Anno XVII - n. 74 - Mensile Ottobre 2018
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copertina > La notizia tanto attesa: ecco tutti i 5 Grappoli e i 10 Migliori Vini dell’anno di BIBENDA 2019. La Guida più completa, informata, dettagliata, enciclopedica. Da Ventuno Edizioni riferimento per la Sommellerie, per i tecnici e gli addetti ai lavori, la Guida che ha appassionato il mondo dei wine lovers. Da pagina 4.
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Speranza e Amore / di Franco M. Ricci Ecco Bibenda 2019 Ecco i 5 Grappoli / di Paola Simonetti Montiano, venticinque anni in venti annate / di Pietro Mercogliano Il vino di Caravaggio / di Antonella Pompei God save the Pint / di Paolo Aureli Teneri torbamenti / di Claudio Bonifazi E se fosse l’amore a fare il vino? / di Neonila Siles Un’insolita serata tra Italia e Giappone / di Antonella Anselmo Scienza, cultura e sostanza / di Elvia Gregorace Il rapporto diVino / di Luca Busca Biondi Santi, una famiglia visionaria / di Raffaele Fischetti Riflettendo su RomaTre / di Paolo Lauciani Vitigni e territori, perché un successo / di Daniela Scrobogna Viaggio in Sardegna / di Floriana Bertelli Qvevri, Sufra, Tamada, le tante anime della Georgia / di Miranda Dolaberidze Nuova emozione nel mondo del vino / di Barbara Palombo Peggiora l’export italiano Italia prima Da leggere... A tavola con i produttori / di Cinzia Bonfà Crucibenda / di Pasquale Petrullo Informazioni da Fondazione
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EDITORIALE
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IL VINO ancora
Speranza e Amore Ho incontrato Ruggero Parrotto, Direttore Generale
Ho conosciuto anche Giuseppe Milano, un medico bravo a
dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Non è stato
capo del progetto 4YOURLIFE. Un metodo che fa penetrare
così difficile farlo perché suo figlio Matteo è un mio Sommelier.
nella mente di ciascun bambino la convinzione che la malattia non interrompe affatto la vita, anzi, “sarà bene che ti prepari,
Siamo stati un’ora insieme e per un’ora mi ha “raccontato”
perché devi continuare a vivere.”
il Bambin Gesù. Un raccconto incredibile composto dai mille sapori: dolore, speranza, organizzazione, diversità,
Preparati a fare. A fare quello che più ti piace. Un lavoro,
progettazione, programmi, animazioni e tanto di più.
un’occupazione d’arte e cultura. A scrivere, a giocare.
Poi i 150 anni. Compiuti nel 2019, sono stati tutti
Subito abbiamo sposato questo progetto e in questo ambito il
operativi per questo Ospedale Pediatrico che ha visto
nostro Corso per Sommelier ci è sembrato calzare a pennello:
crescere costantemente i suoi successi ed oggi registra punte
dare l’opportunità ai ragazzi degenti di prendere il Diploma
elevatissime di grandi speranze.
di Sommelier è una cosa nuova e bellissima, una proposta di valore e di entusiasmo da donare.
Questo anniversario sarà celebrato come si deve. Ci sarà il giorno del Papa e quello del Presidente della Repubblica. Poi il
Da quel momento in poi apriremo una finestra-giornale su
giorno dedicato a quello e a quell’altro scopo.
bibenda.it con tutti i partecipanti al Corso, ragazzi e medici,
E ci sarà il giorno del Vino.
che permetterà di farli interloquire nel e con il mondovino. Si chiamerà DALLA VITE ALLA VITA il giornale che uscirà
Abbiamo pensato di organizzare un evento con tutti i grandi
periodicamente da loro realizzato, redatto e impaginato.
Produttori Italiani della nostra BIBENDA 2019. Il giorno della cultura del vino italiano sarà chiamato a
E per noi sarà un’altra gioia per il nostro lavoro.
ricordare i 150 anni e a lasciare una testimonianza tangibile al migliore dei luoghi romani che ha la sua arte nel dare la vita.
Franco M. Ricci
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ARTICOLO DI COPERTINA
ECCO
BIBENDA
2019
ECCO I
CINQUE GRAPPOLI P 4
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Dal 1999 al 2019. La Ventunesima Edizione della Guida nata per comunicare il vino in modo professionale, ma semplice e diretto. consumatore.
La Guida nata per rendere un servizio al
La Guida confezionata come un vestito su misura per gli appassionati. 5
ARTICOLO DI COPERTINA
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10 dicembre 1999, Prima edizione, 713 aziende e 156 vini premiati con i 5 Grappoli. 24 novembre 2018, Ventunesima edizione, 2019 aziende e 609 vini premiati. Un contesto produttivo che ha visto crescere la qualità in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale. Cerchiamo di rendere un bel servizio ai nostri lettori attraverso una corretta e completa informazione. Ecco perché non premiamo vini difficilmente disponibili, che vengono comunque recensiti attraverso il loro reperimento e assaggio al ristorante o in enoteca. Perché andare a leggere? Per le valutazioni, gli abbinamenti, le descrizioni. La guida più completa in assoluto in commercio sul settore vino. Enciclopedica, con tutti - ma proprio tutti - i dati per una consultazione all’infinito: 2.029 aziende e quasi 20 mila vini degustati, tutto a portata di click, sul cellulare e sul computer. Lavorazioni, vitigni, abbinamenti, conservazione, qualità, valutazione, prezzo, metodo di conduzione agricola, terreni, rese, periodo di vendemmia, tipologia, gradazione. Possibilità di visitare l’azienda, presenza di un punto di ristoro, possibilità di acquistare direttamente. La risposta a queste e ad altre domande Bibenda ce l’ha.
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ARTICOLO DI COPERTINA
Ci prendiamo il merito di aver fatto emergere territori, regioni, tipologie un tempo trascurate se non addirittura snobbate. Le abbiamo con coraggio contestualizzate, forti di una preparazione e di un metodo condiviso, forti di una pattuglia di degustatori centrata e centrale, le cui valutazioni a confronto diretto (e ciclico) collimano al centesimo. Abbiamo così sdoganato dalla serie B Val d’Aosta, Liguria, Lazio, Emilia Romagna, Rossese, Lambrusco e Frascati, felici di farne cavalli vincenti pronti per altri cavalieri un po’ meno temerari di noi. Dispiace oggi essere invece penalizzati dal fatto di essere stati ispiratori di altri prodotti molto simili al nostro, alcuni troppo simili se non scimmiottati interamente, sebbene perfino una sentenza abbia intimato di smettere, il reato è stato (fin qui) reiterato 5 volte. Questo accade in Italia, purtroppo. Troppe guide hanno inflazionato la partecipazione e il mercato, una partecipazione che per le aziende diventa di anno in anno più onerosa, un’emorragia di lavoro e di prodotti che di conseguenza si ripercuote sugli addetti ai lavori di storica presenza. Cosa dire alle aziende? Che basterebbe saper scegliere. Duemilaventinove aziende di vino in questa edizione. Per visitarle tutte, diciamo una al giorno per ogni giorno dell’anno, compresi Natale e feste comandate, i conti sono presto fatti, ci vorrebbero circa 6 anni. Preferiamo sorvolare sui vari calcoli possibili, per ringraziare invece i Produttori per la disponibilità all’invio dei campioni presso la redazione centrale, una cortesia che ci consente di realizzare la nostra Guida in circa 5 mesi anziché in sei anni.
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Il
5 Grappoli al 24 novembre 2018 registra un totale di 609 vini per 541 aziende premiate. Il primato spetta al Piemonte, che sebbene sofferente di un’annataccia come la 2014, mantiene la vetta con 329 aziende presenti, per 117 vini premiati. Lo tallona la Toscana con 371 aziende pubblicate e 106 vini premiati. panorama italiano dei
Sicilia
106, vini premiati 41. Lombardia aziende 75 per 37 vini premiati. Campania 138 e 35 vini premiati. Veneto pubblicate 183 e 34 vini premiati. Friuli Venezia Giulia 137 e 33. Alto Adige 46 e 29. Marche 91 e 28. Puglia 103 e 27. Abruzzo 63 e 22. Umbria 67 e 19. Lazio 75 e 19. Trentino 38 e 15. Emilia Romagna 67 e 11. Sardegna 37 e 11. Liguria 18 aziende e 7. Molise 12 e 4. Basilicata 22 e 7. Calabria 40 e 3. Val d’Aosta 11 e 3. aziende pubblicate
Realizziamo questa bella guida con passione e amore. Le parole affettuose, emozionate, addirittura commosse di molti lettori/produttori sono l’unico carburante del nostro entusiasmo. Buona Guida, Buona Bibenda 2019!
CLICCA QUI PER I
5 GRAPPOLI
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Montiano. Venticinque anni in venti annate
MONTIANO
Venticinque anni in venti annate P
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La Verticale storica | M
ontiano
Riccardo Cotarella, con l’aplomb che gli è proprio, fa un sorriso obliquo mentre racconta della diffidenza con la quale fu accolto attorno al lago di Bolsena il suo esperimento di Merlot laziale: all’epoca – una trentina d’anni fa – a Montefiascone si coltivava solo bacca bianca, e non si fa fatica a figurarsi il dubbio che deve aver attraversato gli animi dei vicini di campo quando Cotarella iniziò l’impresa del Montiano. Cotarella stesso racconta che in realtà, cosí come Montevetrano e Terre di Lavoro (che pure sono stati in grado di accendere fari su territorî fino a quel momento al buio), il Montiano rimase entusiasta dell’approccio mentale e spirituale che lí si aveva al Vino
2015
ma al contempo riportò lo sgomento per la differenza abissale fra quella
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qualità e la situazione italiana che trovava desolata e desolante; se ne tornò
Annata con inverno piovoso ed estate secca, equilibrata nei mesi autunnali. Quasi commovente la gioventú del rubino venato di porpora che riluce nel primo calice mentre altri diciannove attendono ancor vuoti di narrare il loro lungo racconto indietro nel tempo. Inizialmente sono i profumi piú dolci e fruttati a farsi avanti sui toni del lampone e del cioccolato, ma poi un refolo balsamico pulisce l’orizzonte e nella limpidezza s’iniziano a indovinare la china e il rabarbaro. In bocca si ripropone la medesima processione, con la morbidezza subito in evidenza che lascia via via la scena ad un tannino da cioccolato pregiato e alla sapidità; il morbido finale non è però esente da pennellate di sottobosco e genziana di gran fascino, e la lunga persistenza torna su toni di tostatura.
sia nato quasi per caso: nel 1988 fece il suo primo viaggio nel Bordolese, e
con alcune gemme di Merlot ottenute per miracolo o per pietà (o magari per l’attestazione di una grande stima), e si mise quasi per giuoco a impiantarle alle vigne di Trebbiano e Malvasia a Montefiascone. Nel 1993 nasceva la prima annata, in poche bottiglie, di Montiano. L’esplosione si ebbe due anni dopo, quando in una degustazione negli Stati Uniti il nuovo vino – l’esperimento fatto per caso e guardato con diffidenza da una miope interpretazione dell’idea di tradizione – risultò fra i tre migliori Merlot europei. Infatti, la grandezza dei grandi Merlot sta nel coniugare la morbidezza tipica del vitigno all’eleganza aromatica e gustativa: ed è questa la grandezza del Montiano, come evidenziano soprattutto ampie verticali come quella ospitata in esclusiva da Fondazione Italiana Sommelier presso la sua sede romana al “Cavalieri” e condotta da Luciano Mallozzi e dallo stesso Riccardo Cotarella. «Dietro queste verticali lunghe c’è tutta una vita, professionale ed umana.», ha sorriso Cotarella d’un sorriso non troppo diverso da quello con cui descriveva gli attaccamenti tradizionalistici di Montefiascone: profondo e meditativo, venato d’indissimulabile orgoglio ma anche di quel colore di malinconia concreta e positiva che è tipico di lui.
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Annata molto piú fresca, ma perfetta maturazione delle uve. Rubino compatto. Meno evidente la frutta, di nuovo importante la presenza del cacao, balsamicità meno protagonista, noce moscata, cassis, tabacco scuro. Sorso piú affilato del precedente, di veemente freschezza e tannico.
Annata fresca con maturazione ritardata, e grande agosto con temperature elevate. Eleganza ineffabile. Balsamicità dominante nell’olfatto, accenni di tostatura, amarena, ciliegia sottospirito intrappolata nel cioccolato. Tannino denso e fitto, freschezza notevole, sorso come sferico.
Annata molto piú fresca, ma perfetta maturazione delle uve. Rubino compatto. Meno evidente la frutta, di nuovo importante la presenza del cacao, balsamicità meno protagonista, noce moscata, cassis, tabacco scuro. Sorso piú affilato del precedente, di veemente freschezza e tannico.
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2011
2009 Trentanni
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Una settimana di scottature durante la prima decade di agosto ha accelerato la maturazione e costretto a raccogliere in fretta. Sentori leggermente piú cotti pur nella consueta eleganza: piccoli frutti neri e rossi, ciliegia matura, prugna lievemente essiccata, cardamomo, liquirizia dolce, bergamotto, pepe nero. Tannino da cioccolato criollo meravigliosamente austero, fresco e di preminente sapidità.
Inverno con tanta neve; grande sviluppo vegetativo e rallentamento nella maturazione. Naso affilato e intenso: eucalipto, cioccolato alla menta, grafite, ferro. Altrettanto affilato in bocca: fresco e con inconfondibili ritorni aromatici d’infuso di menta.
Edizione speciale per i trent’anni dell’Azienda, ricavata dalla sola vigna piú alta. Ciliegia, bacche rosse e nere, ginepro, erbe essiccate, humus, scatola di sigari, agrumi. Morbido, ma potente per tannino di grande estrazione e sapidità vibrante ed acidità scalpitante; perfetta corrispondenza gustolfattiva, e finale appena ammandorlato di straordinaria pulizia.
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La Verticale storica | M
ontiano
2009
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Una settimana di scottature durante la prima decade di agosto ha accelerato la maturazione e costretto a raccogliere in fretta. Sentori leggermente piú cotti pur nella consueta eleganza: piccoli frutti neri e rossi, ciliegia matura, prugna lievemente essiccata, cardamomo, liquirizia dolce, bergamotto, pepe nero. Tannino da cioccolato criollo meravigliosamente austero, fresco e di preminente sapidità.
Annata caldissima, la seconda piú calda degli ultimi vent’anni. Un’unghia aranciata s’intravede sul rubino granato. E sentori vagamente eterei si manifestano al di sopra del tamarindo e di un caldo ricordo di pesca gialla lungamente macerata nello zucchero. Molto evidente il tannino, ma non amaro.
Annata molto equilibrata con alti indici di maturazione delle uve. Il colore è di nuovo un pieno rubino, pur con sfumatura granato. Note di resina e inchiostro, spezie dolci, affumicatura, frutta matura ma non cotta. Agile ed elegantissimo, di ottima freschezza con tannini notevoli pur se ammorbiditi dal tempo; finale di grande nettezza.
2008
2006
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Annata ottima per fioritura e allegagione: durante quest’ultima, il vento ha causato qualche aborto rendendo spargoli i grappoli. Profilo olfattivo meraviglioso dominato da una balsamicità mentolata contornata di spezie e attraversata da una nota d’arancia sanguinella, con un emozionante ricordo di pietra focaia. Bocca degna del Bordolese di classe: grande sapidità, ricchezza estrattiva, perfezione del tannino, acidità vivissima a sostenere il sorso, connubio emblematico di agilità e ricchezza
Annata notevole per la piovosità lungo tutto l’arco temporale. Spettro olfattivo ampio: balsamicità mentolata, spezie, confettura, frutta secca, amarene sottospirito, dattero. Elegante ma muscoloso in bocca, di grande piacevolezza.
Annata fredda e molto piovosa. Terra bagnata, humus, sottobosco, accenno di fungo porcino, spezie, mineralità, oliva nera, terziarizzazione evidente. Ricco ma snello, molto fresco.
1998 Gr. 13%
2003
2000
Gr. 14%
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Annata che per prima portò a riflettere in modo serio sul cambiamento climatico, presentando alcuni periodi di cottura e imponendo una vendemmia precocissima. La frutta torna protagonista come s’era visto nelle annate piú giovani, ma qui è accompagnata dalle spezie e da una terziarizzazione che ricorda la ceralacca nonché da una mineralità di pietra focaia. Ricco, denso, morbido, stemperato nei tannini dal tempo e nell’acidità dall’annata calda ma comunque vibrante.
Prima annata in cui iniziarono a notarsi i cambiamenti climatici. Sia al naso che al sorso, sorprende la compresenza di alcuni elementi cotti che direttamente rimandano all’annata e della freschezza elegante tipica di questo vino.
2001 Gr. 14% Annata straordinaria in tutt’Europa. Granato. Stupendo, perfetto figlio di quel Bordolese che ne donò le gemme: note balsamiche e terragne, sottobosco, pot-pourri, spezie, caffè di moka, cardamomo, cannella, rabarbaro, tamarindo. Deciso, moderatamente caldo, di grande sapidità, piacevolmente tannico e fresco a dispetto dei quindici anni.
1999 Gr. 14% Man mano che il vino invecchia, si affievolisce l’influenza diretta dell’andamento dell’annata sulla degustazione.», spiega Cotarella invitando all’assaggio. Cioccolato fuso, caffè, spezie, ribes, ciliegia nera, humus, cardamomo, genziana, menta, tamarindo. Il sorso è di una morbidezza che tende quasi a una rotondità di vino da meditazione, sorretto da continui ricordi mentolati.
Aranciato sull’unghia. Assaggio d’ineffabile bellezza. Fungo, rabarbaro, ferro, ciliegia, piccoli frutti rossi e neri, viola appassita, notevole terziarizzazione. Bocca piena, con tannini e freschezza di sorprendente vitalità.
1997 Gr. 13% Tabacco, liquirizia, spezie, cardamomo, eucalipto, smalto, mineralità, cuoio, tabacco. Bocca avvolgente e setosa, di notevole ricchezza; chiusura piacevolissima, con rimandi fruttati e minerali.
1996 Gr. 13% Mentolo ed eucalipto sono i protagonisti indiscussi di quest’olfatto, in un’espressione sublimata e archetipica della balsamicità; poi: vegetale e fruttato presenti ma in secondo piano rispetto alle spezie della terziarizzazione, sottobosco, fungo, rabarbaro, genziana, cioccolato. Fresco, tannino domato dal tempo ma ottimo.
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Il vino di Caravaggio
IL VINO DI
CARAVAGG O A
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o m p e i
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Bibenda 74 duemiladiciotto
Il vino di Caravaggio
Il corso da sommelier, si sa, ti cambia la vita, in meglio. E i sommelier sanno che questa non è solo una battuta ma l’assoluta verità. Il mondo del vino cambia ineluttabilmente, in una persona, il modo di osservare le cose della vita, perché ha mille sfaccettature, che abbracciano la cultura del territorio, la sociologia aziendale e della famiglia, il lifestyle, l’entertainment e tanto altro. Cambia anche il modo di approcciarsi alla bellezza creata del genio dell’uomo, per esempio nell’ammirare un quadro di Caravaggio. Nel suo Bacco, Caravaggio ritrae il dio del vino, con le sembianze del suo amico e modello Mario Minniti, abbigliato alla moda antica, con della frutta, una brocca ed n
Ritratto di Caravaggio
un bicchiere di vino rosso, che ancora tremola disegnando perfetti cerchi concentrici.
di Ottavio Leoni, 1621 ca.
Un vezzo del Caravaggio per dimostrare il proprio eccezionale talento nel riprodurre
Carboncino nero e pastelli su
la realtà. Gli studiosi e gli appassionati del vino più curiosi forse non potranno fare a
carta blu, 23,4 × 16,3 cm
meno di domandarsi che vino sarà mai quello che risplende nella coppa del giovane e
Firenze, Biblioteca
sensuale Bacco. Urgono approfondimenti. Libri sul tema riportano che Michelangelo
Marucelliana
Merisi da Caravaggio dipinse il Bacco tra il 1596 ed il 1597, su commissione del Cardinale Francesco Maria Del Monte, ambasciatore mediceo a Roma. Del Monte fu forse il più importante committente di Caravaggio e suo grande protettore, insieme alla nobildonna Costanza Colonna, per tutta la sua rocambolesca e spericolata vita, sempre in bilico sul filo della legalità, spesso superandolo. Gli commissionò il quadro per farne un dono a Ferdinando I de’ Medici in occasione della celebrazione delle nozze del figlio di quest’ultimo, Cosimo II. Michele – Caravaggio – viveva e dipingeva presso il palazzo del Cardinale, a Roma, quando la città era il cuore dello Stato Pontificio, che si estendeva per buona parte del centro Italia, comprendendo oltre il Lazio, l’Umbria, le Marche e parte dell’Emilia Romagna. Erano queste, dunque, le regioni da dove doveva provenire il vino che Caravaggio dipinse, ipotizzando che fosse il vino del Cardinale, prodotto nelle vigne dei possedimenti pontifici. Verrebbe da pensare ai vitigni tipici di queste regioni, quindi a Cesanese, Sagrantino, Montepulciano o Sangiovese. Inoltre Del Monte, da ambasciatore dei Medici, doveva essere legato alla Toscana, regione da dove proviene oggi il Cabernet Sauvignon più famoso d’Italia. Ma non era un Cabernet Sauvignon e non solo perché all’epoca il vitigno internazionale non era ancora arrivato nella regione – almeno così risulta. Il vino nella brocca e nel bicchiere è di un bel rosso rubino, limpido e di buona trasparenza. Probabilmente non lo sapremo mai, ma analizzando elementi quali il colore e la trasparenza e il fatto che siamo a Roma alla corte di un ricco Cardinale, potremmo quindi eliminare il Montepulciano d’Abruzzo, che è un vino tra i più carichi di colore, rosso rubino che vira potentemente verso il violaceo, compatto e privo di trasparenza, talvolta impenetrabile. Non sembrerebbe nemmeno un Sagrantino, vitigno noto per la sua importante componente tannica, così come, oltre che per ragioni storiche, abbiamo già eliminato il Cabernet Sauvignon, ricco di
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Bacco di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, 1598 c. Olio su tela, 95 x 85 cm Firenze, le Gallerie degli Uffizi
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Bibenda 74 duemiladiciotto
Il vino di Caravaggio
antociani come il vitigno abruzzese e quello umbro, altrettanto privo di trasparenza e forse ancor più violaceo nel colore, specie da giovane. In questo gioco lieve, volto ad ipotizzare quale fosse il vino usato dal Caravaggio, arriviamo così a supporre che potrebbe trattarsi di Cesanese, il vitigno a bacca rossa autoctono principe del Lazio che, in quanto autoctono, doveva già essere presente all’epoca nelle vigne di Roma. Oppure poteva trattarsi di Sangiovese, anch’esso piuttosto presente nel Lazio e nelle terre che appartenevano all’epoca alla Chiesa, entrambi vitigni che regalano vini di colore rosso rubino, intensi ma non dotati di forte carica colorante, quindi compatibili con quella trasparenza dipinta da Michele. La bilancia penderebbe più a favore del Sangiovese. O forse era un blend, chissà, un insieme di uve magari scomparse. Il Cardinale Del Monte era un uomo colto ed attento, che amava le arti e la bellezza, che sapeva gioire dei sensi, almeno quelli che poteva soddisfare secondo il suo stato di uomo di chiesa. Con grande probabilità seguiva le sue vigne, forse aveva fatto distinguere e catalogare le uve nei suoi territori. Forse il geniale pittore milanese, mago nel rappresentare la luce e primo nella sua epoca a raffigurare la vita reale, prendendo come modelli i suoi sgangherati amici del quartiere degli artisti a Roma, le prostitute romane e i negletti del popolino perché non aveva soldi per pagare veri modelli, aveva dipinto un Cesanese delle colline situate a sud di Roma o un Sangiovese dell’alto Lazio. Non lo sapremo mai. Magari uno storico potrà venirci in aiuto, forse smentendoci del tutto, ma non sulle note coloranti dei vitigni. Noi abbiamo solo giocato, non senza un pizzico di ragionamento. E ora, in omaggio alla bellezza strabiliante delle opere e al talento – per troppo tempo non del tutto compreso – del nostro scapestrato Michele, genio assoluto dell’arte universale, un Cesanese ed un Sangiovese li andiamo a degustare. 20
CESANESE DI OLEVANO ROMANO RISERVA DOC TENUTA AL CAMPO 2012 di Azienda Agricola Proietti in Olevano Romano (RM), 14,00 % vol. - 100% Cesanese. Vinificazione in acciaio e maturazione per 18 mesi in botte da 25 hl. Colore rosso rubino limpido e di lieve trasparenza. Al naso presenta profumi fruttati di ciliegia e prugna mature, ma anche di ribes, mora ed arancia rossa, con accenni di spezie dolci e macchia mediterranea. In bocca è assolutamente fresco ed agile, pulito e lineare nella corrispondenza olfattiva, di buona morbidezza e dai tannini autorevoli ma di fine tessitura, in un insieme elegante ed equilibrato. Di retta struttura e di ottima persistenza. In enoteca a 18€. Abbinamento: brasato di manzo al Cesanese.
SANGIOVESE IGT LAZIO PATERNO 2012 di Cantine Trappolini in Castiglione in Teverina (VT). 13,50% vol. - 100% Sangiovese. Vinificazione in acciaio e maturazione per 18 mesi in botte da 30 hl. Colore rosso rubino limpido e trasparente. All’olfatto annuncia succose note di amarena, prugna e mora mature, seguite da sentori floreali di violetta, balsamici di eucalipto e da ricordi dolci di cacao, cuoio e vaniglia. L’assaggio è ricco e confortevole, dotato della giusta freschezza, morbido e dai tannini affinati e ben orditi. Di buon corpo, elegante e lungo nella persistenza. In enoteca a 14,50€. Abbinamento: tagliolini al ragù di cinghiale.
Due vini eleganti ed equilibrati, all’assaggio il Sangiovese si è mostrato decisamente più trasparente mentre il Cesanese, vitigno con una maggior presenza di tannini ma non abbondante nel colore, si presenta più o meno compatto anche secondo l’annata, il terreno e la vinificazione. Provenienti rispettivamente dalla Tuscia e dalla Ciociaria, sono vini di una regione vitivinicola, il Lazio, che non incontra ancora il giusto riconoscimento ma che sta decisamente crescendo. Questi, e tanti altri produttori, stanno facendo la loro parte, sarebbe auspicabile che anche tanti ristoratori e comunicatori facessero la loro. Noi speriamo almeno di aver reso un umile omaggio al talento geniale di Michelangelo Merisi da Caravaggio.
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Bibenda 74 duemiladiciotto
God save the Pint
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God save the Pint
Non sono sicuramente sfuggiti ai fedeli lettori delle più celebrate riviste e giornali popolari e agli ascoltatori dei più seguiti blogger e commentatori televisivi di lingua inglese, interessati al mondo del vino, gli articoli e i commenti per l’iniziativa, presa nella primavera di quest’anno, da Rathfinny Wine Estate, uno dei più importanti produttori inglesi, di imbottigliare del Blanc de Noirs sparkling wine nel formato modern pint (50 cl). Il prodotto, opportunamente stoccato, è destinato ad essere venduto dopo la formalizzazione della Brexit per celebrare la fine della burocrazia comunitaria nel Regno Unito. L’aspetto su cui si sono focalizzati i mass media è stato proprio il ritorno al volume bandito dalla comunità 45 anni fa (per la precisione prima di quel periodo in UK c’era l’imperial pint = 56,8 cl) e l’accostamento dell’iniziativa alla celebre richiesta avanzata, durante l’ultima guerra, dal primo ministro inglese sir Winston Churchill alla grande Maison Pol Roger di Epernay, produttrice del suo champagne preferito. Si racconta che lo statista abbia detto *“C lemmie thinks that a full bottle is too much for me. But I know that a half bottle is insufficient to tease my brain. An imperial pint is an ideal size for a man like me. It’s enough for two at lunch and one at dinner.” Ovviamente, di fronte alla richiesta di un simile personaggio, la Pol Roger non ebbe alcuna difficoltà ad effettuare, in via eccezionale, la nuova fornitura al posto della tradizionale bottiglia da 75 cl. Tra gli articoli e i commenti pubblicati risultano interessanti i ricordi di alcuni operatori n
Winston Churchill
inglesi del settore sul pensiero dei produttori francesi di champagne. In particolare, quelli
*“Clemmie pensa che
del presidente della più antica società inglese di importazione e commercio di vini, la cui
un’intera bottiglia sia troppo
origine risale addirittura al 1700! Costui, quando negli anni ’70 lavorava per Moët &
per me. Ma so che una mezza
Chandon ad Epernay, pensò di suggerire loro di adottare il formato imperial pint ricevendo
bottiglia è insufficiente ad
in risposta, però, dalla Maison una semplice alzata di spalle. Come ebbe modo di appurare
ingannare il mio cervello.
in seguito, i produttori francesi di champagne ritenevano che la reintroduzione di quel
Una imperial pint è la misura
formato sarebbe stata un pericolo commerciale per la bottiglia da 75 cl. Un suo amico e
ideale per un uomo come me.”
collega, invece, diventato direttore marketing internazionale della Veuve Cliquot, gli riferì l’intenzione di questa Maison di utilizzare il formato 50 cl. Il progetto, però, non ebbe alcun seguito per varie ragioni non ultima il fatto che la Commissione Europea aveva già messo fuori gioco questo formato per tale tipologia di prodotto. In effetti, agli inizi degli anni ’70, la Commissione Europea (all’epoca, la futura UE era costituita solo da 9 Stati) emanò una direttiva per armonizzare le disposizioni regolamentarie degli Stati Membri sul precondizionamento in volume di alcuni liquidi. In virtù di questa norma potevano essere messi in commercio i vini spumanti, i vini presentati in bottiglie chiuse con tappo a forma di “fungo” tenuto da fermagli o legacci e
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Sarah e Mark Driver
i proprietari dell’azienda vinicola Rathfinny Alfriston, East Sussex BN26 5TU Tel. +44 (0)1323 871 031 info@rathfinnyestate.com
i vini altrimenti presentati ed aventi una sovrappressione uguale o superiore ad 1 bar ma inferiore a 3 bar solo in volume da 0.125, 0.20, 0.375, 0.75, 1.5, 3.0 L Una successiva direttiva emanata circa 20 anni dopo la abroga, stabilendo nuove disposizioni sulle quantità nominali del contenuto degli imballaggi preconfezionati per varie tipologie di vino (tranquillo, giallo, spumante, liquoroso, aromatizzato) e per le bevande spiritose. In particolare, il “vino spumante” della norma, che comprende lo spumante propriamente detto e il vino frizzante, può essere commercializzato solo se preconfezionato in imballaggi nelle seguenti quantità: 12.5, 20, 37.5, 75, 150 cl. Per tutte le altre tipologie di vino (tranquillo, liquoroso, aromatizz ato), invece, è concesso l’uso di un imballaggio preconfezionato con una più ampia gamma di capacità tra cui proprio il 50 cl. Qualche anno dopo la direttiva è entrata nel nostro ordinamento costituendo tutt’ora il punto di riferimento dell’attività degli organi di vigilanza. Richiamare la storia della bottiglia da 75cl, nota nel settore champagne/spumante con il nome di standard è quasi obbligatorio: si racconta che quando nel ‘700 si diffuse la produzione delle bottiglie in vetro per conservare il vino, la bottiglia “standard” nacque solo per la capacità polmonare del soffiatore di realizzare recipienti da 65-75cl in un 25
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GOD SAVE THE PINT
sol colpo; un’altra versione vuole che l’origine della bottiglia
grazione della norma nazionale/comunitaria, poiché non sussi-
“standard” sia legata al fatto che sarebbe 1/5 del gallone, l’unità
stono condizioni che possano indurre in errore i consumatori
di misura utilizzata nei Paesi anglosassoni e popolare contenitore
ma anzi condizioni che verosimilmente potranno consentire ai
di vini e liquori. Questo ci permette di sottolineare il fatto che
produttori di offrire ai consumatori volumi di vino rispondenti
nel corso di alcuni secoli la bottiglia con questa capacità è stata
alle loro nuove esigenze.
utilizzata con forme diverse, per caratterizzare vini diversi, tanto da essere oggi unanimemente riconosciuta come il contenitore
Inoltre, poiché la recente pubblicazione del regolamento
in vetro più diffuso al mondo nei paesi produttori/importatori
comunitario sulle nuove nomenclature combinate (NC)
di vini. Tuttavia, se questo fatto non ha impedito che venisse
introdotte per rispondere alle esigenze delle tariffe doganali
affiancata dalla bottiglia con capacità 50cl per alcune tipologie
comuni non include più nella sottoclasse 2204 10 (quella del
di vino perché questa possibilità è stata negata al vino frizzante
“vino spumante” ) i vini presentati in bottiglie chiuse con tappo
e allo spumante? E di conseguenza, perché negare ai giovani
a forma di ”fungo” tenuto da fermagli o legacci e i vini … aventi
consumatori e single delle varie fasce di popolazione, che sempre
una sovrappressione uguale o superiore ad 1 bar ma inferiore a
più frequentemente stanno riscoprendo il vino, il piacere di poter
3 bar, questo sembrerebbe offrire al vino frizzante la possibilità
cenare in coppia con del “vino spumante” nella bottiglia da 50cl
di una più rapida e favorevole accoglienza di una richiesta per il
visto che la demi (solo 3 calici complessivi) o la standard (6 calici
nuovo contenitore da parte degli organi preposti.
complessivi) risulta rispettivamente esigua o eccessiva mentre la 50 offrirebbe loro una ideal size (2 calici ciascuno)?
È noto che il legislatore non propone una norma o una sua
È mai possibile, allora, che siano ancora una volta proprio gli
modifica o un suo aggiornamento se non c’è richiesta dalle ca-
inglesi ad indicarci una nuova via commerciale come hanno
tegorie interessate. Cosi, è auspicabile che le imprese del settore
fatto già in passato con i vini alcolizzati/liquorosi prima e con lo
riesaminino l’idea dell’uso della bottiglia da 50cl e si adoperino
champagne secco poi?
perché si possa adottare. Nel caso ci fossero diffuse perplessità si potrebbe inizialmente lavorare a favore dell’uso della nuova
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Allo stato attuale delle cose, una soluzione rapida per ottenere
bottiglia limitatamente al vino frizzante in modo da raccogliere
l’uso del contenitore preconfezionato con capacità 50 cl per il
dati oggettivi su cui basare una successiva scelta appropriata
“vino spumante” potrebbe essere quella di una modifica / inte-
anche per il vino spumante.
save the date. La Cena di presentazione della Guida Bibenda 2019 Vini, Oli e Grappe d’Italia. Tutte le info su www.bibenda.it
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Teneri torbamenti
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Teneri torbamenti
Chiunque abbia avuto la fortuna di percorrere in lungo e il largo
piogge, generato con il passare del tempo: resti vegetali che,
le Highlands scozzesi vi dirà che sarà impossibile dimenticarle.
a causa dell’acidità dell’ambiente, non possono decomporsi
L’acqua è l’elemento fondante di un’intera terra: la si trova in
completamente: è lo stato iniziale del processo di carbonizzazione
cielo sotto forma di nubi, la si vede cadere come pioggia, scorrere
che non è giunge mai a termine. La torba è utilizzata tanto in
lungo i fiumi, sostare nei laghi e terminare la sua corsa nel mare.
agricoltura quanto come combustibile, ed è risaputo che la
Una terra di meditazione che assolve il ruolo di macchina del
combustione, nella produzione di Whisky assume un ruolo
tempo: la frenesia quotidiana si dilegua e lascia spazio ad una
determinante. Prima della scoperta di altre forme combustibili
serenità lenta e indissolubile; di quelle che si manifesta sorseg-
era impiegata come principale fonte di calore per scaldare i forni
giando un buon whisky osservando le casette colorate di Port
e bloccare il processo di maltizzazione dell’orzo. Ogni volta che
Righ o le bianche spiagge di Durness.
si aggiungeva parte di essa al fuoco, una nube nera si sprigionava
Le sorgenti sono centinaia, danno acque cristalline che affondano
nell’aria, trasferendo note affumicate al malto. L’assorbimento
in profondità, che sgorgano illibate e che talvolta, invece, sono
del fumo da parte del malto non è però cosa scontata, dipende
benedette da un passaggio in terreni ricchi di torba. Proprio
da tre fattori: dalla temperatura di combustione, dall’intensità
quest’ultima è il dono lasciato dal clima umido e ricco di
del fumo e dai tempi di disidratazione del malto.
Quest’ultimo infatti non assorbe i fenoli se ricoperto da uno strato di umidità; al contrario li assimila lentamente quando eccessivamente secco; l’ideale è avere una percentuale di umidità che si aggiri tra il 15 e il 30%. Si definisce leggermente torbato (lightly peated) un whisky che abbia fino a 5 parti per milione di fenoli; mediamente torbato (medium peated) quando i valori sono racchiusi tra le 5 e le 15 parti per milione; infine molto torbato (heavily peated) quando queste arrivano fino a 50 parti per milione. UN BENE PREZIOSO DA SALVAGUARDARE. L’estrazione commerciale della torba ha effetti devastanti per le campagne scozzesi; l’uso massivo che se ne fa in agricoltura è sicuramente più invasivo di quello dell’industria dell’alcol. La quantità di torbiere del Regno Unito è diminuita del 94% negli ultimi due secoli, e
n
Nella pagina a sinistra una
gran parte di questa perdita di habitat è attribuibile alla domanda di torba da parte dell’or-
veduta delle Highlands,
ticoltura, con effetti sull’ecosistema. L’estrazione continua in un numero relativamente
regione montuosa della
piccolo di siti, lasciando un’eredità estremamente difficile e costosa da riparare. Migliaia
Scozia, situata a nord e ad
di anni di storia naturale vengono rimossi da questi siti e confezionati in plastica per la ven-
ovest del Regno Unito, con il
dita ai coltivatori e ai giardinieri. Una task force del governo britannico sta lavorando con
fiume Sligachan circondato
associazioni di commercianti di ortaggi e iniziative di ricerca per eliminare gradualmente
dai colori del tramonto,
l’uso di torba entro il 2030. Ciò comporterebbe un brusco rallentamento nel consumo di
sopra il faro dell’isola di
una risorsa che non è infinita e che per rigenerarsi impiego intervalli di tempo infiniti. Per
Brough of Birsay nelle
tal motivo, in questo articolo, si celebra una vera e propria ode alla Torba, raccontando la
Orcadi.
storia delle principali distillerie che di questa ‘terra magica’ ne hanno fatto bandiera. 31
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Teneri torbamenti
Le Isole Orcadi si staccano di 10 chilometri dalle coste della
sono una caratteristica fondamentale del clima, con brezze
Scozia, a nord di Caithness e comprendono 70 isole, di cui 20
costanti anche in estate.
ancora inabitate. Mainland è l’isola più grande, con un’esten-
Geologicamente parlando la roccia superficiale delle Orcadi è
sione di circa 500 chilometri quadrati e la popolazione totale
composta quasi interamente da arenarie rosse, per lo più di età
di tutto l’arcipelago si attesta attorno alle 20.000 unità. Qui
medio-devoniana. Come nella vicina terraferma di Caithness,
comanda un clima temperato fresco, che è straordinariamente
questa arenaria poggia su rocce metamorfiche conosciute come
mite e costante per una latitudine così a nord, ciò è dovuto
Moine, formatesi tra 1000 e 540 milioni di anni fa. La striatura
all’influenza della Corrente del Golfo: la temperatura media
glaciale e la presenza di creste di gesso e di selce, che hanno avuto
annua è di 8°C (4° in inverno e 12° in estate) e le precipitazio-
origine dal letto del Mare del Nord, dimostrano l’influenza
ni medie variano da 850 millimetri a 940 millimetriI; i venti
dell’azione del ghiaccio sulla geomorfologia delle isole.
HIGHLAND PARK La distilleria di Highland Park è la distilleria più a nord di tutta la Scozia e sorge su una collina non molto distante dal capoluogo delle isole Orcadi; il nome originale era “High Park di Rosebank” e si riferiva ad un’attività probabilmente illegale, fondata nel 1795. È una delle 7 distillerie che ancora oggi lavora il malto sui pavimenti di maltaggio dove l’orzo è affumicato con l’uso della torba locale. Incredibile è come la torba delle Orcadi lasci uni segno distintivo nel prodotto finale: Edrington - proprietario della distilleria - racconta di quando negli anni ‘70 ordinò, dalla terraferma, del malto torbato con uno specifico grado di affumicatura per produrre il proprio whisky; a suo dire non fu un grande successo, il suo Scotch non aveva più il suo tratto distintivo e per questo decise di tornare alle origini. Il clima delle Orcadi è estremo, non vi cresce vegetazione alcuna se non orzo e piante di erica. I suoli umidi, con l’aiuto di venti burrascosi, inibiscono la crescita di alberi, piante e cespugli; le onde del mare del Nord si scagliano con violenza sulle coste dell’isola. La torba dunque è figlia del suo ambiente e Highland Park ne fa un uso quasi scientifico, prendendone differenti quantità da diverse profondità: lo strato più esterno è noto come Fog, segue poi lo Yarphie ed in fine c’è lo strato più profondo, il Moss; è l’equilibrio dei tre elementi che definisce il profilo dei distillati prodotti.
THE LIGHT - 70 CL. - 52,9% VOL. - 17 YEARS OLD, 200€.
Whisky di vero spessore, che vede il tentativo di rinchiudere l’essenza delle Orcadi e della distilleria in una sola bottiglia. Note fresche e minerali si sprigionano al naso, rincorse da distinte note affumicate che ricordano la brace. In bocca risulta avvolgente, vigoroso, quasi oleoso; finale intenso e lungo. Sulla bottiglia, di color verde chiaro, è in rilievo il corpo di un serpente; simbolo ripreso da una chiesa in legno, patrimonio dell’umanità, situata nel paese di Ornes in Norvegia.
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L’isola di Skye prende il nome dal termine norreno Sky-a che
km in linea d’aria da Skye, anche qui il clima è di tipo mite-
significa “isola delle nuvole” per via della nebbia che spesso
oceanico, per via dell’influenza dell’Oceano Atlantico e della
avvolge le sue colline. Anche qui fiumi, monti, cascate e mare
corrente del Golfo. Le temperature sono generalmente fresche,
appagano gli occhi dei visitatori; William Mackenzie, nel suo
con medie intorno ai 4,5 °C a gennaio e 13 °C. Raramente la
Old Skye Tales, di tanto in tanto ne descrive i paesaggi nelle
neve arriva al livello del mare e le gelate sono meno frequenti
digressioni dei suoi racconti, testimonianza di come non siano
che sulla terraferma. I venti sono più forti, cosi come le piogge le
poi tanto diversi rispetto a come erano 100 anni fa.
quali arrivano a 1500–2000 millimetri l’anno.
Le coste dell’isola si irradiano verso nord dal centro collinare di
Portree con le sue inconfondibili casette colorate è il cuore
Cuillins; molti lo descrivono come il palmo di una mano da cui
pulsante dell’intera isola, qui si concentrano le principali realtà
poi si allungano le dita: il pollice conduce verso Rasaay, l’indice
produttive, turistiche e terziarie. In estate i turisti affollano le
porta a Uig, il medio a Trumpan, l’anulare a Claigan ed infine
strade con macchine, tende e Caravan, rendendo Skye una delle
il mignolo a Miloivag. Nonostante le Orcadi distino più di 300
zone più visitate delle Highlands.
TALISKER Tra tutte le distillerie Talisker è forse stata la meno fortunata, almeno fino ai tempi recenti: una cronistoria fatta di ostilità, fallimenti ed incendi. Fu fondata nel 1830 dai fratelli Hugh e Kenneth MacAskill - originari dell’isola di Eigg - che posero le fondamenta della distilleria a Loch Harport, dove trovarono forti opposizioni della comunità locale, che definì la stessa come una vera a propria maledizione. Fu ceduta a MacLennan e poi ancora a J.R.W Anderson, poi a Grigor Allan e Roderick Kemp. Quest’ultimo ne divenne effettivo responsabile fino a quando la proprietà non assunse il nome di ‘The Talisker Distillery’. Poi arrivò l’incendio del 1960 che non aiutò molto; solo l’ingresso della Diageo riuscì a stabilizzare il brand e a far si che diventasse uno dei più famosi al mondo. In piena estate è quasi impossibile visitare la distilleria per l’affluenza di curiosi e appassionati che si riversano a Loch Harport per poter degustare i Whisky nello stesso luogo in cui sono prodotti.
THE DISTILLERS EDITION, DOUBLE MATURED IN AMOROSO CASK WOOD - 70 CL - 45,8% - 100€.
Oro scuro. I sapori forti e rotondi sono dovuti alla doppia maturazione in botti di Sherry Amoroso. Il naso apre con una nota affumicata d’impatto, poi sentori di iodio e sale, radici e the nero e pepe. In bocca è sontuoso, il torbato lascia posto a frutta secca e frutta passita. Finale lungo e caldo. Distillato nel 2006 e imbottigliato nel 2016, gran bel Whisky.
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Islay è la più meridionale delle Ebridi Interne; la sua vicinanza con
in Scozia, la cui identità è protetta dalla legge. Ci sono otto
l’Irlanda lascia ipotizzare che sia stata la culla della distillazione
distillerie attive e la Alcohol Industry è il secondo più grande
scozzese: nelle giornate limpide le coste irlandesi sono facilmente
datore di lavoro dell’isola dopo l’agricoltura.
visibili, distando meno di 20 chilometri. Con solo 3000 abitanti, che per la maggior parte parlano ancora Gaelico, è la sesta isola
Le distillerie a sud dell’isola producono malti con un sapore torboso
in termini di grandezza di tutta la Gran Bretagna.
molto forte, considerato il più intenso di tutti i tipi di whisky.
Le raffiche di vento possono rendere il soggiorno e le
Da est a ovest sono Ardbeg, Lagavulin e Laphroaig. A nord
comunicazioni difficili durante l’inverno, quando i collegamenti
dell’isola operano gli alambicchi di Bowmore, Bruichladdich,
aerei e marittimi sono frequentemente sospesi. Il clima ritorna
Caol Ila e Bunnahabhain, dal sapore sostanzialmente più leggero.
piacevole solo in primavera e l’estate si protrae fino a settembre.
Non si può non citare Kilchoman, una microdistilleria aperta nel
È una delle cinque località e regioni che distillano whisky
2005 verso la costa occidentale dei Rinns.
LAPHROAIG È senza dubbio il Whisky che entra nei pensieri di ciascuno quando si parla di torbati, forse perché nei corsi di formazione è spesso degustato a rappresentanza degli Scotch affumicati: dopo tutto è la stessa casa a definirlo uno dei più potenti Whisky mai prodotti. La distilleria si trova nella parte sud dell’Isola, sul lago Laphroaig, e fu fondata nel 1815 da Donald e Alexander Johnston. L’ultimo membro della famiglia Johnston a dirigere la distilleria fu Ian Hunter, un nipote di Sandy Johnston, che morì senza figli nel 1954 lasciando la distilleria a uno dei suoi manager: Bessie Williamson. Interessante è la rivalità che si instaurò tra Ian, al quale si riconosce il merito di aver costruito il brand e il Manager Peter Mackie, la cui agenzia aveva lavorato per Laphroaig per più di 70 anni. Ian appena divenne titolare licenziò Peter, il quale non la prese benissimo e intentando più cause cercò di riappropriarsi del ruolo che gli spettava. Non riuscendoci per vie legali arrivò a bloccare le sorgenti di acqua della distilleria costruendo una diga, fallendo anche qui nella riuscita; cercò dunque di ricreare il Laphroaig nella sua distilleria Lagavulin, ma questa è altra storia. La distilleria fu venduta a Long John International negli anni ‘60 e successivamente divenne parte di Allied Domecq. Il marchio è stato a sua volta acquisito da Fortune Brands nel 2005, come uno dei marchi ceduti da Pernod Ricard al fine di ottenere l’approvazione normativa per l’acquisizione di Allied Domecq. Fortune Brands ha quindi suddiviso le linee aziendali nel 2011, formando il proprio business di spiriti in Beam Inc. Beam è stato quindi acquistato da Suntory Holdings nell’aprile 2014. SELECT - 70 CL - 40% VOL. - 40€.
Riempie il bicchiere con il suo colore dorato. Immediati i sentori di torba, cui seguono erbe medicinali, malto e agrumi. Le note fumé tornano al palato senza togliere spazio ad un’impronta fresca e agrumata che termina su timbri speziati. 34
BOWMORE Bowmore è la più antica distilleria di Islay e ospita il più antico magazzino di maturazione del whisky al mondo, Vault n°1: si trova sotto il livello del mare, le mura sono incrostate di sale, e la temperatura è costantemente fredda, e l’aria è salmastra. È in questo leggendario magazzino che il whisky Bowmore è stato meticolosamente maturato dai maestri distillatori per quasi 240 anni, e forse è proprio grazie ad esso che il distillato mantiene il suo caratteristico tratto distintivo. La prima menzione registrata della Distilleria Bowmore risale al 1779, ma voci tra gli isolani più anziani dicono che la distillazione sia iniziata qualche tempo prima. Sicuramente il fondatore di Bowmore fu il mercante David Simpson, il quale costruì la distilleria nel 1766, dopo essere stato contattato da Daniel Campbell, proprietario dell’intera isola di Islay. Come Highland Park è una delle 9 distillerie ad avere il proprio centro di maltaggio, coprendo circa il 30% del proprio fabbisogno, il resto proviene dalla terraferma.
15 YEAR OLD - 70CL - 43% VOL. - 80€.
La maturazione di questo Whisky avviene sia in legni di Bourbon che di Sherry. E’ un distillato ricco, dal colore scuro e profondo. Ai sentori di torba si mescolano note di cioccolato fondente, frutta passita; un palato che non tradisce le aspettative degli amanti di Islay, ricco, complesso e di lunga persistenza.
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CAOL ILA A fondarla fu Hector Henderson, nel 1846. Il nome significa “Islay Sound” ed è il modo con cui era chiamata la parte di mare su cui affaccia la stessa distilleria. Vide molti passaggi di proprietà, fino ad arrivare per ultimo alla Diageo. Mai cessò la propria attività di produzione di Whisky, se non nei periodi di grave crisi dovuti al proibizionismo e alle guerre mondiali. La produzione della prima metà del 1900 era destinata a riempire i Blend dell’allora proprietaria Bulloch Lake & Co. Alla fine degli anni ’60 per aumentare la produzione la distilleria fu demolita e ricostruita, incrementando il numero di alambicchi e dei magazzini. Fu mantenuta la caratteristica insegna dipinta su fondo bianco dei muri esterni, usanza delle distillerie di Islay: l’intento, oltre a renderle riconoscibili, era quello di orientare i marinai nelle giornate più ostili. Oggi produce un quarto di quanto si produca sull’intera isola. CAOL ILA 13 YEARS OLD – DISCOVERY SERIES PEATED (GORDON & MACFAIL) - 70CL - 43% VOL - 70€
Appartiene alla serie dedicata alla torba, quindi perfetto per questo piccolo trattato. Bicchiere giallo oro che apre ad un naso ricco, fatto di dolci note di vaniglia e frutta; lentamente gli aspetti affumicati si costituiscono alle narici, con ricordi di brace. Il palato altro non fa che confermare quanto anticipato all’olfatto. Il finale gustativo lascia spazio ad una virtuale dolcezza.
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ARDBEG Il Font riconoscibile rende il brand di questo distillato inconfondibile. Nel 1815 John Macdougall ottenne la licenza per fondare la distilleria; nel 1938 entrò come proprietario Thomas Buchanan, coadiuvato sempre dal figlio di John nella gestione delle attività, le quali proseguirono sotto diverse proprietà fino al 1981, anno in cui la distilleria chiuse per fallimento, con pesanti conseguenze lavorative sulla comunità locale. Nel 1987 Allied Lyons acquisì la distilleria, che riprese a produrre whisky per i blended; solo nel 1997, quando la Glenmoragie Company divenne proprietaria l’azienda tornò a regime. Oggi Ardbeg è una delle distillerie più note di Islay, producendo sette etichette differenti.
ARDBEG CORRYVRECKAN - 70 CL. - 57% VOL. - 70€
Ambrato. Inebriante, intenso e potente: cioccolato fondente ceroso, ribes nero e zucchero; segue un carattere salato fatto di alghe e torba. Palato non proprio delicato, che tra note salmastre e fumé si allunga non di poco grazie ai ritorni gustativi di caffè nero e anice.
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LAGAVULIN La distilleria di Lagavulin risale ufficialmente al 1816, quando John Johnston e Archibald Campbell costruirono due distillerie nell’omonimo paesino. Una di esse divenne Lagavulin, rilevando l’altra, della quale non si hanno molte informazioni; attività illegali di distillazione però iniziarono ben prima, nel 1976. Sir Peter Mackie - di cui abbiamo parlato precedentemente riguardo la querelle Laphroaig-Lagavulin - è stato di vitale importanza per questa distilleria, la quale passò sotto la Distillers Company Ltd dopo la sua morte. Il Lagavulin, assieme a Laphroaig, è l’etichetta di approccio ai torbati per molte persone; facilmente reperibile, la si trova quasi in tutti i bar e supermercati. DISTILLER EDITION 2017 - 70CL. - 43% VOL. - 70€
Lagavulin è un classico esempio di come il fumo non sia uno strumento tagliente che avvolge tutto in una nebbia, ma un elemento che funziona in sintonia con i sapori prodotti in distillazione e maturazione. La sua torba si palesa con note di the e tabacco da pipa e aringhe affumicate. Odora di alloro e cereali leggeri, ma è sempre dolce. Al palato sentori di alghe e un tocco di iodio. Questa edizione ha avuto un passaggio in botti di Pedro Ximenez
BUNNAHABHAIN È la distilleria che si trova più a Nord sull’isola. La sua posizione è dovuta alla vicinanza con Caol Ila, che apparteneva allo stesso fondatore, William Robertson. Bunnahabhain significa “bocca del fiume”, trovandosi alle foci del fiume margadale . Nei primi anni, la distilleria faceva affidamento sul commercio marittimo, buona parte della produzione era per i Blended Malt, solamente alla fine degli anni ’70 iniziarono ad imbottigliare il loro Single Malt. Charles Maclean, nel suo libro La Magia del Whisky descrive il whisky di Bunnahabhain come “il malto più leggero di tutta Islay, nonostante abbia un carattere forte, con una consistenza ricca e un gusto dolce e solo leggermente affumicato”. MOINE MARSALA - 70CL - 50% VOL. - 200€
Trascorrere quattro anni in botti di Marsala le quali aggiungono a questo whisky dolcezza, con note di frutta secca, caramello, vaniglia e uva. In perfetto contrasto arrivano poi i sentori affumicati e speziati, i quali rendono il whisky complesso con un finale lungo e affumicato. Distillato nel 2004 e imbottigliato nel 2017.
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BRUICHLADDICH Anche questa realtà vede i propri natali alla fine del 1800. Fu progettata da Robert Harvey, il quale sfruttò a pieno le pendenze per ottenere risultati dalla forza di gravità, ad esempio il fermentato alcolico, attraverso le tubature finisce direttamente nei mash tun. E’ una distilleria iperattiva in termini di rilascio di etichette: tante le edizioni speciali dedicate ad avvenimenti, commemorazioni, tante anche quelle fatte per mero divertimento. Non me ne vogliate se cito pedissequamente quanto essi stessi dichiarano sul loro sito internet: “Questa non è una distilleria con un unico stile di distillato; questo è un progetto per rompere ogni confine, per sfidare ogni convenzione”; e ancora: “Qualsiasi prodotto artigianale e vivente dovrebbe parlare del luogo da cui proviene, delle persone che l’hanno creato e nutrito; del suolo, dell’aria, della geografia che lo influenza […] Questi sono i motivi per cui distilliamo, maturiamo e imbottigliamo solo su Islay. Il nostro impegno a mantenere la maggior parte del nostro processo qui, non riguarda solo la protezione di quel caratteristico sapore agrumato che deriva dalla maturazione di Islay. È anche un impegno per la nostra comunità locale, per fornire lavoro professionale per i nostri locali e per sviluppare talenti dalla nostra remota isola. Hebridean può riferirsi a Islay e alla sua posizione come l’isola più meridionale delle Ebridi interne, ma la nostra posizione in un arcipelago di isole occidentali non è ciò che ci definisce. Siamo più di un riferimento di griglia su una mappa. Hebridean attraversa il nostro popolo e i nostri valori, quelli che danno forma a ciò che siamo e alle decisioni che prendiamo. Nella nostra comunità, la longevità è valutata oltre la velocità o i simboli di stato. Il baratto prospera. Memoria collettiva, proprietà comune, delicata sfida, orgoglioso anticonformismo. Questi sono sempre stati i modi in queste isole occidentali, ma sono fili che ancora attraversano la nostra società”. PORT CHARLOTTE 10 YEAR OLD - 70 CL - 50% VOL - 80€
Il fumo è calmato dal carattere marino, si fanno avanti poi, caramello, crema alla vaniglia, sentori di zenzero, noce moscata e chiodi di garofano; finale di agrumi e fiori. L’imponente cornice fumé si ingentilisce grazie alla vaniglia, frutta appassita e crema di limone. Persistente.
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E se fosse l’amore a fare il vino?
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E se fosse l’amore a fare il vino?
Cosa sarebbe il vino senza una storia dietro l’etichetta? Senza l’immagine di mani callose, di stivali sporchi d’argilla e di fogliame autunnale, di visi stanchi e sereni di fine vendemmia, di tradizioni tramandate o di colpi di testa rivoluzionari? Cosa ci racconterebbe il vino di se? Perché, si sa, il vino parla. I Vini Scirto ci parlano d’amore. L’amore caldo di fine giugno, quando le viti si presentono nella loro veste più festosa: di color verde sgargiante con tanti frivoli riccioli di viticci che sobbalzano al minimo soffio dello Scirocco, come se seguissero le note di Mozart, magistralmente interpretato da un coro ornitologico dell’areale etneo. Usignoli, capinere, cicale e altri musicisti, annidati sugli alberi di ciliegia matura e succosa di un rosso scarlatto quasi inverosimile, cantano sinfonie fino al tramonto che si cala sul monte Etna. Tramonto che qua, in questa vigna secolare, racchiusa in un’antica colata lavica, è, a pelle, sinonimo di incantesimo. Una luce calda e morbida accarezza il viso, avvolge in un’impercettibile magia d’oro ambrato, fa abbassare le difese e abbandonarsi alla felicità completa e imperturbabile. Poi scivola via, lasciando nude le emozioni sotto il penetrante sguardo delle stelle spillate sul manto blu della notte. Questo è il contesto dove nasce il vino di Giuseppe e Valeria, sul portainnesto della loro storia d’amore, con le radici che si nutrono di estati fanciullesche passate nella vigna dei nonni e i rami protesi verso il ritorno al passato. Si, perché loro il vino lo fanno come una volta, ma per renderlo il vino del domani. “Guardare al futuro rivivendo il passato”, - dice Giuseppe. Seguendo il rituale del nonno, niente meccanizzazione e diserbanti in vigna, nessun aiutino chimico in cantina: “L’unica chimica che utilizziamo è il nostro amore!”, - aggiunge Valeria, che con il passare degli anni non solo ha sposato in pieno la passione di Giuseppe (più tardi ha sposato anche Giuseppe) verso la terra vulcanica di Passopisciaro, ma l’ha fatta propria, nonostante gli studi universitari in linguistica.
Perché senza che ce ne accorgessimo, il vino, la nostra terra e il nostro lavoro stava trasformandosi nel nostro progetto di vita insieme.
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Il loro amore è stato ufficialmente consacrato quest’estate, in un attimo fugace tra lavori in vigna e la vendemmia. Un’annata da ricordare questa, vi siete finalmente sposati, scegliendo la vendemmia al posto della luna di miele... Come sarà il vino? Quella del 2018 la possiamo definire un’annata difficile per noi. Non siamo abituati alle quantità di piogge che sono cadute in questo anno e, poiché in vigna utilizziamo unicamente zolfo e rame, ovviamente abbiamo rischiato molto. Alla fine, siamo comunque riusciti a portare in cantina uva sana, facendo anche un po’ di selezione sulla pianta, soprattutto in una vigna dove ad agosto abbiamo avuto anche la grandine che ha fatto diversi danni. Sicuramente saranno vini lievemente meno alcolici rispetto al solito, tuttavia siamo abbastanza soddisfatti del risultato. Saranno sicuramente vini figli di questa annata.
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E se fosse l’amore a fare il vino?
Quanti ettari di vigna gestite? Noi abbiamo iniziato da 2,5 ettari divisi tra due appezzamenti, che erano quelli che appartenevano a mio nonno. Si trovano entrambi a Passopisciaro, uno in Contrada Feudo di Mezzo e l’altro in Contrada Porcaria; la distanza tra i due, in linea d’aria, è davvero pochissima ma i terreni sono completamente diversi come è tipico dell’Etna in quanto ognuno è frutto di stratificazioni di colate laviche differenti: con più scheletro il primo (Feudo di Mezzo), più profondo il secondo (Porcaria). Entrambe sono vigne vecchie, dei primi del ‘900. Dal 2017 abbiamo preso in affitto altri due appezzamenti, per un totale di due ettari, che si trovano nel territorio di Randazzo, uno a 700 metri slm, anche questo dei primi del ‘900, e l’altro a 1000 metri slm piantato intorno agli anni ‘50. Piani e sogni per il futuro? Al momento siamo una sorta di “garagisti”, quindi vorremmo crescere ulteriormente, raggiungere tutto il mondo con le nostre bottiglie, ma anche continuare a migliorare. E sperimentare! Ci piacerebbe allargare la cantina… Il primo “vin de garage” all’assaggio è il Terre Siciliane Carricante IGT Don Pippino, chiamato così, naturalmente, in onore del nonno di Giuseppe, custode delle vigne centenarie e dei riti del vino etneo. Carricante con qualche aggiunta di Minnella e Catarratto. A 650 m di altitudine, con un’età che oscilla tra 80 e 100 anni, le vigne a piede franco conferiscono al vino potenza e intensità gustativa. Floreale al naso con nuance sulfurei vulcanici, sorso minerale, lungo e sapido. Proseguiamo con l’Etna Rosso DOC “A’ Culonna”. Il nome è anche in questo caso legato ai ricordi di infanzia di Giuseppe a Passopisciaro, alla vita sociale degli agricoltori che si riunivano, dopo le faticose giornate in vigna e nell’orto, nella piazzetta intorno alla colonna in pietra lavica, a’ culonna, appunto. È un vino di terroir, senza dubbio. Il naso è complesso come lo può essere una macchia mediterranea sulle sponde dell’Etna: la grafite si intreccia con le fragoline di bosco e con le erbe spontanee, spuntano note di carruba e di felce. Al palato è fresco e sapido, con tannini composti e il finale piacevolmente minerale. Valeria e Giuseppe ci raccontano il loro vino, legato a tante storie ed episodi curiosi. Le loro voci si sovrappongono, si intrecciano, si rincorrono, quasi a tessere una tela della loro passione. Vito, cane di stazza dal cuore grandissimo, scodinzola salutando gli ospiti. Il sole ci tende l’ultimo raggio della giornata, cala il silenzio sull’Etna. Sento già la nostalgia di questo posto. Stapperò presto un Don Pippinu. 44
n
Scirto - Vini dell’Etna C.da Feudo di Mezzo Passopisciaro, Castiglione di Sicilia T. +39 3283611270 viniscirto@gmail.com www.viniscirto.com
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Un’insolita serata tra Italia e Giappone
UN’INSOLITA SERATA
TRA ITALIA E GIAPPONE A 46
n t o n e l l a
A
n s e l m o
Si è appena concluso il viaggio enogastronomico organizzato
trovato molto istruttiva la lezione sul servizio del sommelier, le
dalla Signora Kyoko Matsuyama di LCI Italia, partner in
temperature di servizio e soprattutto la scelta del bicchiere. Infine
Giappone della Fondazione Italiana Sommelier.
la degustazione, dedicata a tre diverse espressioni del Nebbiolo,
Quest’anno il viaggio di studio per gli amanti della cultura e
rispettivamente un Roero, un Barolo e un Barbaresco, è stata
dell’enogastronomia del Bel Paese si è svolto in Sardegna, alla
l’occasione per parlare di terroir, denominazioni di origine, cru e
scoperta dei vitigni autoctoni, della biodinamica e delle tradizioni
stili di produzione. La parte più interessante dell’analisi sensoriale è
dell’Isola. L’itinerario si è concluso a Roma con una splendida serata
stata la comparazione del diverso approccio alla percezione. E così
al Cavalieri Hilton, appositamente ideata per il gruppo giapponese.
l’analisi visiva ha tenuto conto del fatto che per i giapponesi non
L’insolito incontro, tenutosi il 13 ottobre scorso,
è stata
rileva solo il colore, dal rubino al granato, ma soprattutto l’opaco o
condotto da Antonella Anselmo, Giuliano Lemme e Sara Tosti.
il lucido delle variazioni cromatiche. I profumi del vino attingono
Una lezione mirata per accogliere gli ospiti del Sol Levante,
a memorie olfattive che evidenziano le differenze tra i due popoli:
professionisti e non (vi erano ben due astemi, forse pentiti!), che
dalle spezie ai sentori salmastri. Ma anche l’analisi gustativa ha
è stata condotta in modo brillante, con l’intento di illustrare e
dimostrato la maggiore sensibilità del palato giapponese rispetto
comparare abitudini alimentari italiane e nipponiche. Una sorta
alla trama tannica, alla quale sono poco abituati. Viceversa il gusto
di evocazione di Tampopo, l’indimenticabile film degli anni
dei giapponesi risulta molto più educato alla percezione degli
Ottanta, scritto e diretto da Jūzō Itami.
aminoacidi, ben presenti nel sake.
Ha destato stupore l’usanza italiana di iniziare la giornata con
In finale di serata, nonostante le diverse sfumature di approccio,
una colazione a base di dolci, cornetti, caffè o frutta, mentre la
tutti hanno riconosciuto la grandezza dei vini italiani.
colazione giapponese tradizionale è tendenzialmente costituita da
Il clima di gioia, l’amicizia e l’entusiasmo degli ospiti hanno
cibo salato. Hanno destato stupore i nostri orari dei pasti. Basti
dimostrato come sia possibile ricostruire, anche solo con un
pensare che generalmente i giapponesi cenano alle 18 o alle 19. Del tutto nuove sono risultate le regole del servizio a tavola, utile per orientarsi nei ristoranti occidentali. I giapponesi hanno
sorriso, il “sapore del mondo”.
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Scienza, cultura e sostanza
SCIENZA, cultura e sostanza E
48
l v i a
G
r e g o r a c e
L’enigma forse più antico e certamente il più popolare è quello della Sfinge,
figura
mitologica, dal corpo leonino e dal volto umano legata alle vicende edipiche. lei che poneva i quesiti a chi voleva entrare nella città di
Era
Tebe e il malcapitato,
che non riusciva a rispondere, veniva strangolato o forse divorato.
49
Bibenda 74 duemiladiciotto
50
Scienza, cultura e sostanza
Se nel nostro paese è presente l’uomo che risolve gli “indovinelli”
professor Scienza: “Ci siamo mai chiesti perché i Greci siano giunti,
sul tema della viticoltura, a incarnarlo è il professore Attilio Scienza.
attraverso la colonizzazione in sud Italia e abbiano insegnato le
Docente ordinario di Viticoltura presso l’Università degli Studi di
tecniche di produzione della vite, trasportando anche i loro vitigni
Milano, non è soltanto un sensibile naso e un raffinato palato,
che qui si sono incrociati ai nostri ma non sono riusciti a mantenere
non è esclusivamente un conoscitore della materia che insegna
una tradizione vitivinicola come è avvenuto in Italia? Il vino per
o una figura erudita. È un comunicatore del vino in tutte le sue
loro una merce, per noi una gioia. La loro produzione finisce
declinazioni. La sua unicità è il saper
quando termina il commercio. Ad
collegare nessi, connessioni a fenomeni
offrire ampio respiro alla lavorazione
che erroneamente sono studiati in
del vino sono stati i Romani con due
modo indipendente ma che in realtà
tipi di torchio diffusi in tutta Europa
per saperne il vero valore è necessario
“di Plinio” e “ di Catone”. Sistemi che
inquadrarli in ambito storico, filosofico,
rappresentano due realtà cognitive
antropologico, biologico. Proprio come
diverse. Il primo possiede un’ asse
dovrebbe essere un bravo medico: non
verticale di pressatura utilizzata per
soffermarsi sulla parte dolorante ma
piccole quantità di uva; il secondo,
, studiare il corpo nella sua interezza.
invece, una leva e lavora per una
Uomo di sostanza, talvolta sentenzioso
quantità maggiore. Nel Medio Evo
nelle affermazioni, emotivo nei ricordi,
l’espansione della religione cattolica
delicato nelle sfumature. La sua presenza si avverte. Da un po’ di
rende il torchio mistico, diventa rappresentazione della Croce, in
tempo è stato coinvolto nei misteri dei palmenti. Etimo ancora
molte immagini è raffigurato il Cristo crocifisso sulla madre vite
incerto, forse dal latino pavimentum. Struttura scavata nell’arenaria,
del torchio. Ripete il mito dionisiaco, morte dell’uva e resurrezione
caratterizzata da due vasche di livello diverso comunicanti attraverso
della fermentazione. Cristo muore e resuscita. Dioniso rappresenta
un foro. Nella prima vasca avveniva la pigiatura con i piedi, nella
il Dio che muore e che rinasce, cessa la sua esistenza nell’uva pigiata
seconda la raccolta del mosto quindi racchiuso in contenitori
e rinasce nel vino che fermenta. In alcune zone europee compare un
di pelle per essere trasportato. Caso emblematico, paradigma
torchio di cultura egizia. A Ischia, ad esempio, non sono presenti né
interpretativo. Il palmento mette in relazione alcune zone dello
i torchi di Catone né di Plinio ma sono detti della pietratorcia. L’uva
Stivale, in modo particolare la Calabria con la Grecia e le sue isole.
deposta in sacchi, attraverso la riduzione della corda che tiene legate
A rivelarci qualche indizio in più a proposito è proprio il poliedrico
le due parti, rilascia il mosto.
n
Nelle immagini, alcune
vedute del palmento. A sinistra il professor Attilio Scienza.
Col tempo la forza motrice umana è sostituita dagli animali o è a vapore. Attualmente i torchi sono diversi, non esiste più la leva, l’uva è messa in grandi cilindri rotanti, per effetto di un polmone di aria è pressata e sgronda il liquido residuo. I più antichi palmenti presenti in Italia sono in Sardegna sebbene la presenza greca sia stata modesta, pertanto probabilmente autoctoni . Poi in Calabria. L’area di Ferruzzano è tra le più significative. Gli ultimi reperti sono palmenti cristiano – bizantini. Ciò che dispiace è che ancora oggi i Calabresi non abbiano ancora consapevolezza della loro forza”. 51
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Il rapporto diVino
IL RAPPORTO
diVino L
u c a
B
u s c a
“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo)
Galileo Galilei – Il Saggiatore – 1623.
52
… è scritto in lingua matematica …”
53
Bibenda 74 duemiladiciotto
Il rapporto diVino
L’uomo si domanda da secoli se i numeri siano una sua invenzione o siano scritti nella natura dell’universo. Il dibattito filosofico è tutt’ora aperto anche se, come diceva Alfred North Whitehead, filosofo e matematico inglese, in ognuno dei due casi è evidente che “il primo uomo che colse l’analogia tra un gruppo di sette pesci e un gruppo di sette giorni, compì un notevole passo in avanti nella storia del pensiero”. Da allora i numeri sono cresciuti molto, acquisendo una vita propria che l’uomo ha cercato di imbrigliare dentro regole sempre più complesse, a volte inventandone di nuove e scoprendone altre nascoste nelle precedenti che venivano così disattese, cambiate o rinnovate. I numeri n
Alfred North Whitehead
hanno intrecciato così una fitta rete di relazioni tra di loro e con il loro principale
(Ramsgate, 15 febbraio
interlocutore: noi, aiutandoci, così, a codificare l’universo in cui viviamo. Questa vita
1861 – Cambridge,
autonoma è basata su legami semplici che rendono immediato e gradevole il rapporto,
Massachusetts, 30 dicembre
unendo la “solitudine dei numeri primi” alla “popolarità” dei multipli di quattro. Ad
1947) è stato un filosofo e
esempio il numero 331776 tra minimi comun divisori, massimi comun denominatori e
matematico britannico.
semplici dividendi contiene una pletora di parenti da far impallidire l’intera nobiltà
Si occupò di logica,
europea. Infatti, il numero è divisibile per uno, due, quattro, sei, otto, dodici, ventiquattro,
matematica, epistemologia,
quarantotto, novantasei e loro multipli creando a loro volta insiemi infiniti di rapporti e
teologia e metafisica.
relazioni tra di essi. Quello dei numeri è però un linguaggio semplice e semplificante rispetto alla parola. Basti pensare che per cercare di spiegare il nostro universo la lingua italiana utilizza circa duecentosessantamila parole, che superano i due milioni se si considerano tutte le forme dei lessemi (coniugazione e declinazione); non sempre, poi, questi termini sono sufficienti, motivo per cui prendiamo in prestito ulteriori vocaboli da altre lingue. Come insegnano alle elementari, ai numeri sono sufficienti appena trentadue parole (i numeri da uno a venti, le decine fino a novanta, cento, mille, milione e miliardo) e quattro simboli per codificare, componendosi tra loro, le quattro dimensioni, interpretare i nostri cinque sensi, dando anche un formato plausibile al sesto, e illustrare la possibilità della non finitezza delle cose, in modo ancor più immediato di quello che l’estro di Leopardi riuscì a condensare in quindici meravigliosi versi. Nel corso della storia il rapporto tra i numeri e tra questi e l’essere umano ha vissuto alti e bassi, con reciproche incomprensioni, brevi infatuazioni e lunghi idilli, a volte disattesi da nuove relazioni altre volte forieri di permanenti amicizie. I numeri infatti da “naturali” si sono evoluti in “reali”, per diventare poi “razionali”, dal cui spirito di contraddizione sono inevitabilmente nati gli “irrazionali”. Gli “interi” si sono contrapposti per secoli ai “decimali”, i “negativi” hanno avuto una vita difficilissima e per secoli la loro stessa esistenza è stata appunto negata. Sono stati definiti “assurdi”, “impossibili” e “immaginari”, per poi essere accolti nell’infinito insieme dei numeri e dotati del potere di negativizzare anche i positivi se inseriti in un processo moltiplicativo. Proprio per rendere possibile la “negazione” i numeri divennero “complessi”, cioè talmente astrusi da risultare idonei a
54
calcolare la “ampiezza di probabilità”. Alcuni, pochi, sono “primi”, altri si costituiscono in “matrici”, gli “infiniti” nella loro indeterminatezza fanno di tutto per distinguersi dagli “infinitesimali”, mentre “potenze” e “radici” tendono ad andare in senso opposto. Negli anni settanta dello scorso secolo, a probabile corollario della “fantasia al potere” nacquero i “surreali”. Dall’oriente arrivò “l’algoritmo”, il cui nome deriva da quello del matematico persiano al-Khwarizmi vissuto nel IX secolo, grazie al quale si potevano risolvere calcoli sempre più complessi per codificare dimensioni indefinite, finché oggi, cavalcando software avveniristici, è arrivato a regolare la nostra vita virtuale e, in buona parte, quella reale. Sull’onda dell’algoritmo giunsero sulle spiagge del sapere nuovi strumenti come le “equazioni”, i fratelli “seno” e “coseno”, il “logaritmo”, le “derivate” e gli “integrali”. Si dovettero prendere in prestito le lettere per definire questi nuovi congegni, l’uomo familiarizzò così anche con altri alfabeti primo fra tutti il greco con “α”, “β”, “π” e quasi tutte le loro compagne. X ed Y in particolare assursero ad assi portanti di oscuri piani cartesiani e con essi a simbolo dell’incognito. Inutile sottolineare l’importanza del numero “n”, con la sua ennesima potenza, ed “e”, che con la sua matematica costanza si pone alla base del logaritmo naturale. Vennero poi gli “insiemi” e con essi altri simboli e concetti, i numeri divennero “ordinali” e, prendendo in prestito una carica religiosa di rilievo, anche “cardinali”. Con sempre maggior precisione i numeri hanno continuato ad 55
Bibenda 74 duemiladiciotto
Il rapporto diVino
aiutare l’uomo a misurare e determinare l’universo che
prodotto di due grandezze quantistiche che, per loro formazione
progressivamente si andava manifestando. Sempre loro, in tempi
culturale, non risentono della proprietà commutativa. Nel
recenti, hanno poi dato corpo all’intuizione di un genio che poté
momento in cui è iniziata la misurazione tridimensionale dello
così cogliere la relatività delle quattro dimensioni spazio temporali
spazio, i numeri sono entrati in un vortice di relazioni geometriche
e quella gravitazionale. Albert Einstein ha poi corroborato la
e proporzionali responsabili della connotazione divina e
teoria dei quanti di Max Plank, in base alla quale sembra che
metafisica spesso data ad alcuni di essi. La prima ad essere
“una grandezza possa assumere solo
chiamata proporzione divina fu la
un insieme discreto di valori multipli
“sezione aurea” scoperta dai Greci,
di un valore fondamentale non
anche se si teorizza un suo utilizzo
ulteriormente scomponibile, detto
da parte di Babilonesi ed Egizi. La
quanto.” Da questo principio è
sezione aurea è un numero, peraltro
scaturita la “relatività” atomica per
irrazionale
cui secondo Werner Eisemberg gli
ottenuto dal rapporto fra due
elettroni, essendo visibili solo tra un
lunghezze disuguali delle quali la
“salto quantico” e l’altro, in sostanza
maggiore è medio proporzionale tra
non
la minore e la somma delle due.
esisterebbero
spostamento
in
durante quanto
lo non
definibile. La teoria fu dimostrata
56
Detto
così
(1,618033988
sembra
…),
piuttosto
complicato ma se chiamiamo “a” la
dalla scuola svedese e in particolare da Niels Bohr che continuò
lunghezza maggiore e “b” la minore, la proporzione sarebbe
per tutta la vita, e probabilmente anche oltre, a discutere con
b:a=a:(a+b) ovvero a2=(a+b)∕b. Anche così forse le cose non
Einstein che cercava una spiegazione più razionale all’insostenibile
migliorano molto, bisogna però pensare che con questa relazione
intangibilità dell’essere particella. La sostanza è che a tutt’oggi il
crescono alcuni molluschi, foglie e petali di fiore, sono, inoltre,
mistero non è stato ancora svelato, anche se le equazioni della
regolate alcune funzioni organiche umane. Soprattutto con il
meccanica quantistica sono di uso comune nella definizione delle
rapporto aureo Fidia costruì il Partenone ad Atene, sul cui
moderne tecnologie. Quindi, lungi dall’essere terminato, il
esempio seguirono il Tempio della Concordia ad Agrigento,
cammino della conoscenza prosegue, tra l’indeterminatezza
un’infinità di chiese e monumenti sino al contemporaneo Museo
dell’infinito e la determinatezza impalpabile dell’infinitamente
Guggenheim. Molto usata anche in pittura, la sezione aurea ha
piccolo, con l’aiuto dei nostri amici che cercano di semplificare il
determinato il rettangolo ideale e con esso il feng shui occidentale
lungo percorso stabilendo semplici regole. Nel frattempo queste
di Le Corbusier. Non solo, la celebre sequenza, anch’essa detta
regole possono essere applicate alle relazioni sociali e personali,
aurea (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144 …), con cui
rendendo semplice ciò che a prima vista può sembrare complesso
Fibonacci risolse il problema della riproduzione dei conigli
e articolato, cominciando ad esempio dal sillogismo primigenio
postogli dall’Imperatore Federico II di Svevia a Pisa nel 1223 in
(se a=b e b=c necessariamente a è uguale a c). Impressiona, poi,
un torneo di matematici, non è altro che una progressione
la bellezza del concetto di uguaglianza quale funzione idonea a
numerica di proporzioni auree. Premesso che ogni numero della
trovare la soluzione ai problemi e a scoprire l’incognito.
successione si ottiene prendendo la somma dei due che lo
Ineluttabile, inoltre, l’inutilità di invertire i fattori nel vano
precedono, se mettiamo in rapporto ogni numero, con esclusione
tentativo di cambiare il prodotto, a meno che non si tratti del
dei primi 4 che costituiscono la base del problema posto, si
ottiene un numero che più si va avanti nella successione più tende a φ (la lettera greca phi che simboleggia la sezione aurea) cioè 1,618… Non solo, con la sequenza di Fibonacci e con il rapporto aureo è possibile costruire la “spira mirabilis” di Cartesio, quella spirale meravigliosa che è onnipresente in natura e fondamentale per tracciare su un piano le rotte marine inesorabilmente ellittiche. (guarda il video) A ben guardare, le aggettivazioni dei numeri e dei loro rapporti sembrano più idonee a descrivere caratteristiche caratteriali e dinamiche relazionali tipicamente umane piuttosto che mere operazioni matematiche. D’altra parte questi rapporti sono divenuti gli assi portanti del pensiero umano, regolando il linguaggio e le diverse forme di espressione che l’uomo ha usato nel suo percorso culturale.
57
Bibenda 74 duemiladiciotto
n
Il rapporto diVino
Dom Pierre Pérignon
Codificò un sistema per gestire le rifermentazioni involontarie. Nella foto accanto un ritratto del grande Louis Pasteur, studioso del comportamento dei lieviti in ambito enologico.
Il vino, ad esempio, nasce da un rapporto numerico che prescinde dall’intervento umano, non essendo altro che il risultato di un’equazione: C6H12O6 = 2 CH3CH2OH + 2 CO2. È innegabile, infatti, che l’intera cultura del vino discenda dalle conseguenze euforiche determinate dalla trasformazione, da parte dei lieviti, di una molecola di glucosio in due di alcol etilico e due di anidride carbonica. Questa relazione numerica, che regola i rapporti tra particelle, è responsabile della nascita di un dio chiamato prima Dioniso e poi Bacco, grazie al quale l’uomo ha ritualizzato la gioia, creando forme di espressione culturale ancora in voga, con i dovuti aggiornamenti, ai giorni nostri. In realtà i primi passi dell’uomo nell’avventura enologica furono dettati dall’empirismo più puro. Grazie a sperimentazioni secolari si riuscirono a comprendere, tra rifermentazioni indesiderate, spunti acetici improponibili e aromatizzazioni surreali per coprire il tutto, i principi fondamentali per ottenere il nettare divino. Così Trimalcione, già nella Roma di Petronio si poteva permettere di offrire ai propri ospiti un Falernum Opimianum di oltre cento anni. Bisogna però attendere l’era moderna affinché l’uomo cominci ad avere un rapporto cosciente con i numeri del vino. Il primo passo alla fine del XVII secolo, anche se ancora del tutto esperienziale, fu probabilmente quello del cellario dell’Abbazia di Hautvillers, Pierre Pérignon, che codificò un sistema per gestire le rifermentazioni involontarie causate dai rigidi inverni della Champagne. Con il progredire della rivoluzione industriale le nuove scoperte investirono tutti i settori alimentando la conoscenza e, grazie agli studi sul comportamento dei lieviti di Louis Pasteur, l’enologia diventò, alla fine del XIX secolo una scienza esatta. Pochi anni dopo, nel 1909, un chimico danese Søren Sørensen, che “casualmente” lavorava nello stabilimento della Carlsberg e si occupava delle problematiche connesse alla 58
n
Søren Sørensen Chimico danese che nel 1909 mentre era capo del Dipartimento di Chimica dei Laboratori Carlsberg, sviluppò la scala del pH.
fermentazione della birra, scoprì un metodo per determinare la “forza” dell’acidità nelle bevande e lo chiamò pH. Si scrive con la p minuscola e l’acca maiuscola perché non ha nulla a che vedere con la phi greca della sezione aurea. La “p” sta per potenza, ovvero esponente, con cui si intende il logaritmo decimale dell’inverso, quindi negativo, della concentrazione di H (simbolo dell’idrogeno) in una soluzione neutra. Nel vino il parametro, unitamente a quello dell’acidità totale che si misura in grammi litro, fornisce preziose indicazioni sulla longevità potenziale e sul comportamento di lieviti e batteri in fase di fermentazione. Sostanzialmente i due parametri sono inversamente proporzionali, più è alta l’acidità più basso sarà il pH, più acidi abbiamo nel vino meglio lavorano i lieviti e più a lungo il vino conserva intatte nel tempo le proprie caratteristiche. Nel corso del XX secolo i numeri divennero sempre più influenti nei processi di vinificazione, con l’introduzione di nuovi parametri: i gradi Babo per calcolare il grado zuccherino del mosto, in modo da poter così prevedere il grado alcolico desiderato del vino. I lieviti, in seguito ad attenta selezione e coadiuvati dagli starter, danno luogo a fermentazioni sempre più regolari grazie al rigido controllo delle temperature. Analisi sempre più approfondite consentono la codifica di tutti i parametri del vino, dal contenuto di acido tartarico ai polifenoli, dagli antociani ai batteri indesiderati. Con l’aiuto della chimica si introducono correttivi di ogni genere per ottenere il vino perfetto. Anche in vigna la conduzione si fa sempre più matematica e non solo per l’impianto del vigneto, che già al tempo dei romani era equivalente ad una funzione trigonometrica, ma anche per tutte le altre operazioni. Si comincia infatti a calcolare la resa per singola pianta perché più la si abbassa, migliore è la qualità dell’uva, si alza così la densità di impianto in un gioco di proporzioni inverse. 59
Biondi Santi, una famiglia visionaria
Bibenda 74 duemiladiciotto
BIONDI SANTI, R
60
a f f a e l e
F
i s c h e t t i
una famiglia visionaria “Cosa
sono i millenni?
Una
sguardo dell’eternità”.
manciata di tempo.
Questa
Polvere
celebre frase di
in confronto a un unico
Hermann Hesse
senso, la gioia, lo stupore di quello che è accaduto a
racchiude il
Bolzano il 4 Ottobre 2018.
61
Bibenda 74 duemiladiciotto
Biondi Santi, una famiglia visionaria
Il Brunello di Montalcino è uno dei vini italiani più celebri ed
Del resto erano gli anni della fillossera, che aveva messo in
amati del mondo e dobbiamo la sua invenzione alla famiglia
ginocchio molte aziende.
Biondi Santi. Fu infatti Clemente Santi, nell’ottocento,
Quella di Ferruccio Biondi Santi, fu una scelta coraggiosa,
a vinificare per primo un vino Sangiovese in purezza sul
e lungimirante. Morì nel 1917 lasciando le redini al figlio,
territorio di Montalcino e suo nipote Ferruccio Biondi
ma con vigneti innestati, e rinnovati completamente, usando
Santi, a produrre la prima annata di Brunello, il 1888.
barbatelle selvatiche, e gemme della sua azienda. La cosa che
Ancora oggi vengono custodite
personalmente mi stupisce sempre
2 bottiglie di questa annata nelle
è che in questa cantina non ci sono
cantine della Tenuta Greppo e la
mai state e mai ci saranno tecniche
famiglia Biondi Santi, giunta alla
e attrezzi all’avanguardia ma il
settima generazione, continua ad
minimo e giusto indispensabile
essere il faro della qualità più alta e
per fare un vino leggendario.
tradizionale del Brunello e del made
In questa degustazione d’eccezione
in Italy di lusso. Ripercorriamo per
abbiamo potuto degustare le anna-
qualche minuto la storia di queste
te più interessanti del nuovo mil-
leggendarie famiglie, era 1867,
lennio alcune delle quali vengono
all’esposizione mondiale di Parigi,
già identificate come delle vere e
quando Clemente Santi ricevette
proprie icone, come il magnifico
un premio per il “Moscadello”.
2010 o il seducente 1997. Il percorso di quello che l’azienda
Al ricevimento di questo prestigioso riconoscimento, la storia
ama definire “Un Mondo a Parte” si concluderà con un viag-
dell’azienda era avviata, anche se la sua fondazione avverrà
gio tra aromi e sapori di altri tempi che vengono appunto da
ufficialmente nel 1888.
vini leggendari che sfidano il tempo stesso. All’evento erano presenti 50 esperti degustatori (evento sold
Come spesso accadeva, tra famiglie importanti, vi fu un
out in meno di dodici ore e con richieste per oltre 180 posti)
matrimonio, tra la figlia di Clemente e Jacopo Biondi, fu
hanno veramente vissuto quello che definirei senza mezzi
loro figlio, Ferruccio, a proseguire la passione per il vino, ed
termini la degustazione perfetta. La degustazione ha toccato
unire i cognomi. Ferruccio forte dell’esperienza del nonno,
alcune delle annate più interessanti del millennio. La batteria
condusse l’azienda, in una continuità produttiva invidiabile
proposta dei vini partiva dai Biondi Santi annata 2012 2010
per quegli anni.
2006 2003 per poi passare alle riserve 2011 1997 e 1971
Grazie a questa esperienza, ed ai successi ottenuti, iniziò a
(bottiglia che ha avuto la ricolmatura e recava la firma Biondi
dedicarsi alla tenute del Greppo.
Santi di garanzia della stessa).
Si deve alla sua lungimiranza, a partire dalla meta ‘800, iniziò
62
a pensare a vini longevi, e non immediati.
La degustazione è stata tenuta alla presenza di Daniela
In quegli anni difficili, piene di avversità ambientali, molti
Scrobogna che ha guidato la degustazione e da Giovanni Lai
produttori, tendevano a monetizzare subito, Ferruccio, volle
in rappresentanza di Biondi Santi. Un evento unico e magico
invece puntare a vini da lungo invecchiamento. È in questi
che ha fatto vivere ai fortunati partecipanti un viaggio tra
anni, che nasce la produzione del Sangiovese in purezza.
storia, miti e vini immensi che difficilmente potrà ripetersi.
n
SocietĂ Agricola Greppo Biondi Santi S.r.l. Villa Greppo, 183 - 53024 Montalcino (SI) Tel.: 0577 848023 Fax: 0577 849396 biondisanti@biondisanti.it www.biondisanti.it
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Bibenda 74 duemiladiciotto
Riflettendo su RomaTre
Riflettendo su RomaTre P
a o l o
L
a u c i a n i
Insegnare è la mia vita. La professione che ho scelto, o forse “che mi ha scelto”, fin da quando ne ho memoria. Da quasi trent’anni lo faccio nelle aule del mio liceo classico romano, parlando di Orazio e di Sofocle, e lo faccio in tutta Italia (e non solo) nei corsi della Fondazione Italia Sommelier. In entrambe le situazioni, il mio atteggiamento non cambia: cerco costantemente di trasmettere passione, l’unico plasma in grado di dare senso e valore a concetti e nozioni che diversamente rimarrebbero sterili. Da due anni, grazie alla convenzione tra l’Università di RomaTre e la nostra Fondazione, ho il piacere di tenere un ciclo di lezioni sulla cultura del vino e sulla tecnica della degustazione nell’ambito del corso di laurea in scienze e culture enogastronomiche proposto da quell’Ateneo. Credo fermamente nell’importanza di tale insegnamento, soprattutto perché strutturato in un’università statale, quindi aperto a tutti, anche a coloro che non potrebbero permettersi di frequentare quelli organizzati da istituti privati, spesso indubbiamente validi ma quasi sempre molto onerosi. Il vino, così come il cibo, sono parte integrante della nostra storia, della nostra civiltà e della nostra tradizione. Il vino e il cibo sono cultura. L’enogastronomia, pertanto, non rappresenta certamente un corpo estraneo all’interno del mondo accademico, ma ha tutto il diritto di esserne protagonista fondamentale. Come scrisse brillantemente 64
Massimo Montanari, “il cibo si configura come elemento decisivo dell’identità umana e come uno dei più efficaci strumenti per comunicarla” (M. Montanari, Il cibo come cultura, Bari 2004). Ho avuto già modo su queste pagine di ricordare che Aristotele, nella Retorica, codificò l’importanza del “destinatario” in qualsiasi processo di comunicazione. Dunque qualsiasi messaggio, per essere davvero efficace, dev’essere “tagliato su misura” sulla platea che abbiamo di fronte. Gli studenti che frequentano il corso di laurea in scienze e culture gastronomiche di RomaTre arrivano a tale impegno portando con sé un retroterra culturale molto eterogeneo, ma sono tutti estremamente motivati a crescere e a proporsi come futuri ambasciatori delle nostre eccellenze. Sono consapevoli di quanto una preparazione accurata nei diversi ambiti che contraddistinguono questo settore consentirà loro di diventare ottimi professionisti nel campo che sceglieranno: ristorazione, marketing, gestione, commercio. È perciò relativamente facile coinvolgerli e appassionarli al variegato mondo del vino. Curiosità, recettività, entusiasmo, motivazione sono doti che li contraddistinguono. A noi il delicato compito di non deluderli, di far sì che un humus di evidente fertilità sia il terreno dal quale possa nascere un radioso futuro. Per l’Italia e per i suoi gioielli enogastronomici: per il nostro “oro nero”. 65
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Vitigni e territori, perché un successo
Vitigni e territori perché un successo
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Siamo giunti ormai alla quarta edizione di Vitigni e Territori, Corso di approfondimento tenuto a Roma dal Prof. Attilio Scienza e dalla sottoscritta, Daniela Scrobogna, e spesso mi domando quali molle spingano tanti appassionati a frequentare questo corso. In questi anni abbiamo affrontato una nutrita schiera di vitigni e sensazionali territori, alcuni molto famosi, altri molto meno. Abbiamo spaziato tra l’Italia, la Francia, e il resto del Mondo, mettendo a fuoco anche chi e che cosa abbia spinto questi terroir a divenire traini per l’intero mondo del vino. Predominante in tutto questo è il ruolo strategico del Prof. Scienza, che non solo ha il grande compito di introdurci, e di approfondire, le peculiarità dei vari vitigni scelti, mettendoci al corrente sui recenti studi del loro DNA (e scoprire quanto poco ancora si conosca dell’ampelografia). Ma nello stesso momento condurci, con la sua splendida capacità espositiva, nei tanti territori previsti e di farci vivere l’emozione dei cambiamenti geologici e climatici, come se fossimo parte integrante di queste trasformazioni. Strumenti indispensabili per comprendere il vino, la sua personalità, e ciò che rappresenta. Il culmine della lezione lo si raggiunge quando ci accingiamo a degustare i sei vini scelti in rappresentanza proprio di quel vitigno in quel territorio. Vini di altissimo livello che ci fanno scoprire sfumature, sensazioni, pulsazioni, che si ricollegano perfettamente al quadro precedentemente tratteggiato. Ogni vino viene raccontato, dalla storia al produttore, dalla scheda tecnica all’abbinamento. Tutto inizia ad avere senso, tutto prende forma e significato, ed è come incastrare tanti tasselli per formare un puzzle, liberamente, senza preconcetti, senza condizionamenti, e alla fine il quadro si delinea nitido e colorato. 66
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Viaggio in Sardegna
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VIAGGIO IN F
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Sardegna
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Viaggio in Sardegna
Batte forte il cuore in Sardegna, per i paesaggi, le montagne, il verde delle sue colline, per le cime di pietra dolomitica, altissime e imponenti. E il mare, dalla trasparenza del cristallo liquido verde e turchese. E poi la sabbia, finissima o di piccoli sassolini bianchi come chicchi di riso. E i profumi dello iodio, della salsedine, e della macchia mediterranea, del ginepro, del mirto, degli oleandri, dell’artemisia. Bene, i vini della Sardegna riescono a raccogliere tutti questi profumi e sensazioni nel calice. Una magia? Forse. Di certo i vari angoli di questa regione, ognuno diverso dall’altro, sono ben rappresentati dai tanti produttori di questa terra. In Romangia, lembo nord della Gallura, nella sua cantina biodinamica a Sennori, Alessandro Dettori scherza, poco, quando riprendendo De Andrè, dice che i galluresi sono pazzi, cattivi ma gran lavoratori. Il suo vermentino Dettori Bianco 2016 è sicuramente frutto di un mix di follia, tenacia al limite dell’ostinazione e tanto lavoro. Originale, spiazzante, profondo e complesso. Non è da meno Rosso Dettori 2013, Cannonau da vigne storiche che lascia il segno per i sentori speziati, la ricchezza e la potenza del sorso che sembra non finire mai. Come Alessandro, non si fa dimenticare. Scavalcando il monte Limbaro, scendendo a sud di qualche centinaio di chilometri, eccoci nel Sulcis, terra legata una volta al lavoro pesante nelle miniere. Santadi, piccolo comune medievale, offre un’altra bella declinazione del vino sardo. È la terra del Carignano, amato e rispettato: sopporta tutto, o quasi, i venti freddi dell’inverno e la salsedine del mare. La cooperativa Santadi, 250 ettari nel Campidano per 200 soci conferitori, sa coniugare numeri e qualità: 1milione e 700 mila bottiglie, una struttura importante che il direttore Raffaele Cani, spiega con fierezza. Ma quando prende tra le mani la bottiglia storica del Terre Brune 1984 traspare tutto il suo orgoglio, da quando nell’80, Giacomo Tachis ha lanciato nel futuro la cantina, disegnando il Terre Brune, primo rosso barricato della Sardegna, altissima qualità e indissolubile identità col territorio.
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Tenute Dettori Badde Nigolosu 07036 Sennori (Sassari) Tel. +39 079 515511 info@tenutedettori.it
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Cantina Santadi Via Cagliari 78 - 09010 Santadi (CI) Tel. + 39 0781 950127 Fax 39 0781 950012 www.cantinadisantadi.it
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Viaggio in Sardegna
Poco più a Nord di Cagliari, nella campagna di olivi, viti e pecore del Parteolla a Serdiana, Cantina Argiolas racconta ancora un’altra storia: quella di una famiglia che da tre generazioni è dedicata alla viticoltura. La storia di Argiolas inizia con Antonio, il patriarca a cui per i suoi 101 anni, l’ultimo compleanno, è stato regalato un fermentino che brilla in un angolo della cantina e che viene usato solo per i vini speciali. Tanti anni e grandi numeri: oggi Argiolas supera i due milioni di bottiglie. Alla terra, alla dea madre del periodo nuragico, è dedicato il Turriga, il rosso di punta: blend di Cannonau, Bovale, Carignano, Malvasia nera, insomma la Sardegna autoctona in bottiglia. Cosi come il Cerdena, giallo paglierino, denso e consistente, Vermentino e minima percentuale di Nasco, un altro autoctono di nicchia. Per incuriosire e stimolare il palato. Come tutta la Sardegna sa fare.
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Argiolas Via Roma, 28/30 - 09040 Serdiana (CA) Tel. +39 070 740606 Fax +39 070 743264 info@argiolas.it
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Qvevri, Sufra, Tamada, le tante anime della Georgia
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QVEVRI, SUFRA, TAMADA, le tante anime della Georgia M
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Qvevri, Sufra, Tamada, le tante anime della Georgia
Il popolo georgiano è uno dei più antichi del mondo insieme con sua cultura, storia e l’alfabeto unico (il georgiano è una delle lingue viventi più antiche ad avere una propria scrittura originale, unica, uno dei soli 14 alfabeti esistenti al mondo). I Georgiani sono sempre vissuti nella Regione del Caucaso, ai confini tra l’Asia e l’Europa, considerata la porta d’ingresso tra i due continenti. La Georgia è una terra meravigliosa, generosa come una madre, offre tutte le sue ricchezze, le sue sfumature, la sua anima e il suo sapore. Il paese si trova tra due mari, il mar Nero e il mar Caspio, confina a nord con la Russia, a sud con l’Armenia, a sud-ovest con la Turchia e ad est con l’Azerbaigian. Circa settantamila chilometri quadrati di superficie e diverse zone climatiche caratterizzano la parte orientale e occidentale del paese. Il clima, mite e piovoso sulla costa e la pianura occidentale, diventa più continentale e arido nelle zone interne centro-orientali, mentre in montagna è di tipo alpino. Così come cambia il clima, ogni regione si differenzia per le proprie peculiarità, dai vitigni alla cultura del vino, dalla cucina alle tradizioni popolari. Culla della viticoltura mondiale, di antichissima origine, questo Paese vanta ben 525 vitigni autoctoni distribuiti un po’ tra tutte le sue regioni che portano i suggestivi nomi di Kakheti, Qartli, Imereti, Guria, Ratcha, Lechxumu, Samegrelo, Atchara... Culla del vino. Qui, dove tutto ebbe origine, si producono vini di ottima qualità, purtroppo ancora sconosciuti agli appassionati dei vini europei. Pare che a pochissimi chilometri dalla capitale Tbilisi siano state ritrovate tracce di vino sul fondo di un “Qvevri”, una grande anfora di coccio risalente a circa 8000 anni fa. La vitivinicoltura georgiana è legata strettamente ai Qvevri, questi enormi contenitori di terracotta, forgiati nella tradizionale forma ovoidale di capacità variabile tra i 100 e i 4000 litri, utilizzati per tutte le fasi di lavorazione del vino. Normalmente interrati in ambienti coperti, alcune volte posizionati anche all’aperto, questi contenitori consentono di mantenere una temperatura costante sia in fase di fermentazione che in fase di maturazione e affinamento. Un metodo di vinificazione talmente antico e talmente importante che nel 2013 è stato riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Se ne contemplano due versioni. Nella regione di Kakheti, la parte orientale del Paese, le uve vengono vinificate senza essere diraspate, quindi con tutte le vinacce, raspi e vinaccioli, sia per i vini bianchi sia per i rossi. Nella regione di Imereti, la parte occidentale del Paese, si utilizzano le uve parzialmente diraspate, utilizzando solo una piccola parte – più o meno il 10% - di uve con bucce e di vinaccioli, una percentuale che nel metodo Kartli arriva al 30%. 76
Il processo di vinificazione invece non cambia, resta identico
riempiti fino all’orlo, vengono chiusi ermeticamente con un
per i tutti i metodi adottati e prevede dopo la pigiatura la
coperchio in vetro o in legno, dopodiché vengono sigillati con
fermentazione del mosto nei qvevri.
uno strato di argilla e della cera.
La fermentazione alcolica si avvia spontaneamente con l’azione
La maturazione prosegue a circa 13°C di temperatura per altri 3
dei lieviti indigeni. Durante questa fase, che dura una decina
o 4 mesi. Verso marzo - aprile il vino viene prelevato lasciando
di giorni, il qvevri rimane aperto per consentire alla anidride
le fecce sul fondo e travasato in un altro Qvevri pulito. Passati
carbonica di fuoriuscire. L’interramento dei qvevri fa sì che la
ancora due mesi, si procede ad un ultimo travaso in un’altra
temperatura si mantenga fresca e costante. A fermentazione
anfora nella quale la maturazione prosegue per altri 2 o 3 anni.
conclusa le vinacce si depositano sul fondo e questi recipienti,
In casi particolari viene lasciato perfino 20, a volte 30 anni. 77
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Qvevri, Sufra, Tamada, le tante anime della Georgia
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Statua di bronzo sita nella
cittĂ di Tblisi, rappresenta la figura del Tamada, il capotavola nella tradizione georgiana. A destra, alcuni scatti del Balletto Nazionale della Georgia.
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Oltre al vino, in Georgia anche la tavola vanta un’importante e lunga tradizione. La mensa, “Sufra”, è un momento speciale, di festa, e il vino non manca mai. Prima di iniziare si sceglie un capotavola, il “Tamada”. È lui a dare il ritmo al momento conviviale, proponendo dei brindisi diversi tra loro a tutti i membri del tavolo con una cadenza regolata sui dieci minuti. Quando il brindisi cambia, spesso si cambiano anche i calici scegliendoli di forme e dimensioni diverse, e i vini, prendendoli da orci di misura diversa. Nella sequenza dei brindisi, il primo e sempre dedicato alla gloria di Dio; la tavola georgiana viene assimilata ad un altare dal quale si elevano le preghiere (i brindisi) verso il cielo. Non c’è festeggiamento che non preveda un finale di canti e di danze di antica tradizione. Molto diffusi sono i cori popolari polifonici. Per capire fino in fondo l’anima della Georgia e della sua gente, le danze tradizionali e le musiche popolari di questo Paese andrebbero ascoltate e praticate almeno una volta nella vita.
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Nuova emozione nel mondo del vino
NUOVA EMOZIONE NEL MONDO DEL VINO B
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Nuova emozione nel mondo del vino
Giulio Ferrari Rosé 2006 Riserva del Fondatore ha debuttato, in modo discreto ma echeggiante, si è presentato su un palco già noto e amato da tutti, ha esordito mostrando il suo charme, ed è stato applaudito. Non si tratta di un rosato classico alla vista; l’olfatto non si caratterizza per il profumo di fragoline e di lamponi, e al palato non è riconducibile a nessun altro Rosé: ha caratteristiche e personalità proprie, determinate e uniche.
NON ARRIVA AI SENSI CON UN IMPATTO SORPRENDENTE, MA SORPRENDE MENTRE ARRIVA… E LASCIA STUPITI. La cuvée vede una prevalenza di pinot nero per l’80%, accompagnata da chardonnay per il 20%; uve provenienti dai migliori vigneti della famiglia Lunelli, localizzati in alta montagna, dove tutto l’ambiente pedoclimatico, la composizione dei suoli, le forti escursioni termiche, le esposizioni e il prezioso lavoro dell’uomo, contribuiscono a donare ai due vitigni il loro habitat prediletto, da cui uve buone, sane e selezionate. Quindi una predominanza di pinot nero, coltivato sui vigneti di Villa Margon, di Maso Orsi e di Maso Valli, su questi suoli ricchi di rocce calcaree e sali minerali con componente silicea; in alcune parti prevalentemente argillosi, e in altre ancora in cui prevale la matrice porfirica. Le uve sono baciate dalla luce e dal sole durante il giorno perché crescono su viti piantate verso sud, dove invece durante la notte fa più freddo e le temperature scendono garantendo una benefica escursione termica che, come è noto, contribuisce ad aumentare la qualità delle uve, migliorando la loro composizione fenolica e affinandone le caratteristiche aromatiche. I vigneti aziendali, condotti secondo il regime biologico, vengono difesi con elementi naturali e metodi sostenibili, con l’eliminazione dei pesticidi e dei diserbanti. La vinificazione annovera undici anni di riposo di questo spumante sui lieviti, nelle cantine, al riparo dalla luce e ad una giusta e costante temperatura; il vino evolve in questi anni… il tempo è una continua sfida per la famiglia Lunelli che non esita ad osare perché certa di tutto il profondo impegno prodigato per arrivare a vincere le prove e creare nettari eccellenti. Dopo undici anni di studi, controlli e verifiche è arrivato il momento di liberare il delizioso nettare: 5000 bottiglie, prezzo piuttosto elevato, un prodotto esclusivo. Il packaging si presenta sobrio e attraente: la bella bottiglia “se la tira” e si pavoneggia protetta da un astuccio rosa confetto a doppio fondo, da cui risalta una etichetta intarsiata pulita ed elegante, anch’essa rosa con la scritta nera. Nel calice risplende di un colore ramato con riflessi vibranti e luminosi; è vivace il vino nel bicchiere perché le perline che salgono con grazia sono numerose, fini e continue e 82
donano le prime sensazioni di leggerezza e musicalità. L’olfatto è fascinoso e suggestivo, l’effervescenza è esplosiva e trasporta gli aromi fino alle papille. Note fumé, accenni di tostatura, mineralità iodata, spezie, frutti rossi di sottobosco, nuance di rosa, profumo di mandorla. Un naso davvero unico, che meraviglia e stupisce con il passare degli attimi, suadente, carezzevole, intrigante. Il sorso è subito avvolgente, si assapora la sua pienezza, la sua cremosità e il suo perfetto equilibrio: morbidezza e freschezza così ben bilanciate da donare al palato una marcata amabilità e una percezione di sorpresa in evoluzione. L’eleganza, la struttura e la corposità risaltano e persistono in chiusura ed oltre. Un mondo da scoprire il Giulio Ferrari Rosé 2006, uno spumante che seduce sorso dopo sorso, perché raffinatezza e imponenza arrivano in modo gentile ed energico
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alla sensibilità del degustatore e donano soddisfazione ed emozione. Un dualismo di
Camilla e Alessandro Lunelli.
Nella foto Marcello, Matteo,
complementarietà che fa la differenza: il senso di gradevolezza, di compiacimento, di pienezza e di appagamento deriva proprio dalla percezione di una complessità olfattiva, e di una intensità gustativa, che si insinuano nella mente e nell’animo con estrema delicatezza ma con straordinaria incisività. Giulio Ferrari Rosé 2006 Riserva del Fondatore, eccellente spumante italiano.
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SI AGGRAVA LA FASE DI STALLO NELL’EXPORT DEI VINI ITALIANI
Peggiora l’export italiano New York, 12 ottobre, -- Continua e si aggrava la fase di stallo nelle esportazioni vinicole italiane verso gli USA, secondo i dati rilasciati oggi dall’Italian Wine & Food Institute, relativamente ai primi otto mesi dell’anno in corso. L’Italia ha fatto infatti registrare una riduzione del 3% in quantità (contro una riduzione del 0,5% nei primi sette mesi dell’anno) e un incremento del 4,2% in valore (contro un incremento dello 7,5% nei primi sette mesi dell’anno), essenzialmente dovuta alle variazioni dei tassi di cambio ed a un contemporaneo aumento dei prezzi. Dopo un lungo periodo di pressoché costante crescita si è infatti entrati in una fase di rallentamento che, negli ultimi mesi, ha praticamente bloccato la lunga fase di espansione delle esportazioni italiane. Rallentamento che preoccupa il presidente dell’’Italian Wine & Food Institute, Lucio Caputo, che da tempo ha avvertito sui rischi e le conseguenze che deriveranno da questa progressiva flessione delle esportazioni vinicole italiane che possono portare alla perdita della leadership da anni detenuta dall’Italia. Flessione che contrasta con la pericolosa rimonta dei vini francesi che negli ultimi tre anni hanno compiuto una incredibile scalata, nella classifica dei paesi fornitori del mercato USA, portandosi a ridosso dell’Italia con consistenti e continui tassi di crescita sia in quantità che in valore. I francesi infatti hanno costantemente puntato sull’immagine e sul prestigio dei loro grandi vini decimando la fascia alta delle esportazioni italiane che nell’immagine del consumatore USA è ormai considerata cara sopratutto in considerazione del fatto che non gode più di quell’immagine e di quel prestigio che aveva faticosamente conquistato e che giustificava il costo dei suoi vini. 84
Purtroppo da parte italiana, in questi ultimi anni, si sono con-
956.750 ettolitri, per un valore di $901.856.000, contro i 866.790
tinuati ad usare i fondi disponibili nel settore pubblico per
ettolitri, per un valore di $ 739.301.000, dell’anno precedente,
attività tendenti a incrementare l’offerta
con un aumento del 10,4% in quantità e
di vini italiani, in un mercato pressoché
del 22,4% in valore.
chiuso all’aumento del numero dei for-
Le importazioni dall’Australia - terzo
nitori, senza far praticamente nulla per
paese fornitore del mercato statuniten-
incrementare la domanda e l’immagine,
se in quantità e quarto in valore - sono
con gli ovvi risultati negativi che si stan-
risultate, sempre nel periodo in esame,
no ora registrando.
pari a 913.870 ettolitri, per un valore di
Secondo la nota dell’IWFI - basata sui dati
$195.617.000, contro il 1.140.870 etto-
ufficiali dell’US Department of Commer-
litri, per un valore di $228.626.000, del
ce - nei primi otto mesi dell’anno in cor-
2017 con una riduzione del 19,9% in
so, le importazioni statunitensi sono ammontate a 5.912.300
quantità e del 14,4% in valore.
ettolitri, per un valore di $ 3.010.319.000, contro i 6.374.890
Le importazioni dal Cile - quarto paese fornitore del merca-
ettolitri, per un valore di $ 2.827.811.000, dei primi otto mesi
to statunitense in quantità e sesto in valore - sono ammontate,
del 2017 con una diminuzione del 7,3% in quantità e un incre-
nei primi otto mesi del 2018, a 810.470 ettolitri, per un valo-
mento del 6,4% in valore.
re di $159,221.000, contro i 890.630 ettolitri, per un valore di
Nello stesso periodo le esportazioni italiane sono ammontate
$174.419.000, dell’anno precedente con una diminuzione del
a 1.695.420 ettolitri, per un valore di $ 948.930.000, contro i
9% in quantità e del 8,7% in valore.
1.748.300 ettolitri, per un valore di $ 910.699.000, dei primi
Le importazioni dalla Nuova Zelanda - quinto paese fornitore
otto mesi del 2017. La quota del mercato di importazione dei
del mercato statunitense in quantità e terzo in valore - sono
vini italiani è scesa al 31,5% in valore e al 28,6% in quantità.
ammontate, nei primi otto mesi del 2018, a 487.230 ettolitri,
Sempre secondo la nota dell’Italian Wine & Food Institute, le
per un valore di $296.083.000, contro i 459.250 ettolitri, per un
importazioni dalla Francia - secondo paese fornitore del merca-
valore di $275.319.000, dell’anno precedente con un amento del
to statunitense sia in quantità che in valore - sono ammontate, a
6,1% in quantità e del 7,5% in valore. 85
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Italia prima
ITALIA PRIMA Confermate le previsioni UIV-ISMEA sulla produzione di vino europea. L’Italia è il primo produttore al mondo con 49,5 milioni di ettolitri. Seguono Spagna e Francia.
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Il 25 ottobre a Roma, la Commissione Europea ha diffuso le stime sulla produzione
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Paolo Castelletti
di vino e mosti 2018, che confermano le previsioni vendemmiali dell’osservatorio
Segretario generale
del Vino di UIV-ISMEA, presentate al MIPAAFT ai primi di settembre, da cui emerge
Unione Italiana Vini
che l’Italia sarà il primo produttore in quantità con 49,5 milioni di ettolitri, facendo registrare un +16% sul 2017, davanti a Spagna (47) e Francia (46). “Constatiamo con piacere che i dati forniti dalla Commissione Europea sono allineati a quelli diffusi dall’Osservatorio del Vino. – commenta Paolo Castelletti, segretario generale Unione Italiana Vini - Una conferma della validità del metodo di lavoro ormai consolidato che abbiamo messo a punto con l’ISMEA per fornire al mondo vitivinicolo italiano dati affidabili su cui basare pianificazioni e strategie. Ovviamente si tratta di stime, i cui dati dovranno essere confermati dalle dichiarazioni di produzione”. “A fronte di questi dati – sottolinea ancora Paolo Castelletti, segretario generale Unione Italiana Vini – è doverosa una riflessione sull’andamento dei prezzi. Per quanto sia stata generosa questa vendemmia, infatti, denunciamo una riduzione delle quotazioni dei vini all’origine assolutamente ingiustificate e che sembrerebbero frutto di logiche speculative, assolutamente dannose per il settore”. Infatti, conclude il segretario generale di UIV, “a fronte di una vendemmia leggermente superiore rispetto alla media degli ultimi anni, controbilanciata, però, da un dato sulle giacenze al 1° agosto inferiore del 10% rispetto al 2017, la disponibilità complessiva del prodotto non giustifica le tensioni al ribasso dei prezzi dei vini che stiamo rilevando sui mercati”. 87
Da Leggere Sono
i nostri consigli di lettura.
dizionari,
testi
legislativi,
romanzi,
tecniche: letture intorno al vino.
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NovitĂ ,
nuove edizioni,
saggi,
pubblicazioni
Da Leggere
sieme ai vini IGP aggiunge una percentuale complessiva superiore al 60% sull’intera produzione vinicola nazionale. In totale, in Italia abbiamo 526 disciplinari di produzione suddivisi tra denominazioni di origine controllata e garantita (73), denominazioni di origine controllata (335) e indicazioni geografiche tipiche (118). Il Codice denominazioni di origine dei vini, a cura di Antonio Rossi, è il risultato di uno sforzo editoriale compiuto dall’Unione Italiana Vini per offrire uno strumento semplice e utile in ogni azienda vitivinicola tenuta a conoscere i disciplinari di produzione e le disposizioni che governano la complessa materia delle denominazioni di origine dei vini. CODICE DENOMINAZIONI DI ORIGINE DEI VINI 2018 Unione Italiana Vini 11° Edizione Pagine 1.760 Euro 180,00 Il nuovo volume pubblicato dall’Unione Italiana Vini che raccoglie tutti i disciplinari di produzione dei vini Docg, Doc e Igt e riporta i titoli delle disposizioni comunitarie e nazionali sulle denominazioni di origine dei vini consultabili online Dopo quattro anni dalla precedente pubblicazione, Unione Italiana Vini ha dato alle stampe l’undicesima edizione del “Codice denominazioni di origine dei vini”. Il Volume raccoglie i testi aggiornati dei disciplinari sui vigenti, sia dei provvedimenti approvati in sede nazionale che inviati alla Commissione dell’Unione europea in attesa di approvazione definitiva, ma che sono già applicabili in quanto è stato emanato l’apposito decreto Mipaaf di etichettatura transitoria. Nel volume sono poi elencate tutte le principali disposizioni Ue e nazionali collegate alle DOP e IGP comprese le circolari ministeriali interpretative che sono consultabili online. Il mondo delle denominazioni di origine dei vini costituisce la punta di diamante del settore ed è in continua crescita quantitativa come testimoniano i dati produttivi degli ultimi anni che hanno superato i 15 milioni di ettolitri annui per le DOP e in-
Il Volume può essere richiesto all’Unione Italiana Vini, via G.B. de Rossi 15/A 00161 Roma - Tel. 06/44235818 Email: aserviziogiuridico@uiv.it
DIZIONARIO DEI PRODOTTI DOP E IGP ITALIANI Treccani Gusto / Fondazione Qualivita Lemmi 821 Treccani e Fondazione Qualivita presentano il primo dizionario enciclopedico delle tipicità enogastronomiche italiane. È online dal 27 giugno il Dizionario dei prodotti DOP e IGP italiani, il primo dizionario enciclopedico che rende facilmente accessibili le corrette informazioni sul patrimonio agroalimentare e vitivinicolo italiano. L’opera, a cura di Treccani Gusto in collaborazione con Fondazione Qualivita, presenta in modo esauriente gli 821 lemmi (526 riferiti a vini e 295 ad alimenti), che definiscono le produzioni ad Indicazione Geografica italiane riconosciute. Pubblicato da Treccani, questo dizionario si inserisce coerentemente nella tradizione dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, che prende l’avvio, fra il 1955 e il 1961, con il Dizionario enciclopedico italiano, la prima grande opera lessicografica italiana del Novecento giunta a compimento. L’attenzione per la lingua italiana - sia nei suoi specifici aspetti linguistici e lessicografici, sia come specchio dei cambiamenti sociali
e civili che il nostro Paese conosce - è una prerogativa costante che la Treccani ha coltivato negli anni, sin dalla sua fondazione. Tra questi importanti cambiamenti, negli ultimi decenni, ci sono quelli rappresentati dallo svi¬luppo del mondo agricolo e alimentare e, in particolare, dai prodotti difesi e valorizzati dalle Indicazioni Geografiche. Grazie allo straordinario lavoro dei Consorzi di tutela e dei produttori, sia sui singoli territori che in ambito nazionale, questi prodotti possono essere annoverati tra gli elementi portanti della cultura italiana e i loro nomi e le loro caratteristiche sono entrati nel nostro linguaggio quotidiano. Oggi tutto questo viene accolto in un sistema digitale unificato, capace di parlare a tutti: il portale Treccani. Per garantire la massima diffusione dei suoi contenuti, infatti, il Dizionario dei prodotti DOP e IGP italiani entra a far parte della base dati Treccani liberamente consultabile on-line, condividendo¬ne gli scopi e le finalità generali, volti a favorire la diffusione di un sapere critico e certificato e a contrastare la diffusione di informazioni false e di conoscenze sbagliate. Nello specifico ambito di pertinenza del Dizionario dei prodotti a Indicazione Geografica, l’offerta di uno strumento di orientamento, che consenta al pubblico più vasto possibile di distinguere ciò che è affidabile e autentico da ciò che non lo è, nasce per essere uno strumento concreto sia per valorizzare queste eccellenze, sia per lottare contro ogni forma di contraffazione.
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i r o t t u d o r p i n o c A tavola C
i n z i a
B
o n f Ă
Siamo
entrati nelle cucine di alcuni produttori di vino
chiedendo loro di raccontarci una propria ricetta alla quale sono particolarmente legati.
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IL PRODUTTORE A 18 km da Catania, sul versante SudEst dell’Etna, troviamo l’azienda di Ciro Biondi ubicata in Contrada Ronzini, nel distretto di Trecastagni, tra 600 e 700 metri slm. Nel 1999 Ciro Biondi e sua moglie Stef, ripresero a lavorare i vecchi terreni di famiglia, con l’intento di fare una vera opera di restauro, volta alla valorizzazione dei vigneti terrazzati e delle potenzialità del terroir vulcanico, recuperando anche un antico palazzo nobile di fine Rinascimento per adibirlo a cantina, oggi nominato Palmento Biondi. Proprio qui, nel suggestivo Palmento, tra colori, profumi e la bellezza del vulcano, i coniugi Biondi si dilettano a cucinare per i loro amici e ci fanno partecipi di una ricetta tradizionale siciliana che abitualmente fanno, legata al loro territorio: pasta c’anciova e muddica atturrata, ovvero pasta con acciughe e pangrattato tostato. La “pasta c’anciova” è sicuramente l’alternativa alla più famosa “pasta con le sarde”. Solitamente vede negli ingredienti anche del pomodoro ma la ricetta di Ciro e Stef è in versione “bianca”, arricchita dal Caciocavallo della zona, il Ragusano, uno dei formaggi più antichi della Sicilia, prodotto con latte vaccino intero crudo.
PASTA C’ANCIOVA E MUDDICA ATTURRATA Ingredienti per 2 persone: 200 grammi di spaghetti o linguine 4/5 filetti di acciughe dissalate 3 spicchi di aglio 100 grammi di mollica di pane 2 cucchiai di semi di finocchietto fresco 100 ml di olio extravergine di oliva 100 gr di formaggio Ragusano semi stagionato sale q.b. Preparazione 1. Schiacciare 2 spicchi di aglio e metterli in una padella con metà olio extravergine di oliva, le acciughe sminuzzate, finocchietto selvatico e far rosolare il tutto fin quando le acciughe non sono del tutto sciolte. 2. Nel frattempo in una padella piccola mettete un po’ di olio e la mollica di pane sbriciolata (o del pangrattato) con un pizzico di sale. Fatela rosolare sul fuoco a fiamma bassa mescolando con un cucchiaio di legno fino a quando non raggiunge un colore ambrato. 3. Cuocere la pasta al dente, quindi condirla con il sughetto di alici e, una volta pronti, versarli nella padella con la mollica rosolata, mischiare e disporre il tutto nel piatto. 4. Guarnire con altro pangrattato, formaggio Ragusano grattugiato e un po’ di finocchietto selvatico fresco. Tempo di preparazione: 15 minuti
L’ABBINAMENTO Per questo piatto dal gusto deciso dovuto ai toni intensi delle acciughe ma ammorbidito dal caciocavallo Ragusano, Ciro Biondi suggerisce un doppio abbinamento: il primo con uno Chassagne-Montrachet 1er Cru Clos du Château de la Maltroye 2007, il secondo con il suo splendido Chianta Etna Bianco Doc 2015, prodotto con uve al 90% Carricante e poi con Catarratto e Minnella al 10% che, dall’annata 2016, cambierà il suo nome in “Pianta”. Il Chianta Etna Bianco 2015 è un cru proveniente dalla vigna omonima che si trova su un cratere datato 125 A.C. Cromaticamente affascinante nella sua veste dorata, si apre a tonalità invitanti di cedro, mandorla pallida, ginestra in fiore, resina, ananas e pepe bianco. Chiude con un’inebriante mineralità di roccia lavica e ricordi marini. Assaggio struggente per spazialità delle componenti, denso e pieno, di prezioso equilibrio dove le sfumature morbide si saldano a un’incalzante freschezza supportata da lunga scia salina. Matura per 9 mesi in legno di rovere da 225 e 500 litri.
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Cruc i BENDA P
a s q u a l e
in arte Petrus
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P
e t r u l l o
Cruc i BENDA Cercare
nello schema tutte le parole elencate, tenendo presente che possono trovarsi, orizzontalmente
destra o da destra a sinistra), verticalmente (dall’alto al basso o dal basso all’alto) e diagonalmente.
(da
sinistra a
Alla fine rimarranno
alcune lettere inutilizzate le quali lette di seguito daranno la chiave indicata.
Si produce nella zona di Sarche e di Toblino nella Valle dei laghi. (chiave: 4-5-8): ...................................................................................................................................................... . © Petrus
V G I O V A N E H C A N E R G I N O S A S E M I L L O N Z U C C H E R I V E R N A C C I A Z Z E C L O D N T L A M B R U S C O D I S O R B A R A A N T E L L E D E T N A C I R R A C S I C L U S L E D O N A N G I R A C E M N S T A T O E V O L U T I V O H N A P O C O E Q U I L I B R A T O I T L O P M A T U R O L L A I G S S A O E L A E R O L F T R O I N N A S N R E N C O T A L E V T O N E I P O T I P R O N T O P R O C I D I N O R I
ANIMALE ARMONIA CALDO CARIGNANO DEL SULCIS CARRICANTE DELL’ETNA CHIANTI CILE DENSO DI CORPO DOLCEZZA FLOREALE GIALLO GIOVANE GRENACHE LAMBRUSCO DI SORBARA
MATURO NIZZA OPACO PIENO POCO EQUILIBRATO PRONTO ROSSO SANNIO SEMILLON SENTORI STATO EVOLUTIVO VELATO VERNACCIA ZUCCHERI
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Informazioni da Fondazione
Questa rubrica riassume tutte le novità, gli eventi, le attività, le notizie, i momenti che hanno vista impegnata la in lungo e in largo nel
Fondazione Italiana Sommelier
Paese.
IL VINO DEDICATO A SAN FRANCESCO
Una bottiglia dedicata al Santo Patrono voluta da Nila Halun, responsabile della Fondazione Italiana Sommelier ad Assisi. “Perché non c’è un perché! Perché quando ti sei reso conto di essere stato “catturato” dal Santo, non sai neanche tu com’è successo. È veramente una persona umile e semplice e riesce a rapirti il cuore senza neanche rendertene conto. Io sono affezionata a San Francesco e credo che mi sostiene in ogni difficoltà. Come si può non amare San Francesco? Non solo come Santo, ma come persona, come personaggio storico che ancora può cambiare il mondo e tutti noi. Il carisma di San Francesco è molto forte, perché esempio di semplicità e umiltà, quello di cui un po’ tutti abbiamo bisogno per riscoprire la vita.” 94
Queste le parole di Nila Halun, responsabile della Fondazione Italiana Sommelier ad Assisi e titolare dell’Enoteca Bibenda Assisi, il Centro di Cultura del Vino e dell’Olio più importante della città, per spiegare la creazione di questa particolare bottiglia di vino. Una bottiglia da lei fortemente voluta per omaggiare il Santo della città, “il poverello d’Assisi” tanto amato da tutti. Per celebrare questo vino, è stata creata un’etichetta apposita dalla Fondazione Italiana Sommelier, personalizzata con il nome del Santo. La bottiglia dedicata a San Francesco è disponibile nell’Enoteca Bibenda Assisi, sita in Vicolo dei Nepis, 9 in centro città.
L’UMBRIA CELEBRA LE SUE ECCELLENZE di Marina Righini Un bellissimo evento per festeggiare l’Umbria! Si è tenuto lunedì 8 ottobre a Perugia con il patrocinio del Comune, nella prestigiosa cornice della storica Sala della Vaccara, una delle sale più importanti del trecentesco Palazzo dei Priori, l’evento culminante di un breve ciclo di degustazioni intitolate alle Terre di Narni. Il riconoscimento dei 5 Grappoli infatti, ottenuto dai vini di tre aziende operanti nel raggio di pochi chilometri, ha posto in evidenza una nuova realtà locale forse inaspettata, che va ad affiancarsi ad altre aree più note e celebrate, e conferma oggi come l’Umbria stia rafforzando e ampliando la sua vocazione vinicola. Con la presenza dei produttori, le aziende Calispone, La Madeleine e Santo Iolo, la degustazione è stata sapientemente guidata da Filippo Busato, ed ha accolto ospiti attenti e interessati, che
hanno confermato con il loro entusiasta apprezzamento il grande livello raggiunto dai prodotti di questa realtà emergente. Ma qual’è la ragione di tanto interesse e il segreto di questi eccellenti risultati ? Come sempre nel vino, la terra. Territorio sconosciuto ai più, di una bellezza sorprendente, l’area che circonda la splendida città medievale di Narni oltre alla bellezza naturale offre una particolare composizione dei terreni che risulta perfetta per l’allevamento della vite. Questa zona è infatti di origine sedimentaria marina, e pochi centimetri sotto la superficie già troviamo uno scheletro composto da fossili marini in quantità sorprendente. Questa ricchezza di composizione del terreno conferisce ai vini prodotti su queste terre un carattere assolutamente peculiare, una mineralità ed una profondità che difficilmente si replica in altre zone. Grazie al
coraggio, alla visione dinamica ed all’energia di alcuni produttori, si sono ottenuti negli ultimi anni da queste terre vini di assoluta eccellenza, sia da vitigni internazionali che qui trovano una sorta di “amplificatore” delle loro potenzialità, sia da vitigni autoctoni che si esprimono con pienezza e completezza. Possiamo parlare della nascita di un nuovo Territorio? Se con questo termine intendiamo un insieme di natura, cultura, lavoro di squadra e potenziale espresso in prodotti di eccellenza, allora sì: senza dubbio abbiamo a che fare con un nuovo, piccolo, miracolo enologico italiano. Se fossimo in Francia, forse già parleremmo di Terroir… noi per il momento incoraggiamo i produttori ad andare avanti su questa strada, e li ringraziamo per il loro lavoro, per l’entusiasmo, e per quello che ci regalano in queste fantastiche bottiglie!
fanno immagine, diventando lo specchio dell’universo interiore dell’artista. Un fluire ininterrotto che svincola il più recente ciclo di opere di Marsillo da una rappresentazione iconografica predefinita, ma in cui i soggetti prendono di volta in volta vita sull’onda del flusso di coscienza dell’autore. L’energia espressiva evolve nei modi più inaspettati e originali, assumendo ora la foggia di cavalli imbizzarriti, ora di figure umane evanescenti. Ma ciò che a primo sguardo potrebbe apparire casuale è invece legato da una complessa riflessione esistenziale: l’artista si sofferma sulla condizione umana contemporanea, ma senza arrogarsi il diritto di dare delle risposte, proponendo anzi una serie di interrogativi da condividere con l’osservatore. Il pittore, che nella sua carriera ha sapientemente dominato tecniche diverse, variando da esiti astratti, come nel caso del ciclo Gli
Arcipelaghi delle Differenze, a geometrici, come ne I labirinti dell’irrequietezza, presenta in Stigmata un percorso figurativo, con una particolare attenzione al disegno realistico. Per questa mostra Marsillo affida inoltre i suoi pensieri a una cornice monocroma, alternando sapientemente bianchi e neri e circondandoli da ogni possibile sfumatura intermedia, abbandonando in questa fase l’utilizzo espressivo del colore che ha caratterizzato le precedenti produzioni. Le opere di Stigmata rappresentano un momento di autocoscienza dell’artista, la necessità di esprimere il proprio monologo interiore, ma al tempo stesso sono pervase da considerazioni e istanze nelle quali ogni individuo può identificarsi. In occasione della mostra sono state esposte, per la prima volta a Roma, anche tre opere del ciclo Plenitude, a cui sarà dedicato uno spazio proprio.
SOMMELIER, REDATTORE, ARTISTA: LA MOSTRA DI SALVATORE MARSILLO
Nelle sale di Fondamenta, spazio espositivo romano diInside Art, si è tenuta dal 12 al 19 ottobre Stigmata, la personale di Salvatore Marsillo. Arte e cultura sono protagoniste nella vita del sensibile artista, ci fa piacere qui ricordare la sua collaborazione di lunga data in qualità di redattore con il magazine Bibenda e in qualità di Sommelier con la Guida ai Vini d’Italia edita dalla Fondazione Italiana Sommelier. L’incontro con l’ultima ricerca di Marsillo, artista già consolidato del panorama romano, colpisce nel profondo, invitando chi la osserva a un intimo colloquio con l’interiorità dell’artista e con la propria. Sedici tele, alcune molto grandi, sono dominate da tinte scure tra le quali si muovono ombre, ossessioni e morte. Opere in cui il pittore lascia fluire liberamente riflessioni che scaturiscono dall’inconscio; e così sensazioni, ricordi e parole si
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❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO 2017 ❖ ❖ A PARTIRE DAL MAGGIODAL 2017 ❖ 12 A PARTIRE 12 ❖ MAGGIO
ALL’HOTEL ROME CAVALIERI ALL’HOTEL ROMEAC LLAVALIERI ’HOTEL ROME CAVAL IL 17° CORSO PER SOMMELIER DELL’OLIO IL 17° CORSO PER OMMELIER ’O LIO IL S17° CORSO DELL PER S OMMELIER D ◆❖◆ ◆❖◆
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INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA.IT INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA .IT INFORMAZIONI SU WWW.BIBENDA. PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941 PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941 PER ISCRIVERSI TEL. 06 8550941
❖ A PARTIRE DAL 12 MAGGIO ❖ Fondazione Italiana2017 Sommelier
Fondazione ItalianaFondazione Sommelier Italiana Somm
CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO E DELL’OLIO con il INTERNAZIONALE Riconoscimento Giuridico della Repubblica CENTRO PER LA CULTURA DEL VINO EItaliana DELL’OLIO CENTRO INTERNAZIONALE PER LA CULTURA DEL VINO
ALL’HOTEL ROME CAVALIERI IL 17° CORSO PER SOMMELIER DELL’OLIO
con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica Italiana con il Riconoscimento Giuridico della Repubblica
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direttore
Franco M. RICCI
Caporedattore centrale Paola SIMONETTI
Hanno collaborato a questo numero Antonella ANSELMO, Paolo AURELI, Floriana BERTELLI, Cinzia BONFÀ, Claudio BONIFAZI, Luca BUSCA,
Foto
Miranda DOLABERIDZE,
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Raffaele FISCHETTI, Elvia GREGORACE, Paolo LAUCIANI, Pietro MERCOGLIANO,
Consulenti dell’Editore
Barbara PALOMBO, Pasquale PETRULLO,
Sergio BIANCONCINI Architettura
Antonella POMPEI, Daniela SCROBOGNA,
Michele FEDERICO Medicina
Neonila SILES.
Stefano MILIONI Edizioni Franco PATINI Internet
Grafica e Impaginazione
Attilio SCIENZA Viticoltura
Fabiana DEL CURATOLO
Gianfranco VISSANI Cucina
BIBENDA per rendere più seducenti la cultura e l’immagine del vino
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Anno XVII
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Ottobre 2018
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