Bibenda n° 65

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Anno XVI - n. 65 - Mensile Novembre 2017

65 duemiladiciassette

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copertina > Avvicinare i bambini al mondo del gusto, degli odori e dei sapori. Esperienze didattiche tagliate su misura per i piccoli affinché possano prendere confidenza con alcuni capisaldi del made in Italy, come l’olio e il vino.

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Come ha fatto la Bestia a sedurre la Bella / di Franco M. Ricci Questa vendemmia è andata bene Gusto (e disgusto) anni ’80 / di Daniele Maestri Il Sake e il mondo fluttuante / di Antonella Anselmo La favola del vino: Eccellere o distinguersi? / di Stefano Milioni Donna Franca Florio, l’Unica / di Luca Liberatoscioli Vino da viaggio / di Luca Busca Monfortino, generazione Mille Euro / di Massimo Billetto Risto Tour: La Locanda di Alia / di Stella G. de Baciis Mornington, la penisola del Pinot Nero / di Alessandro Ragazzo L’intervista: Alberto Matano / di Elvia Gregorace Ritorno in Borgogna / di Barbara Palombo Genagricola / di Duilio Papetti Autunno in rosa / di Cinzia Bonfà Concorrenza sleale Un compleanno ad arte / di Mimma Coppola Il vino e il suo Testo Unico Anche la Francia ha un cuore dolce / di Claudio Bonifazi Un calabrese in Oman / di Paola Simonetti Madeira e le sue perle / di Nicoletta Nanni Abbinando / di Daniela Scrobogna Informazioni da Fondazione Da leggere

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COME HA FATTO LA BESTIA A SEDURRE LA BELLA

Come ha fatto la Bestia a sedurre la bella Se esaminiamo il periodo dell’anno ottobre-novembre nell’ambito delle elargizioni di premi ai Produttori di vino e se per Bestia intendiamo una folta aggregazione di guide antiche e di scopiazzatori moderni, salta immediatamente ai nostri occhi la rapida prostrazione della Bella, intendendo per Bella il premiato. Il premiato veste in doppiopetto blu. È bello e ricco, pronto ad affascinare il premiatore (la Bestia) con un bonifico o con un rispettoso assenso alle sue richieste. Pare che non cambi nulla nella comunicazione del vino, proprio nulla. Un giornalismo destinato ad essere non giornalismo, come recita l’Ordine che a fatica concede l’iscrizione a chi scrive soltanto di vino. Unici baluardi rimangono quei pochissimi solitari che testardamente puntano all’iperqualità. Mentre moltissime sono le squadre bestie che raggranellano un fatuo successo scopiazzando qua e là, avvinghiandosi a protagonisti da altri “inventati”, oppure avanzando delle pretese che in altri ambiti si definirebbero pressioni minacciose. Tutto questo non porta bene al talento italiano basato sulla Terra e sulle Diversità, non porta bene perché, diversamente da quello che accade, almeno la Bestia di Apuleio o di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, possedeva un cuore in grado di amare. Franco M. Ricci

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Servizio di Copertina

Questa vendemmia è andata BENE!

Dicono alcuni che questo 2017 non porti niente di buono. Altri, un po’ più ottimisti, pensano invece che siano gli enologi a confondere le previsioni per farsi aumentare le parcelle.

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Per quanto ci riguarda, noi abbiamo trovato un luogo dove la

uomini di settore cercano di sconfiggere le preoccupazioni di

vendemmia 2017 è andata decisamente bene!

una vendemmia altalenante, ecco che i bambini, come sempre,

La nostra Presidente della Campania, nella scuola in cui insegna,

guardano ogni cosa con occhi diversi, riportandoci alla semplicità

ha pensato di far vivere questa bella esperienza ai suoi bambini,

e alla genuinità delle cose vere di un tempo.

che si sono dimostrati veri vigneron in erba.

La vendemmia 2017 risulta fluttuante, con pareri discordanti, questo

La natura saluta i colori vivaci dalle verdi sfumature, per

il pensiero e la riflessione di molti esperti per quanto concerne la resa

abbracciare le calde tonalità dell’autunno che avanza, e mentre

per ettaro di uva e la qualità del prodotto destinato al vino.


Un po’ meno preoccupante è stata la vendemmia che hanno

cogliendone caratteristiche distintive e terminologie appropriate.

compiuto i bambini del 1° circolo didattico (scuola dell’infanzia)

Distinguono e riconoscono il raspo dagli acini, la polpa

della città di Angri in provincia di Salerno, non impensieriti dal

dai vinaccioli e, attraverso l’assaggio di questo frutto, ne

risultato finale.

delineano caratteristiche olfattive e gustative.

Nell’attesa che il vino entri a far parte del curricolo scolastico,

L’esperienza sensoriale, con la pigiatura, fa conoscere in modo

ardente desiderio del Presidente di Fondazione Italiana

più completo ciò che si osserva, cogliendone particolari elementi

Sommelier, e che la proposta dell’onorevole Massimo Fiorio

che altrimenti avrebbero trascurato.

giunga al coronamento di tale ambizione, le insegnanti non

La scuola pertanto non è più solo un ambiente di apprendimento,

perdono di vista l’importanza della trasmissione di saperi legati

ma un luogo in cui si intrecciano relazioni tra pari e si sperimenta

ai prodotti simbolo della cultura italiana quali olio e vino.

quotidianamente, attraverso l’impiego di tutti i sensi, la cultura

Protagonisti, promotori e conoscitori di tale cultura, diventa-

in tutte le sue forme.

no i bambini, attraverso non solo la rappresentazione grafica e pit-

La sensorialità e la manualità di progetti come questo rendono

torica individuale della vite, dell’uva e del vino, ma anche trasver-

sicuramente possibile l’inclusione collettiva di tutti i bambi-

salmente con la simulazione pratica del processo di vendemmia.

ni partecipanti, a prescindere da abilità fisiche, stato sociale e

I bambini partono dall’osservazione della vite e dell’uva,

possibilità economiche.


Bibenda 65 duemiladiciassette

Gusto (e disgusto) anni ’80

GUSTO (e disgusto) ANNI ’80 D

a n i e l e

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a e s t r i

Dagli yuppies ai paninari, cosa c’era nei piatti e nei bicchieri.

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Gusto (e disgusto) anni ’80

Raccontata nel numero scorso la genesi, il travolgente successo e l’eclisse di un vino chiamato Galestro, non potevamo non rievocare i must culinari degli anni Ottanta che con quel vino si accompagnavano, e con essi umori e atmosfere del periodo. Un menu tipo? Bresaola, oppure Carpaccio e scaglie di Grana su letto di rucola, gamberetti nel mezzo avocado in salsa rosa, risotto con le fragole, pennette panna e vodka o panna e salmone, filetto al pepe verde, Banana Split, macedonia di Carambola e Babaco. Nascevano come funghi locali a tema, come il Sedano Allegro, a Roma, il cui cavallo di battaglia erano delle pazzesche mezze maniche pomodoro e bacon irrorate di Vodka fiammeggiata al momento, versione circense e un po’ pacchiana della classica Amatriciana. Così, tuttavia, era il gusto dell’epoca. In linea con le vaporose acconciature alla Farrah Fawcett o alla Rod Stewart e l’abbigliamento stravagante a tinte fluo, i piatti degli Ottanta erano sempre coloratissimi; decorati con piccoli frutti o bacche esotiche come gli alchechengi, prendevano a prestito dalla nouvelle cuisine le porzioni ridotte, ma soprattutto dovevano stupire a prima vista. Il cibo, soprattutto se consumato fuori casa, sembrava volersi a tutti i costi circondare di spettacolarità. Ogni occasione era buona. Al ritorno dalle ferie, era inevitabile sorbirsi serate a casa di amici con proiettore, diapositive e cibi tipici. Chi era andato in Grecia preparava Zaziki e Mussakà, chi aveva scelto la Spagna si cimentava con Gazpacho e Paella, mentre i reduci dal Marocco accompagnavano spiedini d’agnello e Cus cus a una interminabile sfilza di foto sul cammello. Su tutti questi piatti, non potevano mancare vini come il Galestro, che in effetti non faceva una piega, ruffianissimo e versatilissimo com’era, comunque moderno, nitido e rinfrancante, adatto al trend urbano e ai nuovi stili di vita. Perfino la musica di tendenza, leggera, ma con una strizzata d’occhio a jazz e swing, citava di frequente il cibo e il vino. “Pesce veloce del Baltico – cantava Paolo Conte- dice il menu, che contorno ha? Torta di mais, e poi servono polenta e baccalà”. Ancora più efficacemente, riflette in pieno l’atmosfera dell’epoca “Hemingway, caffè latino”, di Sergio Caputo (1986): “Non t’ho vista più all’Hemingway, caffè latino. /Ghigna Belzebù, “Hombre, non sei sportivo!” /Ma il mio cuore piange al ritmo del bongo, e la bestia che si agita in me/ sta abbuffandosi di uova di lompo e Chardonnay”. Locale storico della movida romana anni Ottanta assieme al Gilda e alle Cornacchie (unico era il patron, il mitico Billy Bilancia da poco scomparso), l’Hemingway (oggi Riccioli Café) era punto obbligato di passaggio per 6


vip, personaggi dello spettacolo, politici à la page, giovani aristocratici di sangue blu e dandies di vario tipo. Le tartine con uova di salmone e di lompo c’erano davvero, e accompagnarle con pinzimonio e un calice di Chardonnay o Pinot Grigio ben freddi era un rito irrinunciabile per tutti gli habitués, tra i quali Caputo era uno dei più assidui. A Milano, nel cuore di Brera, c’era la Champagnerie, ancora più trendy ed esclusiva nel proporre unicamente ostriche di vario tipo accompagnate da Champagne al calice, ma va detto che perfino il Burghy (all’epoca italianissimo, non americano) dei paninari di San Babila o il Panino della piazzetta Liberty esprimevano un certo rampantismo e voglia di giovanilismo, di edonismo fuori dagli schemi. Di quegli anni rimane, teneramente démodé, ma sempre valido, il Paper Moon a Via Bagutta. Molto spesso, al cibo inedito si intrecciava il tema della liberazione sessuale. È del 1981 “Banana Split”, tormentone pop rock infarcito di doppi sensi osé, hit in mezza Europa, brano d’esordio di Lio, scatenata sedicenne belga in minigonna, idolatrata dai fans di Mtv: “Ça me déplairait pas que tu m’embrasses, na na na Mais faut saisir ta chance avant qu’elle passe, na na na Si tu cherches un truc pour briser la glace, banana banana banana C’est le dessert que sert l’abominable homme des neiges A l’abominable enfant teenage, un amour de dessert C’est le dessert que sert l’abominable homme des neiges

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Gusto (e disgusto) anni ’80

A l’abominable enfant teenage, un amour de dessert

e molti ne rammentano le mille contraddizioni? Sarà perché

Banana na banana na, banana split…hmm!”

proprio durante quel periodo si ingarbugliano i tanti nodi ve-

Cosa è restato, viene da chiedersi, parafrasando il nostro

nuti oggi al pettine, generando inquietudini e precarietà? Sen-

Raf, di quegli anni Ottanta? Scomparso, o quasi il Galestro,

za pretendere di avventurarci in una analisi socio-politica che

passati di moda Lancers e Mateus e ferie a Mikonos e Sharm-

non ci compete, ci limiteremo qui al campo del vino e della

el-Sheikh, tramontati panna e rucola dagli orizzonti culinari,

gastronomia, in quegli anni fiorente, ma estremamente con-

il gusto di quegli anni, più famelici

tradditorio, caratterizzato da spin-

che formidabili, non sembra aver

te di segno opposto: da un lato il

lasciato tracce significative, se non

grande fenomeno del rinascimento

un colesterolo alle stelle, inevitabile

enologico moderno, i Barolo boys,

effetto

cronica

i Supertuscan, e il crescente interes-

overdose di panna e margarina,

se per il vino di qualità; dall’altro i

allora propagandata al posto del

vinelli modaioli di largo consumo,

burro, quando ancora beatamente

galestri e novelli inclusi…peccato

ignoravamo la pericolosità dei grassi

veniale, tuttavia, a paragone dello

idrogenati. Resta, degli “Eighties”,

scandalo del metanolo, storicamen-

un rimpianto generico, fatto in gran

te il terremoto più devastante per

parte di luoghi comuni. Milano

l’immagine e la credibilità della

collaterale

da

da bere, Drive-in, Reaganomics (il neologismo è di Roberto

nostra enologia. Carenza di informazione, buchi normativi e

D’Agostino), rampantismo, mini-boom economico, musica

prospettive di vasti profitti incoraggiavano i sofisticatori, che

pop, i nostri azzurri campioni del mondo in Brasile, ascesa della

il vino non lo facevano in vigna, ma in laboratorio, pasticcian-

tv commerciale e della tecnologia domestica sono le frasi chiave

do con la chimica. Negli anni Ottanta, molto più dei Gaja,

ricorrenti tra i nostalgici del periodo, in genere cinquantenni

dei Quintarelli o dei Biondi Santi, si arricchivano quegli indi-

di successo, che hanno scalato la vetta e occupato posti chiave.

vidui che i langaroli chiamavano sprezzantemente “narsulìn”,

Come per i sessantottini loro predecessori, comprensibilmente

letteralmente “di Narzòle”, ma per estensione “imbroglione”,

fieri del fatto che la loro immaginazione sia andata al potere,

“apprendista stregone” senza un ettaro di vigna, di quelli che

avvolgendo i rutilanti anni della loro gioventù di un’aura di

fanno il vino di notte, mescolando col bastone. I sofisticatori,

rimpianto, condivisa in realtà solo da una parte degli esponenti

in realtà, erano sempre in agguato in ogni angolo d’Italia.

di quella generazione. Ma a Narzòle, paesotto di bassa collina senza un filare di vite

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Al di fuori del revival, in effetti, che è sempre un esercizio di

presso l’autostrada Torino-Savona, colpiva, all’epoca, l’anomala

memoria gratificante e divertente, gli anni Ottanta così spesso

concentrazione di cento e passa aziende vinicole che, pur non

associati a una illusoria età dell’oro mostrano il fiato corto, e

possedendo vigneti, rivendevano il prodotto di altri, in molti

non riescono nemmeno lontanamente ad approdare alle spon-

casi lucrando con taroccamenti illeciti. Già nel 1984 una prima

de del mito, come i leggendari Cinquanta e Sessanta, durante i

indagine dell’Istituto di Repressione Frodi constatava un tasso

quali, pure, eravamo più poveri e assai più semplici e sobri nel

pericolosamente elevato di metanolo (additivato per rinforzare

gusto. Sarà perché gli Ottanta sono ancora vivi nella memoria

la gradazione) alla ditta Ciravegna padre e figlio. Due anni


dopo, come ognuno ricorderà, è strage. Venti i decessi, poco meno gli intossicati rimasti ciechi o invalidi. Enormi i danni commerciali, una vera mazzata, soprattutto per l’export, crollato a meno un terzo nella seconda metà del decennio. Neanche una lira di risarcimento arrivò mai alle vittime, e il titolare se la cavò con pochi anni di carcere, senza mai mostrare il minimo pentimento per aver etichettato come “Barbera” quel letale intruglio. Fu il momento più nero per il Barbera vero e genuino, per i vini piemontesi in genere, e i vini italiani tutti. I consumatori erano scioccati e impauriti, gli importatori annullavano gli ordini.

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Gusto (e disgusto) anni ’80

A salvare il Barbera da un catastrofico oblio e a cogliere anzi l’occasione per nobilitarlo intervenne per fortuna un supereroe di quelli che nascono una volta ogni cent’anni, un arcangelo del vino piovuto sulla Terra per il sovrappeso, assolutamente geniale, carismatico e trascinatore, Giacomo Bologna detto “Braida” per la somiglianza col pallone elastico, cuore, energia e stazza fisica enormi. Comperò una pagina della Stampa e ci fece scrivere a caratteri cubitali “Viva la Barbera!”, mentre i suoi Bricco dell’Uccellone (prima uscita 1984 coll’annata 1982!) e Ai Suma stupivano e incantavano il mondo intero. Negli anni Ottanta, ha scritto Paolo Rossi, oggi autorevole manager, n

La famiglia Bologna,

ma anche stimato autore della “Guida al paninaro”, manifesto della generazione

da sinistra Giacomo, la

Moncler, l’importante era “esagerare, curare ogni aspetto della nostra immagine come

moglie Anna e i due figli

in una foto di moda... Teniamoci di questi anni quello che più ci piace: una maggiore

Raffaella e Beppe.

attenzione ai fatti di costume, una più viva e reale voglia di stare insieme, di divertirci, di guardarci intorno senza distogliere lo sguardo quando sotto i nostri occhi il mondo apparirà diverso da come lo vorremmo”. Sagge parole. Lasciamoci alle spalle senza rimpianti l’individualismo esasperato, le volgarità, le pacchianerie nella moda e in cucina, il cinico, narcisistico rampantismo yuppie, il consumismo fine a se stesso e il profitto a tutti i costi che genera mostri; e teniamoci gli angeli custodi, il mondo libero senza muri di sorta, la bella energia del cibo e del vino scaturiti da territori rispettosi delle proprie radici e dinamicamente proiettati verso il futuro.

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la cena. 18 Novembre 2017 / Hotel Rome Cavalieri

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Il sake e il mondo fluttuante


IL SAKE e il mondo fluttuante A

n t o n e l l a

A

n s e l m o

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Il sake e il mondo fluttuante

Hokusai, Sulle orme del Maestro, è il titolo della mostra romana in corso all’Ara Pacis dedicata al famoso artista giapponese

de

“La grande Onda” e ai suoi allievi:

occasione imperdibile per tuffarsi nel mondo fluttuante, o

Ukiyo.

E lì, tra le molte immagini pittoriche, si può ricercare quel sottile legame che ha elevato il sake a bevanda alcolica nazionale. È il periodo Edo (1603 – 1867), sotto il regno dei Tokugawa: il Giappone è del tutto isolato dal resto del mondo, estraniato da qualsiasi influenza e contaminazione straniera. La nascita di un ceto borghese, i chonin, ricco e gaudente, capace di animare la nuova città governativa, quella stessa città che in seguito si chiamerà Tokyo, diviene il contesto della nuova fioritura delle arti, dei teatri kabuki, delle “città senza notte”, dei quartieri di piacere, delle stampe erotiche, dei manga. È la rappresentazione di un ribaltamento politico. Ma non solo. Il termine ukiyo, ossia il mondo della sofferenza, deriva dal buddismo e in origine e per tutto il medioevo indica la condizione d’impermanenza generata dalla vita quotidiana, fonte di dolore costante. Proprio nel periodo Edo si ribalta il suo significato che assume l’accezione di “mondo fluttuante”. Questa particolare connotazione culturale, chiusa alle contaminazioni esterne, ruota intorno alle oiran, le celebri cortigiane che codificano l’etichetta della seduzione, attraverso un canone alto e formale di perfezione, conoscenza delle arti e naturalezza. Ovunque allora, nei dipinti, nei libri illustrati, sui paraventi, sopra i biglietti di auguri dell’epoca, vengono riprodotti gli aspetti fondamentali della vita quotidiana e del gusto imperante, quasi un’autorappresentazione del nuovo status sociale: i teatri, le tradizioni, le scene d’interno, la bellezza femminile, gli attori, i paesaggi, le immagini erotiche. Asai Ryōi (‘-1691) nei suoi “Racconti del mondo fluttuante” esprime chiaramente il sentimento dominante: “Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io chiamo ukiyo”. 2° Corso sul Sake

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Il Corso sul Sake avrà inizio a

È così che si diffonde il consumo del sake, il fermentato di riso, che non è più riservato

Roma giovedì 18 gennaio 2018

ai monaci dei templi o alla mensa imperiale, ma che si impone come bevanda nazionale

nel singolo turno dalle 20 alle

dal profondo valore sociale.

22:30 presso il Laboratorio di

Nel periodo Edo si perfeziona anche il processo di lavorazione. Nelle cantine – le sakagura

Fondazione Italiana Sommelier

– si distingue la figura del Toji, colui che dirige l’intero ciclo produttivo, compiendo

all’Hotel Rome Cavalieri.

scelte da cui dipendono la qualità e le caratteristiche organolettiche del sake. Grazie


alla competenza dei Toji si inizia a comprendere che lavorare il riso durante l’inverno consente di ottenere una qualità più alta di prodotto. Così il premium sake ancora oggi è preparato esclusivamente in inverno. Già nel Seicento si ricorre alla pastorizzazione attraverso le basse temperature, anticipando, rispetto all’Occidente, la comprensione dei processi fermentativi. Viene infine perfezionato il processo Danjikomi, che implica una fermentazione suddivisa in tre distinte fasi, ancora oggi in uso. Inoltre il riso viene levigato con l’acqua corrente e ancora l’acqua – che costituisce circa l’80% del prodotto viene apprezzata e ricercata per caratterizzare l’alta qualità del sake. A Nishinomiya , nella Prefettura di Hyogo, viene trovata la fonte d’acqua Miyamizu, dalle mirabili proprietà e dalla indiscutibile purezza. Il sake, appena prodotto, nel periodo Edo generalmente viaggia in apposite barche – taru kaisen - dalla baia di Osaka alla città di Edo, creando un flusso continuo ritratto in molti paesaggi e dipinti del mondo fluttuante.

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Hokusai

A chiusura della mostra, uscendo dall’Ara Pacis, non si troveranno certo le taru kaisen

Oiko che versa il sake

che solcano le acque del biondo Tevere, ma sicuramente, nelle vie del centro storico, non

ad un guerriero.

mancheranno ottimi ristoranti giapponesi dove si potrà sorseggiare un premium sake, magari ripensando alle immagini evocative di quel mondo fluttuante, inafferrabile ma comprensibile allo stesso tempo. 15


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Eccellere o distinguersi?

La Favola del Vino

Eccellere o

distinguersi? S

t e f a n o

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i l i o n i

Le svolte naturali, artigianali, green, termini abusati solo per sfruttare le mode del momento.

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Non basta definirsi green oriented, è green chi non abbatte gli alberi.


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Immagini dal Convegno del

2012 citato nell’articolo. Gli interventi di Franco Ricci e Stefano Milioni.

Aruba, ottobre 2017 - Qualche anno fa, noi di Bibenda, abbiamo

perché non accodarsi e cercare di trarre qualche vantaggio dal

organizzato un convegno intitolato “Eccellere o distinguersi?”.

trend nel momento? A tutti gli ingenui produttori vinicoli

Il tempo passa ma il problema resta di estrema attualità. Da

che stanno vagheggiando questa chimera, vorrei ricordare che

qualche settimana fioccano classifiche nazionali e internazionali

“artigianale”, in termini di qualità non vuol dire nulla: è solo una

sui top wine, italiani e non, e ai vertici ci sono sempre più

specifica tecnico/amministrativa regolata per legge che recita

o meno gli stessi: tra i nostri, Sassicaia, Monprivato, Solaia,

“l’imprenditore artigiano è colui che esercita personalmente,

Tignanello, Rinaldi, Masseto, Tua Rita… Nessuno di questi è

professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana,

affinato in anfora oppure sott’acqua a 30 metri di profondità,

svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche

si vanta di essere biologico o biodinamico o carbon free, si

manuale nel processo produttivo”. E che la dicitura “artigianale”

fregia dell’appellativo “naturale”, “vero”, ecc. ecc. Sono vini i

identifica unicamente un’impresa con un numero massimo di

cui produttori si preoccupano solo di “eccellere”. E ci riescono.

18 dipendenti (apprendisti compresi, massimo 9).

Poi c’è l’esercito di quelli che non riuscendo ad eccellere

Insomma, qualunque imbottigliatore che compra in cisterne,

s’inventano qualcosa per “distinguersi”. E se non bastassero

imbottiglia e rivende, se si contiene nel numero massimo di 18

quelle che già ci sono, si sta insinuando nel settore una nuova

addetti (e risulterà più facile a lui che a chi possiede vigneto e

categoria: i vini “artigianali”. Siccome le birre artigianali tirano,

cantina) può definire legalmente il proprio vino “artigianale”. 17


Bibenda 65 duemiladiciassette

Donna Franca Florio, l’Unica

DONNA FRANCA FLORIO,

L’UNICA L

u c a

L

i b e r a t o s c i o l i

Quando l’arte si intreccia con il vino si scoprono storie molto suggestive.

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Donna Franca Florio, l’Unica

Il filo della storia dell’arte frequentemente si intreccia con quella del vino, tessendo storie di grande fascino, da ricordare davanti a un bicchiere: in questo caso di buon marsala. Il protagonista di quella che stiamo per raccontare è Giovanni Boldini, pittore ferrarese, fra i più importanti interpreti della Belle Époque, la cui carriera fu caratterizzata da un susseguirsi di viaggi: Napoli, Montecarlo, Londra e finalmente Parigi. L’estero sarà infatti per lui soprattutto la Ville Lumière, teatro dei grandi incontri e delle occasioni per il successo. Da Napoli a Catania, da Parigi a Londra, Boldini fu il pittore della pennellata veloce e rapida, della “sciabolata”. A volte i colori che usava su tavola o su tela erano sfumati e a volte erano corposi ma più di tutto amava ritrarre le donne. Fu in continua contemplazione nei confronti dei soggetti femminili, cogliendone ogni sfumatura: dalla sensualità alla dolcezza, dall’intelligenza alla riservatezza. Tra le molte, splendide figure femminili, ce n’è una che ci interessa particolarmente: Donna Franca Florio fu una delle donne più belle della sua epoca, tanto che D’Annunzio, uno che se ne intendeva, arrivò a chiamarla evocativamente l’Unica. Fu la moglie di Ignazio Florio, nipote di Vincenzo, fondatore dell’impero di questa famiglia siciliana il cui nome è da quasi duecento anni - tra le altre cose - sinonimo di uno dei prodotti enologici italiani più importanti, il Marsala. La storia di questo quadro è singolare; nella primavera del 1901 l’industriale ospitò Boldini nella sua casa a Palermo e gli commissionò un ritratto della moglie: nonostante n

Giovanni Boldini

il dipinto esaltasse la donna nella sua bellezza, eleganza e prestigio, non venne apprezzato

Autoritratto a Montorsoli,

dal marito e quindi il pittore fu costretto ad eseguirne una seconda versione che non

1892, olio su tela. Firenze,

ebbe però maggior fortuna.

Galleria degli Uffizi

Quando Boldini visitò Villa Florio, gli affari della famiglia andavano a gonfie vele. Investimenti di successo in diversi settori, una flotta commerciale da fare invidia a quella della marina italiana e un lusso sfrenato, insomma un mondo dorato. Lo stesso colore che caratterizza il vino che scorre nei bicchieri e riempie le botti prodotte dalle aziende Florio. Il Marsala è un vino liquoroso, realizzato aggiungendo alcol (spesso con distillati) al vino ottenuto con le tradizionali uve bianche siciliane quali Ansonica, Catarratto, Grillo. Uve locali per un vino che deve però la sua fama agli inglesi, grandi amanti di questa tipologia: fu infatti il mercante John Woodhouse che nel XVIII secolo, durante una sosta forzata a Marsala, dovuta a una tempesta, ebbe modo di assaggiare il nettare di queste zone e, innamoratosene, di acquistarne diverse botti per la sua Inghilterra. L’unica accortezza fu aggiungere un po’ di acquavite per stabilizzare il tutto durante il

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trasporto: da qui l’invenzione del Marsala come lo conosciamo noi oggi. Iniziò un periodo di grande successo per questo vino, che divenne ben presto agguerrito competitor dei più noti Porto e Sherry. La sua progressiva espansione sul mercato internazionale crebbe con ritmi decisamente alti, facendo la fortuna di produttori e commercianti, tra cui i Florio. E quando Boldini li conobbe, Ignazio e Franca Florio erano una coppia da sogno, protagonisti della mondanità e della bella vita palermitana. Come detto, la prima versione del ritratto non andò bene per la gelosia del marito verso la sua bellissima moglie. Il pittore ne realizzò una seconda versione che fu anche esposta alla Biennale di Venezia del 1903 ma di cui si persero ben presto le tracce.

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Donna Florio Fotografia della prima versione del ritratto del 1901 esposta alla Biennale di Venezia nel 1903.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Donna Franca Florio, l’Unica

Se volessimo dare una chiave di lettura simbolica a questo epi-

iniziarono a migliorare e, anche se il terreno perduto è stato

sodio sarebbe significativa poiché da questo momento iniziò

molto, è ora possibile reperire sul mercato vini Marsala di

un periodo di declino che non solo colpì la famiglia, che di

pregiata qualità.

lì a poco per una serie di strategie commerciali poco oculate

Ma quale fu la sorte del dipinto?

arrivò a perdere tutto, ma anche per il vino stesso. Infatti se da una parte la famiglia dilapidò le fortune accumu-

Fu la stessa Franca Florio a chiedere a Boldini di riprendere

late, dall’altra il Marsala fu vittima

in mano il lavoro, realizzando una

di produttori senza scrupoli che, per

terza, e definitiva, versione del ri-

sfruttare il suo successo, iniziarono a

tratto (sempre sulla stessa tela). E

limarne la qualità arrivando a livelli

fu così che il pittore decise di ren-

inaccettabili di mediocrità, avvan-

derla immortale: rappresentando

taggiati anche dal fatto che non esi-

con grazia e leggerezza la sua figura

steva un disciplinare che lo tutelas-

e avvolgendola con il vestito in un

se. Così, mentre Sherry e Porto, che

vortice di nero e grigio che sembra

già erano stati dotati di ferree regole

sollevarla delicatamente da terra. E

di produzione all’inizio dell’800, il

così sarebbe stato se ad ancorarla

Marsala iniziò un rapido declino

alla realtà non ci fosse la spiccata

causato dall’immissione sul mercato di un prodotto scadente,

sensualità, così tangibile, e il volto illuminato da una luce che

addirittura aromatizzato all’uovo, alla mandorla e così via.

sembra quella abbagliante della sua epoca, di cui fu straordina-

Fortunatamente dagli anni ’80 dello scorso secolo, le cose

ria protagonista, a riscattarla per sempre dall’oblio.

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Sopra Donna Franca Florio

assieme al marito Ignazio Florio del 1901. A sinistra alcune locandine pubblicitarie dell’epoca. A destra l’ultima versione dell’opera di Giovanni Boldini

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Vino da viaggio

VINO

da viaggio

L

u c a

B

u s c a

Cartoline ricordo delle etichette incontrate nel corso di alcuni viaggi nel mondo.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

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Vino da viaggio

Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. Bruce Charles

si delle tradizioni enoiche del paese in cui si reca. Sotto que-

Chatwin – Anatomia dell’irrequietezza – Adelphi 2005

sto profilo le regioni italiane e quelle francesi da sole “valgono il

Un detto africano assicura che “ciò che non hai mai visto lo trovi

viaggio”, come diceva la più affidabile delle guide turistiche. Il

dove non sei mai stato”. Un’ovvietà così poco ovvia che ha fatto

resto d’Europa offre comunque delle ottime possibilità, mentre

di me un viaggiatore compulsivo. Sono cresciuto con “On the

diventa più complicata la ricerca quando si esce dal terroir co-

Road” di Jack Kerouac sottobraccio, e così, inevitabilmente, il

nosciuto e si esplorano terre lontane. Nei luoghi in cui la storia

nomadismo insito nel vecchio sogno

vitivinicola è recente o addirittura

americano, si è fatto largo dentro di

ancora da scrivere, ci si rende subito

me. Mi ha accompagnato nelle ado-

conto che l’influenza francese è net-

lescenziali scorribande per l’Europa

tamente superiore a quella italiana.

in sella al pollice sollevato, si è fatto

Non sorprende quindi che, una vol-

promotore delle giovanili avventure a

ta valicati i confini continentali, gli

cavallo di più puntuali motociclette,

“internazionali” si impadroniscano

e si è definitivamente stratificato con

della scena vitivinicola, come poi è

le mature trasvolate oceaniche. Ov-

successo in molti dei luoghi che ho

viamente un nomade innamorato del

avuto la fortuna di visitare o di fre-

vino cercherà sempre di appropriar-

quentare per motivi di lavoro.


Quello che invece mi stupisce è la frequenza con la quale ho trovato lo Chenin Blanc in luoghi in cui stavo iniziando a rassegnarmi all’uso esclusivo della birra per accompagnare i miei pasti. Nel 1996 visitai, per meri scopi turistici, l’isola di Cuba. Il “perìodo especial”, che aveva rivoluzionato le regole del turismo, stava volgendo al termine, assicurando accesso alle “paladares” ed alle case “particolar”, piccoli ristoranti e ostelli a conduzione familiare. Pensare di trovare vino in questi posti sembrava già abbastanza eretico, ma riuscire ad ordinare un Chenin Blanc come accompagnamento ad una meravigliosa aragosta, di artigianale provenienza e cottura, fu una sconvolgente sorpresa. Cinque anni dopo, a coronamento di un vecchio sogno e di un duro anno di lavoro, riuscii a raggiungere il Madagascar, dove ero certo di poter bere solo sanissima acqua minerale. Partito da Antananarivo, capitale dello stato malgascio, mi diressi verso sud percorrendo l’altopiano su cui insistono i villaggi di Antsirabe e Fianarantsoa, in mezzo ai quali è sita la riserva di Ranomafana. Poco sotto si trova Ambalavao che costituisce la porta di ingresso alla vasta zona desertica del sud dell’isola. Tra Fianarantsoa e Ambalavao si trovano i pochi vigneti che danno vita alla piccola produzione del Madagascar. Le viti sono frutto del lavoro svolto dai monaci europei, venuti a cercar proseliti in questa landa, i quali riuscirono ad addomesticare la Vitis Labrusca endemica

n

Sopra la riserva di

Ranomafana ed un esempio di biodinamica in Madagascar. A sinistra, una panoramica di Ambalavao e il vicino villaggio situato sopra i campi di riso.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Vino da viaggio

dell’isola per la produzione di “fragolino” locale. Più tardi, grazie alla sperimentazione antifillossera, vennero creati degli ibridi da Couderc, un porta innesto usato in Europa, e venne importato il Petit Bouschet, un incrocio di Aramon noir and Teinturier du Cher, il cui assaggio non suscitò in me alcun entusiasmo. All’epoca del mio viaggio, delle quattro cantine che si spartivano la produzione, una sola, la Clos Nomena, si era avventurata nella coltivazione di vitigni “nobili”, in considerazione del costo proibitivo di una bottiglia per la popolazione locale che, pur essendo contenuto entro i cinque euro, corrispondeva di fatto alla paga settimanale media. Il loro Chenin Blanc si rivelò n

Clos Nomena

bevibile e allietò più di una cena durante il mio viaggio.

I vini dell’Azienda

Tre anni dopo cominciai una fortunata collaborazione che mi ha consentito di andare a lavorare, prima, in Messico, dove i vini cileni la fanno da padrone; poi a Santo Domingo una delle patrie del rum, che sovrasta tutte le altre produzioni alcoliche; quindi è stata la volta del Kenya il cui esiguo mercato del vino è equamente diviso tra italiani e francesi; in seguito sono stato anche in Sud Africa, dove il Pinotage tenta di mettere in ombra ottimi vini internazionali, per fortuna senza riuscirvi. In questo luogo il vitigno a bacca bianca più diffuso è lo “Steen”, termine boero che indica la pietra su cui ama crescere questo tipo di vite e sopra la quale si diverte a saltare la

n

Panoramica di Franschoek

(letteralmente “l’angolo francese”, in afrikaans) è una cittadina nel distretto di Cape Winelands, nella provincia del Capo Occidentale in Sudafrica. Nella pagina a destra un momento dell’Holi, un festival di origine indiano-religiosa che si tiene in primavera dedicato al divertimento puro.

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piccola antilope chiamata appunto Steenbok. Lo Steen non è però niente altro che lo Chenin Blanc di francofona importazione che, inevitabilmente, finì per accompagnare quasi tutte le cene di pesce durante la mia permanenza. Nel 2009 ebbe luogo l’ultima mia escursione lavorativa all’estero e la meta prescelta fu l’India. Tra i miei compiti c’era anche quello di esplorare le possibilità culinarie del posto, al fine di accontentare i difficili, e soprattutto pigri, palati della troupe italiana, che privati della pasta tendono a deperire velocemente. L’India è un paese orgoglioso delle proprie, innumerevoli, cucine regionali, tutte distanti anni luce da quella nostrana, prevalentemente vegetariane e ricche di bevande salubri e rigorosamente analcoliche. Fortuna volle che al il mio fianco ci fosse una valida collaboratrice, nata e cresciuta tra Montepulciano e Montalcino respirando olio, pecorino di Pienza e vino. Parlando con il direttore, riuscì ad organizzare una degustazione della produzione enologica locale con il rappresentante che riforniva il ristorante dell’albergo che ci ospitava. Ben nove campioni ci vennero presentati: una bollicina, quattro bianchi e altrettanti rossi. Meglio sorvolare sul livello qualitativo, il risultato, infatti, fu che su nove assaggi un solo campione superò l’esame e divenne assiduo compagno delle nostre cene vegetariane. Ovviamente era uno Chenin Blanc.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Vino da viaggio

n

La Coulée de Serrant è una

piccolissima denominazione la cui proprietà appartiene interamente alla famiglia Joly. Un vigneto antichissimo, la cui prima vendemmia risale nientepopodimeno che all’anno 1130.

Solo recentemente il mio pellegrinaggio mi ha condotto in quel della Loira, regione che allo Chenin Blanc ha dato i natali e la forza di diffondersi nel mondo. Scontati sono stati diversi assaggi e rade visite in cantina, ma fortuite quanto inspiegabili circostanze hanno causato la mancata escursione alla “Mecca” dello Chenin Blanc: Clos de la Coulée de Serrant. Questo è il motivo che mi ha indotto a prelevare anzitempo dalla mia cantina la bottiglia del 2010 che mi accompagnerà nel tentativo di realizzare il triplice abbinamento tra vino, viaggio e musica. La famiglia Joly possiede l’intera piccola denominazione in “monopole”, e ne ha fatto il punto di partenza di un altro “viaggio” che ha rapidamente toccato tutte le tappe salienti del percorso enologico planetario, la biodinamica. La Coulée de Serrant fu impiantata, nel 1130 dai monaci cistercensi e da allora non ha mai smesso di dare i suoi frutti, cosicché quella del 2017 è stata la ottocentottantasettesima vendemmia. Il vecchio piccolo monastero è ancora parte della proprietà e tutelato come edificio storico. Dal 1980, con l’avvento di Nicholas Joly, è stata introdotta la conduzione biodinamica che, nel 1984, interessava l’intero patrimonio vitato dell’azienda. Da qui è partito il viaggio intorno al mondo che ha condotto Joly a diffondere i principi biodinamici. Storia, forma di allevamento, terreno, conduzione e risultati ottenuti in cantina hanno reso, infatti, questi sette ettari un esempio ormai seguito in tutto il mondo. Il nettare che ne deriva, però, rimane un’espressione unica di questo vitigno, non riscontrabile in altri vini che si possono trovare in Francia o errando per il mondo. 30


n

SAS Famille Joly Château de la Roche aux Moines - 49170 Savennières - France Tel. 0033 (0)2 41 72 22 32 - Fax 0033 (0)2 41 72 28 68

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Bibenda 65 duemiladiciassette

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Vino da viaggio

Se le vicissitudini della vita mi hanno condotto ad eleggere lo Chenin

internazionale, accompagnati dalla ottima birra fiamminga. Non

Blanc vino da viaggio, ben più difficile è la scelta in campo musicale

ho mai amato molto la musica italiana che tende, a mio parere,

per due ottime ragioni. La prima è che la musica da viaggio è una

a privilegiare la melodia della parola sottraendo il giusto spazio

categoria molto ampia, che è difficile racchiudere in confini ben

al linguaggio musicale. Inevitabilmente, però, qualche canzone

delineati. Inoltre ogni paese ha la sua cultura musicale che spesso

finisce per legarsi a importanti esperienze formative. Succede

costituisce la colonna sonora di un viaggio, rientrando così nella

così che Lucio Battisti, con la collaborazione di Mogol, entra in

categoria anche senza appartenervi per

scena con Sì, Viaggiare, e i Nomadi

struttura armonica. La seconda ragione

si impadroniscono del palco con Io

è che la musica da viaggio propriamente

vagabondo. Ma, complice il cinema,

detta ha caratterizzato tutto il mio

è con Easy Rider che il tema del

percorso musicale. Il primo long

viaggio si radica in me, la sua colonna

playing, si chiamavano così i dischi in

sonora era ed è rimasta un cult del

vinile a 33 giri, che ho acquistato, di

genere. La canzone simbolo è Born to

importazione appena uscito nel 1973,

be wild, sulle cui note girano le ruote

è stato Brothers & Sister, l’Album

delle due Harley che portano Wyatt-

con cui la Allman Brothers Band

Capitan America (Peter Fonda) e

vira verso la “West Coast”. Sono poi

Billy (Dennis Hopper) attraverso

seguiti Crosby, Stills, Nash e Young,

gli States. Incisa nel 1968 dagli

Janis Joplin, Santana, Grateful Dead,

Steppenwoolf, il brano fu scritto da

Jefferson Airplane, Eagles, Jackson Browne e Lynyrd Skynyrd che

Mars Bonfire ed è diventato famoso grazie al film. Nel corso degli

con il loro rock permeato di folk davano il giusto ritmo ai miei

anni è stata riproposta da decine di artisti ma è nella sua versione

immaginari “coast to coast” giovanili. I Creedence Clearwater

originale che si adatta meglio al rombo di metallo pesante, “heavy

Revival fecero poi da colonna sonora alla mia seconda avventura

metal thunder”, della motocicletta.


Nascere per essere selvaggi, “born to be wild”, per poter assaporare la libertà, perché viaggiare non è raggiungere la meta ma godersi il percorso, cercando l’avventura, “looking for adventure”. Ma da sola una canzone non è sufficiente ad esprimere tutte le sfumature del viaggio e, tantomeno, quelle del vino prescelto. Così oltre ad essere nati per essere selvaggi i viaggiatori sono nati per correre: Born to run. La canzone, che dà il titolo al terzo album di Bruce Springsteen, quello che ne ha decretato il successo, uscì nel 1975 ed è tutt’ora una delle più eseguite durante i concerti. La rivista Rolling Stones ha collocato la canzone al ventunesimo posto nella speciale classifica delle migliori canzoni di sempre e ha piazzato l’album al diciottesimo. “We gotta get out while we’re young, because tramps like us, baby we were born to run”. (dobbiamo andar via finché siamo ancora giovani, perché i vagabondi come noi, tesoro sono nati per correre). Il testo racconta, però, anche il carattere effimero del sogno americano, la voglia di fuggire dalla

con le proprie contraddizioni. Ma non finisce qui, lasciato solo

grigia provincia, la falsità del luccichio di Las Vegas e la speranza

inverte nuovamente la rotta annunciandosi con sentori speziati

di “Someday girl I don’t know when we’re gonna get to that place

di zafferano e foglie di tabacco cubano appena conciate, che

/ Where we really want to go and we’ll walk in the sun / But till

trovano nuovi riscontri morbidi e suadenti all’assaggio. Un vino

then tramps like us baby we were born to run ...” (un giorno

che “ama viaggiare ma odia arrivare” (Albert Einstein), offrendo

ragazza, non so quando, noi arriveremo in quel posto, dove

così infinite sfumature, sale, accelera e si evolve, rallenta e vira,

vogliamo andare davvero e cammineremo insieme al sole, ma

infine scende, ma facendolo permane. Torna, perché ogni viaggio

fino ad allora vagabondi come noi, tesoro, sono nati per correre).

purtroppo ha una fine, ma nel bicchiere si prende solo il tempo necessario a cambiare il proprio bagaglio e scegliere una nuova

Anche il linguaggio musicale esprime una maggiore maturità,

meta, e come un Free bird (Lynyrd Skynyrd) si libra alto in volo,

che meglio si presta ai volteggi evolutivi che la Coulée de Serrant

libero e in un crescendo vorticoso esprime l’impossibilità ad

esprime ad ogni approccio. Un vino nato per essere selvaggio,

essere niente altro che sé stesso, unica e irripetibile espressione di

irruento e indomabile assale il naso con le sue note fruttate

un viaggio fatto solo per capire meglio il posto da cui proviene.

e di fiori appassiti mentre in bocca sferza il palato con la sua

Se vi è rimasto ancora un po’ di vino e di smania di viaggiare

prepotente freschezza. Ma questo cavallo di razza è anche nato per

imboccate l’Highway to Hell, “Living easy, living free… Asking

correre a lungo sulle autostrade del gusto, ha bisogno di tempo

nothing,… No stop signs, speed limit, Nobody’s gonna slow

e di aria per potersi esprimere a pieno. Una volta libero decide

me down… Hey Satan, paid my dues… I’m on my way to the

di cambiare strada, abbandona l’aggressività dei suoi quindici

promised land, whoo! I’m on the highway to hell”. Perché in

gradi e mezzo di alcol lasciando emergere all’olfatto profonde

fondo “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo

risorse minerali, sfumature dolci mielose, vaghezze ossidate. In

arrivati – Dove andiamo? - Non lo so, ma dobbiamo andare.” Jack

bocca s’impadronisce del sorso con matura sapidità e con quel

Kerouac (Sulla strada). E quindi il viaggio prosegue all’infinito

particolare equilibrio, un po’ folle, di chi sa convivere bene

con un’onirica sosta all’Hotel California (Eagles). 33


Bibenda 65 duemiladiciassette

Monfortino, generazione Mille Euro

MONFORTINO,

M

a s s i m o

B

i l l e t t o

Consacrazione di un’Italia del vino che si sdogana definitivamente dal secondo posto.

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generazione

Mille Euro

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Monfortino, generazione Mille Euro

Negli anni ’70 le Langhe erano lontane anni luce dall’aura di luogo di pellegrinaggio mistico, pullulante di resort lussuosi, di ristoranti pluristellati e buen retiro di star del cinema e del rock. Le Langhe erano (e per noi piemontesi lo sono ancora), il posto per la piccola fuga domenicale, dove si consumavano le “merende sinoire” a base di pane e salam d’la duja in estate, e di bagna cauda in inverno. Si bevevano la Barbera e il Dolcetto, talvolta la Freisa; mai il Barolo. Il Barolo era il “vin d’la festa”, ma non della festa o della scampagnata domenicale. Era la bottiglia per la grande occasione, quella che solo il nonno poteva stabilire quale fosse. Il problema era che spesso i nonni se ne andavano senza che quell’occasione fosse mai arrivata, lasciando in eredità quelle poche bottiglie da continuare a venerare per generazioni. Quando, ereticamente, si decideva coraggiosamente di stapparne una, si fingeva di apprezzarla nonostante fosse quasi sempre amara, ossidata e passata a miglior vita. “Il Barolo è così”, si diceva, “è un po’ marsalato”, “va bevuto fuori dai pasti”. Negli anni ’70 ero un ragazzino mosso dalla curiosità di capire perché diavolo un vino così palesemente cattivo fosse tanto famoso. Pur se ancora giovanissimo ascoltavo e leggevo Gino Veronelli e Mario Soldati, Beppe Fenoglio e Nuto Revelli. Quando parlavano del Barolo citavano sempre e solo alcuni leggendari nomi di produttori, pochi a dire il vero, la cui conoscenza era necessaria per comprendere davvero la qualità del Barolo. E capii già da allora che si trattava di un vino che tutti ambivano a produrre ma che pochi riuscivano davvero a rendere grande. Avevo, in buona sostanza, assaggiato fino ad allora, io come tanti altri, i Barolo sbagliati.

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Nel 1979 decisi di dare fondo ai pochi risparmi che da studente-lavoratore avevo da parte, regalando per la prima volta una bottiglia di Barolo a mio padre, in occasione del suo compleanno. Il vinaio di una “piola” Pinerolo (il termine “enoteca” non era ancora entrato nel linguaggio comune, noi si andava nelle “piole”) mi consigliò una bottiglia di Cascina Francia Giacomo Conterno del 1967. Ricordo che costava quindicimila lire o giù di lì, più o meno sessanta euro di oggi. Era un nome di cui avevo letto e sentito, e ovviamente mi fidai. Speravo che papà aprisse subito quella bottiglia, ma non lo fece mai. La custodì e me la restituì trent’anni dopo, in una sorta di passaggio di testimone che in Piemonte vale molto più di una bottiglia. Quella sorta di investimento giovanile fu una molla che mi convinse ad approfondire la conoscenza del territorio, non più solo mèta domenicale ma nuovo e affascinante oggetto di studio. Le terre del Barolo avevano

n

il fascino discreto di chi non si mostra con vanità e non ostenta mai, ma che se ti cattura

Francia Giacomo Conterno

Etichetta Barolo Cascina

l’anima non ne esce più.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

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Monfortino, generazione Mille Euro

I vini delle Langhe sono tutti figli di contadini, ma si tratta

pone il Nostro perfettamente, e sacrosantemente, in linea con

di contadini-poeti, di contadini-partigiani, di contadini-artisti,

i più grandi vini del mondo. Nessuno grida allo scandalo per i

tutti accomunati da un radicamento con quel suolo che ha po-

1.500 euro di Lafite, i 3.000 di Petrus, gli 8.000 di Romanée-

chi paragoni al mondo. Dagli anni ’70, quando nessuno degli

Conti, tutti vini che il Monfortino in degustazione alla cieca

emergenti opinion leader americani e inglesi, così impegnati

potrebbe mettere in fila e guardare dall’alto. Perché, anziché

a scoprire, a celebrare e a divulgare i vini toscani bordeaux-

creare il “caso”, non proviamo, finalmente, un fremito di or-

style, degnava di uno sguardo il Barolo, i langaroli avviavano

goglio? La soglia oltrepassata rappresenta molto di più di un

un’ascesa di portata tale da far diventare Langhe e Barolo veri

prezzo. È la testimonianza tangibile della consacrazione di

e propri oggetti di culto. Nessuno, nemmeno lo stesso Roberto

una Italia del vino che si sdogana definitivamente dal ruolo di

Conterno, poteva sapere cosa sarebbe accaduto. Un piemontese

“eterno secondo”.

lavora a testa bassa, progetta, pianifica, ma non specula. E non

Ed è bello che ciò sia accaduto proprio nelle Langhe. Perché

c’è parola peggiore di “speculazione” tra quelle che da un mese

qualunque si il prezzo che le sue migliori bottiglie potranno

a questa parte vengono associate al fenomeno, finalmente acca-

raggiungere, qualunque sia la fama alla quale le sue etichette

duto, del prezzo di oltre 1.000 euro al quale vengono vendute

potranno assurgere, nessuno qui si monterà la testa. I produtto-

le bottiglie di Monfortino 2010.

ri conserveranno sempre, e per sempre, quello spirito contadi-

Conterno non specula, ma vende le poche bottiglie prodotte

no che rifugge dai riflettori, che preferisce il canto del gallo alla

a un mercato cento volte superiore all’offerta senza gonfiare

sveglia elettronica, e che non scambierebbe mai una “merenda

nessun prezzo. I moltiplicatori che portano a far lievitare il

sinoira” con una cena stellata. Innaffiata da una Barbera, perché

prezzo della bottiglia sono determinati da quel mercato che

il Barolo lo si conserva per i figli. Cerea nè.


39


r u o t

S

t e l l a

Eccoci

G .

B

a c i i s

puntuali con nuova tappa del nostro giro d’Italia per ristoranti da (ri)

scoprire.

Questo mese è la volta della Calabria, con un locale di lunga gestione

familiare che vale il viaggio.

40

d e


La Locanda di Alia 41


A pochi chilometri dal casello Frascineto-Castrovillari della famigerata autostrada Salerno-Reggio Calabria, c’è uno degli indirizzi che ancora oggi - dopo quasi 40 anni è ai vertici della ristorazione regionale. Il merito va ai fratelli Gaetano e Pinuccio Alia, i primi, in Calabria, nel lontano 1978, a trasformare un posto di ristoro alla buona, fondato dai genitori nel 1952, in una tavola gourmet di alto profilo, convinti nel pensare che la cucina, per essere davvero di livello superiore, non potesse essere solo prodotti di qualità e ricette tradizionali, anche in un contesto difficile come era (ed è) il loro. Oggi la struttura comprende un grazioso resort con stanze diverse una dall’altra (e il plus che al mattino dopo si gode di una fantastica prima colazione!), una bottega per acquistare

n

La Locanda di Alia

prodotti calabresi (anche di produzione propria), un lounge bar che la sera accoglie ospiti

Castrovillari (CS)

che vogliono limitarsi all’aperitivo o a un piatto di salumi o formaggi da accompagnare

via Iettticelli, 55

a un bicchiere di vino. Infine, ma non ultimo, il ristorante: due sale di sobria eleganza

0981 46370

affrescate con dipinti murali a pastello dall’artista scomparso Luigi Le Voci e tele del

www.locandadialia.it

contemporaneo Renato De Marco. Per l’estate non manca un gradevolissimo dehors.

chiuso domenica sera ferie variabili prezzo 55 euro

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Arrivando al sodo, cioè alla

a trasformare questo bendidio in piatti di equilibrio, leggerezza

proposta gastronomica, le

e sapore, mettendo molta cura nelle cotture e nella presentazio-

materie prime sono sceltis-

ne. Il menu cambia spesso, ma le candele con ‘nduja di Spilinga

sime, tutte provenienti da

e pecorino sono ormai un cavallo di battaglia da non perdere,

questo variegato territorio

così come i formaggi, con referenze regionali che difficilmente

stretto tra il mare e le balze

capita di assaggiare altrove.

del Pollino, frutto di una costante ricerca e di un la-

La cantina è ben fornita e permette di bere bene senza svenarsi

voro certosino. Si va dal pescato freschissimo ai salumi e alle

grazie alla nutrita proposta a bicchiere, ma è doveroso men-

carni del maiale Nero di Calabria, dalla ‘nduja di Spilinga ai

zionare la selezione di rosoli della casa, per chiudere più che

funghi e alle erbe, dal pecorino del Monte Poro al caciocavallo

degnamente il pasto.

e alla patata silani, dall’agnello del Pollino alla liquirizia e al

Per quello che riguarda il servizio, sicuramente è il migliore

peperoncino, solo per citarne alcune. Poi è Gaetano, chef auto-

della regione quanto a professionalità, cordialità, discrezione e

didatta di grande esperienza e talento, nonché di rara modestia,

attenzione ai dettagli.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

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Mornington, la penisola del Pinot Nero


Mornington,

LA PENISOLA DEL

Pinot Nero

A

l e s s a n d r o

Dal

nostro corrispondente in

R

a g a z z o

Australia

un’interessante escursione sul vitigno

più capriccioso del mondo.

Adelaide, ottobre 2017 - Le maggiori produzioni di Pinot Nero in Australia si trovano maggiormente nell’entroterra sia su bassa che alta collina e a volte non molto lontano dalla costa. Nello stato di Victoria i grandi Pinot Nero crescono anche in penisola, la più interessante è la Mornington Peninsula, situata a Sud Est di Melbourne fra le due baie chiamate Port Philips Bay e Western Port Bay. 45


Bibenda 65 duemiladiciassette

Mornington, la penisola del Pinot Nero

Le produzioni vinicole sono circa 50 su un territorio caratterizzato da bassa pianura, costa e alta collina. Le vigne si trovano principalmente in collina, nascoste fra parchi protetti, tenute caratterizzate soprattutto dall’allevamento di bestiame e foreste naturali. L’influenza marina crea un clima caldo umido d’estate e piovoso d’inverno, con primavere tardive e autunni non molto piovosi. La tipologia di terreni va dal sabbioso, quello a valle, per finire ad argilloso e di natura vulcanica quello in collina. Le tipologie di uve sono principalmente Pinot Nero, Chardonnay, seguito da Pinot Grigio e Shiraz. La svolta ebbe inizio negli anni ’70 con la prima vigna a base Pinot Nero dell’azienda di famiglia Main Ridge Estate, incantevole tenuta ben nascosta e protetta da alberi di eucalipto. Il rinascimento invece si ha negli anni ’90 prima con un importante aumento delle vigne, poi dal numero di produttori privati attratti proprio dalle condizioni fredde/marittime a vantaggio di vini eleganti e di struttura. A inizio 2000 il gruppo di enologi della regione si riuniscono per definire una grezza mappa di sottozone che da ancor più senso ai lavori di operazione in vigna ed in cantina in fase di miglioramento e sviluppo a favore di più qualità e meno quantità.

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Ad oggi i risultati sono straordinari, i primi ad accorgersene non erano i critici di settore ma il mercato locale che si è accorto molto rapidamente la qualità prodotta a pochi chilometri da una piazza importante come quella di Melbourne. Il Pinot Nero della Mornington Peninsula si è adattato molto bene al territorio e alle condizioni climatiche, caratterizzando vini particolarmente profumati di grande qualità e dalle note minerali a volte sin troppo marcate. Si trovano varietà di assoluta piacevolezza e selezioni di ottima fattura, le quali rispecchiano in modo quasi magico le caratteristiche di un territorio dalla natura selvaggia, intatta e dalla vista mozzafiato. Le caratteristiche di questo territorio hanno modellato vini di grande struttura, dal rosso rubino tendenti al granato concentrato, dai profumi intensi ma eleganti, rotondi e soffici, dal palato fresco, aromatico, persistente, minerale con notevoli complessità e finali che ricordano un leggero chinato. Tralasciando le diverse interpretazioni di alcuni eccentrici winemaker, il Pinot Nero della Mornington Peninsula merita un’attenta analisi ed una posizione di rilievo fra i vini rossi del Nuovo Mondo. 47


L’intervista Alberto Matano

E

l v i a

G

r e g o r a c e

Uno dei volti piĂš popolari del Tg1 parla dei suoi ricordi, dei profumi, dei piatti e dei vini preferiti.

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L’intervista

“Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui”. Forse al calar della luce e dei riflettori è così che si sente Alberto Matano, proprio come Niccolò Machiavelli quando descrive la fine della sua giornata all’amico Francesco Vettori. Giornalista, conduttore televisivo che al concludersi delle ore lavorative si racchiude nei suoi affetti, tra le sue cose. Ha condiviso immagine, voce, testa e spesso cuore e vuole preservare qualcosa per sé, per i suoi cari. Sarà il motivo per il quale non si è mai avuta alcuna indiscrezione su di lui? Calabrese di nascita, dopo la maturità scientifica si laurea nel 1995 in Giurisprudenza all’università La Sapienza di Roma. Decide di raggiungere il traguardo celermente perché sa che diventare avvocato non è il suo sogno. Alberto vuole raccontare le persone, intervistarle, carpirne gli aspetti non banali, il non detto. La carriera è veloce. Frequenta la scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia, ancor prima scrive sul quotidiano l’Avvenire per solcare il palco di trasmissioni televisive e giungere al Tg1 della sera. Profondamente discreto, conversa con l’interlocutore in maniera attenta, sempre con il sorriso senza invadere la sensibilità altrui. Dalla battuta pronta e la favella sciolta si definisce una bella persona e lo è. Emana energia positiva e soprattutto è sereno con se stesso. Sostiene di essersi creato una religione sua e di seguire i propri valori quotidianamente. Tra i ricordi più nitidi emerge Natuzza Evolo, entità mistica della quale Matano riconosce l’unicità e la grandezza. La scorsa estate ha perso la nonna Luisa che proprio in questi giorni avrebbe compito 101 anni. Donna forte, dinamica e intraprendente che non amava trascorrere il tempo inutilmente ma desiderava sempre darsi da fare e coordinare il lavoro anche altrui. Proprio in questo periodo il bel giornalista ha iniziato a girare la seconda serie di Sono Innocente le cui puntate andranno in onda nel 2018 . Nel frattempo pregustiamo alcuni dei suoi aspetti più personali… 49


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È capitato diverse volte che Lei abbia interrotto, attraverso

de, paradossali. Mi sento di asserire che il lavoro dei magistrati

le edizioni straordinarie del Tg1, i programmi quotidiani.

è un compito delicato, importante, che detiene enormi respon-

Tra le notizie da Lei enunciate, quali sono state quelle che La

sabilità perché decide delle vite altrui… Forse alcuni di loro

hanno maggiormente colpita?

dovrebbero esserne maggiormente consapevoli.

L’attentato terroristico a Parigi ai danni di Charlie Hebdo e la

Spesso durante la diretta del telegiornale si passa da un

strage di turisti sulle spiagge tunisine. Mi sono sentito coinvolto

argomento a un altro con estrema facilità. Come si fa?

sia come persona che come giornalista. Non riesco a dimenticare

Si tratta di un libro e come tale è costituito da pagine. Alcune

ancora i volti delle vittime.

drammatiche, altre comiche, altre ancora nostalgiche. L’impor-

Lei ha condotto una trasmissione dal titolo Sono Innocente,

tante è che siano vere come lo è la vita, dalle innumerevoli sfac-

intervistando persone accusate ingiustamente dalla legge

cettature. Si volta pagina e si legge un nuovo capitolo.

italiana: una riflessione a riguardo.

Alla fine del Tg1, a volte, sono presenti ospiti celebri. Chi e

Talvolta le storie raccontate non sembravano vere perché assur-

cosa le è rimasto più nella mente?


L’intervista

Il carisma, la verve e l’energia di Richard Gere: contagiosi. Presente

gliarsi. Sono le persone che contano, sono loro a creare la storia.

in studio proprio alla fine del mese di settembre. Era la seconda

A quale profumo è più legato?

volta che lo incontravo. Si è ricordato di me immediatamente. Il

Il bergamotto, lo adoro. La sua intensità, la sua avvolgente asprezza

suo spirito vitale ha impregnato tutti. Ha commentato il mio nuo-

mi attraggono. Quando mi reco in qualche luogo, chi mi conosce

vo aspetto, portavo un poco di barba, mi ha offerto anche alcuni

sa della mia presenza proprio per questo aroma che precede il mio

consigli. Rammento anche Sabrina Ferilli e Margherita Buy arri-

arrivo. Utilizzo sempre prodotti che lo contengono.

vate per presentare il film Io e Lei. Margherita giunse in ritardo ed

Il cibo del ricordo?

ebbe un attimo di attacco di panico, come se non riuscisse ad an-

La parmigiana di melanzane di nonna Luisa e la genovese di

dare in onda. Arrivato il momento clou, invece, fu tranquillissima,

nonna Rosa. Indimenticabili!

rispose alle domande senza alcuna esitazione.

Quali vini le stuzzicano palato e olfatto?

Che rapporto ha con i social?

Sono legato al Gaglioppo che ricorda le mie radici, ma ammetto di

Molto positivo. Ho utilizzato Facebook immediatamente, poi

lasciarmi sedurre dal Pecorino delle Marche. Le bollicine le trovo

Twitter. Oggi, invece, sono molto presente su Instagram che trovo

inebrianti, ma se dovessi scegliere un vitigno regna sovrano il La-

immediato, facile da adoperare. Facebook, al contrario, si è un po’

grein, armonico. Quando vado al ristorante ordino spesso il Syrah

arrugginito. I social servono e sono utili. Bisogna saperli utilizzare.

Tellus Falesco, accompagna il cibo senza coprirlo ed è di facile beva.

Lei proviene da una delle regioni più povere della nazione,

Credo che i calici migliori siano quelli che non sprigionano esclusi-

cosa ne pensa?

vamente sentori olfattivi, ma emozioni. Devono raccontare un ter-

Sono calabrese nella mia quotidianità, nei piccoli gesti, nei valo-

ritorio, una storia, un clima, una famiglia. Quelli sono i vincitori.

ri. Mi sento profondamente colpito quando vedo la mia regione

Una citazione sul vino?

di origine come fanalino di coda su molti aspetti specialmente

Com’è vero che nel vino c’è la verità ti dirò tutto, senza segreti.

sulla presenza di lavoro nel territorio. I calabresi dovrebbero sve-

(William Shakespeare) … Come io ho fatto con te!

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Ritorno in Borgogna

RITORNO IN BORGOGNA B

52

a r b a r a

P

a l o m b o


Per chi c’è già stato e per chi non c’è stato mai, un film da non perdere.

Il paesaggio della Borgogna resta impresso nella mente di chiunque abbia la fortuna di vederlo: distese sconfinate di vigne curatissime, antiche affascinanti abbazie ricche di storia e di passato, villaggi che sembrano essere di altre epoche, percorsi di acqua numerosi e sonnacchiosi, foreste misteriose, pascoli popolati da mucche paciose, vaste coltivazioni di cereali e molteplici colori di una natura spettacolare e unica. Ammirare tanta bellezza riempe gli occhi e accarezza l’anima: aleggia ovunque una sensazione di operosa serenità, si percepiscono profumi intensi e diversi, si resta colpiti e ammaliati da un territorio di campagna contornato da arte e creatività. La produzione di vino rappresenta motivo di orgoglio, di prestigio e di gloria di questo territorio, perché qui lo Chardonnay e il Pinot Noir danno vita agli eccellenti vini di Borgogna, nettari unici, sopraffini e squisiti, che nascono dalla fusione di vari elementi: dalla composizione, profondità e drenaggio del suolo, al clima, all’esposizione dei vigneti e alla loro altitudine, nonché dal costante e assiduo lavoro dell’uomo, dalla sua passione, dal sacrificio, dal desiderio, dall’affezione e dal trasporto che si respirano nell’aria e si assaporano nel bicchiere. Per chi ha avuto il piacere di visitare la Borgogna, o per chi tale piacere non ha avuto ma si è trovato per qualche motivo incantato di fronte al paesaggio su una cartolina, o affascinato dai suoi vini, è recentemente uscito un film, nelle sale italiane, dalla visione del quale è possibile rivivere parte di quelle emozioni provate: si tratta del film francese “Ritorno in Borgogna”, del regista Cèdric Klapisch, dal titolo originale “Ce Qui Nous Lie” (letteralmente: “è qui che ci sono i nostri legami”), che tratta della famiglia e dei sentimenti, ma con un unico e indiscusso protagonista: il vino della Borgogna. Il film, ambientato nella zona meridionale della Cote d’Or, a Meursault, nella Cote de Beaune, e a Pommard, riesce a trasmettere lo stretto rapporto esistente tra la cultura del vino e l’importanza dei legami familiari; i cicli della natura si susseguono insieme all’evoluzione della vita dei personaggi, e il tempo e lo spazio scaturiscono da immagini 53


Bibenda 65 duemiladiciassette

Ritorno in Borgogna

espressive ed intense che mostrano le fasi di maturazione

Il film può piacere o no, quello per che lo rende interessante e

dei grappoli, le diversità climatiche, i molteplici colori ed i

coinvolgente però, è il modo in cui riesce a descrivere la Borgogna

vari aspetti dei cambi stagionali. La “Montaigne de Corton”,

nel suo aspetto vitinicolo, con le bellissime immagini di quel

posizionata sopra la cittadina di Beaune, completamente vitata

territorio riprese per un anno intero, da cui è possibile seguire

ad eccezione della sommità ricoperta da una fitta foresta, con i

il cambio di stagioni e quindi l’intero processo di produzione

suoi magnifici Premier Cru e Grand Cru, con le sue tonalità a

del vino al suo ritmo reale. Indimenticabile il sole che accarezza

seconda dei mesi, è più volte ripresa

le viti su Clos des Perrières, uno

nella sua magnificenza, e lascia gli

dei Premier Cru più importanti di

spettatori senza fiato.

questa zona della Francia, da cui

Girato per lo più tra le vigne, descrive

nascono le massime espressioni dei

un territorio frammentato tra tanti

vini Chardonnay; indimenticabile

proprietari, e mostra il lavoro e la

il tino pieno dei rotondi e succosi

vita di questi contadini legata al loro

acini d’uva che si aprono con un

terroir, al cru, al climat, al lieu-dit e al

suono croccante sotto il peso dei

clos, alla combinazione del sole, delle

piedi nudi… la sensazione di sentire

piogge, e della geologia del terreno

l’odore del succo che sprizza dagli

risalente

acini, acre e vivo, è tangibile e

all’era

del

Giurassico,

formato da strati di roccia di 170

concreto all’interno del cinema.

milioni di anni fa: il tutto finalizzato

54

alla ricerca di un vino dal colore, dal

La cosa però davvero importante

profumo e dal gusto speciali.

e fondamentale, consiste nel fatto

Nel corso della narrazione si parla

che il film racconta sia la storia di

delle tecniche di coltivazione, delle

legami famigliari che la storia del

varietà degli acini, della classificazione

vino, mostrando le connessioni,

del vino, e dei metodi di raccolta, in modo semplice ma efficace.

i nessi e le attinenze tra i sentimenti della vita e le emozioni

Realistica la scena del chicco di Chardonnay messo in bocca

che dal prezioso nettare possono scaturire: “L’Amore è come il

da uno dei personaggi e masticato con concentazione, con

vino, ci vuole tempo…” perché ambedue richiedono dedizione,

attenzione, lentamente …il sapore e il gusto del succo arriva nella

forza, disponibilità ed eccitazione per arrivare a toccare le corde

bocca degli spettatori, e l’eleganza e la finezza di quegli aromi,

dell’animo.

“…sa di limone, di lici, odora di paglia…” sembrano insinuarsi

Il senso di appartenza ad una terra, ad una cultura, ad una casa,

nella mente e nell’animo di tutti i presenti in sala.

ad un ambiente è ben evidenziato nel film, “Lavorando la terra

In parte fiction ed in parte documentario, una “finzione nutrita

e prendendosi cura di essa capiamo che ci appartiene e che noi

dalla realtà”, scene di vita vera, come per il Paulèe, la festa

apparteniamo a lei…” il buon vino si fa nella vigna… gli affetti

celebrata alla fine della vendemmia, con riprese della vera festa,

più forti si costruiscono in famiglia.

dalle 8 a mezzanotte, in cui alla platea sembra di partecipare

La pacatezza, la forza, la fragilità, la dolcezza e l’amore… negli

attivamente alla contentezza e all’eccitazione dei proprietari e dei

uomini e nella natura, all’interno di un territorio, in un nucleo

salariati che, insieme, cantano, ballano e brindano al nuovo vino.

familiare, in un calice di vino.


Il connubio tra cinema e vino non è nuovo, ma in occasione del lancio a Milano del film Ritorno in Borgogna, del regista Cédric Klapisch, la Fondazione Italiana Sommelier, grazie alla collaborazione attiva del Comitato regionale della Lombardia con Officine Ubu, ha giocato un ruolo da protagonista. Il 12 ottobre, infatti, ha partecipato con i propri soci all’anteprima del film al Palazzo del Cinema Anteo, ospiti di eccezione di Officine Ubu insieme alla stampa. Il 20 e il 21 ottobre, poi, ha supportato con entusiasmo l’uscita nelle sale offrendo una degustazione in tema con l’ambientazione del film presso il Cinema Palestrina a Milano. L’iniziativa ha avuto grande successo, fornendo ampio riscontro all’idea che si può fare cultura del vino anche in spazi insoliti purché alla base ci sia competenza, passione e un tocco di creatività. Nessun dubbio che il film, attualmente in distribuzione in numerose sale in tutta Italia, diventerà presto un cult per gli amanti del vino.

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Genagricola

GENAGRICOLA

D

u i l i o

P

a p e t t i

Prestigiosi banchi d’assaggio per l’inaugurazione dell’anno sociale della Fondazione Italiana Sommelier.

Il 15 settembre 2017, in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Sociale della Fondazione Italiana Sommelier, presso la raffinata cornice dell’Hotel Rome Cavalieri, si è svolta una degustazione a Banchi d’Assaggio. La scelta è caduta su Genagricola, una grande realtà italiana che conta ben 25 aziende vitivinicole dislocate un po’ in tutta Italia e che valica anche i confini della nostra penisola, con una presenza anche in Romania. A fondarla nel lontano 1851 furono le Assicurazioni Generali ed oggi è la più estesa azienda agricola italiana, incentrata su tre valori fondamentali: sostenibilità, sicurezza e il sociale. Interessando diversi settori quali l’allevamento, la produzione di seminativi, di energie rinnovabili e la viticoltura, si estende su una superficie di oltre 13.000 ettari complessivi coltivati, di cui 900 vitati. Assaggiamo insieme una selezione della vasta produzione del Gruppo. 56


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La degustazione | GENAGRICOLA Tenuta Sant’Anna (Prosecco e Lison Pramaggiore, Veneto) Cuvée Maudit Brut 81/100 Bianco Spumante Doc Spuma soffice e cremosa, con naso di mela Golden, uva spina, gelsomino, fiori di montagna. A palato emergono lievi note fruttate di lieviti, equilibrio e coerenza con l’olfatto. Charmat. Prosecco Brut Millesimato 2016 81/100 Bianco Spumante Doc Paglierino con riflessi verdolini, naso di pera, mela e fiori bianchi. Evidenti note agrumate, fruttate e vispa sapidità. Charmat. Lison Classico Goccia 2016 82/100 Bianco Docg Paglierino luminoso. Naso di fiori gialli e susina matura. Una lieve nota di lieviti e freschezza fruttata caratterizzano l’assaggio. Acciaio.

V8+ Vineyards (Prosecco, Veneto) Prosecco Extra Dry 2016 Sior Sandro 80/100 Bianco Spumante Doc Paglierino tenue, con sentori di pera, uva spina, kiwi e leggere note aromatiche. Al palato morbidezza di fondo e un sussurrato tocco aromatico. Charmat. Valdobbiadene Prosecco Extra Dry Sior Pietro 82/100 Bianco Spumante Docg Paglierino con spuma fine e persistente. Al naso pera, uva spina, salvia, albicocca, nespola e lieviti. In bocca gradevole e persistente. Charmat. Prosecco Brut Sior Carlo 81/100 Bianco Spumante Doc Paglierino, carattere agrumato sia al naso che in bocca. Al palato più lungo e incisivo, con verve acida e finale di sambuco. Charmat.

Borgo Magredo (Grave, Friuli) Friuli Grave Pinot Grigio 2016 80/100 Bianco Doc Paglierino, con note di mela renetta e fiori bianchi. Sorso disimpegnato, sapido, coerente con il naso. Acciaio. Friuli Grave Traminer 2016 81/100 Bianco Doc Paglierino-oro. Naso di mandarino, sambuco, pesca ed erbe aromatiche. Acidulo, di corpo leggero, con una gradevole eco aromatica. Acciaio. Friuli Grave Pinot Nero 2016 80/100 Rosso Doc Rubino-cerasuolo. Toni vinosi, seguiti da ribes e lampone. Scorrevole, sapido, con finale floreale. Acciaio. 58



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Genagricola


n

Genagricola S.p.A. Via Mons. P.L. Zovatto, 71 30020 Locon di Annone Veneto (VE) Tel. 0422/864511 Fax 0422/864400 www.genagricola.it nfo@genagricola.it

Torre Rosazza (Colli Orientali, Friuli) Friuli Colli Orientali Pinot Grigio 2016 85/100 Bianco Doc Paglierino con nuance oro, naso di pesca, mela e frutta secca. Vino di medio corpo, molto gradevole pur se non particolarmente complesso. Acciaio. Friulano Colli Orientali 2016 86/100 Bianco Doc Paglierino-dorato, evoca cedro candito, bergamotto, resina e frutto della passione. Bilanciato, di carattere ed equilibrato in bocca. Acciaio.

Bricco dei Guazzi (Piemonte) Barbera D’Asti 2015 85/100 Rosso Docg Rubino con riflessi purpurei. Naso di amarena, frutti di rovo, rovere, chiodi di garofano e una nota balsamica di cardamomo. Di medio corpo, freschezza vivace, tannini da non sottovalutare, finale torrefatto. Tonneau. Piemonte Albarossa 2015 91/100 Rosso Doc Rubino con nuance purpuree. Sentori di amarena, ciliegia, frutti di rovo, confettura di fragole, rosa canina e spezie. Al palato è strutturato, con un’eco speziata, tannini imponenti e un finale equilibrato, ancora contrassegnato dal legno. Tonneau.

Costa Arènte (Valpolicella, Veneto) Valpolicella Valpantena 2016 86/100 Rosso Doc Rubino con riflessi porpora. Note fruttate di amarena, fiori appassiti e lampone al naso. Discreto corpo e notevole vitalità acida al palato. Acciaio. Valpolicella Ripasso 2015 86/100 Rosso Doc Rubino luminoso con riflessi porpora, naso di liquirizia, vaniglia, frutta in confettura, sandalo e zucchero a velo. Attacco morbido, sontuoso e caldo, con finale torrefatto. Botte grande. Amarone della Valpolicella 2013 85/100 Rosso Docg Rubino. Sentori evidenti di frutti rossi in confettura, spezie dolci e carbone vegetale. Tannico, caldo, compensato da un’inaspettata freschezza. Botte grande e tonneau. 61


Bibenda 65 duemiladiciassette

Autunno in rosa

AUTUNNO IN ROSA C

i n z i a

B

o n f à

Il Rosé è il risultato di una rigorosa ricerca di equilibrio tra le varie componenti di uno

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Champagne, un po’ come accade a noi in alcuni periodi della nostra vita.


63


Bibenda 65 duemiladiciassette

Autunno in rosa

La vita frenetica, il grigiore cittadino e l’umore spesso nero ci avvicinano sempre più a prediligere sorsi che abbiano luminosità, colore ed effervescenza, così come è un buon bicchiere di bollicine, specialmente se la scelta cade su un incarnato rosa che sappia controbilanciare quello un po’ spento dei nostri animi. Non lasciamoci però spaventare dalla solennità del colore, piuttosto lasciamo che il colore entri in noi. Se da un lato lo Champagne Rosé ha innato quel non so che di femminilità e seduzione, dall’altro ha un carattere deciso pronto a mettere in discussione un qualsiasi piatto in abbinamento, anche quello più sostanzioso. E noi tutti sappiamo che lo Champagne non è il vino che scegliamo per abbinare alle pietanze di un piatto, è il piatto che deve essere abbinato allo Champagne. Lo Champagne Rosé è sempre stato un vino difficile da conquistare e da capire, spesso il suo colore è croce o delizia di certi canoni visivi e intellettivi distinguendosi proprio per queste prerogative ma soprattutto per la delicatezza e la forza di resistere nel tempo. Produce di sicuro aspettative maggiori e quando si ha davanti un fuoriclasse, non lo si lascia andar via tanto volentieri, per cui ripetuti assaggi diventano d’obbligo. Da poco è stata presentata dal Gruppo Meregalli, nella manifestazione 100Vini a Roma, l’ultima cuvée millesimata della prestigiosa Maison di Champagne 64


Bollinger: Rosé 2006. L’annata un po’ controversa ha fatto sì che la Maison ritenesse opportuno di non produrre il millesimo 2006 nelle altre tipologie di Champagne, solo nella versione Rosé e solo millesimata. Il Bollinger Rosé millesimato 2006 è stato creato nella rarità di Special Edition con 20.000 bottiglie al posto della Grande Année Rosé, rivolto a un pubblico non abbarbicato all’idea della Grande Année e nemmeno alla freschezza del Rosé “base”. Questo Champagne è una via di mezzo, ha volume e charme, ha forza e delicatezza e ha una freschezza che mette d’accordo un po’ tutti i palati. Per il Rosé 2006 la Maison ha voluto un packaging innovativo con box in metallo che portasse il nome Bollinger intarsiato in una griglia. L’ispirazione sembrerebbe di stile arabo con richiamo al Mashrabiya che è un dispositivo di ventilazione naturale usato proprio nell’architettura araba. Il cofanetto riutilizzato, in un secondo momento, con una candela all’interno sarebbe perfetto per atmosfere soft con scintillii e giochi di luce. Buccia di cipolla intensa con lampi salmone. Brillante con perlage finissimo e continuo. Note di terziarizzazione appena accennate per cui avanzano sottili le sensazioni terragne di fungo, sottobosco, frutti di bosco allo zenit. Mineralità di pietra focaia alla deriva. Ricco e verticale, entra deciso ma con garbo, creando già il proprio savoir-faire senza 65


Bibenda 65 duemiladiciassette

Autunno in rosa

crudezze spinte della sua tipologia. 72% di Pinot Noir e 28% di Chardonnay con l’aggiunta di un 7% di vino rosso che conferisce a questa cuvée un classico colore rosa intenso. 10 anni sur lie. Al suo fianco, nella degustazione dei 100Vini a Roma, gli altri due Rosé della Maison, La Grande Année Rosé 2005 e il Bollinger Rosé, quest’ultimo fresco e dinamico, raffinato con profumi leggiadri e fragranti di rosolio, chicco di melograno, gesso, dall’assaggio acidissimo, verticale con perlage sottile, fine, impercettibile quasi una carezza su rimandi ai frutti di bosco. La Grande Année Rosé 2005 è un blend di Pinot Noir al 72% e di Chardonnay al 28% a cui è stato aggiunto vino rosso proveniente dalla famosa Côte aux Enfants. Vinifica in barrique da 228 litri di vent’anni di età e fa 2 anni di affinamento in bottiglia prima di essere messo in commercio. Rosa salmone. Perlage cremoso, carezzevole, ricco di seta e luce. Uno Champagne che oggi a 12 anni dalla vendemmia, incarna lo stereotipo della perfezione. Note fungine, di grande complessità per momenti unici. Al palato è ricco, intenso, di pura essenza, una materia sublime con astringenza tattile quasi tannica: quel senso di rugosità che si espande in tutta la bocca, gengive incluse. E per favore, allontanate il Rosé dal suo triste destino che lo vuole complice delle cene più romantiche e apprezzatene le peculiarità condividendole in semplice amicizia.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Concorrenza sleale

Concorrenza sleale L’Associazione Italian Sounding ha chiesto e ottenuto a tempo di record (3 ore) il provvedimento cautelare di urgenza che ha bloccato la commercializzazione di un prodotto che scimmiottava sfacciatamente l’originale.

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Il 27 ottobre 2017 a Milano, l’associazione italo-tedesca Italian

Il diritto tedesco, a differenza di quello italiano, non conosce una

Sounding e. V., nata anche per contrastare e impedire la

normativa specifica a favore del “Made in”. In casi di contraffazioni

commercializzazione e vendita di prodotti falsamente italiani,

riguardanti le indicazioni di origine geografica protetta, la tutela è

ha colpito ancora individuando e denunciando i produttori di

più facile perché esiste una normativa europea, mentre in situazioni

pasta che esponevano alla Fiera Internazionale del Food di Anuga

come quella della pasta “Milano” il giudizio deve fondarsi

a Colonia confezioni con le diciture “Milano”, “San Remo” e

soprattutto sui principi generali in materia di concorrenza sleale”.

la bandiera dell’Italia, pur trattandosi di prodotti di origine africana. Italian Sounding e. V. rappresentato dai Presidenti

Il risultato si registra a margine della fiera tedesca di Anuga, la

Giandomenico Consalvo e Gabriele Graziano con l’avvocato

più importante rassegna al mondo dedicata al food & beverage,

di CBA Studio Legale e Tributario, München, Mattia Dalla

dove la “task force” dell’associazione Italian Sounding e.V. con gli

Costa ha infatti ottenuto dal Tribunale di Colonia in sole 3

Avvocati Mattia Dalla Costa e Rodolfo Dolce si è nuovamente

ore un provvedimento cautelare di urgenza. Risultato: Milano

data appuntamento per individuare i prodotti con denominazioni

Pasta DMCC di Dubai (UAE) non può più vendere in tutto

chiaramente evocative dell’Italia o made in Italy ma provenienza in

il territorio della Repubblica Federale Germania pasta la cui

alcun modo collegabile al nostro Paese.

confezione abbia la designazione “Milano” e/o “San Remo”. In caso di violazione, ammenda fino a 250.000 euro.

Mattia Dalla Costa, partner di CBA Studio Legale e Tributario a Monaco di Baviera ha commentato: “già due anni fa ci eravamo

L’associazione Italian Sounding e. V., costituita a Roma a febbraio

mossi usando tutti i mezzi giuridici a disposizione per impedire la

2015 dalla Camera di Commercio Italiana per la Germania

diffusione di questi prodotti falsamente italiani. In Germania, infatti,

di Francoforte e dalla Camera di Commercio Italo-Tedesca

non esiste la tutela del “made in” ma si tratta comunque di un’evidente

di Monaco-Stoccarda, Confagricoltura e da altri membri, tra

caso di concorrenza sleale. Ormai Italian Sounding è stata riconosciuta

cui Unioncamere, è impegnata nel contrastare e impedire la

in Germania come soggetto legittimato ad agire a tutela dei consumatori

commercializzazione e vendita di prodotti che attraverso l’utilizzo

(ed ha già ottenuto varie decisioni ed ottimi risultati contro produttori e

di indicazioni geografiche, immagini e marchi, evocano l’Italia per

grande distribuzione), permettendoci anche questa volta di intervenire e

promozionare e commercializzare prodotti non di origine italiana.

ottenere tempestivamente il blocco dei contraffattori”.

ITALIAN SOUNDING e.V. L’associazione Italian Sounding e. V. nasce nel febbraio del 2015, su volontà dei soci costituendi Confagricoltura, le Camere di Commercio Italiane in Germania (Camera di Commercio Italiana per la Germania di Francoforte sul Meno e Camera di Commercio Italo-Tedesca di Monaco di Baviera) e altre società, consorzi e cooperative, per contrastare e impedire la commercializzazione e vendita di prodotti «falsamente» italiani. In seguito anche Unioncamere, Fiera Milano entrano a far parte dell’associazione. Italian Sounding non ha fini di lucro ed ha uno scopo tecnico destinato a farsi carico di interessi collettivi ai sensi della normativa tedesca, di effettuare fra l’altro un monitoraggio del mercato, una ricerca e reporting sugli abusi, delle pubblicazioni in temi specifici, e permette di agire giudizialmente al fine di evitare che prodotti non italiani siano venduti come di origine italiana. Il diritto tedesco, infatti, tutela l’interesse pubblico alla liceità della pubblicità e della comunicazione al consumatore, conferendo solo ad alcune specifiche istituzioni che raccolgono gli interessi collettivi un diritto ad intervenire in via civilistica in merito al perseguimento di tali illeciti. La tutela è di regola molto efficace, avviene con provvedimenti d’urgenza che una volta richiesti vengono rilasciati il giorno stesso e possono essere eseguiti subito durante le Fiere tramite l’ufficiale giudiziario. 69


Bibenda 65 duemiladiciassette

Un compleanno ad arte

arte

UN COMPLEANNO AD M

70

i mm a

C

o pp o l a


A Milano, dieci candeline per il multi-vintage di Maurizio Zanella.

I compleanni andrebbero sempre festeggiati, ma ce ne sono alcuni che chiedono di essere celebrati ancor più di altri. È ciò che ha pensato Maurizio Zanella nei giorni scorsi, chiamando tutti a raccolta per festeggiare i primi dieci anni di vita del Franciacorta Cuvée Prestige, il prodotto più conosciuto e diffuso sul mercato nazionale e internazionale di Ca’ del Bosco. Nel 2005, infatti, nasceva il nuovo vino dell’azienda: bottiglia trasparente, etichetta gialla e sacchetto arancione ma, più di ogni altra cosa, «frutto di 28 anni di esperienza in Franciacorta», rivendica con orgoglio Maurizio Zanella. «Dodici anni fa, abbiamo deciso di rimetterci in gioco e di pensare a un’altra maniera di realizzare il Franciacorta; facendo diventare un non-vintage un multi-vintage».

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Bibenda 65 duemiladiciassette

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Un compleanno ad arte

Sì, perché Ca’ del Bosco produceva già dagli anni ’90 un Brut

per mantenere l’inconfondibile timbro della Cuvée Prestige.

Non-vintage, da quando si era deciso di rendere Vintage, cioè

Per permetterci di apprezzare la storia e l’evoluzione di questo

millesimati, i quattro vini aziendali - Dosage Zero, Satén,

vino e “fargli la festa” nel modo migliore tutte le annate prodotte

Brut e Rosè - e a loro era stato affiancato un Brut non mil-

sono state poste in degustazione verticale, partendo dall’interpre-

lesimato. Il vino però non era considerato soddisfacente dai

tazione 2014 e risalendo fino alla 2005, anno di battesimo.

suoi stessi artefici, tanto più che, con l’acquisizione di nuovi

Le bottiglie in degustazione sono state sboccate à la volée sul

vigneti in Franciacorta, si andava

momento e dunque servite senza

sempre più delineando la specifi-

dosaggio. Un modo per compren-

cità dei differenti suoli e delle uve

dere le caratteristiche del vino senza

raccolte. Il 2005 fu l’anno della

filtro alcuno.

svolta, quando il vino non-vintage

Il viaggio rapido ma intenso negli

divenne un multi-vintage, come lo

ultimi 10 anni, ci ha permesso di ri-

chiama Maurizio Zanella, trovan-

trovare, sì, il tratto inconfondibile e

do finalmente l’espressione voluta

la pulizia tipica di questo vino, ma

dall’azienda, con un carattere e una

anche di riconoscere l’impatto cli-

personalità chiaramente riconosci-

matico dell’annata, sempre presen-

bili. Nasce così la Cuvée Prestige.

te in modo prevalente poiché non

Stefano Capelli, enologo di Ca’ del

scende mai sotto il 70%, e l’evolu-

Bosco e ideatore del progetto, racconta per la prima volta il

zione segnata dal tempo in cantina.

modo in cui si crea la cuvée. I vini base vengono raggruppati

Su tutte, l’annata 2009, che presenta in modo netto le prime

in tre categorie in base al profilo organolettico: agrumati e

note evolutive al naso e in bocca una cremosità e un equilibrio

minerali, con netti sentori di frutta bianca o con riconosci-

che conquistano, la 2008, sfaccettata, esuberante all’olfatto e

menti di frutta gialla ed esotica; queste tre sfumature vengono

piena al gusto, un caleidoscopio di sensazioni, la 2007, vibran-

poi lasciate affinare in legno o acciaio, dando origine a vini

te, figlia di un’annata calda chiaramente percepibile al naso, che

riserva con diversi caratteri che saranno infine utilizzati in

stupisce all’assaggio per una freschezza che riequilibra perfetta-

assemblaggio negli anni successivi, dosandoli sapientemente

mente la piacevole morbidezza.


Per concludere l’excursus temporale è stata presentata la 2015, la Cuvée Prestige

n

Ca’ del Bosco

Decennale; un’interpretazione unica, elaborata assemblando un terzo di vini base della

Via Albano Zanella, 13

vendemmia 2015 e un terzo ciascuno di vini riserva della annate 2014 e 2013.

25030 Erbusco (BS)

Ma non finisce qui. Il noto legame di Ca’ del Bosco con il mondo dell’arte è protago-

Tel +39 030 7766111

nista anche in questo festeggiamento: agli artisti della ceramica Bertozzi & Casoni,

www.cadelbosco.com

infatti, è stata affidata la realizzazione di 10 opere d’arte, un pezzo unico per ogni

cadelbosco@cadelbosco.com

anno di vita della Cuvée Prestige, aventi come tema la reinterpretazione della terra di Franciacorta. Le opere verranno messe all’asta da Sothesby’s e il ricavato devoluto in beneficienza a Dynamo Camp. Gli stessi artisti, inoltre, hanno disegnato un’etichetta celebrativa in edizione limitata per la Cuvée Prestige Decennale ispirata alle loro opere, che andrà a decorare solo alcune bottiglie, precisamente 1 su 6 in vendita tra ottobre e dicembre 2017, che saranno appannaggio di pochi fortunati. Un compleanno festeggiato “ad arte”, grazie anche alla splendida cornice dell’hotel Four Seasons di Milano e all’impeccabile servizio a cura di Fondazione Italiana Sommelier.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Il Vino e il suo Testo Unico

e

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e il suo

TESTO UNICO Ancora un convegno dell’Unione Italiana Vini con i maggiori esperti del settore per analizzare

“Le novità del Testo Unico del Vino”.

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Bibenda 65 duemiladiciassette

Il Vino e il suo Testo Unico

I maggiori esperti in ambito giuridico-normativo a confronto VINO. UIV A CONVEGNO SU TESTO UNICO DEL VINO CON VICEMINISTRO OLIVERO Il Presidente Abbona (UIV): “Semplificazione normativa per

“L’augurio è quello di realizzare in tutt’Italia la stessa situazione

continuare a creare valore”

ideale che abbiamo voluto e saputo realizzare in Langa – prosegue

Alba (Cn), 27 ottobre 2017 – “Il rapporto che lega il vino italiano al sistema legislativo è molto articolato e per certi

Abbona. Qui grazie ad un sistema di norme che vengono fatte

versi ambivalente. Da un lato tutela e garantisce, nella qualità

scrupolosamente rispettare, la competizione è basata sul merito e,

e trasparenza del prodotto, sia il mondo produttivo sia il

in ogni occasione, vince il migliore. Così si crea valore, condiviso

consumatore secondo un modello di certificazione e protezione

da tutta la filiera. Per questo è importante costruire un sistema

delle indicazioni geografiche senza eguali. Dall’altro invece,

di norme chiaro, preciso ma semplice da applicare, che faciliti

questo sistema di regolamenti che interviene nelle fasi produttive

un sistema di controlli efficace. Infine vorrei rivolgere un sentito

del vino, complica il nostro lavoro implicando un impegno

ringraziamento a quanti hanno raccolto il nostro invito ad essere

notevole in termini di tempo e risorse economiche nell’affrontare

presenti oggi, ai relatori, alla Scuola Superiore della Magistratura

questioni di carattere giuridico amministrativo non sempre chiare

per la preziosa collaborazione, alle autorità presenti ad iniziare

e trasparenti. Da qui ne deriva la necessità di semplificazione. In

dal viceministro Andrea Olivero che ci segue sempre con grande

Italia abbiamo un caso esemplare di semplificazione normativa

attenzione e verso il quale nutriamo sentimenti sinceri di

che sta facendo scuola a livello internazionale: il Testo Unico

riconoscenza per l’impegno che sta dedicando all’agricoltura e al

dove siamo riusciti in un grande sforzo corale a coniugare rigore,

vino in particolare”.

certificazione, trasparenza verso il consumatore con la semplicità nella gestione amministrativa delle imprese”.

“Il Testo Unico del vino rappresenta la colonna vertebrale della legislazione vitivinicola del nostro Paese – ha commentato Andrea

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Con queste parole Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana

Olivero, viceministro delle Politiche agricole alimentari e forestali.

Vini, ha introdotto i lavori del convegno dal titolo: “Le novità

È indicativo che il primo articolo sancisce il riconoscimento della

del Testo Unico del Vino”, organizzato dall’Unione Italiana Vini,

vite e del vino come patrimonio culturale del paese, un patrimonio

che si è tenuto oggi ad Alba presso l’Auditorium Centro Ricerche

da tutelare e valorizzare nella sostenibilità sociale, economica,

Ferrero. La giornata è stata moderata dalla dottoressa Valentina

produttiva ambientale e culturale. È chiaro che tutelare questo

Sellaroli, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica

patrimonio è un impegno quotidiano che ci vede in prima linea

di Torino, formatrice decentrata della Scuola Superiore della

nell’attività di contrasto alle frodi alimentari e al falso Made in Italy

Magistratura, Struttura Territoriale di Torino, e dal professor Vito

e oggi possiamo dire con orgoglio che anche sul web siamo arrivati

Rubino, aggregato di Diritto dell’Unione Europea, Università

a garantire livelli rilevanti di sicurezza e tutela dei nostri prodotti.

degli Studi del Piemonte Orientale e ha visto la partecipazione, tra

Proprio in occasione del recente G7 di Bergamo abbiamo avuto

i relatori, di Oreste Gerini, Direttore generale della prevenzione e

un confronto sul tema del commercio online, sul grado di tutela

del contrasto alle frodi agro-alimentari dell’ICQRF.

e i meccanismi di salvaguardia delle nostro eccellenze consci che il


web costituisce un importante canale di vendita Nella pagina accanto, il

ma che, al tempo stesso, può nascondere rischi

Viveministro del Mipaaf

non secondari di contraffazione”.

Andrea Olivero e Eugenio

Ancora una volta Unione Italiana Vini si è fatta

Abbona Presidente di

portavoce di un dibattito in merito ad una tema

Unione Italiana Vini

caldo e sentito da tutto il comparto vitivinicolo italiano, quale il Testo Unico e i relativi decreti attuativi, organizzando un convegno di alto livello in grado di coinvolgere le massime cariche

istituzionali ed esperti del settore, vantando una preziosa collaborazione, non solo con la Scuola Superiore della Magistratura, ma anche con l’Associazione Internazionale dei Giuristi della Vite e del Vino, di cui UIV è socia, e che da più di 30 anni, con membri che provengono da più di 30 paesi, raccoglie a Parigi gli studiosi della materia vitivinicola. “Il prezioso impegno personale del viceministro Olivero nel portare avanti un testo giuridico che oggi pone il nostro Paese all’avanguardia internazionale – ha ricordato Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini, nel ripercorrere il lungo lavoro tra filiera istituzioni e mondo politico che ha portato al Testo Unico. La filiera ha mostrato grande senso di responsabilità nel cercare una linea comune che alla fine è stata vincente. Adesso la sfida si sposta sui decreti attuativi dove dobbiamo procedere con lo stesso metodo per vedere approvati entro la fine della legislatura i decreti che renderanno pienamente operativo il TU. In gioco ci sono temi cruciali tra cui la gestione dei controlli, il sistema di tracciabilità, l’organizzazione dei consorzi di tutela”. “Nel lavoro di assistenza alle imprese – conclude Paolo Castelletti – da oltre 10 anni l’Unione Italiana Vini ha costituito al proprio interno un “servizio giuridico” specializzato sulle tematiche del settore che rappresenta un unicum a livello nazionale, un’esperienza fino ad oggi insuperata in termini di credibilità e competenze tecniche, diventato anche punto di riferimento delle istituzioni. In questa occasione, attraverso la quale vogliamo aprire un dialogo nuovo tra il comparto vitivinicolo e il vasto mondo giuridico italiano, desideriamo valorizzare la nostra lunga esperienza e stimolare un salto di qualità del nostro servizio giuridico. Da Centro di assistenza alle imprese a nuovo luogo e motore di dibattito e confronto culturale sui grandi temi della legislazione vitivinicola. Solo quest’anno abbiamo già organizzato tre convegni sul “Testo Unico e i decreti attuativi”. Ed oggi siamo qui, ad Alba, per il quarto di questi appuntamenti che assume però un’importanza particolare per l’elevato livello dei relatori e la collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura”. 77


Bibenda 65 duemiladiciassette

Anche la Francia ha un cuore dolce

ANCHE LA FRANCIA C 78

l a u d i o

B

o n i f a z i


HA UN CUORE

dolce 79


Bibenda 65 duemiladiciassette

Anche la Francia ha un cuore dolce

Porto, Madeira, Marsala, Sherry

non sono gli unici, nel mondo dolce ci sono

anche altri protagonisti.

Quando si parla di vini liquorosi Porto, Madeira, Marsala e Sherry invadono predominanti la scena; esiste però un mondo dolce e fortificato che si trova nel sud della Francia: I Vini Dolci Naturali. Beaumes – de – Venise è un piccolo comune situato nel distretto del Rodano del sud; le vigne che lo circondano crescono ai piedi della catena montuosa Dentelles de Montmirail, alte sufficientemente per proteggerle dal Maestrale. Qui il Muscat Blanc a Petit Grains, vitigno aromatico che si caratterizza per la spiccata acidità e per i delicati aromi primari, grazie al clima mite, riesce ad accumulare facilmente gli zuccheri. Nel periodo della vendemmia i grappoli sono raccolti a mano, pressati e poi messi in tini di acciaio per la vinificazione. n

80

Una veduta della catena

Quando il mosto raggiunge un volume alcolico compreso tra il 5 e il 10 %, la

montuosa Dentelles de

fermentazione viene arrestata con l’addizione di alcol neutro al 96%, per maturare

Montmirail

poi in acciaio sui lieviti per un periodo che varia dai 6 mesi ad un anno.


Per conservare il suo distinto naso floreale, con sentori

situate nella parte a sud del Rodano tra cui Châteauneuf-du-

che richiamano anche il tropicale, in cantina si evita il più

Pape e Gigondas.

possibile una maturazione ossidativa: se ne conserva così anche l’acidità e il carattere leggero del vino.

Il loro Muscat de Beaumes de Venise 2014 è perfettamente

Da giovane la freschezza e i fiori citati precedentemente

didattico; quanto descritto sopra si rispecchia nel bicchiere,

prevalgono sopra ogni cosa; con l’invecchiamento il tutto si

tanto in età giovanile come con qualche anno sulle spalle, il

infittisce e diventa più maturo: sentori di albicocca, uvetta

tutto condito da un tocco di sapidità che chiude il quadro: da

e miele pervadono l’olfatto, per trasformarsi poi al palato

provare col Foie gras.

nuovamente in un contrasto acido/dolce.

A rappresentanza dei rossi c’è invece Banylus, prodotto

I Beaumes – de – Venise devono contenere almeno 100 grammi

nell’omonimo paesino situato nel Roussillon.

di zucchero per litro ed avere un volume di 15% di alcol.

La Grenache Noir, vitigno utilizzato in prevalenza, cresce ad alberello sui ripidi pendii che si affacciano verso il

L’azienda Famille Perrin, fondata nel 1997 ma che vede le

mediterraneo; i terrazzamenti sono il mezzo utile per

sue origini in tempi ancora più antichi, possiede importanti

facilitarne la coltivazione. Un clima caldo consente anche qui

realtà produttive districate in più note denominazioni, tutte

di accumulare facilmente gli zuccheri. 81


Bibenda 65 duemiladiciassette

Anche la Francia ha un cuore dolce

È prodotto in due stili, uno ossidativo conosciuto col solo

grazie all’uso di tini di acciaio.

nome di Banylus; e l’altro riduttivo: il Banylus Rimage.

Il colore è rubino scuro, compatto; il naso sviluppa sentori di

Il Banylus è famoso per il suo colore Tawny, precursore di un

frutta rossa e nera, per finire su timbri di cioccolato.

naso vigoroso, dai pronunciati sentori frutta matura, fichi, caffè e tostaura. Il palato è dolce e mediamente alcolico, di pieno

Banyuls Rimage – Léon Parcé 2014 di Domaine de la Rectoir

corpo e struttura.

è Grenache Noir al 90% con l’aggiunta di Carignan per il

Lo stile è ossidativo, poiché sosta o in botti non completamente

restante 10%; l’operazione di mutage (fortificazione) avviene

colme o nelle Bonbonnes (foto), del-

dopo 4 giorni, mentre il mosto è

le bottiglie capienti a forma tonda.

ancora a contatto con le bucce; la

Queste ultime potrebbero essere vo-

maturazione prosegue poi per altre

lutamente esposte al sole, per appor-

tre settimane. Un passaggio in botti

tare un sentore di frutta cotta o con-

non nuove completa la sosta.

fettura, simile a quello del Madeira.

Il colore è rosso scuro, il naso possente manifesta frutta rossa matura, spezie

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Di recente produzione è invece

dolci. Il palato è coerente e trasporta

il Banylus Rimage, versione più

il degustatore attraverso sensazioni

moderna che evita il contatto tra vino

calde, zuccherine che chiudono su

e ossigeno durante la maturazione

un fresco finale: ideale col cioccolato.


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Bibenda 65 duemiladiciassette

Un calabrese in Oman

UN CALABRESE IN OMAN P

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a o l a

S

i m o n e t t i


Ci piace seguire le scorribande del nostro avventuroso chef con la valigia. Dalla Russia, poi in India, oggi è arrivato in Oman.

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Un calabrese in Oman

Un calabrese in giro per il mondo! Lo chef Luigi Ferraro da anni fa gustare ai palati più dissimili la sua cucina creativa mediterranea, che sia nei più moderni e lussuosi ristoranti o in eventi e manifestazioni internazionali. Realtà diverse e insolite da scegliere come sede lavorativa, ma lui ama le cose diverse e particolari, proprio per questo è da poco approdato sulle rive del Golfo di Oman, dove ha rilanciato il ristorante italiano, uno degli otto ristoranti di fama mondiale, che propongono una varietà di piatti internazionali all’interno dello sfarzoso e suntuoso Shangri-La Barr Al Jissah Resort and Spa, nel Sultanato dell’Oman, al suo fianco il sous chef di origine mantovana Luca Gazzi. Il n

Chef Luigi Ferraro assieme a

l’Executive Chef Shane O’Neill

lussuoso Resort è tra i più belli del Golfo, di cui è General Manager il tedesco Jurgen Dorr ed Executive Chef l’irlandese Shane O’Neill. Lo chef Ferraro porta in giro per il mondo la sua tradizione culinaria natia, fondata sull’uso di prodotti calabresi e eccellenze dei prodotti italiani in generale. Luigi Ferraro, ormai noto ambasciatore della cucina calabrese, realizza e fa degustare piatti della tradizione culinaria dell’Italia del sud legati sapientemente con i sapori delle cucine dei territori stranieri in cui ha vissuto e lavorato. La storia dello chef Luigi Ferraro narra di venti anni di grande professionalità, supportata dalla sua voglia di fare sempre più e sempre meglio. Da sempre vive e crede nella passione per la ristorazione, a sedici anni si iscrisse all’istituto alberghiero e una volta ottenuto il diploma un viaggio continuo nelle cucine del mondo. Partito per Sharm el Sheik, subito dopo il diploma, ha poi proseguito con esperienze in Europa, America, Asia e Medio Oriente, dove attualmente vive e lavora. Il resort extra lusso, Shangri-La Barr Al Jissah, è situato in una splendida baia affacciata sul golfo di Oman con accesso tramite tunnel artificiale privato, scavato nei monti Ḥajar; sistemazioni ispirate allo stile arabo con vista sul Mar Arabico. Tanti gli sport acquatici da praticare e cosa più particolare da godersi è una bella passeggiate in groppa a un cammello lungo la spiaggia. A tutto questo si può aggiungere una nota di vero sapore italiano assaggiando i piatti dello Chef Luigi poiché nei suoi piatti si può trovare tutta l’emozioni che un’esperienza gastronomica, proposta col cuore, può evocare. Attraverso le sue creazioni culinarie si può ammirare il fascino dei momenti di vita trascorsi in giro per il mondo, istanti che solo attraverso i suoi piatti può raccontare, momenti di vita che solo i sensi possono percepire. Dopo 5 anni vissuti a Mosca, e quasi due trascorsi nella capitale indiana, New Delhi, presso l’elegante “Sorrento Ristorante”, sito all’interno del lussuoso Shangri-La Eros Hotel, di cui era lo chef italiano, ecco una nuova e curiosa meta, un altro paese da

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esplorare e altri nuovi palati da conquistare.

n

Shangri-La Barr

Pur essendo stato in India “poco tempo” anche li ha fatto presto grande raccolta di premi

Al Jissah Resort & Spa

e riconoscimenti: Mumbai: “Italian Quality - the Italian Restaurants in the world”; in

PO Box 644, Muscat 100,

Nuova Delhi “Best Chef in India” award in the Best Modern European Cuisine category

Sultanate of Oman

at the “Top Chef 2016 Awards” e “Eazydiner the Best European Restaurant in a Hotel

Tel. (968) 2477 6666

for the year 2016” , mesi pieni e ricchi come solo un grande chef sa fare sottoponendosi

Fax (968) 2477 6677

così a rigide valutazioni e confrontandosi senza paura con altri grandi chef.

www.shangri-la.com

Durante i suoi anni di carriera sono stati numerosi i riconoscimenti e i premi conquistati a livello internazionale; tante anche le partecipazioni in trasmissioni televisive. Per il suo grande impegno nel promulgare e valorizzare i prodotti della sua terra, la Regione Calabria lo ha nominato “Ambasciatore della buona Calabria a tavola nel mondo”. Tanti corsi tenuti sulla sua cucina creativa mediterranea, tra i più noti quelli svolti a Parigi, San Pietroburgo, Mosca e quelli da docente della scuola di cucina Italian Culinary Institute.

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Madeira e le sue perle

Bibenda 65 duemiladiciassette

Madeira e le sue perle N

i c o l e t t a

N

a n n i

Annotazioni storiche e curiositĂ sul vino piĂš longevo del mondo. 88


Madeira è una piccola isola chiamata da sempre “perla dell’Atlantico” per i suoi paesaggi mozzafiato che ricordano per ricchezza cromatica quelli di Gauguin. Fu scoperta nel 1419 dal portoghese Zarco che ne diventò da subito il colonizzatore. Bruciò tutte le foreste e fece piantare nel terreno ricco di cenere i primi filari di Malmsey (Malvasia) e la canna da zucchero. Il clima stabile, quasi semitropicale, aiutarono la rapida crescita dei vigneti, che furono giudicati nel 1455, da un mercante veneziano “la cosa più bella da vedere al mondo”. Da lì a poco il Madeira cominciò ad essere conosciuto e apprezzato in Europa. Per il resto del mondo grande diffusore fu William Bolton, che nel 1676 sostò a Madeira durante un viaggio in America e se ne innamorò a tal punto che decise di esportarlo. E proprio nel Nuovo Continente ebbe grande fama alla fine della Guerra d’Indipendenza (1783). In Inghilterra era molto apprezzato dai membri della Casa Reale, in Francia fu amato da Napoleone e si dice che Talleyrand, apprezzato gourmet, amava sorseggiarlo in un calice a tulipano con la soupe. Un altro personaggio celebre che addirittura ne parlò nelle sue liriche fu il romantico Lord Byron. Naturalmente come tutti i grandi anche il Maideira, si racconta, subì l’offesa di molte imitazioni, soprattutto nel centro della Francia. Tanta fama fu interrotta, come del resto la produzione del Madeira stesso, per diversi anni a causa dell’oidio prima e della fillossera poi che distrussero completamente i vigneti di Malvasia. Questo vino dorato dai riflessi ambrati, di notevole alcolicità, con una capacità di invecchiamento fuori del comune (l’aggettivo “maderizzato” viene usato per definire quei vini in evidente ossidazione, segno tipico di invecchiamento), mostra una sua originalità anche nelle fasi di produzione. È un vino liquoroso, il mosto fermentato nei fusti a Funchal diventa vinho claro, quindi dopo aver trascorso un periodo di tempo in cantine riscaldate, le estufas, diventa vinho estufado. A quest’ultimo viene aggiunta la mistella di alcol e zucchero che lo trasforma in vinho generoso. L’invecchiamento fa il resto; il tempo che passa accentua quella nota tipica di zucchero caramellato tostato che lo caratterizza. I Madeira odierni sono di diversi tipi, dal classico, profumato e ambrato da uve Malmsey al meno dolce e più scuro da uve Bual. Con il Verdelho si produce un Madeira aromatico e corposo, mentre il più secco proviene da uve Sercial. Una curiosità, infine: essendo considerato il vino in assoluto più longevo al mondo, esistono da sempre numerosi estimatori che nelle aste di tutto il mondo sborsano cifre da capogiro. Pensate che una bottiglia del 1792 è stata battuta da Sotheby’s nel 1997 e venduta per circa 22,000 dollari! 89


Abbinando D

a n i e l a

S

c r o b o g n a

Quando pensammo a questa rubrica mettemmo in primo piano la concretizzazione di un metodo che, nella pratica, si rivela adeguato, se non addirittura perfetto.

Seguendo un percorso ideale, vaghiamo alla continua ricerca del vino più giusto per ogni piatto, cercando sempre l’esaltazione dell’uno e dell’altro. necessariamente ricette elaborate e complicate.

Quindi non

A volte anche quelle apparente-

mente più semplici possono riservare dei trabocchetti.

Per

questo mese ci avvaliamo di una ricetta del grande

quindi pesce, ma elaborato e delicato nello stesso tempo.

90

Gianfranco Pascucci,


Abbinando

<< Chef Gianfranco Pascucci

POLPETTE DI MERLUZZO AL VINO BIANCO E ROSMARINO Ingredienti per 4 persone: • 500 gr. filetto di merluzzo • 30 gr. peperoni secchi • 10 capperi dissalati • 2 filetti di acciughe • 4 foglie di basilico • 1 rametto di rosmarino • 60 gr. pangrattato • olio E.v.o • sale • vino bianco Per rifinire: • 1 mazzetto di rucola • 1 cipolla rossa • 1 cucchiaio di Umeboshi * • 1 rametto di timo *Le Umeboshi - non sono delle prugne, ma delle albicocche che crescono in Cina e in Giappone. Vengono raccolte a metà giugno, poi essiccate al sole e messe sotto sale in grandi barili. Il periodo di fermentazione va dai sei mesi a qualche anno, quindi vengono aggiunte le foglie di shiso che danno quel caratteristico colore rossiccio. In cucina sono molto versatili: per fare salse, per condire insalate e verdure cotte o come ingrediente in guarnizioni. Aggiunge sapore e soprattutto una rilevante acidità.

Inserire in un cutter la polpa di merluzzo, i peperoni secchi reidratati in acqua tiepida, i capperi, il basilico, le acciughe e frullare il tutto. Unire il pangrattato, un filo di olio ed il sale. Lasciare riposare in frigorifero. Formare delle polpette passandole nella farina bianca. Saltarle in padella con il rosmarino e sfumando con il vino bianco. Cucinare la cipolla in padella aggiungendo un cucchiaio di Umeboshi. Condire la rucola con olio e sale ed aggiungere la cipolla. Disporre l’insalata cosi ricavata al centro del piatto e collocarvi sopra le polpette di pesce.

L’ABBINAMENTO Se andiamo a osservare gli ingredienti della ricetta spiccano quelli con tendenza amarognola (rucola), tendenza acida (umeboshi) e sapidità (capperi, acciughe), che non dovranno coprire la tendenza dolce del merluzzo e del peperone, ma supportarla valorizzando il risultato finale. Da non trascurare anche la presenza delle erbe aromatiche. Quindi il vino dovrà essere principalmente profumato e morbido, poi sapido e persistente come può esserlo un rosato pugliese da uve Bombino Nero. Castel del Monte Bombino Nero Pungirosa 2016 dell’Azienda Rivera, di proprietà della famiglia de Corato. Nasce ad Andria nel 1950, con l’obiettivo di far conoscere e rivalutare l’enorme potenziale vitivinicolo del territorio. A partire dagli anni ’80 vengono effettuati mutamenti radicali sia in vigna che in cantina, attraverso le più moderne ricerche e tecniche. I vigneti si estendono per 75 ettari e sono suddivisi in tre fondi, Rivera, Torre di Bocca e Coppa, situati fra i 200 e i 230 metri s.l.m. Castel del Monte Bombino Nero Pungirosa 2016 - Tipologia: Rosato Docg | Uve: Bombino Nero 100% | Gr. 12% | € 7,00 Proveniente da vigne di 25-30 anni di età con esposizione sud-ovest/nord-est, viene vinificato in acciaio e matura in cemento vetrificato per 4 mesi. Colore rosato luminoso. Ai profumi si espande con intense sensazioni di fragoline, lamponi, arancia rossa, ciliegia croccante e ricordi di erbe aromatiche. Al palato morbidezza ed equilibrio caratterizzano il suo assaggio, con presenza sapida non trascurabile. 91


Informazioni da Fondazione

Questa rubrica riassume tutte le novità, gli eventi, le attività, le notizie, i momenti che hanno vista impegnata la in lungo e in largo nel

Fondazione Italiana Sommelier

Paese.

Insieme hanno dato vita a un incisivo e spassosissimo dialogo per riformulare termini, espressioni e voci di un dialogo potenzialmente THE WINE IS ON THE TABLE

inesauribile. Per quanto gli Inglesi non siano certo tra i tradizionali

Termini,

produttori di vino, il loro gusto ha condizionato nei secoli il

espressioni e voci di un dialogo potenzialmente

inesauribile, rigorosamente in inglese.

commercio mondiale grazie ai trasporti tra madrepatria, colonie e scali intermedi. Il boom del mercato internazionale e gli acquisti in rete poi fanno sì che padroneggiare i termini specialistici sia necessario anche per chi non lavora in sala. A incontrarsi, non sono stati solo gli organizzatori e gli ospiti, bensì le espressioni culturali e i diversi modi di avvicinarsi al vino. Un tocco d’avventura in più è venuto dal blind tasting, durante il quale i partecipanti si sono uniti ai relatori nel dar voce all’analisi organolettica di un bianco, di un rosato e di un rosso. I vini, provenienti dall’Azienda Agricola Biologica Di Giovanna di Sambuca di Sicilia (AG), sono stati degustati insieme alla titolare della winery, che ha offerto con discrezione e simpatia una chiave

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Il Delegato Nazionale EHMA – European Hotel Manager

di lettura del territorio di Contessa Entellina (al confine tra la

The wine is on the table. E, per evitare di perderci il meglio, la

provincia di Palermo e quella di Agrigento), con le spiccate

Fondazione Italiana Sommelier - Sicilia occidentale ha organizzato

note salty e fruity dei suoi vini. Apre il Grillo by Night, segue il

un incontro sul mondo del vino in inglese. Lo scorso 19 ottobre

Gerbino, un rosato da Nerello Mascalese, abbinato alla vastedda

Maria Antonietta Pioppo, Presidente della delegazione, e Robert

del Belice, mentre grande successo ha avuto il Nero d’Avola

Dennis, specialista per il Business English, si sono incontrati

paired with il meraviglioso piacentino ennese. Per una volta, la

nella splendida cornice dell’Excelsior Palace Hotel di Palermo.

pleasant conversation è anche useful e about wine.


Informazioni da Fondazione

Vestas Hotels & Resorts di Lecce (Gruppo Montinari), che HOTEL MANAGER ITALIANO DEL 2017

comprende gli alberghi Risorgimento Resort, President

L’importante

Giuseppe Mariano

ed EOS, è stato scelto dall’EHMA in una rosa di candidati

del Vestas Hotels & Resorts, sede della Fondazione Italiana

eccellenti. La delegazione Italiana dell’EHMA ha voluto così

Sommelier a Lecce.

premiare la carriera di Mariano che si è formato da giovane in

Il Delegato Nazionale EHMA – European Hotel Manager

Svizzera ed ha attraversato, durante la sua lunga attività, nei

Association Ezio Indiani ha annunciato il nome dell’“Hotel

vari ruoli dell’hotellerie, alcuni dei più importanti alberghi, da

Manager Italiano dell’anno 2017”. Il premio è stato attribuito

Berna ad Hannover, da S. Moritz a Interlaken, per poi arrivare

riconoscimento è andato a

nei grandi hotels di Milano, Stresa, Venezia e Roma, prima di tornare nel suo Salento da dove era partito giovanissimo per intraprendere questa lunga e prestigiosa carriera. Giuseppe Mariano è membro dell’Innovation Group (Mentoring Projecy) e del Team di sviluppo e rafforzamento d’immagine dell’EHMA. A Lecce dal 2007, Giuseppe Mariano ha dato nuovo impulso agli alberghi che dirige, in concomitanza con una rinnovata stagione turistica che ha visto il capoluogo salentino crescere nel favore dei viaggiatori, italiani e stranieri, che ne hanno fatto una mèta turistica tra le più frequentate. Tutto ciò grazie anche all’accresciuta professionalità degli uomini e delle donne che lavorano negli esercizi ricettivi della città, e per i quali il General Manager del gruppo Vestas, con questo riconoscimento, al General Manager dei Vestas Hotels & Resorts di Lecce

rappresenta ancora di più un importante punto di riferimento.

Giuseppe Mariano, durante la serata di gala in occasione della riunione autunnale presso il Forte Village in Sardegna, ospitata

La scelta di Giuseppe Mariano come Manager Italiano dell’Anno

dal Socio Lorenzo Giannuzzi.

2017 è anche un riconoscimento degli sforzi che l’imprenditoria turistica salentina sta facendo per elevare il tono della sua

Questa la motivazione: “La Delegazione Italiana di EHMA

ospitalità nei confronti di un turismo cosmopolita che richiede

conferisce a Giuseppe Mariano il riconoscimento di Hotel

sempre maggiori attenzioni e professionalità nel trattamento

Manager dell’Anno 2017 per gli eccellenti risultati conseguiti

presso le strutture ricettive, anche attraverso personale esperto e

in àmbito alberghiero in termini di gestione, innovazione,

in grado di dare le risposte.

formazione e sviluppo”. Il prestigioso riconoscimento premia anche l’ospitalità turistica

Nella foto: il Delegato Nazionale EHMA – European Hotel Manager

pugliese. Giuseppe Mariano, General Manager della Catena

Association Ezio Indiani (a sinistra) con Giuseppe Mariano 93


Da Leggere

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Da Leggere

È AUTENTICO CIOCCOLATO

LA VIGNA ANTICA

Linea Edizioni 124 pagine Euro 20

Nulla Die Editore 332 pagine Euro 19

Rossana Bettini, giornalista e docente di Educazione del Gusto, ha messo nero su bianco la verità sul cioccolato che troviamo e compriamo anche sugli scaffali dei supermercati, ma che non è sempre del tutto autentico. Il libro porta alla scoperta del cioccolato, della sua vera storia, passando attraverso la narrazione di miti e leggende, degli abbinamenti con il vino e sulle modalità per distinguere un buon prodotto già dall’etichetta. Per l’autrice, infatti, è importante informarsi e sapere, così da poter decidere con consapevolezza quale acquistare e cosa mangiare. La sezione Abbinamenti con il Vino è stata curata dalla Fondazione Italiana Sommelier. Insieme all’autrice, a Paolo Lauciani, esperto docente di Fondazione Italiana Sommelier, e a Giulia Agnolin, giudice sensorialista dell’azienda Domori, saranno messi in pratica tutti gli interessanti spunti del testo e i suggerimenti sul “cibo degli dei”, attraverso la degustazione di 6 tipologie di cioccolato in abbinamento a 4 vini, due distillati ed un liquore al cioccolato, che si terrà a seguire la presentazione del libro.

Il nuovo libro di Leonardo Franchini con la collaborazione di Attilio Scienza Fra le scoperte più entusiasmanti degli ultimi decenni, c’è un “ritorno alle origini”, che molti studiosi avevano immaginato, ma solo ora è concreto. Si è trovato che alcune vigne antichissime hanno nel patrimonio genetico la capacità di affrontare e vincere le malattie più gravi che le colpiscono. Ora che lo studio approfondito del DNA è una possibilità concreta e diffusa, alcuni scienziati hanno individuato i frammenti che offrono questa arma, e hanno messo a punto la metodologia per trasferirla da un vegetale all’altro. Con questo metodo sarà possibile ridurre drasticamente l’uso di prodotti chimici e, di conseguenza, l’inquinamento diretto e indiretto. Un romanzo di scienza-verità, che racconta una straordinaria avventura, ancora in corso.

Eccone un brevissimo stralcio: “Rico tenne il capo chino per qualche secondo. Stava riflettendo sulla nuova immagine della Ricerca che gli era stata prospettata. Non corrispondeva a quello che aveva ritenuto vero fino a quel giorno. Immaginava duelli di spie, corridoi bui, microfotografie, e, quasi sicuramente, sangue. E ne aveva paura. Seguiva volentieri i film d’azione e aveva ormai accettato che gli agenti segreti si occupassero più di laboratori che di armi.” La storia promette grandi sviluppi in tempi vicini. Leonardo Franchini, scrittore e commediografo, ha pubblicato diversi romanzi thriller e mainstream, e tre biografie di scienziati roveretani del 700. È soprattutto un fortissimo lettore. Attilio Scienza, laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Professore associato di Fitormoni e fitoregolatori in arboricoltura e Professore ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano.

Un’occasione unica per scoprire quanto ognuno di noi conosce il cioccolato. Presentazione giovedì 9 Novembre 2017 a Roma presso l’Hotel Rome Cavalieri.

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❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO 2017 ❖ ❖ A PARTIRE DAL MAGGIODAL 2017 ❖ 12 A PARTIRE 12 ❖ MAGGIO

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❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO ❖ Fondazione Italiana2017 Sommelier

Fondazione ItalianaFondazione Sommelier Italiana Somm

CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO E DELL’OLIO con il INTERNAZIONALE Riconoscimento Giuridico della Repubblica CENTRO PER LA CULTURA DEL VINO EItaliana DELL’OLIO CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO

ALL’HOTEL ROME CAVALIERI IL 17° CORSO PER SOMMELIER DELL’OLIO

con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica Italiana con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica


www.bibenda.it bibenda@bibenda.it

direttore

Franco M. RICCI

Caporedattore centrale Paola SIMONETTI

Hanno collaborato a questo numero

Foto

Antonella ANSELMO, Massimo BILLETTO,

© shutterstock.it

Cinzia BONFÀ, Claudio BONIFAZI, Luca BUSCA, Mimma COPPOLA,

Consulenti dell’Editore

Stella G. DE BACIIS, Elvia GREGORACE,

Sergio BIANCONCINI Architettura

Luca LIBERATOSCIOLI, Stefano MILIONI,

Michele FEDERICO Medicina

Daniele MAESTRI, Nicoletta NANNI,

Stefano MILIONI Edizioni

Barbara PALOMBO, Duilio PAPETTI,

Franco PATINI Internet

Alessandro RAGAZZO, Daniela SCROBOGNA.

Attilio SCIENZA Viticoltura Gianfranco VISSANI Cucina

Grafica e Impaginazione

Fabiana DEL CURATOLO

BIBENDA per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino

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Anno XVI

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Direzione, Redazione e Amministrazione 00136 Roma - Via A. Cadlolo, 101 - Tel. 06 8550941 - Fax 06 85305556

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n. 65

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Novembre 2017

2017, Bibenda Editore Srl - Roma tutti i diritti sono riservati / Registrazione del Tribunale Civile di Roma al n° 574 del 20 Dicembre 2001

L’analisi sensoriale, che evidenzia la qualità dei vini di tutte le nostre recensioni, viene effettuata con metodo e scuola di Fondazione Italiana Sommelier. In questo numero di Bibenda vi presentiamo 196 etichette. Altre Pubblicazioni di Bibenda Editore | BIBENDA il Libro Guida online ai Migliori Vini, Ristoranti, Oli e Grappe | L’Arte del Bere Giusto / Il Gusto del Vino / Il Vino in Italia e nel Mondo / Abbinare il Vino al Cibo / Il Dizionario dei Termini del Vino (sono i testi del Corso di qualificazione professionale per Sommelier riconosciuto in tutto il mondo) | Ti Amo Italia (la pubblicazione in inglese su Vino e Cibo italiani) | Il Quaderno di Degustazione del Vino.


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