importante muoversi, ma disporre in maniera strategica o geometrica delle pedine sulla plancia di

gioco, oppure generare mano a mano la plancia stessa, come in Carcassonne. I giochi di carte non hanno proprio un tabellone, ma vengono gestiti esclusivamente tramite delle carte specifiche con delle funzioni solitamente scritte sulla carta stessa, come per esempio Magic: the Gathering.

Un’altra categoria è quella dei wargame, ovvero simulazioni, spesso molto accurate, di guerre e battaglie,

come per esempio Clash of Arms. Simili sono i giochi di miniature, o wargame tridimensionali, solitamente molto complessi e molto costosi, ai quali si dedicano piccole nicchie di appassionati che curano in tutti i dettagli le miniature e le ambientazioni, come nei casi di Warhammer. L’esatto opposto sono i giochi da

festa, la cui peculiarità è quella di avere regole molto semplici per poter essere giocati in compagnia e senza perdere troppo tempo durante appunto una festa.

(dall’alto e da sinistra) “Taboo”

“Carcassonne”

Carte di “Magic”

Torneo di “Warhammer” Partita di “Twister”

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panora mica storica 92


La Piramide dei Bisogni Come abbiamo anticipato, il gioco è uno de-

gli istinti che si è manifestato precocemente nella nostra specie. Lo psicologo Abraham

Maslow (1908-1970) classifica i bisogni degli

esseri viventi in un piramide alla cui base ci sono le necessità fisiologiche, e mano a mano

salendo altri stadi sempre meno essenziali, ovvero sicurezza e salute, appartenenza e af-

fetti, stima e stato sociale, e proprio in cima

l’autorealizzazione, fatta di moralità, creatività, spontaneità, assenza di pregiudizi. In

questa piccola punta secondo Albertarelli si può inserire il bisogno di divertimento, in

una sezione di necessità che possono apparire inutili, ma che definiscono la specie umana rispetto ad altri animali. Anche un

branco di macachi necessita di cibo, un riparo, affetto e status, ma probabilmente nessun macaco ha mai sentito il bisogno di dedicare del tempo a se stesso giocando a carte in

compagnia, creando giochi sempre più complessi. E’ lo stesso bisogno che ha portato

l’umanità a dedicarsi all’arte, all’immagina-

zione, al sovrannaturale, che l’ha portato ad inventare il gioco come lo conosciamo.

Illustrazioentratta da “Insight” n°5

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Preistoria Nel suo saggio “Homo Ludens” (1938) lo storico Johan Huizinga (1872-1945) fa notare la presenza

antica degli stessi tipi di giochi, come la trottola, il cerchio, la palla, gli anelli e mosca cieca, in zone del globo estremamente distanti tra loro, come Europa, Africa Nera, ma addirittura tra gli aborigeni

dell’Oceania e i popoli nativi Americani. Dimostra quindi che negli spostamenti i primi uomini hanno mantenuto delle tradizioni, anche se a volte adattate nei regolamenti. Probabilmente tramite l’attività ludica l’umanità preistorica esorcizzava la paura e si allenava ad affrontare le avversità anche

tramite il ragionamento, trasformando in un gioco le piccole attività come la snocciolatura, la cura

degli animali o l’intreccio di fibre. Gran parte degli oggetti dei giochi primitivi erano però anche collegati a cerimonie magico-religiose, come per esempio i riti commemorativi dei defunti, durante

le quali si tenevano giochi per dimostrare alle presenze divine il coraggio e la prontezza dei vivi. Tra questi oggetti molti sono di forma sferica, dei ciottoli che probabilmente venivano fatti rotolare come nel gioco delle bocce, con ritrovamenti sia in Scozia che in Turchia.

India Grazie a dei ritrovamenti archeologici si è scoperto che l’origine del dado da gioco è da collocarsi nella Valle dell’Indo ad opera

della popolazione degli Harappan, che nell’età del bronzo si diffuse fino al medio oriente, come provano dei dadi ritrovati a Shahr-e Sūkhté in Iran risalenti circa al 2800-2500 a.C. . Giochi di dadi vengono citati nei testi sacri dei Rig-Veda (1700-1100 a.C. circa), Atharvaveda (1200-1000 a.C.) e nella lista dei giochi vietati dal Buddha, ritenuta la più antica esistente, scritta circa nel V o VI secolo a.C. . Inoltre nel poema epico Mahābhārata, che racchiude miti dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C., troviamo la descrizione di come il principe Yudhisthira scommetta a dadi contro un discendente del re Kuru per il possesso del regno di Hastinapur, facendo scoppiare una guerra.

(da sinistra)

Resti antichi di giochi con dadi in Iran

Principe Shakuni raffigurato durante una delle sue famose partite

a dadi

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Egitto Anche nella Valle del Nilo i giochi ebbero una

grande importanza, come testimoniano nume-

rosissime prove tangibili. L’artefatto più diffuso

era il senet, parola che in antico egizio significa

“passaggio”, una scacchiera di un gioco da tavolo simile all’odierno backgammon, originaria circa

del 3300 a.C., composta da trenta caselle disposte in tre file da dieci, su cui ciascuno dei due

giocatori dispone le proprie pedine, sette bian-

che e sette nere, più quattro legnetti a forma di

mezzo cilindro con la parte convessa colorata di nero e l’altra di bianco che svolgevano la funzione di dadi. Nonostante i numerosi ritrovamenti

in tombe del Medio e Nuovo Regno, le regole di questo gioco sono sconosciute, si presuppone che

lo scopo fosse far uscire tutte le proprie pedine dalla scacchiera. La sua funzione non era esclusi-

vamente ludica, ma anche religiosa, dato che rappresentava proprio il passaggio dalla vita terrena

all’aldilà. Inizialmente diffuso solo nelle classi più nobili, intorno al 1500 a.C. si espanse anche

nella popolazione meno abbiente, rafforzando la sua componente mistica, dato che si cominciò a

credere che le sorti degli individui dopo la morte fossero legate al risultato di una partita a senet giocata tra il defunto e il Destino, come descritto

nella settima preghiera del Libro dei Morti (circa 1550 a.C.). Questa credenza portò a seppellire le scacchiere con i morti, oltre che a decorare le

tombe con illustrazioni rappresentanti il gioco, come nella tomba di Tutankhamon (morto circa nel 1323 a.C.).

Senet tipico dell’antico Egitto con nome di Amunhotep inciso Regina Nefertiti intenta a giocare a Senet Antichi resti di un Senet Partita di Senet

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Grecia L’importanza del gioco in grecia è esemplifi-

cata da quest’aneddoto dello storico Erodoto

(484-430 a.C.) presente nel primo libro delle “Storie”, ambientato durante le Guerre Persiane del 499-479 a.C.: “Ai tempi del re Atis figlio

di Mane si verificò una grave carestia in tutta la Lidia; e i Lidi fino a un certo punto trascorsero

il tempo resistendo, ma poi, siccome non cessava, cercarono rimedi, e qualcuno di loro escogitava

qualcosa, qualche altro un’altra. Appunto allo-

ra dunque furono inventati i tipi di gioco e dei dadi e degli astragali e della palla e di tutti gli altri giochi, tranne gli scacchi: infatti appunto di

questi i Lidi non si attribuiscono l’invenzione. E

facevano così contro la carestia avendo inventato questo sistema: per uno intero su due giorni

giocavano, proprio per non sentire il bisogno di

cibi, mentre per l’altro mangiavano concedendosi una pausa dai giochi. In tale modo vissero per diciotto anni.”

Molti storici hanno bollato questa storia

come apocrifa, eppure descrive un punto im-

portante sull’essenza del gioco: non è solo un’evasione passiva dalla realtà, ma può essere

una fuga con uno scopo, estremamente utile,

L’anfora di “Achille e Ajace che giocano a dadi” di Exekias

Astragalo di osso di ungulate

come abbiamo visto nella sezione precedente dedicata al flusso e all’eustress.

Roma Nel paragrafo sui Greci si è parlato di dadi ed astragali, ma è grazie ai romani, grandi giocatori d’azzardo, che questi strumenti

da gioco si diffondono e perfezionano. Gli astragali rappresentano la forma più primitiva, essendo delle ossa del tarso presenti

negli ungulati, dalla forma tetraedrica, diffuso come gioco di abilità per donne e bambini. Successivamente vennero realizzati dei dadi veri e propri, più precisi, in avorio, osso, legno, metallo, roccia ed anche vetro. Come abbiamo anticipato, i dadi erano

usatissimi dai romani soprattutto per le scommesse, tanto che venivano citati in molte leggi che ne vietavano l’uso, finchè non

vennero completamente banditi in tutti i momenti tranne durante i festeggiamenti dei Saturnalia. Nonostante questo, si sono ritrovati moltissimi dadi romani, anche truccati.

Dimostrando un’atavica preoccupazione per i giovani giocatori, il poeta Orazio (65-8 a.C.) derideva la gioventù dell’epoca

che sprecava tempo a giocare invece di imparare a domare cavalli o ad allenarsi alla lotta. Non tutti però vedevano con sdegno questa attività ludica, come testimonia l’epigramma di Agazia Scolastico (536-582): “Seduto a questa tavola ornata di belle

pietre muoverai l’amabile gioco del lancio sonoro dei dadi. Ma se vincerai non ti fare superbo, oppure, se superato da altri non

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ti addolorare rimproverando il tuo lancio da po-

chi punti. Ché nelle piccole cose si fa manifesto il carattere dell’uomo e il dado annuncia quanto profondamente sia radicata la saggezza.”

Secondo Umberto Eco (1932-2016) l’atto di

lanciare i dadi è legato al “pensiero magico”, un gesto propiziatorio guidato dal caso sul cui esito non abbiamo nessun potere, poiché dopo

il lancio è tutto deciso dal destino. La parola

stessa infatti deriva dal latino datum, ovvero il

gesto che si compie quando si lancia l’oggetto,

un’azione nelle mani di qualche entità esterna, che sia una divinità o il Fato, come nei rituali di divinazione diffusi in tutto il mondo in tutte le epoche per predire il futuro.

Cina e Giappone Per i giochi che citeremo in questo paragrafo, l’origine è cinese, ma la più ampia diffusione è stata giapponese, poiché erano

un passatempo destinato alle classi nobiliari, che intrattenevano vivaci scambi economici e mercantili in questo ambito tra i due

paesi. Rispetto ai giochi occidentali, questi sono molto più complessi: basti pensare che le classiche carte, di nome hanafuda o carte dei fiori, hanno 12 semi riccamente decorati, mentre quelle occidentali, sia napoletane che francesi, si fermano solo a 4.

Un altro esempio è il gioco del Go (nell’originale cinese Wei-qi), dalla strategia talmente complicata da essere obbligatorio

nelle accademie militari giapponesi dal XVI secolo, mentre dal XVII secolo i giocatori vengono classificati con gli stessi livelli

delle arti marziali, i dan, implicando un allenamento continuo fin dall’infanzia. La leggenda narra che il Go sia stato creato

dal leggendario imperatore cinese Yao 4000 anni fa per istruire il figlio Danzhu, ma in realtà le vere origini sono sconosciute, soprattutto perché divenne più diffuso dopo la sua introduzione in Giappone nel 625. Il gioco viene praticato su un tavoliere, il

goban, largo 45 cm e lungo 42, diviso in 19 linee nere per ciascun lato, formando 361 intersezioni, di cui 9 segnate da dei puntini detti hoshi o stelle. Il tabellone per principianti invece conta 9 o 13 linee, per semplificare i movimenti. Le pedine sono 180

nere e 181 bianche e devono essere collocate alternatamente dai due giocatori sulle intersezioni vuote della scacchiera, come se si stesse organizzando una battaglia campale, studiando attacchi, difese e strategia, trovando un equilibrio tra necessità opposte.

Dadi vichingo/romani a tema erotico

Graffiti romani raffiguranti una partita a dadi Antiche carte giapponesi per il Koi Koi

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E’ però fondamentale per lo sviluppo dei giochi da

tavolo in occidente citare lo Shing Kunt t’o, o la promozione dei mandarini, caratterizzato da un tavoliere a

serpentina, che venne poi esportato e portato a diventare un classico, come vedremo nel prossimo paragrafo: il famosissimo Gioco dell’Oca.

Giochi Moderni Durante il periodo medioevale non vennero creati nuovi giochi significativamente importanti, ma vennero implementati e

perfezionati quelli già esistenti. Almeno fino al Rinascimento, che portò con sè nuove sperimentazioni, prima fra tutte il Nuovo e Molto Dilettevole Giuoco dell’Oca, risalente alla seconda metà del XVI secolo. Abbiamo testimonianza che nel 1580 venne donato da Ferdinando I De ‘ Medici a Filippo II Re di Spagna, in una versione dalla plancia in legno riccamente intarsiata e

decorata. Divenne però estremamente diffuso nel XVII secolo grazie alla possibilità di stampare il tabellone su carta, abbattendo

i prezzi e migliorandone la trasportabilità, aprendo la strada a infinite personalizzazioni, come quello basato sulla Rivoluzione Francese o su Don Chisciotte.

(dall’alto e da sinistra)

Gioco del Go

“Dilettevole Giuoco dell’Oca” di Carlo Coriolani

Variante francese del Gioco dell’Oca “Jeu du Soldat” Palio del Gioco dell’Oca di Mortara

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A lungo però questi giochi, così come i dadi

in epoca romana, vennero bollati come gioco

d’azzardo e quindi messi fuorilegge, come per

esempio durante l’epoca vittoriana, nelle quale i giocatori rilegavano le scacchiere per poterle facilmente nascondere e farle passare per libri.

Successivamente, con un grande impatto del-

la cultura francese che li considerava una forte fonte di aggregazione sociale, la fama dei giochi da tavolo venne ristabilita, e come la gran parte

dei mezzi d’intrattenimento, il loro grande suc-

cesso è dovuto all’ascesa durante l’Ottocento di un ceto medio borghese con sufficiente denaro

da spendere nel tempo libero, per prodotti che unissero la famiglia intorno al nuovo concetto di focolare domestico. Nel 1883 nacque così la pri-

ma grande casa produttrice, la Parker Brothers, che iniziò a diffondere i suoi prodotti con delle

pubblicità mirate sui giornali, creando negli anni giochi ancora oggi diffusissimi come Monopoli (1935), Cluedo (1948) e Risiko! (1968).

Wargames Questo tipo di gioco ebbe uno sviluppo alternativo e parallelo rispetto a quelli del paragrafo precedente, poichè si rivolgevano

ad un pubblico più di nicchia, necessitando di grandi abilità strategiche, e per questo si diffusero inizialmente in ambito strettamente militare. La prima forma nacque nel 1780 in una caserma militare Tedesca, con una mappa di 1666 caselle che rappresentavano vari tipi di terreno e delle pedine che indicavano vari gruppi di soldati. Nel 1824 il barone Von Reiswitz creò “ Istruzioni

per la rappresentazione di manovre tattiche mediante un wargame”, usando mappe topografiche reali e rigide regole per gestire

(dall’alto e da sinistra)

“Risiko!” della Parker Brothers

“Monopoly” della Parker Brothers

Illustrazione di una partita di “Wargame” in caserma Antico “Wargame” tedesco

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i combattimenti, con il patrocinio di Gugliel-

mo I di Germania, che lo distribuì ad ogni reggimento del suo esercito, non senza conte-

stazioni riguardo l’accuratezza delle tattiche, creando un grande dibattito sull’argomento. Nel 1837 venne introdotto un arbitro neu-

trale che determinava i risultati della partita, e dal 1870 il gioco si diffuse in eserciti di al-

tre nazioni, ognuno con i propri regolamenti specifici.

Anche lo scrittore H.G. Wells si interessò

a questo tipo di gioco, scrivendo nel 1913 il

regolamento di Piccole Guerre. Essendo un convinto pacifista, Wells era convinto che gli istinti violenti e il brivido della battaglia di

certi individui potessero essere placati tramite la catarsi ludica, identificando uno sco-

po etico nella pratica dei giochi. Questa sua

versione, dotata di miniature tridimensionali, venne accolta molto favorevolmente dal pubblico e si diffuse velocemente, facendo emergere un mercato di nicchia per adulti.

Negli anni seguenti vennero creati molti

titoli: Diplomacy, che si concentrava sullo

sviluppo dei personaggi piuttosto che sui conflitti; Middle Earth, ispirato al Signore

degli Anelli; White Bear and Red Moon, pensato dallo scrittore fantasy Greg Stafford per ampliare il mondo dei suoi romanzi ambientati nel mondo di Glorantha.

Illustrazione di H.G.Wells mentre gioca a “Piccole Guerre”

Foto di H.G. Wells mentre gioca a “Piccole Guerre” Fantasy Wargame basato sulla Terra di Mezzo

Wargame “Divine Right” di Glenn A. Rahman e Kenneth

Rahman

100


Giochi di Ruolo Durante gli anni ’70, seguendo questi ultimi fi-

loni dei wargame, nacque il prolifico genere dei giochi di ruolo, che aggiunsero una forte compo-

nente di improvvisazione quasi teatrale, discen-

dente della più antica tradizione ludica conosciu-

ta da tutti i bambini come “facciamo finta che”. Nel 1969, riprendendo la l’arbitro neutrale ottocentesco nella funzione di Master, Dave Wesley organizzò una convention presso l’Università del

Minnesota in cui i giocatori, con abilità e obiettivi diversi, improvvisavano la gestione dell’avanscoperta degli eserciti in una fittizia città in epoca

Napoleonica. La partita finì nel caos più totale, ma i giocatori si divertirono tanto da chiedere ulteriori sessioni di questo nuovo gioco, aggiungendo

diverse ambientazioni, tra le quali una fantasy nel

1971 chiamata Blackmoor e creata da Dave Arneson, nella quale ogni giocatore impersonava un

alter ego in un mondo magico. Successivamente venne inserito il concetto di miglioramento dei

personaggi, che guadagnavano esperienza dopo ogni combattimento. Il dungeon nacque sempre

da Arneson in un’avventura nella quale i gioca-

tori dovevano salvare una principessa imprigio-

nata nelle prigioni di Blackmoor Castle, in una soluzione in cui il sotterraneo veniva canalizzato il flusso dell’avventura, limitando e chiarificando

le scelte tattiche. I draghi arrivarono dopo pochi

anni grazie alla collaborazione con Gary Gygax, che aveva adattato il regolamento per includere

le creature fantastiche deol Signore deli Anelli, e

“Dungeons & Dragons, Blackmoor” di Dave Arneson “Dungeons & Dragons” di Dave Arneson

Tavola con pedine di “Dungeons & Dragons”

101


così nacque Dungeons and Dragons, pubblicato nel 1974 dalla Tactical Studies Rules, o in bre-

ve TRS. La prima tiratura di 1000 copie venne

venduta in soli undici mesi, la seconda di 5000 ben in cinque. Con gli anni la sua popolarità crebbe esponenzialmente, generando innumere-

voli espansioni e concorrenti, fino a poi fluire nel mondo dei videogiochi.

Magic: The Gathering Uno sviluppo dei giochi di ruolo di ebbe nel 1991, quando Richard Garfield ebbe l’idea di produrre un gioco di combatti-

mento facilmente trasportabile, fatto per essere giocato durante i tempi morti delle conventions fantasy o ludiche, inventando le carte collezionabili che poi vennero prodotte nel 1993 dalla casa Wizards of the Coast, presentandolo alla fiera Origins

Games a Columbus in Ohio, vendendo tutta la prima tiratura ti 2,6 milione di carte nel soprendente tempo di due mesi. Venne quindi presto pubblicata un’espansione nel 1993, Arabian Night, ma la richiesta vorace del pubblico eran sempre più

forte, portando al rilascio stabile di una nuova espansione ogni 3 mesi, ognuna con uno stile diverso, e quindi estremamente interessante dal punto di vista del design e dell’illustrazione.

Il gioco consiste in una sfida all’ultimo sangue tra due o più Planeswalker, potenti maghi, ognuno dei quali ha un mazzo di

minimo 60 carte, divise tra terre, creature, artefatti, incantesimi, planeswalkers, stregonerie ed istantanee, anche combinate tra

(dall’alto e da sinistra)

Party di Critical Role, giocatori di ruolo composti da attori e

doppiatori appassionati che condividono in streaming le loro

campagne

Due carte della prima edizione di Magic: The Gathering

Tipico mazzo di carte di “Magic: The Gathering”

I cinque elementi di “Magic:The Gathering”

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loro. La maggior parte sono poi suddivise in co-

lori, che caratterizzano differenti tipi di magia, basandosi sui significati psicologici associati a

tali colori: la Bianca rappresenta la rettitudine, l’ordine, la legge e la luce, ma anche l’assolutismo fanatico, viene usato principlamente per curare i punti vita; il Blu è il colore dell’illu-

sione e dell’inganno, di acqua, aria, intelletto e

sogni, e serve quindi a pescare nuove carte dal

mazzo; il Rosso è caos, passione, furia e libertà, usato per creare danni diretti agli avversari; il

Verde essendo proprio della natura e della vita, aiuta a produrre mana per scagliare incantesimi; infine il Nero simbolizza la morte, l’immo-

ralità, la corruzione e la sete di potere a qualsiasi prezzo, causando spesso dei danni collaterali

per il giocatore che le usa, garantendo però le

competenze specifiche di tutti gli altri colori, dimostrandosi molto versatile.

Questo sistema cromatico viene esplicita-

mente citato in Kerdemix, trasformato nelle diverse magie generate dai cristalli.

Queste carte inoltre, essendo collezionabili,

hanno una rarità differente per ciascuna, distin-

ta in comuni, non comuni, rare e rare-mitiche. Alcune edizioni speciali raggiungono addirittu-

ra il prezzo di 100.000 $. Questo discorso della collezionabilità è strettamente legato anche all’ambito artistico, dato che ogni carta com-

prende un’illustrazione dettagliata, inutile a

Pentagono con magie associate a colori

Sei tipologie di carte con colori associati

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livello di gameplay, ma fondamentale per lo sviluppo della narrativa interna al mondo di

Magic, divenendone elemento imprescindibile. Moltissimi artisti negli anni sono stati in-

terpellati per illustrare queste carte, tra cui alcuni che abbiamo visto nel paragrafo dedicato

agli illustratori, ognuno portando il suo stile specifico, diventando un faro per il design fantasy. Tra i piĂš popolari tra i fan possiamo trovare Drew Tucker, Terese Nielsen, Adam Rex, Zoltan Boros e Gabor Sziksai.

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(pagina a fianco dall’alto e da sinsitra) “Basal Silver” di Drew Tucker

“Eternity Snare” di Drew Tucker “Ajani’s Aid” di Terese Nielsen

“Hanna the Ship’s Navigator” di Terese Nielsen “Call of the Conclave” di Terese Nielsen

“Sword to Plowshares” di Terese Nielsen

“Marked for Death: the Lost Mark” di Adam Rex “Races of Destiny” di Adam Rex

(questa pagina dall’alto e da sinistra) “Griffin Rider” di Adam Rex

“Akroma’s Blessing” di Adam Rex

“Elemental Skiff ” di Zoltan Boros e Gabor Sziksai “Unquestioned Authority” di Zoltan Boros

“Enslave” di Zoltan Boros e Gabor Szikszai

“Confini Esplosivi “ di Zoltan Boros e Gabor Szikszai “Namiestniczka” di Zoltan Boros

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C a p i t o l o III: T e m i

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FILOSOFIA E MORALE 108


Il gioco e l a Consape volezza Come si possono legare gli argomenti che abbiamo già

trattato con la filosofia, l’etica, e l’interesse sociale? Il primo, il fantasy,è il regno dell’immaginario,mentre il gioco come

abbiamo visto è l’opposto della realtà,ed entrambi vengono spesso considerati passatempi infantili, o comunque non profondi, e quindi assolutamente lontani da argomenti di altro spessore.

Per rispondere a questo interrogativo credo che sia per-

fetto il discorso fatto in un post da Giulia del Vecchio, attivista e amica che stimo profondamente, alla quale

hanno chiesto perché avesse spostato la sua attenzione dai videogiochi alla politica: “ […] Alla fine mi sono data

una risposta banale, che però mi sembra valga la pena di condividere, soprattutto considerando i pregiudizi che an-

cora ci sono verso le persone appassionate di questo genere

di intrattenimento. I videogiochi, i fumetti, i libri fantasy, i giochi di ruolo intorno a un tavolo, le storie lette e spesso vissute in prima persona, di mondi apocalittici dove si

cerca di sopravvivere, o di super-cattivi da sconfiggere; le

storie di eroi, o spesso di persone comuni, che si ritrovano a

fare la differenza, a costruire strategie e a intraprendere percorsi che guardano a un obiettivo alto, altissimo, che

tutti ritengono sia irraggiungibile; la potenza narrativa del lieto fine, del compimento dell’azione, del risultato faticosamente ottenuto, tutte queste cose hanno insegnato alle me tredicenne, sedicenne, ventenne e alla me di adesso, che il mondo si può cambiare.

Non da soli, certo, ma se ognuno si sentisse chiamato in

prima persona per cambiare il mondo, per renderlo un

posto più vivibile per se stessi e per gli altri, allora il lieto

fine sarebbe già alla prossima pagina. Giocare a salvare

il mondo, insomma, mi ha insegnato a credere che il mio impegno, per quanto io sia solo un individuo di passaggio in questa storia così terribilmente complessa, può servire a qualcosa.

Se anche alla fine venisse fuori che sono solo un’illusa e

un’utopista, o non riuscissi nel corso della mia vita a vedere

i risultati sperati, sceglierei comunque di credere - perché Giocatori di LARP (Live Action Role-Playing, o in italiano Gioco di Ruolo dal Vivo), che impersonano i loro ideali in una lotta del Bene contro il Male

per come sono fatta io, anche se a volte mi lamento, e mi

sembra di correre dietro ai mulini a vento, se perdessi questa fiducia so che sarei molto più infelice. L’indifferenza mi

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svuoterebbe, mi sentirei un “personaggio non giocante”, un NPG che ripete sempre la stessa frase, quando ci clicchi sopra. […]”

E’quindi inutile separare queste tematiche, poiché si influenzano incredibilmente, Avere

davanti un mondo immaginario con il quale interagire direttamente modifica in modo

radicale le aspettative che si hanno nel mondo reale. Non è una cosa nuova, perché come abbiamo visto nei precedenti capitoli il fantasy non è altro che un modo di

raccontare la propria società e i suoi principi fondanti, nonché le aspirazioni morali

ideali, mentre il gioco è un bisogno che dona incredibile motivazione e potenza vitale. Andiamo quindi ad analizzare quali sono i principi che noi creatori vorremmo fossero trasferiti a chi gioca a Kerdemix.

Buddhismo Essendo il creatore del gioco un buddhista praticante, ha naturalmente infuso la sua storia con la saggezza della sua spiritualità,

che emerge in maniera simbolica in vari elementi del gioco, soprattutto nelle modalità di vittoria. In questo senso farò parlare lui direttamente, citando ciò che ha scritto a riguardo: “Credo che in ogni essere umano esista il conflitto tra l ’essere libero o essere liberatore. Essere libero, o forse sarebbe meglio dire, il sentirsi libero, spesso coincide con l ’arroganza di evadere alle norme imposte dalla società, credendo che le proprie regole siano quelle giuste e migliori. Essere liberatore viene intesa come la felicità

assoluta dettata dalla gioia del donare: “io sono felice se le persone intorno a me sono felici”. L’egoismo quindi porta ad avere

come traguardo la soddisfazione personale nel raggiungimento dei propri scopi e nell ’imposizione dei propri principi, che con arroganza diventano gli unici, giusti e veri. L’intuizione di non poter essere felici se circondati da infelici dovrebbe portare

l ’uomo a cercare di liberare l ’altro dalla propria gabbia di sofferenze, per portarlo in qualche modo al suo benessere psicologico.

(da sinistra)

Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Meditazione

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Questo gesto apparentemente altruistico genera come effetto un’inevitabile ripercussione di gioia.”

Come ho già anticipato nell’introduzione, la

creazione di questo gioco è stato per lui un modo per liberarsi dall’infelicità dovuta alla pigrizia e

all’isolamento, che è riuscito a sconfiggere seguendo pratiche filosofiche e spirituali del bud-

dhismo Soka Gakkai, che segue gli insegnamen-

ti del Sutra del Loto di Nichiren Daishonin per

il raggiungimento non solo del benessere perso-

nale, ma anche della pace di ciò che ci circonda, influenzando direttamente la società. Secondo

questa pratica, non esiste una netta distinzione tra “buono” e “cattivo”, troppo semplicistica, dato che sono aspetti inseparabili e connaturati alla

vita, ma le vere azioni malvagie sono quelle fondate sull’egoismo. In questa condizione infatti

ci convinciamo che la nostra vita e quella degli altri siano separate, e che il prossimo sia solo uno strumento da usare, e non un fine a sé al qua-

le dare rispetto. In questo modo è male ciò che separa, mentre è bene ciò che unisce. Quando

si divide l’umanità in categorie differenti, “noi” e “loro”, si forma un’oscurità fondamentale che spoglia la vita di un significato profondo, creando un enorme senso di disperazione.

Il modo per uscire da questa autocommisera-

zione è praticare quella che il presidente della Sokka Gakkai, Josei Toda, definisce “Rivoluzione Umana”: una trasformazione interiore dal

“Piccolo Io” al “Grande Io”, un altruistico desi-

derio di agire per gli altri e l’umanità intera, tra-

mite il riconoscere che la propria vita in primis è dotata di possibilità illimitate. Assumersi la re-

sponsabilità di cambiare la propria vita è la prima scintilla che può innescare un cambiamento

su scala globale, creando una società basata sulla compassione e sul rispetto per la dignità della vita di tutti gli esseri umani.

il Buddha raffigurato durante una lezione

Monaci buddhisti che aiutano rifugiati in Bangladesh

Illustrazione del Buddha durante una lezione all’aperto

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Kant Simile a questi principi è l’etica kantiana, espres-

sa dal filosofo nella “Critica della Ragion Pratica” (1788), nel quale analizza il libero arbitrio, un fenomeno indimostrabile, ma che è ragionevole

credere che possa esistere. La concezione prece-

dente a Kant era riassumibile in un “se puoi, allora devi”, in cui l’uomo è libero e responsabile delle

sue azioni, che però porta all’irresponsabilità come

i libertini di fine Seicento. La sua versione diventa quindi “se devi, allora puoi”, poiché l’uomo avendo

dei doveri è abbastanza libero da prendersene la responsabilità, quindi il “bene” rimane una scelta

non imposta: per esempio, obbedendo alle leggi

esclusivamente per paura di una sanzione, si agisce solo per egoismo, e non pero spirito etico.

La morale inoltre non è dipendente neanche da

un premio e da un piacere, ma esclusivamente dal-

la ragione e dalla razionalità. La legge morale deve essere assoluta, libera e incondizionata, esemplificata nell’imperativo categorico: “agisci in modo che

la regola a cui obbedisce la tua azione possa essere parte di una legislazione universale”, ovvero la co-

sapevolezza che di come sarebbe il mondo se ogni

altra persona si comportasse esattamente come noi, non considerandosi quindi un’eccezione nella no-

stra individualità. Si può riassumere ulteriormente

nella regola aurea “non fare agli altri quello che non

vorresti fosse fatto a te”, unico modo in cui è possibile vivere in un mondo ragionevole con altri individui, una banalità che però viene spesso dimenticata, proprio a causa dell’egoismo. Da qui quindi

deriva il riconoscimento dell’altro come specchio

della propria moralità, formulando un altro imperativo: “considera sempre l’altro uomo come fine e

mai solo come un mezzo”, che concorda con l’etica buddhista che abbiamo visto in precedenza.

E’ di grande importanza considerare l’etica Kan-

tiana perché dà delle motivazioni morali all’altru-

ismo non solo in base alla spiritualità e al miglioramento personale, ma filosoficamente come unico modo razionale di convivere in una società comporta da altri individui, condizione imprescindibile dell’esistenza umana.

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“Critica della Ragion Pratica” di Immanuel Kant

Ritratto di Immanuel Kant


Diversità Questa centralità dell’altro nelle questioni etiche si collega quindi direttamente all’accettazione della diversità del prossimo.

Non si tratta di tolleranza, che presuppone una resistenza a qualcosa di negativo, ma una totale comprensione di come la molti-

tudine di influssi possa portare un beneficio a tutta la società. A questo proposito vorrei citare Gene Roddenberry (1921-1991), il creatore della serie televisiva fantascientifica Star Trek, all’avanguardia nel porre l’accento sulla diversità di culture sia a livello narrativo che pratico, per esempio mettendo sulla plancia di un’astronave una donna di colore mentre negli Stati Uniti era an-

cora fortissima la segregazione razziale. Così si esprime a riguardo: “Star Trek è stato un tentativo di dire che l’umanità avrebbe raggiunto la maturità e la saggezza solo il giorno che avrebbe iniziato non solo a tollerare, ma a trarre uno speciale diletto nelle differenze di idee e di forme di vita”. La base di queste idee è quindi il mutuo rispetto che permette di prosperare in pace.

Uno dei principi di Kerdemix, che sta proprio nel nome nel suffisso -mix, è porre il giocatore davanti alla lotta per riportare alla

luce queste differenze, ponendo fine ad un regime che canalizza il suo potere nella segregazione e nella soppressione degli scam-

bi culturali. A livello di design questo viene espresso rifiutando il classico stilema fantasy medioevale, occidentale e caucasico, ma andando ad esplorare le tradizioni e le espressioni di diverse culture, mostrando quanta bellezza c’è fuori dal nostro piccolo giardino, e quanto si può imparare da essa. Andremo adesso a vedere proprio come ho gestito queste influenze nell’ambito del character e dell’environment design.

La diversità di genere ed etnia nei cast di Star Trek: The Original Series (1966)

The Next Generation (1986) Deep Space Nine (1993) Voyager (1995)

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C a p i t o l o IV: D e s i g n

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character design 116


Fondamenti Per progettare i personaggi di Kerdemix si è

partito da uno schema geometrico semplice, che

sta alla base della personalità del personaggio: una forma geometrica. La psicologia della forma influenza poi il resto del design, infatti ad

un cerchio corrisponderà un carattere più ami-

chevole e simpatico, ad un triangolo una sensazione di pericolo e di malignità, ad un quadrato

una personalità rigida e legata ai valori materiali, mentre ad una linea una spiccata forza morale e

spirituale. Fondendo poi con altre figure del basic design, come le linee spezzare o sinusoidali, si crea la shape iniziale.

Una volta trovara questa si passa ad uno sketch

thumbnail con accenni di vari tipi di vestiario, ispirato a varie culture, come specificato nel capitolo precedente, per variare la solita concezio-

ne di fantasy. In questo modo di definiscono i

values in bianco e nero e gli impatti grafici che contraddistingueranno il personaggio, anche in piccolo.

Una volta selezionati i vari elementi dell’outfit

si passa alla lineart, che dà definizione a tutti gli elementi, e permette poi di passare ai colori piat-

ti, anche questi basati sulla psicologia del colore, per caratterizzare al meglio il personaggio che stiamo andando a creare.

L’ultimo passaggio è composto dallo shading,

ovvero il chiaroscuro, e il rendering, ovvero la

resa pittorica delle texture dei vari elementi, come incarnati, panneggi o metalli.

In ordine dall’alto verso il basso, ripetuti per ogni forma geometrica:

Forma geometrica Shape

Tre diverse thubnail di outfit

Nelle prossime pagine si troveranno le lineart e il rendering per ciascun personaggio.

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Avventuriera 1: Kriake Una pericolosa necromante, che trae il suo po-

tere dagli spiriti demoniaci che possiedono il suo corpo. Lega all’energia dei cristalli di rubino e ossidiana, inganna il suo nemico per poi deprivarlo di ogni energia.

Il suo personaggio è basato sulla cultura Nu-

biana dell’Egitto Meridionale, fusa con un gusto gotico e la magia sciamanica, stile perfettamente esemplificato dalla modella Theresa Fractale.

Palette cromatica: Ebano

Blu Notte Scarlatto

(da sinistra verso destra)

Nubian slaves, the Great Temple, Abu Simbel, Egyp. @theresafractale

Le creazioni gotiche di Hysteriamachine.

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Avventuriero 2: Norio Veloce e preciso, ha la forza di un cacciatore di

draghi e l’accuratezza di un cecchino. La sua ener-

gia deriva dai cristalli rubino e ambra, quindi usa il suo grande potere per difendere, non attaccare.

Il vestiario è basato sulle armature dei samurai

giapponesi, che permettevano ampio movimento

esplosivo pur garantendo una buona protezione dai copli nemici.

Palette cromatica: Avorio

Borgogna Oro

(da sinistra verso destra)

@paolodrumz

Pyrese Dragon di Raising Dawn.

“Sanurai Practice” di Danijel Knezevic

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Avventuriero 3: Hulagu Gioviale e festivo, nulla può abbattere il suo

umore solare. Non bisogna però sottovalutare il suo potere, che scaturisce direttamente dalla

terra grazie alla connessione con i cristalli ambra e smeraldo.

Il suo abbigliamento è ispirato a quello della

Mongolia, fatto di caldi e resistenti tessuti grezzi adatti a sopravvivere in un clima rigido, permet-

tendo però ampi movimenti. Come stazza ricorda un classico Nano, anche se canonicamente tale razza non possiede istinti magici.

Palette cromatica: Oro

Verde foglia Mattone

(da sinistra verso destra) Mandriano Mongolo.

Abito tradizionale Mongolo.

John Rhys-Davies come il nano Gimli ne “Il Signore degli Anelli”

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Avventuriera 4: Cualee Nonostante la sua giovane età, è già una scia-

mana dai grandi poteri, e il senso di superiorità dei suoi nemici non è altro che un’ulteriore arma a sua disposizione. La sua energia è fortmemente

legata a quella degli elementi, dei cristalli smeraldo e turchese che le conferiscono grande vitalità.

Il suo costume è ispirato a quelli Aztechi

delle zone più fredde ed irraggiungibili delle

Ande, e anche il suo aspetto è nativo americano, ricordando un tipo di magia rituale e strettamente connessa alla natura, dalle basi solide e rassicuranti.

Palette cromatica: Greenery Serenity

Cuoio

(da sinistra verso destra)

Decorazioni Azteche

Tlacatecatl Lord, Codex Ixtlilxóchitl

Donna Indigena, foto di Greg Waters

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Stregone L’amichevole stregone è qui per aiutare gli

avventurieri nel loro viaggio, permettendogli di

usufruire delle sue potenti pergamene magiche, ovviamente per un modico prezzo. Grazie alla giusta quantità di cristalli venderà delle magie

estremamente utili durante il gioco, che potrebbero decidere le sorti della partita.

Ha un volto gioviale ma un sorrisetto miste-

rioso, ed è l’epitome del mago fantasy, con una lunga barba bianca e uno scuro mantello. E’ però riccamente adornato di gioielli ad indicare il suo status di uomo di commercio.

(dall’alto a sinistra)

Il Negozio dello Stregone

“Alchemist Lab” di Wimmel Bilder

Sir Ian McKellen come Gandalf ne “Il Signore degli Anelli” PALETTE CROMATICA: Viola Acido

Grigio Talpa

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Incantatrice Bellissima e misteriosa, l’incantatrice ha una

particolare affinità con ogni forma vivente, e questo le permette di addestrare ogni creatura a

svolgere il suo volere. Mette questa sua abilità

a disposizione dei viandanti, rafforzando le loro creature e consentendogli di imparare potenti nuove strategie in battaglia.

E’ basata sul vestiario tipico dei Gitani, un po-

polo nomade che spesso per guadagnare si esibiva in spettacoli o offriva piccole magie come

la lettura del futuro, con il viola del mistero e il

verde della natura a rivelare la sua personalità. Ancora oggi questo abbigliamento richiama alla mente un personaggio di cui non ci vorremmo fidare, ma che ci affascina perdutamente.

(dall’alto a sinistra)

Il Negozio dll’Incantatrice

“L’Incantatore di Serpenti” Charles Wilda

Esmeralda ne “Il Gobbo di Notre Dame” PALETTE CROMATICA: Greenery

Ultraviolet

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Mercante Sempre pronto a diffidare del prossimo, il mer-

cante non gode di buona salute in un regno nel quale è vietato il commercio. Ancora porta i se-

gni del fasto della sua professione, tramandata di padre in figlio, ora più simile al contrabbando.

La sua figura è basata sul Rinascimento italia-

no, nello specifico una città stato commerciale

come Venezia, nella quale erano diffusi eleganti tessuri decorati.

(dall’alto a sinistra)

Il Negozio Del Mercante

Tessuto Damascato verde

Bazaar di Khan el Khalili, Egitto PALETTE CROMATICA: Verde Bosco

Rosso Mattone

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Orafo Capace di grande precisione, l’orafo non si ri-

fiuta di sporcarsi le mani con progetti più faticosi. Grazie a lui i giocatori potranno fondere degli amuleti per creare poteri ancora più forti da usare come bonus all’inizio di ogni turno.

Molto minimale nel design, la sua forma deriva

dalla sua funzione, quella di manipolare i metal-

li. Il colore della fucina influenza anche la sua

palette cromatica, basata sui toni caldi del rosso, dell’arancio e del marrone.

(dall’alto a sinistra)

Il Negozio Dell’Orafo

Fuoco nella fucina Fabbro all’opera

PALETTE CROMATICA: Arancio Caldo Ebano

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environment design 134


Fondamenti Per creare il mondo di Kerdemix nel tabellone

da gioco sono state usate varie tecniche proprie della pittura digitale, ovvero il photobashing e

l’overpainting. Più proprie della concept art che dell’illustrazione, queste modalità pittoriche permettono una realizzazione molto veloce di disegni fortemente realistici.

Si parte con il provare le reference necessarie,

cercando in rete varie fotografie con una buona risoluzione, per poi selezionare solo le parti che

interessano. Successivamente si definisce una prospettiva con delle linee da seguire, e si defor-

mano le immagini trovate per essere rese coerenti con le linee.

L’ultima parte è la più pittorica, nella quale si

va a modificare l’elemento fotografico per farlo meglio rientrare nei canoni necessari all’immagine che si cerca. Si può usare una pittura

precisa a pennello duro per i dettagli, o dei pennelli texturizzati adatti allo scopo, come

quello per la vegetazione usato per i tetti delle case, oppure delle shape preformate, come per

i cristalli. Infine con uno sfumino pittorico si rende omogeneo il tutto.

La struttura del tabellone è fortemente sche-

matizzata e modulare, pur esento molto pittorica, quindi spesso sono stati riutilizzati gli

stessi elementi: ad esempio, le case del Villaggio Boschivo e quello Paludoso e il negozio

dell’Incantatrice partono dalla stessa base, ma con diversi overpainting.

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Villaggio Portuale Energia Turchese : Richiamata dal villaggio Portuale, in particolare dai suoi abitanti abituati a proteggere la città da insidie marine e aeree con l’ausilio della previdente magia del contro attacco. Produce un’energia che stabilisce il predominio aereo delle creature grazie ai loro rapidi spostamenti. Per portare in vita questo villaggio si è scelto

un tema marittimo, un po’ tropicale/Hawaiiano, con delle palafitte poste su una brillante laguna

azzurra dalle spiagge bianchissime. I tetti del-

le case sono formati da escrescenze organiche come dei coralli, ad indicare un forte legame tra giò che è dentro e ciò che è furi dall’acqua.

Il colore dominante è il blu profondo del tur-

chese, ingentilito in tratti più cyan e verdastri per rendere la vegetazione credibile.

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Villaggio Assolato Energia Ambra: Richiamata dal villaggio Assolato, un alto piano a nord est dove il calore del sole permette ai suoi abitanti di crescere forti, sani e saggi. Allo stesso modo, le creature gialle sono indifferenti alle ostilità magiche e proteggono il loro villaggio con vigore. La magia ambra è curativa. Per rendere il colore chiaro di questo villaggio

si è scelto di porlo in un’ambientazione desertica, con una sabbia chiara che riflette la luce del sole, e delle costruzioni di ispirazione Araba dalle pareti bianche che isolano dal calore, sormontate

da sgargianti cupole dorate tipiche dell’architettura delle moschee.

I toni del villaggio rispecchiano quelli dell’am-

bram vanno quindi da dei gialli molto accesi a degli aranci saturi, comunque tutti nella gamma

dei colori caldi e luminosi. La vegetazione è ri-

gogliosa come se fosse formata da spighe dorate, non da foglie secche, ad indicare la forza vitale propria dell’energia di questo villaggio.

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Villaggio Paludoso Energia Ossidiana: Richiamata dal villaggio Paludoso, è un energia legata alla magia necromantica ed opportunista: vengono risucchiati i punti vita del nemico, vengono riportate in vita le proprie creature morte ed indebolite quelle avversarie. Per canalizzare al meglio l’idea di malvagità, si

è scelto di rendere le case di questo villaggio simili all’architettura gotica. L’edificio centrale ne

riprende tutti gli elementi, dalla forte verticali-

tà alle guglie ai rosoni, ma in versione più dark, quasi grottesca. Le case che la circondano sono anch’essere scure, con tetti asimmetrici che culminano in punte aguzze, come se invece che un villaggio fosse un rovo di spine.

I toni prevalenti sono scuri, poco saturi e

tendenti al violaceo, non solo per gli edifi-

ci ma anche per le piante, che crescono nere e rachitiche fin dentro l’acqua, ricordando un’insalubre palude.

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Villaggio Geotermico Energia Rubino: Richiamata dal villaggio Geotermico. Il forte calore della terra spinge gli abitanti ad essere reattivi alle calamità che spesso avvengono nel loro territorio fuggendo con l’abilità di portali momentanei. La magia rubino ha quindi la particolarità di infliggere danni improvvisi. Le creature evocate dal rubino sono veloci e scattanti, utilizzano i portali con occhi sbarrati e attacchi rapidi. Per rendere al meglio questo villaggio dai toni

caldi si è presa ispirazione dalle costruzioni del-

le zone desertiche della Giordania, come Petra. Queste crescono organiche con il suolo e con i

monti, ma in questo caso sono generate da dei

vulcani attivi che con delle colate di lava stravolgono il territorio, partendo dal centro per poi riversarsi in mare.

Le tonalità usate sono quelle del fuoco, quin-

di rossi brillanti, aranci saturi e gialli vivaci, con

delle pitture magenta ed oro sulle case. La vegetazione è pressocchè inesistente, se non quella

parzialmente bruciacchiata che si trova ai confini con le altre zone.

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Villaggio Boscoso Energia Smeraldo: Richiamata dal villaggio Boscoso, situato a sud ovest. Abituati alla foresta fitta e selvaggia, le creature evocate dai cristalli smeraldo travolgono qualsiasi cosa gli si metta davanti prestando attenzione agli attacchi dall’alto. Grazie agli spostamenti rapidi nel bosco da parte degli abitanti, l’energia smeraldo potenzia i movimenti di chi la utilizza. Come è eplicito nel nome, questo villaggio è

immerso in un bosco, quindi le abitazioni al suo interno sono delle piccole baite costruite intera-

mente in legno, con della vegetazione che cre-

sce sui tetti. Le forme dolci ed irregolari delle casette sono ispirate a quelle degli Hobbit nel

mondo tolkeniano, e nelle case di cob inglesi, fatte di terra e paglia in modo da poter avere strutture organiche ed archi leggiadri.

I colori usati sono i varie tonalità del verde e del

marrone, sempre in tono vivace e mai giallastro o poco saturo, per rendere la vegetazione il più lus-

sureggiante possibile. Sono state aggiunte alcune

ninfee nell’acqua per espandere il tono verde, ma si è scelto di non esaretare con gli alberi per non rendere il tutto troppo pieno e confusionario.

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Altare di Kandt L’antico trono del demone Kirk, al centro del

regno, che gli permetteva di dominare su tutto Kerdemix. Una volta invecchiato, Kirk abban-

donà l’altare, facendolo rimanere però un centro nevralgico della sua dittatura.

E’ da qui infatti che i giocatori inizieranno la

loro avventura, circondati da un terreno inospitale e ricco di pericoli e nemici. Una volta

intrapresa una direzione, non potranno torna-

re indietro, e saranno obbligati a fare i conti

con le loro scelte. Il nome dell0’altare è infatti dedicato al filosofo Kant, che come abbiamo

visto nel capitolo precedente incitava gli uomini a prendersi le loro responsabilità.

L’Altare è ricco ri richiami al demone che lo

presiedeva, essendo composto prevalentemente da forme triangolari che ricordano il Monte

Revers, e in generale indicano la pericolositù

di un luogo. Al centro si trova il logo di Kerdemix, sovrastato da un vortice magico che

fa apparire gli avventurieri. E’ circondato da

cristalli incolore, i primi che i giocatori troveranno nel loro percorso.

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Stregone Come abbiamo visto, lo stregone aiuta i gioca-

tori. Essendo le sue magie molto potenti, è molto

difficile accedere al suo negozio, passando o per vie tortuose o per zone ricche di Combattenti Difensori.

L’aspetto della sua dimora è buffo ma allo stesso

tempo misterioso, un piccolo castello strampalato che fluttua sopra un vortice marino, circondato da

nebbie di dubbia provenienza, forse dovute ai suoi

alambicchi e ai suoi esperimenti. E’ la tana di un alchimista, e in quanto tale è all’avanguardia e creativa, ricca di colori vivaci e torri nascoste.

L’intera isola è dominata dal potere dei cristalli,

che le concedono di fluttuare e di essere protetta in caso di bisogno, a dimostrazione del grande potere di chi la abita.

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Incantatrice Protetta da un bosco nella palude, anche l’In-

cantatrice vive sulle sue, ed è tanto difficilmente

raggiungibile quanto lo stregone. Raggiungera è una scelta tattica, perchè inizialmente si hanno

poche creature per cui vale la pena richiedere i suoi servici.

La sua abitazione ricorda quella delle streghe

delle favole, nella quale i bambini sparivano per non tornare più, nel profondo della foresta. Stra-

ni fumi incantatori fuoriescono dal camino, e le

finestre sono illuminate da inspiegabili bagliori. Guardando attentamente, questi si possono vede-

re riflessi negli occhi di molteplici creature, inevitabilmente attratte dal fascino dell’incantatrice.

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Mercante Un tempo immerso nel lusso, il bazaar del Mer-

cante è ormai poco piÚ di una bancarella sgualcita, pronta per essere smontata e rimonata al bisogno

(o al pericolo). Qui si possono trovare materiali

utili per la propria partita, ed è possibile scambiare monete, cristalli e punti fato, e molte altre carabat-

tole che probabilmente non interessano un avventuriero, ma sono ad ottimo prezzo.

Proprio fuori dalla tenda si poissono trovare dei

cristalli ordinati e al prezzo scontatissimo, pronti per essere usati per qualche magia; al Mercante

non interessa a che fazione appartieni, finchè paghi in moneta sonante.

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Orafo Più officina che studio di gioelleria, la capanna

dell’Orafo rispecchia la sua natura bruta: niente

fronzoli, niente decorazioni, pura forma e strut-

tura solida, come gli amuleti che produce. Il suo scopo infatti non è creare monili che adornino i colli della nobiltà, ma fondere le energie di potenti artifatti magici, concepiti per l’avventura e la battaglia.

Il punto nevralgico di questa abitazione è ovvia-

mente l’enorme fucina, che occupa la gran parte dello spazio, ed è sempre accesa con un crepitante fuoco: non si sa mai quando potrebbe arrivare un

cliente bisognoso d’aiuto. All’interno ci son tutti

gli strumenti necessari alla creazione, tra incudini, martelli, pinze e qualche cristallo spaccato.

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graphic design, interface & packaging 158


Logo Per rappresentare al meglio il mondo di Kerde-

mix si è scelto di screare un marchio che rendesse visibili i suoi elementi geografici. Per questo ci sono i cinque esagoni (che nella versione colo-

rata riprendono i colori dei vari villaggi, ambra, turchese, ossidiana, smeraldo e rubino) sovrastati

dall’incombente monte Revers, sede del demone Kirk.

Lo stile fortemente geometrico richiama le

decorazioni fantasy, sopratutto naniche, che si

rifanno all’Art Decò. Inoltre le linee intrecciate in questo modo seguono lo stesso principio dei

nodi celtici, richiamando ulteriormente il sottobosco culturale proprio del genere fantasy.

Per il logotipo è stato scelto il font Stamp

Act, dallo stile grunge e rovinato perfetto per

indicare la corruzione del mondo di Kerdemix. Il nome viene scisso nelle sue componenti significative, dividendolo in KER - DE - MIX, dano

più importanza alla prima e la terza parte, dato

che quella centrale ha solo funzione decorativa. In questo modo si può facilmente instaurare con il marchio, creando un logo organico che può essere declinato sia il orizzontale che in verticale.

Per altre scritte che necessitano una maggiore

leggibilità, come nel caso del sottotitolo o dei testi all’interno del gioco, si è scelto il

Ca-

slon Antique, variante di un font classico

(lo stesso che state leggendo ora) da un sapore

più medioevale ed adatto ad un contesto fantasy, simile a quello usato nelle carte di Magic.

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Applicazioni Il logo, in sè molto minimale, con i giusti effetti si trasforma in un

tripudio di bagliori metallici, degno delle locandine dei film action. Le linee diventano rude metallo battuto, circondato da scintille come se

fosse appena emerso ancora sfrigolante dalla fucina nel quale è stato

creato. Il tutto contornato da un misterioso sfondo indaco scuro, con delle ombre che ricordano una foresta buia e profonda. Esprime la natura dark e belligerante del gioco, una lotta con la forza per riprendersi la propria liberĂ , con ogni mezzo possibile.

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La realizzazione di questa grafica è a cura di

Paolo Conte, specializzato in copertine per album musicali, e quindi adatto per dare un po’ più di sprint al logo.

Il suo stile e lo sfondo possono essere usato in

molteplici ambiti, come si è visto sparso per questa tesi, dalla copertina aile pagine dell’apertura

dei capitoli, comprese le guardie. Sarà inoltre posizionato sulla scatola che conterrà il gioco, sul

manuale di istruzioni, e in generale tutto ciò che riguarda il marketing, compreso, come

si può vedere sotto, l’immagine del profilo e della copertina di facebook, con una finitura esptremamente professionale.

Implementazioni future comprenderanno an-

che un’animazione per uso pubblicitario o per video di presentazione per il crowdfunding, o

per mettere in streaming su Periscope e Twitch le partite giocate.

E’ inoltre in programma lo sviluppo di un’ap-

plicazione, e il logortipo decorato in questa maniera diventerà l’icona per l’app.

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TURCHESE

Villaggio Portuale

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AMBRA

Villaggio Assolato

OSSIDIANA

Villaggio Paludoso

RUBINO

Viòòaggio Geotermico

SMERALDO

Villaggio Boscoso


Icone All’interno del manuale, del tabellone e delle

schede dei negozi si troveranno degli indicatori pittogrammatici illustrati per indicare alcuni

semplici concetti presenti nel gioco.Per esempio,

Cristalli

i cristalli verranno rappresentati non con la parola

“Ambra” o “Rubino”, ma con il disegno dela pietra corrispondente. Allo stesso modo verrano indicate le varie categorie di creature che si incontretanno du-

rante la partita. Anche i vari indicatori di punteggi saranno legati a delle illustrazioni: un cuore rosso per

i punti vita, fondamentali per la sopravvivenza; un

cuore nero per i danni, che tolgono salute al gioca-

Creature

tore e lo fanno avvicinare al limbo; un trifoglio per i punti fato, che permettono di tirare di nuovo i dadi

se non ci piace dove finiremo; una moneta d’oro per le monete d’oro, la valuta usata a Kerdemix.

Queste icone sono stilizzate in maniera abbastanza

realistica, ricche di chiaroscuri, e circondate da un bor-

dino dorato, come se fossero delle spille di metallo, per

renderle più leggibili in vari contesti, a prescindere dal colore dell’illustrazione.

Caselle Speciali

Combattenti Difensori

Rimescola

Possedimenti

Danni

Punti Fato

Punteggi

Punti Vita

Monete d’Oro

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Carte, Pergamene ed altri Oggettini All’interno della scatola di Kerdemix i gioca-

tori troveranno vari oggetti che li assisteranno nel loro viaggio, utili soprattutto per tenere a

mente le molte regole di questo gioco, i suoi bonus e le sue possibilitĂ .

Questi oggetti, sotto forma di carte o pe-

dine in cartoncino, sono illustrate per dare

la sensazione di essere parte dell’universo, quindi con una grafica ispirata a dei vecchi

tomi, pergamente rovinate, o gemme preziose. Ritornano alcune illustrazioni che abbiamo giĂ visto nelle pagine precedenti, come lo

stregone e le icone di cristalli e punteggi, ed

altre nuove create appositamente per le carte, come del caso dei possedimenti, he vedremo meglio nelle pagine successive.

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Possedimenti L’acquisto dei possedimenti nel gioco vie-

ne rappresentato da delle carte, una per ogni

possedimento, dato che essi possono essere poi comprati da altri giocatori superando il prezzo precedente di una moneta d’oro in più.

Le carte sono disegnate per appresentareo

il luogo che è possibile acquistare all’in-

terno del gioco in una maniera simile ad un veloce schizzo che si può trovare in un antico contratto di proprietà, con tanto di sigillo in ceralacca.

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Scheda Personaggio Propria della tradizione dei giochi di ruolo,

la scheda personaggio è quel foglio nel quale si aggiornano le statistiche del personaggio

che si sta giocando. In questo caso si possono segnare, con la matita, la quantità di qualità ed

oggetti che si posseggono, come i punti vita, fato, e monete d’oro, inoltre tutti i cristalli.

Accanto si trova una legenda utile per ri-

cordare quali sono le azioni da effettuare in

ogni fase del gioco, esemplificati da delle icone decorate.

Nella zona amuleto si possono indicare i tipi

di amuleto, se sono semplici, potenziati o composti. Accanto, si può annotare quanto

è stato pagato un possedimento al momento dell’acquisto.

Sotto si trova lo schema per riassumere le

proprie creature, e delle informazioni sulle

evocazioni standard (ovvero non legate al negozio dello stregone).

Una volta finiti i fogli venduti nella scatola i

giocatori potranno averne nuovi scaricandoli, sia a colori che in bianco e nero.

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Scatola Essendo un gioco in scatola, Kerdemix ov-

viamente necessita di tale scatola. La base è realizzata su un cartoncino rigido grande

abbastanza per contenere il tabellone, che misura 50x70 cm, piegato a metà più mezzo

centimetro per poterlo prendere con comodità. I bordi sono alti 5 cm per permettere di

contenere tutto il necessario, tra dadi, matite e scede personaggio.

L’illustrazione verrà stampata semparata-

mente su una carta sottile più grande di 1,5 cm rispetto al cartone, che poi verrà incollata per decorare la scatola.

Nel coperchio troviamo semplicemente il

nome del gioco e alcune informazioni fonda5 cm mentali (come numero di giocatori, età mini-

ma e durata media di una partita), ma soprattutto è il logo a farla da padrone.

presentazione del gioco, i vari personaggi, e il contenuto della scatola. hT:2+5=

37,5 cm lT:2+2,5=

27,5 cm

coperchio: +0,5 cm al rettangolo interno illustrazione: +1,5 cm lati esterni

lT:2+2,5=

coperchio: +0,5 cm al rettangolo interno illustrazione: +1,5 cm lati esterni

27,5 cm

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37,5 cm

ranno i clienti all’acquisto, quindi una breve

5 cm

hT:2+5=

Nel retro ci sono le informazioni che porte-


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“Le Uniformi “ (F. Wilkinson)

“Digital Painting in Photoshop: Characters “(3D Total)

“The Art of Dragon Age Inquisition” (Dark Horse)

“Le Creature del Mondo Emerso” (L. Troisi e P. Barbieri)

“Imaginative Realism” ( J. Gurney)

“Sketching from the Imagination” (3D Total)

“Disegnare e Dipingere Bestie Fantasy” (K. Walker)

“La Realtà in Gioco: perchè i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo” ( Jane McGonigal)

“Intrattenimenti Ludici dalla Preistoria al Medioevo” (Elisa Averna)

“Insight” n°5

Workshop di 10 ore sulla pittura fantasy a cura di Antonio De Luca e Mirko Failoni presso la Genius Academy di Roma.

BIBLIOGRAFIA 174


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Come per tutte le cose, “nessuno realizza niente da solo” (Giorgos Seferis), quindi in questa ultima pagina vorrei ringraziare chi mi ha aiutato a portare a compimento questa tesi. Innanzitutto la mia famiglia, che ha sempre appoggiato il mio sogno artistico in tutte le sue forme, e mi ha spronato a portare a compimento questo percorso accademico, anche quando avrei voluto mollare. La passione per i giochi da tavolo viene lì, per i momenti passati in camper con il Risiko! magnetico o un Monopoly rimediato da un benzinaio in Francia. Subito dopo vengono i miei Maestri, Adriano Fida per avermi insegnato a disegnare e a dipingere la realtà, e Antonio De Luca e tutta la Genius Academy per avermi spinto a superarla, rappresentando la fantasia. Anche se non hanno influenzato direttamente il libro che avete tra le mani, voglio ringraziare anche i miei amici, in ordine sparso Jacopo, Eleonora, Diego, Claudio ed Andrea, per le serate passate ad eviscerare ed analizzare ogni prodotto mediatico interessante. Urlandosi contro davanti ad una birra. Ringrazio Emanuele per la competenza sullo stile dei manuali dei giochi di ruolo, Giulia per la sua grazia nell’unire gioco e politica, Silvio per avermi reso parte del suo percorso spirituale Buddhista, e Veronica che mi lascia sempre palpare tutte le carte che ha in negozio. E Kami perchè anche se non nella presenza fisica, c’è sempre in quella mentale. Ultimo, ma assolutamente non meno importante, voglio ringraziare Paolo. Sono sicura che senza di lui non sarei riuscita a raggiungere questo risultato. E’ sempre stato presente per supportarmi (e sopportarmi), rispondendo “sì” ad un enorme set di domande, che andavano dal “aaaah per favore aiutami con le didascalie” a “aaaaaah per favore aiutami a fare una scritta figa per il logo”, assistendomi nel creare gran parte di ciò che compone questa tesi. Per questo gli ho dedicato un personaggio (qui a fianco): un cavaliere sempre pronto a venire in mio aiuto.

RINGRAZIA MENTI 176


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