Ombre e non luoghi Un progetto di Design dell ’Interazione
IUAV - Venice A / A 2008/2008
Progetto di Laurea Spacialistica Comunicazione Visiva e Multimediale
Relatore: Corelatore:
Massimiliano Ciammaichella Camillo Trevisan
Studente:
Enrico Rudello
INDICE OMBRE Platone e le origini delle ombre
CHE COS’È UN’OMBRA? Ombreggiatura
OMBRE IN MOVIMENTO E OMBRE IMMOBILI Storia dell’illuminazione Ombra e fantasia Narciso All’ombra di una metafora Interpretazioni
L’ARTE DELL’OMBRA Ombre impossibili Arte Moderna Artisti Contemporanei Cinema
IL NON LUOGO Non luogo, non ombra
PROGETTO, DI INTERACTION DESIGN Considerazioni generali Movimento degli attori
AZIONI Prima azione Seconda azione Terza azione
COMPONENTI, HARDWARE E SOFTWARE Sensori Videoproiettori Computer Software
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OMBRE Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera. Johann Wolfgang von Goethe (1749 –1832) Scrittore, poeta e drammaturgo tedesco
Platone e le origini dell’ombra In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. Vedo, rispose. Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita? E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? Sicuramente. Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? Per forza.1
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1. La caverna di Platone, Grabado nel 1604 per Jan Saenredam su disegno di Cornelis Cornelisz. Fitzwilliam Museum, Cambridge
Chi narra immagina degli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, sono affaccendati nelle azioni quotidiane. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l’ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte, e l’eco delle voci che sentono come reali. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell’esistenza degli uomini sopra il muricciolo, di cui prima percepiva solo le ombre. In un primo momento, l’uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe, in forza dell’abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l’uomo liberato non può più tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre. La citazione qui riportata è parte del testo del settimo libro della Repubblica di Platone (427-
347 a.C.), scritto più di duemila anni fa tra il 388 e il 367 a.C. Quello che Platone sembra suggerire con l’immagine della caverna, è che anche noi siamo come i prigionieri: quando ci riteniamo liberi e informati, e non abbiamo trascorso la nostra vita in catene a guardare un teatro d’ombre. I prigionieri vedono le ombre, non credono esista altro, e si lasciano sfuggire la possibilità di conoscere gli oggetti reali. Noi invece, che vediamo le cose fisiche e non solo le ombre, non riusciamo a completare la vera natura, che è nascosta e richiede di scavare sotto la superficie delle cose. Perché Platone sceglie la rappresentazione degli oggetti attraverso le ombre? Una delle risposte è che le ombre sono un esempio di perturbanza di entità minori: sono una diminuzione degli oggetti che le proiettano. Sono piatte, incorporee e senza qualità, senza colore. Il loro profilo racchiude un interno indistinto. Ma soprattutto sono assenze, negativi, l’ombra è una mancanza di luce. Il loro incerto confonde la mente e ci inquieta, come se non bastasse, le ombre sono da sempre state accompagnate dal sospetto e dalla paura. Sono entità anomale che ci seguono, ma non le sentiamo come buone compagne. Platone ha ragione di usarle se vuole renderci inquieti.
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CHE COS’È UN’OMBRA?
ombra s. f. 1. Oscurità più o meno intensa prodotta su una superficie chiara in una regione dello spazio dall’interposizione, tra questa e una sorgente di luce, di un corpo opaco o anche dal fatto che una zona della superficie stessa o la suddetta regione dello spazio non risulta esposta alla luce: striscia, cono d’ombra; ombra fitta, densa; stare, camminare all’ombra. In astronomia, ombre volanti, bande chiare e scure, alternate e ondulate, tremolanti, in continuo movimento che appaiono poco prima o poco dopo la fase di totalità di un’eclisse solare Nella tecnica del disegno, dell’incisione, della pittura, il tono scuro che riproduce le zone non esposte alla luce, conferendo rilievo alle immagini; fig., contrapposto alla luce, per indicare elemento di varietà o di contrasto, cui può associarsi l’idea del male o del dolore. Fig., l’ambito di un’azione, di una situazione, di un comportamento in quanto protetto da segreto, dalla non curanza o dalla ignoranza degli altri o contraffatto artificialmente: tramare nell’ombra; tenersi nell’ombra; tutto è ancora avvolto nell’ombra del mistero; cercano d’ingannarci sotto l’ombra dell’amicizia. 2. La figura che un corpo opaco proietta su una superficie e che ne riproduce, più o meno alterata, la forma: si disegnano sul viale le ombre degli alberi. Ombra cinesi: gioco che consiste nel riprodurre su una parete delle ombre rappresentati figure diverse, disponendo opportunamente le mani fra la parete e una sorgente luminosa. Teatro delle ombre: teatro che si serve della proiezione su uno schermo di marionette artisticamente lavorate, caratteristiche del folklore di Giava. Immagine incerta o indistinta: è mezzo ceco e vede solo delle ombre. Simbolo di vacua apparenza o anche di consistenza o quantità limitata o irrilevante: la sentenza assolutoria ha lasciato un’ombra di dubbio: ha paura persino della sua ombra; basta che vi sia l’ombra della legalità; l’ha fatto senza ombra di malizia. Presunto simulacro del corpo che, secondo alcuni miti o in alcune concezioni poetiche o religiose, conservano nell’oltre tomba le anime dei defunti: Oi ombre vane, fuor che nell’aspetto! (Dante); quindi anche spettro, fantasma, apparizione.2
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2. Schema di rappresentazione delle varie tipologie di ombre.
3. Spiegazione della causa dell’origine penombra.
Come si può notare da questa definizione, estrapolata dal celebre vocabolario della lingua italiana, la parola ombra ha una sua forma espressiva, è poliedrica, difficile da fissare e definire concretamente. Quando si ha il compito di descrivere una scena in tutti i suoi dettagli, le ombre non vengono mai menzionate, quasi a non avere rilevanza nella struttura complessiva della narrazione. Eppure un’ombra può essere talmente importante da individuare la presenza di oggetti laddove questi non sono visibili perché nascosti da altri più grandi. Quando si parla di ombre ognuno di noi pensa a ‘qualcosa’ di colore grigio adagiato a terra, la sagoma piatta che ripropone la forma e i movimenti dell’essere animato che la produce. Nelle arti create dall’uomo quali: scultura, pittura, incisione, fotografia, cinema, …, l’ombra viene nominata in vari modi anche per indicare lo stesso effetto, questo proliferare di denominazioni dipende dal modo in cui l’artista osserva l’oggetto, e con esso anche la sua ombra. Se prendiamo una pallina e puntiamo su di essa una luce, vengono a formarsi più tipologie di ombre, classificate e denominate in questo modo: l’ombra in senso stretto, ovvero la sagome proiettata sul piano dalla pallina, viene chiamata ombra portata, molto semplicemente conosciuta come silhouette; la parte non illuminata della pallina, la semi sfera rivolta verso l’ombra portata, viene chiamata ombra
propria, indicata dai pittori come ombraggiatura; le linee, sia nel caso dell’ombra portata che in quello dell’ombra propria, che dividono la luce dall’ombra, vengono indicate come linee d’ombra; l’ultima ombra, la zona d’ombra, è tutto lo spazio che non riceve l’illuminazione, in questo caso è il cono tronco, avente per base maggiore ha l’ombra portata e per base minore l’ombra propria. La rappresentazione qui indicata, mostra una situazione particolare dove la sorgente luminosa è un punto, cosa che nel quotidiano non succede frequentemente. Nella realtà il fenomeno è assai più complesso dato che la maggior parte delle sorgenti luminose non è mai puntiforme. Le sorgenti luminose che incontriamo tutti i giorni come: il sole, una lampadina, una lanterna, una candela, …, vengono considerate, da chi studia le ombre, come la somma di più sorgenti puntiformi, dove ognuna proietta un’ombra leggermente spostata rispetto all’ombra proiettata dalle altre. Di fatto, quell’effetto di penombra che si crea sulla silhouette dell’oggetto osservato, è causato dalla sovrapposizione delle linee d’ombra di tutti i punti luce compresi dalle fonti luminose. In questo caso l’ombra viene indicata come quella porzione di superficie dove nessuno dei punti luce illumina il piano, mentre la penombra delimita quella porzione di superficie interessata dall’azione di alcuni punti luce che compongono l’insieme delle sorgenti luminose.
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Ombreggiatura L’ombreggiatura, o ombra propria, è una caratteristica dell’ombra da non sottovalutare. Nelle rappresentazioni scultoree o pittoriche, l’ombreggiatura è fondamentale per dare quella veridicità alle immagini dipinte, creando un effetto di profondità degli oggetti. In natura essere notati da altri non è sempre un vantaggio specialmente per gli animali selvatici. Una delle tecniche utilizzate dagli animali per rendersi invisibili, è quella di nascondere la propria ombra, per esempio, la farfalla in posizione di riposo orienta le ali ripiegate nella direzione della fonte luminosa, in modo da proiettare un’ombra sottilissima e non tradire l’insetto ne per la forma ne per le dimensioni. Altro metodo di mimetismo, è quello di confondersi con l’ambiente che lo circonda, nascondendo l’ombra propria e contrastandola con l’effetto di ombreggiatura inverso. Quando un oggetto è colpito da una sorgente luminosa, alcune parti di questo sono più o meno illuminate di altre, risultando così di colore più o meno chiaro. Il rapporto fra luce e ombra dipende dalla struttura tridimensionale dell’oggetto, ed è in grado di creare una forte impressione di profondità in rappresentazione bidimensionale. Questo è un problema per gli animali (mammiferi, insetti, pesci, ecc.), i cui sforzi per nascondersi, rimanendo immobili o adottando un colore simile
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a quello del proprio sfondo, vengono vanificati dai differenti chiarori creati dalla luce che li illumina, rivelandone la presenza. La soluzione adottata, indipendentemente dalla specie, è quella di compensare il gradiente di chiarezza generato della luce con un contro-gradiente. Moltissimi animali hanno una colorazione più scura nella zona superiore del corpo (quali testa e dorso), e più chiara nella zona inferiore (quali gola e pancia). Quando un animale si trova all’aperto, la luce del sole rende la parte superiore del corpo più chiara di quella inferiore, all’avvicinarsi di un pericolo si immobilizzano, e coloro i quali hanno questa particolare colorazione per difendersi, esibiscono una sorta di contro-ombreggiatura, annullando la differenza di chiarezza provocata dalla luce, rendendo l’animale piatto e privo di corporeità, quindi meno visibile ad eventuali predatori. Non solo i predatori vengono ingannati dall’ombreggiatura, ma anche l’uomo. L’occhio umano, che osserva un oggetto isolato da una certa distanza, può essere depistato e percepito come un oggetto tanto concavo quanto convesso, ciò dipende dall’ombra propria riportata dall’oggetto e quindi da dove è posizionata la fonte luminosa. Studiosi della percezione, hanno notato come il posizionamento di una fonte luminosa possa cambiare la percezione di un oggetto (fig. 5). Quando un oggetto è illuminato dall’alto, quindi
4. Sopra. Esempio di una controombreggiatura in un leopardo, colorazione più scura nella zona superiore del corpo (quali testa e dorso), e più chiara nella zona inferiore (quali gola e pancia).
5. Sotto. Quando un oggetto è illuminato dall’alto, quindi con un’ombra propria in basso, compare come se fosse convesso, mentre quando viene illuminato dal basso, quindi con un’ombra propria nella parte alta, compare come concavo. Autore Pascal Mamassian.
con un’ombra propria in basso, compare come se fosse convesso, mentre quando viene illuminato dal basso, quindi con un’ombra propria nella parte alta, compare come concavo. Da notare che le due immagini non hanno subito trasformazioni, ma solamente una rotazione di di 180°. La spiegazione che ci si da a questo particolare fenomeno è causata dalla particolare illuminazione del sole. Il sole illumina sempre dall’alto verso il basso, mai viceversa, e quindi per una sedimentazione millenaria, l’uomo percepisce oggetti illuminati come convessi e non concavi.
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OMBRE IN MOVIMENTO E IMMOBILI Storia dell’illuminazione Gli antropologi hanno supposto che le prime luci artificiali siano state le fiamme di un fuoco, in genere non venivano utilizzate come sorgenti luminose, ma per il riscaldamento, la protezione da bestie feroci, e la cottura del cibo. I più antichi artefatti luminosi, sono datati 400.000 anni, e consistevano di: pietre, corni e conchiglie riempite con del grasso animale o olio vegetale, con uno stoppino di fibra vegetale come il muschio. Nel 1847, lo scozzese James Young realizzò il primo olio di paraffina. In meno di un secolo, la lampada ad olio si trasformò da sorgente luminosa primitiva in una di luce efficiente. La disponibilità di un combustibile economico contribuì alla diffusione di tali lampade in tutti i livelli della società. La prima esperienza con il gas, impegnato per la produzione di luce, fu effettuata dal tedesco J. Minckelers nel 1783, con una sistema a gas di carbone. Tra il 1840 e il 1854, numerosi ricercatori condussero esperimenti con la luce elettrica ad incandescenza. Nel 1879, il 21 ottobre, Thomas Alva Edison usò un filamento di cotone carbonizzato, con il quale accese con successo una lampada che funzionò per 40 ore. Dopo alcuni anni si scoprì che il tungsteno aveva
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proprietà più favorevoli del cotone carbonizzato, in termini di durata ed efficienza. La produzione commerciale delle lampade a filamento di tungsteno iniziò nel 1907. Con lo svilupparsi di nuovi metodi e tecniche d’illuminazione pubblica e privata, si è riusciti ad avere maggiore illuminazione, riducendo i punti luce utilizzati. Con questa rivoluzione il diciannovesimo secolo ha dato forma a una nuova percezione della notte, grazie all’incandescenza di un filamento metallico, creando delle ombre mai percepite prima, ombre statiche. Sino a pochi secoli fa, le ombre erano riconosciute come sagome di oggetti o persone in movimento, nessuna ombra era mai stata veramente fissa, questo perché le varie fonti luminose prima dell’illuminazione elettrica non erano statiche. Un semplice spostamento dell’aria e il consumarsi della fonte, faceva vibrare la fiammella di una candele, muovere la fiamma di una torcia. Il sole è in constante movimento, bastano pochi minuti per far spostare l’ombra di un edificio o di un paesaggio, per questo alcune tecniche di pittura, lente e sedimentarie, impegnavano l’artista in molti sforzi per riprodurre un oggetto o un paesaggio illuminato dal sole.
6. Sopra. Primi esempi di lampadine elettriche realizzate da Thomas Edison nel 1880. 7. Sotto. Illustrazione brevetto lampadina di Thomas Edison, 1880.
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L’ombra è fantasia In tutte le culture le ombre hanno sempre destato un particolare interesse, imbastendo intorno ad esse: magia, tabù, credenze, storie e riti. Tra occidente e oriente la percezione dell’ombra è differente, conclusioni tratte da alcuni antropologi, dopo numerosi studi fatti tra i vari continenti. Nella cultura occidentale l’ombra viene vissuta oggettivamente, priva di interpretazioni magiche o mistiche; contrariamente alle culture orientali, dove l’ombra appare come parte fondamentale della vita di una persona, è dotata di vita propria e rappresenta l’anima di chi la porta. L’antropologo James Frazer (1854 - 1941) in uno dei suoi testi 3, esamina queste credenze, portandone alla luce alcune molto interessanti per la loro struttura. Nelle isole Wetar si narra che un colpo arrecato all’ombra, può far ammalare la persona “proprietaria”; nelle isole Banks non si deve far cadere l’ombra in alcuni pietroni del malaugurio, altrimenti questa verrà mangiata; in Cina non si deve far scivolare la propria ombra all’interno di una bara aperta o una fossa mortuaria (per questo i becchini per maggior sicurezza si legano la propria ombra alla vita con un nastro). In alcune racconti, l’ombra diventa parte vitale della persona e quindi protetta, altra culture ne fanno una fenomeno psichico, mentre in altri casi l’ombra da un oggetto passivo si trasforma in attivo, esempio ne è ciò che si narra in Australia, dove se l’ombra della suocera vi sfiora mentre dormite, vi ammalarete
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gravemente. Varie sono le storie raccontate in Africa, per esempio, gli Yotuba considerano l’ombra connessa direttamente alla persona attraverso l’anima, se qualcuno vuole fare del male a un altro è necessario fare il “malocchio” all’ombra della persona. Per gli Ewe si pensa che nella nascita di una persona vengano a fondersi tre elementi essenziali: anima, spirito e ombra. Per la popolazioni Songhays l’ombra viaggia durante il sonno, in questo modo si spiegano i sogni; per gli Zulu invece l’accorciarsi dell’ombra indica la fine della vita, l’avvicinarsi alla morte; per gli Tukaitawa i momenti migliori per un combattimento si verificano quando l’ombra è più lunga. Anche la cultura occidentale dell’ombra occupa un posto importante, con le sue caratteristiche magiche, fuori dal normale, prendendo spazio nella letteratura. Molti scrittori si sono immedesimati, o accompagnati da ombre, per comporre racconti, scrivere romanzi dove l’ombra ha un ruolo importante: come Adelbert von Chamisso del 1814 nel libro «Storia straordinaria di Peter Schlemihl» (in tedesco Peter Schlemihls wundersame Geschichte), dove il protagonista Peter Schlemihl vende l’anima al diavolo. Le immagini eseguite da tre famosi illustratori del tempo per descrivere questo romanzo sono di: George Cruikshank, per la prima edizione del romanzo, Londra 1827; Adolf Schrodter, per la
8. Alto. Illustrazioni di Georg Cruikshank. Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio sfila l’ombra a Peter Schlemihl, senza che questo lo guardi.
9. Centro. Illustrazioni di Georg Cruikshank, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio offre a Peter Schlemihl la sua ombra in cambio della sua anima.
10. Basso. Illustrazioni di Georg Cruikshank. Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. Il giovane ragazzo scambia la sua ombra con la sua unima.
prima edizione completa del autore Adelbert von Chamisso, Lipsia 1836; Adolfo Menzel, edizione Norinberga 1839. Nella prima illustrazione di George Cruikshank, possiamo notare come Peter Schlemihls, il protagonista del romanzo, ci da le spalle come se non volesse vedere quello che sta accadendo (fig. 8) , altra cosa interessante è la similitudine che c’è tra il diavolo e l’ombra del protagonista, come se i due fossero fatti della stessa sostanza. Se leggiamo alcune righe del romanzo, quelle dove viene descritta questa scena e confrontiamo l’illustrazione troveremo delle piccole incongruenze: Mi precipitai a tendergli la mano: “D’accordo! affare fatto; datemi la borsa l’ombra è vostra”. Accettò e subito si in inocchio davanti a me e, sotto i miei occhi, con abilità senza pari, staccò delicatamente la mia ombra dall’erba, dalla testa ai piedi, la sollevò, l’arrotolò e alla fine se la mise in tasca.4 Nel romanzo si dice che il diavolo comincia dalla testa e prosegue fino ai piedi, mentre nell’illustrazione è il contrario, buona domanda è chiedersi il perché di questa reinterpretazione. L’interrogativo si fa molto più interessante quando Cruikshank, una decina di anni più tardi, ricostruirà la scena però seguendo alla lettere il testo, facendo vedere che il diavolo arrotola l’ombra sotto gli occhi di Peter. Menzel nella sua illustrazione del libro, nel
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1836, opta per una interpretazione personale del testo: il diavolo stacca l’ombra davanti agli occhi del protagonista, ma comincia dai piedi (fig. 12). Anzi, egli si spinge oltre a quello descritto precedentemente perché il diavolo regge con tutte e due le mani i piedi dell’ombra. La scelta fatta dagli illustratori è una scelta che si propone di visualizzare la perdita dell’ombra come perdita del “principio di realtà”. Il principio di realtà riguarda il corpo del protagonista, il suo peso, il suo contatto con la terra. Il punto di “sutura” tra l’ombra e il suo possessore si trova al livello dei piedi, gli illustratori considerano che ogni operazione di distacco debba iniziare da lì. La seconda scena importante è quella in cui il diavolo si mostra disponibile a restituire l’ombra al protagonista, in cambio della sua anima. In questa illustrazione si può notare come Schlemihls stia levitando, mentre il diavolo è radicato al suolo grazie al fatto eccezionale di possedere - come scritto nel romanzo - due ombre. La seconda ombra è una sagoma filiforme priva di segni personalizzanti, ma è proprio l’ombra di Peter perché sembra riconoscere il suo padrone, e
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manifestare il desiderio di ornarlo e appartenergli. Nel disegno eseguito (fig. 9) si può notare come le due ombre a terra creino un rettangolo, dove i due personaggi formano una diagonale. L’ultima illustrazione, è quella in cui il protagonista ha perso l’ombra, ma riesce a salvare l’anima. ruikshank lo rappresenta senz’ombra e leggero, come se fosse privo di peso, mentre sorvola i mari e salta da una cima di una montagna all’altra. Come ad indicare che solo alla presenza dell’ombra la forza di gravita ha il sopravvento su di noi, che sia l’ombra a tenerci ben piantati a terra. Altro romanzo scritto nel 1904 da James Barrie fu «Peter Pan», dove questo ragazzo aveva perso la propria ombra a Casa Darling, e Wendy la conservava in un cassetto. La realizzazione di questo personaggio non fu immediata. In effetti, alle origini era un folletto che comparve per la prima volta nel 1902 nella novella “l’uccellino bianco” (The Little White Bird), sempre di Barrie James, che vedeva come protagonista della vicenda narrata un bambino immaginario circondato da fantastici amici volanti, mostri, indiani, e paurosi animali. Il personaggio venne ispirato a Barrie da un
gruppo di ragazzini conosciuti durante le passeggiate attraverso i viali dei giardini londinesi di Kensington. Come si può vedere da alcuni fogrammi del film della Walt Disney5 del 1953, Wendy restituisce l’ombra a Peter Pan (fig. 13), ma questa non si “incolla” immediatamente al ragazzo e deve essere cucita. La cosa interessante è che la ragazza cuce l’ombra sul ragazzo solamente nei piedi, indicando che il contatto tra ombra e persona avviene solamente attraverso i piedi. Oltre a essere stata rappresentata e descritta in diversi romanzi l’ombra viene rappresentata anche in teatro con un’opera La donna senz’ombra (Die Frau ohne Schatten). Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss sono i due, drammaturgo il primo compositore il secondo, che hanno creato questa opera. Venne composta tra gli anni 1913-1915, fu rappresentata solamente dopo quattro anni, 1919. La storia narra che la figlia del re degli spiriti, re Keikobad, è sterile, l’ombra agognata, conquistata dopo complicate vicissitudini, ne indica la fecondità.
11. Pagina a fianco, sinistra. Illustrazioni di Adolf Schrodter, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio sfila l’ombra del giovane.
13. Sopra. Alcuni fotogrammi del film, “Le avventure di Peter Pan”. Al scena rappresentata è quella in cui Wendy cuce l’ombra ai piedi di Peter Pan.
12. Pagina a fianco destra. Illustrazioni di Adolfo Menzel, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio si impadronisce dell’ombra di Peter Schlemihl.
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Narciso Che cosa è successo quando Narciso si è riflesso sullo specchio dell’acqua? Si è innamorato della sua immagine o della sua ombra? Altra storia scritta e narrata è la figura mitologica di Narciso figlio di Cefiso, divinità fluviale. Rileggendo alcune righe dell’opera di Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, si può comprendere quello che accade: E mentre cerca di soddisfare la sete, gliene cresce un’altra dentro. Beve e vede il riflesso della sua bella persona nell’acqua: ne è preso e si innamora di un’illusione che non ha corpo, pensando che sia corpo quello che non è altro che onda. È stupito e attratto da se stesso e resta immobile senza batter ciglio come una statua di marmo pario. Steso a terra contempla il suo gemello, i suoi occhi, due stelle, la chioma che sarebbe degna di Bacco e perfino di Apollo, le guance imberbi, il collo d’avorio, la nobiltà del volto col suo colore bianco e rosa: insomma ammira tutti quei particolari che rendono lui stesso degno di ammirazione. Senza saperlo si innamora di sé e si applaude; è contemporaneamente soggetto e oggetto del desiderio, accende il fuoco e ne è arso... Quante volte immerge nell’acqua le braccia per cingere quel collo che gli appare: ma non riesce ad allacciarlo. Non sa chi sia quello che vede, ma brucia per lui ed è quella falsa immagine che eccita i suoi occhi. Ingenuo, perché ti affanni a cercar di afferrare un’ombra che ti sfugge? Non esiste quello che cerchi! Voltati e
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perderai chi ami! Quello che vedi non è che l’ombra della tua immagine: non ha alcuna consistenza. E viene con te, resta con te, se ne andrà con te.6 Il giovane s’innamora della propria bellezza o più esattamente della forma della propria immagine. Nella contemplazione di sé stesso Narciso osserva quel riflesso come se stesse ad osservare un’opera d’arte, una scultura. La parola “ombra” usata dall’autore, nel testo appena riportato, sta a significare che quello che il giovane vede riflesso non è chiaro, racchiudendo in una sola parola un elenco di descrizioni incerte quasi a sfiorare quell’effetto poco chiaro, di oscurità irreale. Gli illustratori che nel tempo si sono impegnati a rappresentare questa storia hanno tralasciato la forma dell’ombra, perché indicata come sola metafora nella storia. In un’illustrazione (fig. 14), l’ombra viene inserita come parte narrante della storia. Si tratta di una incisione eseguita da Antonio Tempesta del 1606, dove Narciso si avvicina a una fonte per bere. Il riflesso che il giovane vede non ci è concesso di osservare, ma è possibile intuirlo seguendo l’ombra proiettata da Narciso sui bordi della fonte. L’ombra svanisce nel punto in cui si dovrebbe trasformare in immagine. È importante specificare che questa illustrazione va a rappresentare la prima parte del racconto dove il bel ragazzo non era stato ancora condannato da
14. Antonio Tempesta, Narciso alla fonte, illustrazione per Ovidio, Metamorfosi, 1606, Tav.28, incisione, 97x115cm, london, British Library
Nemesi, ad innamorarsi della sua immagine riflessa nell’acqua. Quindi lui non sa ancora che ciò che vede è se stesso, e l’ombra crea quel margine di dubbio ipotizzando che sia un altro. La prima parte della storia è riflessiva, la seconda è dinamica. Il piacere della vista non riesce a trasformarsi nel piacere dell’abbraccio: Sono innamorato e vedo l’oggetto del mio amore, ma non riesco ad afferrarlo: fino a tal punto l’amore mi lusinga e mi confonde! E per maggior disappunto, non è l’immenso mare a separarci, né un lungo cammino, né i monti, né le porte sbarrate di una cinta di mura, bensì solo poca acqua. Anche lui desidera il mio abbraccio! Tutte le volte che mi sporgo per dare alla limpida corrente, lui si sforza di raggiungermi, con la bocca rivolta verso la mia: si direbbe ch’io possa toccarlo. È un nulla che si frappone al nostro amore! Fanciullo, chiunque tu sia, esci fuori e vieni qui! Perché mi eludi, mio unico amore, e dove te ne fuggi quando io ti desidero? Non è certo il mio aspetto, non la mia età a farti fuggire: altrimenti le ninfe non mi avrebbero amato. Il tuo volto amichevole mi induce a ben sperare a quando io tendo le braccia lo fai anche tu spontaneamente; quando sorrido mi ricambi il
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sorriso: spesso ti ho visto anche piangere quando io piangevo e così ti ho visto anche rispondere a cenni. Addirittura, per quanto posso capire dal movimento delle tue labbra, mi rimandi delle parole: ma queste non giungono al mio orecchio. Ma allora è chiaro! Quello che amo sono io stesso ! Non mi inganna più la mia immagine! Brucio d’amore per me stesso e non io ad accendere il fuoco che mi divora, e adesso che devo fare? 7 Questo per descrivere che nella vita, la realtà è identificata spesso nelle sensazioni che suscita il tatto, in questo caso negata dall’impossibilità, anche solo di sfiorarsi, dei due. La vana ricerca di un contatto fisico sfocia in un dramma, nel momento in cui il protagonista realizza finalmente lo stato dello specchio. L’immagine non lo inganna, non è più un’ombra, non è più altro, ma lui stesso, “questo sono io”. In
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questa parte di testo si può notare come esista un gioco delle parti tra ombra e immagine riflessa, dove i due termini giocavano a intercambiarsi vicendevolmente. La realizzazione di giochi di incomprensione tra ombra e riflesso non è semplice e intuitiva, nel costruire un’immagine pittorica come è stato fatto nella storia di Narciso. Uno di questi esempi, al limite della traduzione del mito di Narciso, è una nota pubblicità per un profumo.In questa immagine si vede un uomo che appena uscito dal bagno tenta di lottare con la propria ombra per il possesso di una flacone del profumo. Il moderno Narciso (Egoiste, titolo che prende l’intera campagna pubblicitaria) è geloso della propria ombra. La quale è un gigantesco “altro” in grado di rubargli l’oggetto del piacere quale arma di seduzione, rappresentato dal profumo. Il contatto al suolo tra il giovane e l’ombra ne
15. Pagina a fianco. Manifesto pubblicitario di Chanel perfume Egoiste ‘Platinum’, 1994
15a. Sopra. Sequenza fotogrammi spot Chanel perfume Egoiste ‘Platinum’, 1994
suggeriscono la reciproca appartenenza, mentre l’atteggiamento dinamico tra i due, rappresentato con la lotta, ne consegue la rivalità. Si nota subito che il ragazzo, un istante prima, si trovava in una situazione di narcisismo, di autocompiacimento. Appena uscito dalla doccia e passato di fronte allo specchio, il suo riflesso, si trasforma in una minacciosa macchia nera che lo insegue per possedere l’oggetto di seduzione. In breve, l’ombra e il riflesso dello specchio qui assumono lo stesso significato. Il pubblicitario che progettò questa campagna (fig. 15) con molta abilità trasformò il riflesso in ombra, essendo cosciente che un riflesso ha sempre bisogno di una superficie specchiante, mentre un ombra è quasi sempre presente. Altro aspetto da considerare è il momento in cui viene fissato il racconto, l’uscita da un bagno dopo una doccia, momento della giornata dedicato alla nostra vanità.
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All’ombra di una metafora Ogni diceria, o leggenda legata all’ombra, possiede una parte razionale e una parte fantastica, molte volte la nostra razionalità scompare, dando a questi racconti una forza magica, quasi divina, se si leggono correttamente i sui segni si riesce a vedere nel futuro. Per esempio, alcune credenze dicono che i morti non hanno ombra, questo è vero, ma per un semplice motivo, essendo stesi sono in contatto diretta con il suolo e pertanto non proiettano ombra. Altra credenza è quella che gli ammalati hanno una piccola e debole ombra quando si avvicinano alla morte; questo può essere spiegato nella comune abitudine all’essere stesi a letto, la loro ombra è minima come i movimenti che fanno. Le ombre entrano a far parte del nostro linguaggio comune, aiutandoci ad esprimerci. Nella lingua italiana come in altre lingue, l’immagine dell’ombra è presente, esprimendo e arricchendo vari significati o concetti quotidiani di discussione. Le ombre nel linguaggio parlato assumono varie forme, possono essere oscure, possono proteggere, possono nascondere, possono dominare. Queste sono alcune delle espressioni usate: tramare nell’ombra, per indicare un complotto all’oscuro di
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tutti; tenersi nell’ombra, per indicare qualcuno che vuole nascondersi o non essere coinvolto; tutto è ancora avvolto nell’ombra del mistero, per esprimere una situazione difficile da spiegare perché poco chiara; fare uscire qualcuno dall’ombra, per indicare l’uscita allo scoperto di una persona; basta che vi sia l’ombra della legalità, per indicare un’azione seguita da qualcosa, in questo caso la legalità; nascondersi all’ombra di qualcuno, per indicare una persona che si nasconde; senz’ombra di dubbio, per indicare che non ci sono dubbi sull’accaduto; l’ha fatto senz’ombra di malizia, per indicare che l’accaduto non era intenzionale; aver paura della propria ombra, per indicare una persona che ha paura di qualsiasi cosa; ridursi a un’ombra oppure essere l’ombra di se stesso, indicando una persona che è dimagrita eccessivamente. Altra espressione dell’ombra la si usa per descrivere una persona che sta perdendo parzialmente la vista, si dice vedo delle ombre o è mezzo ceco e vede solo delle ombre, in questo caso la persona non vede realmente delle ombre ma vede delle macchie di colore indefinite, che vengono interpretate come ombre.
Interpretazioni Come ogni civiltà che utilizza un diverso codice linguistico per comunicare, l’interpretazione di ciò che è l’ombra, o quello che rappresenta, cambia da idioma a idioma. Questa differenza la si incontra anche con il linguaggio dei segni, per esempio la parola ombra viene mimata nello stesso modo con cui si indica una macchia nera. Impossibile prendere in considerazione tutte le lingue, ma è utile fare dei piccoli confronti per indicare come da un paese all’altro queste interpretazioni possono cambiare. Prendendo in considerazione la lingua Inglese, e quella Tedesca, per indicare l’ombra si scrive Shadow e Schatten, derivanti dalla radice del greco antico Skot- che sta a significare oscurità. La grammatica inglese, per esprimere la possibile azione di un’ombra, utilizza due termini differenti, mentre nella lingua italiana non vengono usati due differenti termini, ma si fanno due usi distinti del termine ombra. In italiano quando ci si mette al riparo dal sole sotto un albero è possibile dire: all’ombra dell’albero o stare nell’ombra dell’albero.
In Inglese la questione è un po’ più semplice perché variano il termine che compone la frase, rispettivamente in the shade o in the shadow. La lingua inglese fa una netta distinzione tra i due esempi: nel primo primo caso è un oggetto indistinto dall’ombra, mentre nel secondo caso è un oggetto definito. Come accade nel linguaggio comune italiano, che l’ombra viene usata per fare dei paragoni o degli esempi per esprimere una situazione estrema, anche nelle altre lingue il meccanismo si ripete. Per esempio in Germania per indicare una situazione impossibile si dice: “saltare sulla propria ombra”, mentre in inglese, “I have a shadow”, sta ad indicare che qualcuno li sta pedinando o inseguendo.
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L’ARTE DELL’OMBRA
“Le origini della pittura derivano da un’ombra”, questo è quello che Murillo esprime con un quadro intitolato ‘L’origine della pittura’, fu dipinto quando il pittore spagnolo venne nominato, nel 1660, mayordomo dell’accademia di pittura di Siviglia. In questo quadro viene rappresentata una scena dove un gruppo di uomini si ritrova di fronte a un muro nell’ora del crepuscolo, proprio quando il sole distende le ombre, due di loro proiettano le proprie ombre su questo muro, e uno di questi si trova nell’atto di tracciare con il proprio stilo una linea intorno all’ombra dell’altro. Le due ombre rappresentate indicano che l’artista ha compiuto un approfondito studio sulle ombre portate. Il quadro si divide in due parti: nella parte di destra l’artista e il modello, nella parte di sinistra degli spettatori. Tra questi quattro uomini, intenti ad osservare, si trova un giovane che sta raccontando agli altri quello che sta accadendo. Nell’estrema destra si nota uno scudo scritto “Tubo de la sombra / origen / la que admiras her / mosura / en la celebre pintura” (Dall’ombra ebbe / origine / la bellezza che tu ammiri / nella celebre pittura). Questa iscrizione la si deve leggere attentamente facendo caso alla contrapposizione tra ombra/ bellezza, quasi considerandola come una morale
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per gli allievi dell’accademia di Siviglia, suggerendo che la “bellezza”della pittura trae le proprie origini in ciò che è più povero, meno bello tra le cose rappresentate, l’ombra. Nella storia della pittura e del disegno, l’ombra ha sempre avuto difficoltà nell’essere rappresentata per la sua difficile percezione da parte degli artisti. Solo in alcune opere, è stata interpretata o inserita come soggetto principale della composizione, mentre nella stragrande maggioranza delle rappresentazioni è stata eliminata completamente. Varie sono state le risposte date a questo quesito. Una delle ragioni è l’interpretazione dell’ombra come un’immagine inquietante, nasconde pericolosi segreti ed è duplicazione di una immagine; altra ipotesi è stata fatta ricadere sul possibile disturbo che l’ombra può provocare all’interno di una composizione pittorica, ma forse la ragione della sua mancanza è molto più semplice, è la difficoltà di rendere reali le ombre.I pittori devono riuscire a calcolare la giusta quantità di chiaroscuro, di luci, per rendere una percezione dell’immagine naturale; sbagliare questo bilanciamento è molto semplice, di fatto chi è alla prime armi nel campo pittorico tende a scurire molto queste aree, creando della chiazze di colore scure, diventando per questo protagoniste della tela.
16. BartolomÊ Esteban Murillo, L’origine della pittura, 1660- 65, olio su tela, 115 x 169 cm, Bucarest, Muzeul National de Arta.
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Ombre impossibili Ma ditemi che sono li segni bui Di questo corpo, che laggiuso in terra8 Nella narrazione dei personaggi della Divina Commedia scritta da Dante Alighieri, si possono notare quali erano le tecniche di rappresentazione dell’ombra nel medioevo. Quasi tutti i personaggi sono esseri che Dante vede, anche se, come descritto, sono privi di corpo e quindi invisibili. Hanno l’apparenza di corpi, anime visibili, delle ombre, sono corpi sottili e diafani. Nel secondo canto del Purgatorio (II, 74-82), un’ombra gli si avvicina per abbracciarlo affettuosamente e il poeta tenta di contraccambiare il gesto, ma senza riuscirci. Le sue braccia incontrano il vuoto: ohi ombre vane, fuor che nell’aspetto! Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante mi torni con esse al petto.9 Questo passaggio riprende gli antichi concetti dell’ombra intesa come psyche/idolon, quale era stata formulata nell’antichità. Un altro riferimento all’idea di ombra compare nel terzo canto del Purgatorio (III, 16-30), quando Virgilio e Dante camminano affiancati l’uno all’altro dando le spalle al sole. Dante si accorge che Virgilio non creava nessuna ombra:
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La sol, che dietro fiammeggiava roggio, rotto m’era dinanzi alla figura, ch’eveva in me de’ suoi raggi l’appoggio. Io mi volsi da lato con paura d’essere abbandonato, quand’io vidi solo dinanzi a me la terra oscura. Così Virgilio spiegò questo fenomeno indicando che il suo corpo fisico (quello che avrebbe proiettato un’ombra: “lo corpo dentro al quale io facei ombra”), era sepolto altrove, mentre il corpo che Dante vedeva era diafano e lasciava passare i raggi del sole, negando la possibilità di formare l’ombra. Dante nella Divina Commedia esprime, con spirito poetico, che l’ombra prodotta per proiezione è legata alla vita: cosa che nel viaggio tra purgatorio, inferno e paradiso solo Dante ne possedeva una, mentre gli altri, come Virgilio, ne erano “fatti”. Nelle illustrazioni della Divina Commedia si può notare come le rappresentazioni siano spesso poco coerenti con ciò che Dante vede e narra. Un esempio lo abbiamo con Luca Signorelli dove dipinge nei primi anni del cinquecento, nel duomo di Orvieto, alcune illustrazioni che seguono il viaggio di Dante. Nel quadro dove viene rappresentato il V canto del Purgatorio le anime si accorgono con grande meraviglia che Dante non è uno di loro, perché portatore d’ombra. Come si può notare, nel quadro, l’ombra di Dante non riprende la forma del corpo.
17. Luca Signorelli, L’ombra di Dante, Orvieto, Cappella di San Brizio. “Quando s’accorse ch’i’ non dava loco/per l pio corpo al trapassar d’i raggi, /mutar lor canto in un ‘Oh’ longo e roco”(purgatorio, Verso 25-27). “... e vidile guardar per maraviglia/pur me, pur me, eèl lume ch’era rotto” (Purgatorio, Verso 8-9).
Se l’ombra proiettata a terra la si ricostruisce in verticale si può notare come questa rappresenti un simil uovo, con delle gambette squadrate. In questa rappresentazione Signorelli non disponeva di una teoria bel consolidata delle ombre, che gli indicasse come risolvere il problema. Osservando attentamente l’illustrazione si può notare che anche le anime, anche se in minima parte, producono una specie di ombra. L’autore dell’illustrazione è molto attento allo spazio che occupano i vari personaggi della scena. Per spiegare questa piccola ombra dobbiamo fare riferimento alla rappresentazione (fig. 17), se un oggetto non proietta un’ombra in una superficie, è impossibile indicare qual’è la distanza dell’oggetto dalla superficie, mentre se un oggetto proietta anche in minima parte un’ombra su una superficie, si capisce se questo è a contatto con la superficie, o se si discosta. Per questo nell’illustrazione del V canto del Purgatorio Signorelli ha voluto disegnare anche nei morti una sottile ombra. Di errori nella storia della pittura occidentale, come quello appena citato nell’illustrazione del V canto, ne abbiamo diversi. Possiamo citare come rappresentazione errata delle ombre un’opera di Filippo Lippi (1406-1469) dal titolo Natività (fig. 18), la troviamo nel duomo di Spoleto. Il quadro rappresenta un edificio in rovina dove alla base è ospitata la mangiatoia; nelle due pareti che rimangono dell’edificio sporgono quattro
travi. Nella parete frontale si nota una trave, la quale proietta un’ombra corta che scende da sinistra a destra; sul muro di destra ci sono altri tre travetti, anche loro proiettano un’ombra corta sempre estesa da sinistra a destra rispetto all’osservatore. Se ci chiediamo dove possa essere situata la sorgente luminosa, per creare quelle ombre, ci accorgiamo di una sottile incongruenza. La direzione delle ombre sul muro di destra richiede che la sorgente sia situata al di là dell’edificio, perché come si può notare le ombre vengono verso di noi, mentre l’ombra creata dalla trave sulla parete frontale richiederebbe un’illuminazione al di qua del muro, altrimenti non potrebbe crearsi un’ombra. A prima vista non è evidente che ci sia qualcosa di strano nell’orientamento delle ombre. Una motivazione di questa svista è l’elevata distanza tra i due gruppi di ombre e quindi una difficile comparazione di coerenza; altra motivazione potrebbe essere legata al fatto che tutte le ombre sono orientate con la stessa direzione, così non si fa troppo caso all’orientamento della fonte luminosa. Altra opera importante nella storia della pittura, dove l’ombra è al centro della narrazione, è un quadro dipinto da Masaccio nel 1426-27 dal titolo San Pietro risana gli infermi (fig. 19). Fa parte di un ciclo di opere che descrivono la vita del Santo, dove l’ispirazione per l’opera viene presa da un passo degli atti degli apostoli (5, 12-16), nel quale viene narrato che al
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18. Natività di Filippo Lippi, le ombre proiettate dai paletti sono incoerenti: non esistono una sorgente di luce che possa proiettarle. Tuttavia la scena non sembra inverosimile: la percezione accetta buona parte di ciò che il pensiero trova scorretto.
passaggio di San Pietro, nella città di Gerusalemme, gli ammalati si inchinavano per strada, sperando che l’ombra del santo toccasse la loro, per essere guariti dalle malattie. Masaccio nella rappresentare di questa scena ha dovuto risolvere un problema di narrazione, perché l’arte pittorica non consente di rappresentare un racconto interattivo, ma solo la stasi di un’azione. La bravura dell’artista è stata quella di rappresentare un testo che descrive una sequenza fuori da una temporalità precisa, in una scena che si svolge sotto gli occhi di chi guarda. Basandosi sul testo sacro, e usufruendo della consulenza di un teologo, come voleva la consuetudine, Masaccio volle rendere quella scena più interessante, aggiungendo dei particolari importanti. Nel quadro si vede Pietro in compagnia di Giovanni e di altri due personaggi, non ancora riconosciuti, mentre avanzano per una strada dove
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ai lati si trovano dei malati ,che aspettano chini la loro guarigione. Il miracolo viene narrato con molta semplicità: laddove Pietro è già passato due degli infermi sono già in piedi, uno è appoggiato al bastone e l’altro lo ringrazia con le mani congiunte. Il terzo ammalato implora la grazia miracolosa, che sembra averlo già raggiunto. In questo momento l’ombra di Pietro è a terra un attimo prima di coprire l’ultimo infermo che, steso a terra, ha la speranza di potersi rialzare e poi camminare. Per rendere questa scena così funzionale, per quanto riguarda la narrazione, Masaccio ha utilizzato la prospettiva attraverso la profondità dello spazio, creata grazie alla fuga prospettica degli edifici nel lato sinistro del quadro, e con l’avanzamento dal fondo della scena verso il primo piano dei personaggi, che segnano un effetto di tridimensionalità.
19. Masaccio, San Pietro risana gli infermi con la propria ombra, 1426-27, affresco, 230x162 cm, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci
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Arte moderna Facendo un balzo in avanti, nella storia dell’arte, per individuare gli artisti più significativi che hanno voluto reinterpretare l’ombra e i suoi significati, ci inoltriamo nei primi del ‘900 incontrando Claude Monet, Pablo Picasso, Giorgio De Chirico e Warhol. Nei primi del ‘900 chi fa uso improprio dell’ombra è Monet. Non abbiamo a che fare con un quadro, ma con una fotografia realizzata da Claude Monet verso la fine della sua vita nel 1905. Si tratta di una vista di insieme della vasca delle ninfee di Ginerny, dal ponte giapponese che ne decorava il giardino. Sulla superficie dell’acqua, nella parte inferiore della fotografia, possiamo distinguere la sagoma di Monet, poco si sa di come è stata pensata e realizzata questa immagine, ma molti dei critici di oggi, come di allora, concordano nel dire che si tratta di un tardo autoritratto dell’artista. Questa immagine acquista valore e significato in considerazione dei pochi ritratti che Monet ha lascito dopo la sua morte. Per comprendere meglio il valore di questa immagine e lo spirito con cui l’autore l’ha realizzata, dobbiamo descrivere il contesto dell’ultima fase estetica dell’autore: nel 1893 Monet lavorò alla ristrutturazione del proprio giardino di Ginerny, in particolare facendovi scavare la vasca delle ninfee, nel 1909 egli espone presso il DurandRuel quarantotto tele con il titolo di Ninfee. Serie di Paesaggi d’acqua.
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Sappiate che sono assorbito dal mio lavoro. I paesaggi d’acqua e di riflessi sono diventati un’ossessione. Vanno oltre la mia forza di uomo anziano, e tuttavia voglio rendere quello che sento. Ne ho distrutti [...] Ne ricominciati [...] e spero che da tanti sforzi venga fuori qualcosa [...] 11 Si può senza alcun dubbio, come è già stato fatto dalla critica, scoprire in questa immagine delle allusioni al mito di Narciso e dei riferimenti a quella che è l’origine della pittura. Come descritto precedentemente, le prime illustrazioni del mito di Narciso, riportano che il giovane si specchiava alla fonte dove il riflesso della propria immagine coincideva con il disegno della propria ombra. In questa fotografia, Monet, sceglie di riflettersi sulla superficie dell’acqua presentandosi come un’ombra, un atto d’amore verso il suo mondo simbolico. Altro artista rappresentativo dell’ombra, nelle sue opere, è Pablo Picasso, nel periodo cubista. Picasso definiva il Cubismo il risultato di una costruzione formale, da più punti di vista, della “imitazione della forma materica di oggetti visti di fronte, di profilo, dall’alto” (inserire la fonte in nota). In questo contesto la visuale di profilo diventa uno degli aspetti del reale che consentono, sulla base di combinazioni, di scindere la rappresentazione classica. Picasso fissa all’interno del pensiero cubista
20. Sinistra. Pablo Picasso, Ragazza triste, 10 giugno 1939, olio su tela, 92 x 60 cm, collezione privata
21. Destra. Claude Monet, L’ombra di Monet nello stagno delle ninfee, 1905, fotografia, Parigi, collezione Philippe Piguet.
un’equivalenza di principio tra ombra e profilo. Seguendo queste regole Picasso realizzò il quadro dal titolo La ragazza triste (fig. 20) del 1939, dove sviluppati i tre diversi punti di vista: la sedia su cui la ragazzina è seduta è vista dall’alto, l’ovale del viso visto di fronte, mentre le altre parti del volto e il naso sono resi di profilo. Quest’ultima parte che è in ombra, è inclinata verso la parte del viso illuminata, che si presenta frontalmente, come se il viso avesse proiettato su se stesso la propria ombra. Con questo quadro, Picasso, sviluppa un procedimento assolutamente senza precedenti in tutta la tradizione figurativa dell’ottocento, utilizzando l’ombra non più come mezzo per comporre dei volumi ma come strumento per scomporli. In altri due quadri Picasso esprime la presenza dell’ombra come protagonista L’ombra sulla donna e L’ombra, dipinti eseguiti nello stesso giorno (il 29 dicembre 1953) a Vallauris. Nell’Ombra sulla donna, sembra che uno spettro lasci lo spazio dello spettatore ed entri in quello dell’immagine, una forma verticale minacciosa
va a sovrapporsi a un corpo disteso. Attraverso gli occhi invisibili di questo spettro, lo spettatore viola l’intimità del riposo, trasformando l’interno di questa stanza in una scena ad alto potenziale erotico. Dove l’ombra tocca il corpo nudo viene a prodursi una sorta di momentanea incandescenza, di alterazione nello statuto cromatico della forma umana. Interessante notare che non è l’occhio dell’intruso a far arrossire la carne della donna, ma la sovrapposizione dell’ombra. Nel secondo quadro intitolato solamente L’ombra, Picasso va ad esprimere il piacere del voyeurismo, è quindi il risultato di una trasposizione del desiderio in una forma messa in cornice. Se il colore rosso contrassegnava il primo quadro nel suo centro, nella seconda composizione il colore dominante, il blu, esegue un drastico “raffreddamento”. L’atteggiamento dell’ombra nel secondo quadro, apparentemente identica al primo, ha in realtà subito dei cambiamenti: è ora meno minacciosa, di dimensioni ridotte e i due soggetti della composizione (corpo della donna e ombra) non hanno più un contatto.
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Senza dubbio è nella pittura metafisica di Giorgio De Chirico (1888-1978), che l’ombra verrà ad essere investita degli attributi narrativi più complessi e misteriosi. Lo stesso De Chirico ha espresso ripetutamente la propria predilezione per ‘le ombre geometriche e precise’12 , intendendo con ciò le ombre portate dagli edifici classici romani, che formano scenografie indimenticabili nei suoi dipinti del periodo che va dal 1910 al 1919: Nulla è pari all’enigma dell’arco inventato dai Romani. Una strada, un arco. Il sole ha un aspetto diverso quando bagna della sua luce un muro romano. In tutto ciò v’è qualcosa di più misteriosamente dolce di quanto non accada nell’architettura francese. E anche il meno feroce. L’arcata romana è una fatalità. La sua voce parla di enigmi pieni di una poesia stranamente romana. Le ombra sono un vecchio muro sono una musica insolita, profondamente triste [...]13 Questa citazione potrebbe essere l’introduzione a una lunga serie di opere che Giorgio De Chirico ha composto, come ad esempio un quadro intitolato Mistero e melanconia di una strada (fig. 24)(1914).
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Un acceso sole mediterraneo divide lo spazio in due zone opposte: una del tutto in ombra, l’altra in pieno sole. La separazione è netta, come separatamente tra di loro sono le forme: luce e ombra, linee e angoli. L’asse obliquo della strada che attraversa l’immagine da sinistra a destra tematizza un incontro futuro. I due attori della scena sono rappresentati solamente in maniera parziale: uno dei due, una bambina, che entra nello stesso istante che si osserva il quadro; l’altro, all’estremità opposta del quadro come ad uscire nel medesimo momento, presente solamente con la proiezione della sua ombra. Non abbiamo nessuna possibilità nello stabilire con certezza di chi sia quell’ombra, anche se è possibile intuire, confrontando questo quadro con altre opere dello stesso autore, che quell’ombra appartenga a una statua. Il racconto si svolge in una tensione muta, dove alcuni oggetti fanno riferimento a simboli dell’inconscio emergenti da un sogno: il cerchio con cui la bambina gioca, da un lato, e il bastone eretto dall’ombra che esce, dall’altro. Il tutto si compie a livello di conflitto tra ombra: la bambina sembra essere composta dalla stessa materia della sagoma,
22. Pagina 31. Paplo picasso, l’ombra sulla donna, 29 dicembre 1953, olio e carboncino su tela, 129,5 x 96,5 cm, Parigi, Musée Picasso.
24. Pagina a fianco, Sinistra. Giorgio de Chirico, Mistero e melanconia di strada, 1914, olio su tela, 87 x 71,5 cm, collezione privata.
23. Pagina 31. Paplo picasso, Ombra, 29 dicembre 1953, olio su tela, 130,8 x 97,8 cm, Toronto, Art Gallery of Ontario.
25. Pagina a fianco, Destra. Giorgio De Chirico, Melanconia, olio su tela, 78,8 x 63,5 cm - 1912, ma riferibile al 1914, Collezione privata.
26. Andy Warhol e Giorgio de Chirico, 1974, fotografia di Gianfranco Gorgoni.
che la sta aspettando dietro l’angolo della strada. Rudolph Arnheim, in una sua critica, ha descritto quello che De Chirico ha voluto esprimere in modo così perturbante attraverso la manipolazione delle incongruenze spaziali: Al primo sguardo questa scena sembra piuttosto stabile, e tuttavia avvertiamo che la disinvolta bambina intenta a correre dietro al cerchio è in pericolo in un mondo pronto a disfarsi secondo una linea di satura invisibile, oppure, peggio ancora, di cadere i pezzi senza più coesione. Sempre qui un corpo genericamente isomerico, il furgone, sottolinea il carattere deformato della convergenza degli edifici. Di più, la prospettiva dei due colonnati si negano reciprocamente. Se prendiamo come base dell’organizzazione dello spazio il portico di sinistra, rispetto al quale l’orizzonte è in alto, il portico sulla destra ci conduce verso un punto di fuga ubicato sotto terra. In questa variante l’orizzonte verrebbe a trovarsi in un punto sottostante il centro del quadro, e la strada ascendente col suo portico inondato dal sole sarebbe solo un miraggio che attrae la bambina verso la caduta e verso il nulla. 14
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Chi nel 1979, alla Heiner Freidrich Gallery di New York, espose una serie di sessantasei tele, realizzate un anno prima, tutte contrassegnate dal titolo collettivo Shadow, era uno degli esponenti maggiori della PopArt americana, Andy Warhol.Il numero “66” evoca la ripetizione, e va anche ad inserirsi in una dimensione inquietante, antica e mistica sequenza del diavolo “666” dell’apocalisse. Su una parete bianca, appena sollevata da terra tanto quanto basta a sottolineare il loro essere collocate su una linea di base diversa da quella dello spettatore, le tele sprovviste di cornice si succedono, una accanto all’altra, in un ritmo serrato lungo un percorso che andrà a concludersi dov’era iniziato. Si sa che Shadow è una serie realizzata da Warhol e dai suoi assistenti, sulla base di fotografie eseguite riprendendo il gioco di forma delle ombre portate di diverse sagome di cartapesta realizzate appositamente. Facendo uso di colori sintetici Warhol infuse a posteriori a quelle Ombre una varietà e un ritmo originariamente inesistente. Shadow, a quanto la critica decreta, equivale al riconoscimento di un debito artistico che Warhol fa a De Chirico, di fatto la produzione di questa serie e datata 19 dicembre 1978, un mese dopo la morte del maestro. Tre anni più tardi a Roma , in occasione della mostra intitolata Warhol verso De Chirico, Warhol produce una serie della pittura metafisica in onore del maestro. Nell’intervista rilasciata ad Achille Bonito Oliva, Warhol spiega il proprio debito nei confronti di De Chirico:
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La sua opera mi piace moltissimo. Mi piace la sua arte e l’idea che egli abbia sempre ripetuto gli stessi quadri. Mi piace molto questa idea e mi sono detto che sarebbe stato fantastico farlo [...] Nel corso di tutta la sua vita De Chirico ha ripreso le stesse immagini. Io credo che abbia fatto non soltanto perché il pubblico e i mercanti d’arte glielo chiedessero, ma anche perché l’idea gli piaceva e perché nella ripetizione vedeva un modo di esprimersi. È forse il nostro punto in comune [...] Qual è la differenza tra noi? Quella che lui ripeteva con regolarità, anno dopo anno, io lo ripetevo nell’arco dello stesso giorno nello stesso quadro [...]. È un modo di esprimersi. Tutte le mie immagini sono le stesse [...] benchè al contempo siano anche diverse. Cambiano con la luce i colori, col movimento e lo stato d’animo [...] Non è la vita stessa una serie di immagini che cambiano nel loro stesso ripetersi?15 Un’altra importante serie di quadri serigrafati di Andy Warhol, dove l’ombra è in primo piano, riguarda il suo autoritratto, realizzato nel 1981 dal titolo The Shadow. È una grande serigrafia di circa un metro per lato, che lo rappresenta gigantesco e sdoppiato. Nella parte di destra Warhol ci guarda ripreso quasi frontalmente e parzialmente tagliato dalla cornice, mentre più della metà dell’immagine è occupata dalla sua ombra vista di profilo. Quest’immagine utilizzata per la realizzazione del suo autoritratto, Warhol l’ha studiata in modo profondo tanto da lasciar intravedere l’esistenza di una relazione complessa con il proprio doppio.
27. Pagina a fianco. Andy Warhol, Shadow, 1979, installazione all’Andy Warhol Museum di Pittsburg, 102 tele, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm ciascuna, esposizione a rotazione in gruppi di 55.
28. Altro. Andy Warhol, Shadow, 1979, installazione all’Andy Warhol Dia Art Foundation, 102 tele, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm ciascuna. 29. Destra. Andy Warhol, Shadow, 1979, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm. 30. Basso. The Shadow (autoritratto), Andy Warhol, 1981
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Artisti contemporanei Tra gli artisti contemporanei, che si sono occupati di ombre, non ce ne sono molto. Dopo una lunga pausa di studio e riflessione, la produzione di opere sulle ombre è ripresa, focalizzando gli sforzi sul reale oggetto ombra. I lavori di questi artisti sono stati sviluppati in modo da poter rappresentare l’ombra con la sua reale materia. Shigeo Fukuda è uno dei più importanti artisti dell’ombra, per la sua poliedricità come: pittore, scultore, graphic designer, poster designer, e come artista della optical illusion. I suoi lavori con l’ombra sono stati sviluppati e realizzati dopo un lungo percorso artistico, che lo ha portato a conoscere con l’optical illusion ciò che l’uomo è predisposto a vedere, e a credere nell’osservare un’immagine. Le opere che Fukuda ha realizzato alla fine degli anni ’80, sono composte di oggetti comuni, che tutti noi incontriamo quotidianamente. La prima opera, dal titolo Lunch with a Helmut On (fig. 32), è stata realizzata nel 1987 utilizzando 848 pezzi tra forchette, coltelli e cucchiai saldati tra loro. Questa scultura, se illuminata da una certa angolazione, riproduce al suolo la perfetta illusione dell’ombra di una motocicletta da cross e non un ammasso di posate. La seconda opera d’ombra, dalle dimensioni più ridotte, utilizza lo stesso metodo di realizzazione tranne per il materiale con cui è composto, delle mollette ferma fogli, da qui il titolo dell’opera Clamp (fig. 31). Alla fine del video, che lo
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riprende mentre realizza quest’opera, si scopre che l’ombra che viene a realizzarsi è quella di una persona seduta su uno sgabello. Questo soggetto ha una certa somiglianza con una scultura realizzata da Auguste Rodin dal titolo Il Poeta, dove questa si rappresentava l’universo dantesco della Divina Commedia. Chi delle ombre ha fatto la propria arte è Larry Kagan, laureato in ingegneria aeronautica, successivamente coltiva la passione per il disegno, così prima degli anni ottanta decide di dedicarsi completamente al mondo dell’arte, iscrivendosi al Pratt Istitute di New York. Le opere che oggi conosciamo di Kagan, sono il frutto di un complesso lavoro, dove si utilizzano cavi d’acciaio, la luce e le ombre qui sono strumenti di espressione artistica. Nella realizzazione di quest’opera, ci sono vari passaggi, una costruzione astratta che se illuminata, si materializza in un’immagine figurata. La gente non guarda mai le ombre: in un oggetto o un’immagine l’ombra ha sempre un ruolo marginale, da comprimario. Trasformandola in qualcosa di riconoscibile, l’ho fatta diventare un’autentica protagonista.16 Gli oggetti-ombra di questo artista, vengono definiti dalla critica contraddittori, perché portano lo spettatore a confrontare la sua percezione creando una scultura, ma con la sensibilità di un disegnatore
31. Sopra. Shigeo Fukuda, fotogrammi della performance eseguita per l’opera Clamp
32. Shigeo Fukuda, Lunch with a Helmut On, 1987 utilizzando 848 pezzi tra forchette, coltelli e cucchiai saldati tra loro
costruisce un oggetto tridimensionale per esprimersi su un piano, dando vita a un confronto tra astratto e figurativo, tra durezza e dolcezza. Kagan definisce le proprie ombre “errate”, non c’è infatti corrispondenza formale tra l’oggetto e la sua ombra, i suoi reticoli generano ombre indipendenti dalla loro struttura, in violazione a tutti i concetti acquisiti sulle ombre attraverso la comune esperienza, fino ad indurre l’osservatore a dubitare della loro veridicità. Kagan spiega come le sue ombre “aiutano a chiarire le ambiguità che sono inerenti alla percezione visiva, stabiliscono il ruolo cruciale che la luce gioca nel modo di interpretare gli eventi del mondo intorno a noi. E, cosa
molto più importante, lasciando alle ombre uno spazio importante nella narrazione, mi pongo la questione di cos’è il reale” Per molti di noi le ombre occupano i confini della coscienza; la zona dove il reale lascia spazio all’immaginario, dove i fantasmi dei mezzi ricordi agitano visioni. Il mio interesse nelle ombre risiede nella loro capacità di aggiungere una nuova dimensione spaziale; esse aiutano a chiarire le ambiguità che sono inerenti alla percezione visiva, stabiliscono il ruolo cruciale che la luce gioca nel modo di interpretare gli eventi del mondo intorno a noi. E, cosa molto più importante, lasciando alle ombre uno spazio importante nella narrazione, mi pongo
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la questione di cos’è il reale.17 Come la grande arte, le opere di Kagan lasciano più interrogativi che risposte nel loro ibrido porsi allo sguardo e al ragionamento: in equilibrio tra luce e ombra, ordine e caos, tra due e tre dimensioni, tra materia e impalpabilità, spazio e superficie, tra astrazioni, concetti e figure.18 Le sculture di Larry Kagan hanno un’anima di filo di acciaio piegato e saldato in modo da ottenere un disegno figurativo. Posta a una certa distanza dalla parete, questa struttura metallica filiforme è solo un elemento dell’opera, alla cui formazione concorrono soprattutto le linee e ombre ottenute con il supporto di luci. L’effetto è accattivante. Ma non è questo a determinare l’estetica di Kagan, che se da una parte trova i suoi principi nelle percezioni primarie, dall’altra si definisce nella sua componente intellettuale (concettuale).19 Altra esponente dell’ombra è la giapponese Kumi Yamashita. Nel 1984 ancora studentessa decide di fare uno scambio culturale andando a studiare in America, approfondendo gli studi artistici prima al Cornish College of the Arts di Seattle, poi presso l’Università di Glasgow, in Scozia. Il suo viaggiare spesso la porta ad Edna St. Vincent Millay Colony, a New York, e successivamente a Roswell, con il programma Fellowship Program in New Mexico. Le principali opere per cui Kumi Yamashita è
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33. In alto sinistra. Larry Kagan, Zanzara. Composizione di un’ombra dalla forma di una zanzara.
36. Pagina a fianco, alto sinistra. Kumi Yamashita, Profile, 1994, wood, light, cast shadow.
38. Pagina a fianco, basso destra. sinistra. Kumi Yamashita, Feather,2006, Light, Wood, Shadow.
34. In alto destra. Larry Kagan, Lucky Strike. Realizzazione di un’ombra con uno dei simboli americani.
37. Pagina a fianco, alto destra. Kumi Yamashita , Clouds,2005, Light, Aluminum, Shadow, Permanent display at the 3rd floor of Stellar Place Sapporo JR Tower, Commissioned by Japan Railways Inc.
39. Pagina a fianco, basso sinistra. Kumi Yamashita, City View ,2003, Light, Aluminum, Shadow
35. Sopra. Larry Kagan, Love. Realizzazione di un’ombra con riferimento al disegno e segno di Kaite Haring.
riconosciuta, sono quelle che reinterpretano la luce facendo un lungo studio di ricerca sulle ombre. Le opere-ombra di Yamashita descrivono e delineano i tratti di figure umane, la sua espressione è quella di far vivere le ombre come se potessero muoversi liberamente e prendere vita, come se l’ombra fosse l’anima di una persona e questa non avesse bisogno di un corpo per vivere. Kumi Yamashita, non usa gli stessi materiali, anzi, ogni opera ha un diverso tipo di materiale e diversa forma, come a volerci far riflettere sull’unicità ben distinta dei soggetti. Le opere più affermate, sono composta da un elevato numero di cubetti di legno o metallo, che se illuminati dalla luce artificiale del luogo in cui si trovano vanno a creare delle figure umane. Queste ombre con lineamenti iper-realistici, si manifestano solo con luci artificiali, come se si volessero riportare alla vita le leggende che narrano di spiriti e spettri, aggirarsi di notte sotto forma di ombre. Tim Noble e Sue Webster sono di origine Inglese, vivono e lavorano assieme in Shoreditch, East London, fanno parte della nuova generazione di artisti britannici degli anni ’90, i cui lavori sono
raccolti da Charles Saatchi. Tra le opere che hanno contribuito a renderli celebri, ci sono una serie di sculture realizzate a partire da cumuli di spazzatura apparentemente ammucchiati in modo casuale, una volta acceso un faretto in un punto ben preciso, svelano tramite la loro ombra delle immagini chiare. Il tipo di interpretazione, che i due artisti vogliono esprimere attraverso la spazzatura, creando un’ombra narrativa, è una spiegazione di come l’essere umano si vada a rispecchiare e a riconoscere attraverso gli scarti che lui stesso produce. Queste opere sono una critica al consumismo banale e sfrenato, al quale tutti noi cediamo. La loro cultura si basa sull’arte pop, avendo così la possibilità di mischiare e mescolare il sacro con il profano, utilizzando all’occorrenza un linguaggio pubblicitario o quello delle arti classiche, spesso coesistenti. Un’arte che contiene citazioni colte, ma che a un livello più basilare appare comprensibile e familiare a tutti, poiché utilizza gli stilemi della spettacolarità, che tanto abbiamo imparato ad apprendere, tramite il linguaggio cinematografico o meglio ancora televisivo. Altro utilizzatore di materiale di scarto per l’ arte
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40. Sopra. Tim Noble and Sue Webste, Black Narcissus, 2006 41. Alto destra. Tim Noble e Sue Webster, HE/SHE, 2003 42. Basso destra. Tim Noble and Sue Webster, Manhattan, a 2003 43. Basso sinistra. Tim Noble and Sue Webster, Real Life is Rubbish, 2002
è Fred Eerdekens, entrando nel suo spazio artistico, lo spettatore si trova immerso in un paesaggio dove quello che incontra si trasforma in significato semantico. Il lavoro di questo artista si sviluppa principalmente con installazioni e sculture d’ombra, esplora le connessioni tra le immagini e le parole: egli trasforma oggetti di scarto, presentati singolarmente o a gruppi, in parole. Fred Eerdekens colpisce per la semplicità dei materiali che utilizza, nuvole di cotone, fili spiegati, molle deformate, scatole di cartone, …, come se volesse indicare che questi oggetti hanno qualcosa da comunicare diametralmente opposto da quello che rappresentano o simboleggiano. Artisti che hanno influenzato il mondo dell’arte, per quanto riguarda l’interpretazione delle ombre, non provengono soltanto dalle gallerie d’arte, ma iniziano
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la carriera artistica con il disegnare sui muri. Ellis Gallagher è un ex-graffitista, ha disegnato per anni a New York su metropolitane, muri, treni, e spazi pubblicci, poi ha deciso di smettere con le bombolette spray quando nel 2001, un suo amico writer è stato travolto da un treno mentre disegnava con lui. Dopo quel tragico evento, la città di New York, nella zona di Brooklyn, ha cominciato ad incontrare dei disegni dalle forme strane tracciati con gessi colorati, che di giorno non avevano nessun senso, ma quando cala la notte e si accendono le luci, questi strani segni prendono vita. Di notte Ellis Gallagher gironzola per i quartieri di New York e disegna i contorni di tutte le ombre degli oggetti che incontra per la strada (lampioni, semafori, biciclette, bidoni, ecc...) con i suoi gessi colorati. Questo tipo di disegno viene chiamato ormai da
tutti Chalk Shadow, le sue opere e il suo stile sono diventati così interessantì che un libro raccoglie le ombre più significative ma non solo, anche varie gallerie hanno le ombre di biciclette e carrelli della spesa create da Gallagher. Tutti i disegni eseguiti da Ellis Gallagher, hanno come firma “© Ellis G. 2007”, firma simile ad un altro artista conosciuto dai cittadini di Brooklyn negli anni ottanta, Jean-Michel Basquiat, dove in tutti i muri della città si trovava la sigla SAMO© (“SAMe Old Shit” la solita vecchia merda). In una delle interviste video, Gallagher spiega quali sono le motivazioni che lo spingono ad esprimersi con l’arte pubblica, egli desidera portare l’arte alla gente che non vuole rinchiudersi in un museo; i suoi disegni sono visti da tutti coloro che passeggiano per le strade della città, fino a che il tempo o la pioggia non li cancellerà lentamente. Sono le persone che incontrano i suoi disegni che gli danno l’ispirazione per continuare. “It’s very touching. People tell me ‘you make me smile’ or ‘you make me stop and think,’ and that’s cool. I make a difference in people’s lives. It inspires me to create more”. (citazione) In questo ultimo decennio, l’Interaction Design è entrato nelle gallerie d’arte e nei musei con delle opere che divertono i visitatori, coinvolgendoli in prima persona in esperienze ludiche dove lo spettatore diventa attore. Due artisti dell’interazione lavorano sul concetto
di ombra, sono Philip Worthington e Rafael LozanoHemmer. Philip Worthington, dopo vari anni di studio in ingegneria, decide di lasciare quel tipo di specializzazione e di intraprendere la strada delle belle arti. Il suo progetto più conosciuto è Shadow Monster, sviluppato per concludere gli studi in Interaction Design presso il Royal College of Art. Questa installazione è una complessa interazione tra computer graphic e photographic programming, dove mostri fantastici si materializzano, dalle ombre di persone che entrano nell’area sensibile dei sensori, reagendo ed elaborando i gesti compiuti dalle stesse persone, dando così vita a creature come: lupi, uccelli, dinosauri ... Shadow Monster è nato come trucco di magia tecnologica. Il progetto è stato intuito mentre Worthington faceva delle ricerche sulle varie illusioni ottiche e sulle ombre realizzate con le mani, riportandolo indietro nel tempo, quando giocava con il proiettore di diapositive. Allo stesso tempo gli fu presentato un software per il riconoscimento di oggetti, così lentamente, il tutto si amalgamò, creando questa interazione tra tecnologia e fantasia. Il primo passo, per la nascita di questo progetto, fu uno spettacolo di marionette, composte da matite colorate con capelli e occhi; progetto che è cresciuto
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47. Alto. Ellis Gallagher, Ombra di una bicicletta proiettata su una parete, installazione temporanea a Sara Tecchia Gallery 529 W.20th St. Bet. 10th and 11th aves. NYC 48. Cetrale sinistra. Ellis Gallagher, Ombra di un carrello della spesa proiettata su una parete, installazione temporanea a Sara Tecchia Gallery 529 W.20th St. Bet. 10th and 11th aves. NYC 49. Centrale destra. Ellis Gallagher mentre disegna l’ombra di un cestino. 50. Basso. Ellis Gallagher all’opera mentre traccia le ombre.
44. Pagina 43, alto sinistra. Fred Eerdekens, Could suggest something..., 1999 45. Pagina 43, alto destra. Fred Eerdekens, minimum, 2004 46. Pagina 43, basso. Fred Eerdekens, Men ga een zachter gang, 1999.
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51. Altro sinistra. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2005. 52. Alto destra. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2005
53. Sopra. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2005
lentamente in complessità, fino a sviluppare un sistema per poter in qualche modo capire la posizione e i movimenti della mano. Le parole interazione e gioco, sono parole che Worthington utilizza frequentemente, quando descrive i suoi lavori e il suo approccio all’interaction design. Lo scopo di questo designer dell’interazione, è di sviluppare l’umanità, e lo spirito, nelle persone sempre più immerse in questo mondo tecnologico. Tuttavia, l’interaction design di oggi, non solo interessa per le possibilità espressive e comunicative, ma anche per le loro conseguenze sociali e culturali. Rafael Lozano-Hemmer, è un artista che lavora mettendo assieme architettura, scultura e performance. Nato a città del Messico, trasferitosi in Spagna per un breve periodo, ora risiede in Canada dove ha il suo studio di progettazione. I suoi lavori sono principalmente rivolti alla grande scala, come piazze o edifici con grandi estensioni di pareti; vengono definiti Interactive Installations e sono progettati con l’utilizzo di tecnologie avanzate come: real-time computer graphics, film projections, positional sound, internet links, cell phone interfaces, video and ultrasonic sensors, LED screens, ... Le sue interazioni più importanti, per quanto riguardano le ombre, sono eseguite su grandi superfici, queste possono essere sulle pareti interne di un museo, sulle pareti esterne di un edificio con dimensioni industriali o addirittura sul pavimento di una piazza. In queste diverse ambientazioni possibile, il gioco che Hemmer vuole sviluppare
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è quasi sempre lo stesso, ovvero, far scoprire agli attori con la propria ombra, quello che la luce va a nascondere. La critica molto spesso indica il suo tipo di arte, e il suo metodo di esprimersi, con un termine che non piace molto a Hemmer, “new media”. Per quanto riguarda i media che utilizzo, sono contrario alla definizione “new”: più uno studia la storia dell’arte, più si rende conto che molto di quello che stiamo facendo sono solo progressioni, trasformazioni, nuove versioni di cose che sono state fatte per molto tempo. Non sono per l’originalità, ho studiato il post-strutturalismo, so che questa non è più possibile. Lavoro con la tecnologia perché è inevitabile, è presente in ogni aspetto della nostra economia globalizzata e tutto quello che succede fa parte di una cultura tecnologica. Dato che la tecnologia è inevitabile, la definizione “new media” e il fatto di raggruppare gli artisti in quest categoria solo perché usano la tecnologia diventa del tutto ridicolo. La “new media” art sta diventando “normale” e verrà sostituita da nuovi termini, a seconda di quello che uno fa. Dunque sì, sono un “media artist”, ma non voglio necessariamente essere classificato da quello, dato che faccio anche altri tipi di lavori.20
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54. Sopra. Rafael Lozano-Hemmer, Under Scan, 2005.
55. Pagina a fianco alto. Rafael LozanoHemmer, Body Movies, 2001. 56. Pagina a fianco destra. Rafael LozanoHemmer, Frequency and Volume at The Curve, Barbican Art Gallery, 2009. 57. Pagina a fianco, sopra. Rafael LozanoHemmer, Under Scan, 2005.
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Cinema Esaminando vari film, dove l’ombra è presente in alcuni dei fotogrammi, è stato possibile fare una distinzione di quali sono i ruoli che questa “protagonista” assume. Le varie funzioni in cui l’ombra è stata individuata come parte integrante di una sceneggiatura sono: funzioni estetiche, funzioni narrative, espedienti narrativi, funzioni descrittive, funzioni particolari. Le funzioni estetiche, comprendo quelle ombre che hanno una semplice valenza estetica. Sono quegli elementi che fanno parte della scenografia al pari di altri elementi realizzati appositamente per l’ambientazione, attraverso queste ombre si cerca di ricreare un’ambientazione. Gombrich, nei suoi scritti, indica come la difficoltà di governare le ombre abbia ritardato la formulazione di una teoria della rappresentazione dell’ombra in pittura. I registi più tradizionali, evitano la riproduzione di ombre, in modo da evitare che possano essere interpretate come elementi di disturbo, così facendo scelgono elementi figurativi in luce, al centro della composizione, le loro ombre ricadono attorno fino a scomparire nel buio. Alcuni dei film individuati, in cui l’ombra esegue una funzione estetica, sono: La signora di Shanghai21 nel 1948; Otello22 del 1952; Mr Arkadin (tradotto rapporto confidenziale23) del 1954; Il processo24 del 1962, eseguiti tutti dal medesimo regista Orson Welles; mentre più recentemente in Sin City25 girato
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nel 2005 dei registi Robert Rodríguez, Frank Miller, Quentin Tarantino (special guest director). Le funzioni narrative, che l’ombra assume, sono ruoli in cui viene riconosciuto un compito di narrazione chiave, questo compito non potrebbe essere svolto in nessun altro modo o meccanismo. L’ombra, diviene l’unica soluzione tecnica possibile per far passare, a livello visivo, i contenuti della narrazione. In questo ruolo, incontriamo un’ombra molto interessante nel film M (tradotto M - Il mostro di Düsseldorf 26) del regista Fritz Lang del 1931, dove il mostro, nella prima parte del film, rimane nell’anonimato e viene visto solo attraverso la sua ombra e nessun altro elemento. Altro ruolo, è quello individuato come espediente narrativo, e riguarda quelle ombre che non rappresentano la chiave del senso della storia, ma sono alternative, vengono impegnate in un modo come un altro per rendere particolare una scena, ciò però non implica che siano elementi accessori, o siano frutto del caso, tant’è che se ne trovano anche nelle descrizioni delle sceneggiature. Se l’intenzione del regista è quella di non mostrare immediatamente l’identità del personaggio, all’interno di una scena, potrebbe semplicemente non inquadrarlo, farne sentire la presenza solamente con la voce, mostrare solo un particolare o coprirlo con un ombra. Quentin Tarantino usa tale espediente nel film Pulp Fiction.27 L’ombra si incontra in soggettiva, vediamo attraverso
58. In alto. Sin City, 2005, regia di Robert Rodríguez, Frank Miller, Quentin Tarantino (special guest director)
59. Sotto. M - Il mostro di Düsseldorf, 1931, regia di Fritz Lang
gli occhi di un personaggio che si trova imprigionato in uno scantinato, non sa cosa gli spetta perché non ha idea di chi siano i suoi sequestratori. Il regista li fa avanzare, si individuano due figure, ma non possiamo individuare i loro volti. In pochi secondi la curiosità è appagata perché uno dei due, per sedersi, si mette in luce. Per indicare, qual’è il ruolo dell’ombra con funzioni descrittive, diamo una definizione: le scene che le racchiudono devono essere trasposizioni cinematografiche di quei passaggi che in narrativa corrispondo alla descrizione di un qualcosa o di qualcuno. Le si individua nel momento in cui si sofferma e si tenta di riportare a parole ciò che si vede. Di fatto ci si rende conto che la loro presenza è un apporto originale, un indizio prezioso che induce lo spettatore a interpretare correttamente quanto mostrato sullo schermo.28 L’ultimo ruolo, non meno importante, è quello delle funzioni particolari. Queste ombre, sono di tipologia molto frequente, diventano icone alle quali è affidato il ruolo di ambientare il luogo dove viene girata la scena, altrimenti insignificante per quanto spoglio. Per esempio, se consideriamo delle prigioni, dei penitenziari, delle celle di isolamento o delle gabbie, sono tutti luoghi di prigionia e per rappresentarli
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60. Pagina a fianco, alto. Nosferatu - il vampiro, 1979, regia di Werner Herzog. 61. Pagina a fianco, centro. Psyco, 1960, regia di Alfred Hitchcock. 62, 63. Pagina a fianco, basso. La signora di Shanghai, 1948, regia di Orson Welles.
64. Alto. Pulp Fiction, 1994, regia di Quentin Tarantino. 65. Centro. Batman - Il ritorno, 1992, regia di Tim Burton. 66. Basso. La signora di Shanghai, 1948, regia di Orson Welles.
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non basta affidarsi ad un ambiente spoglio, misero e trascurato, è indispensabile un dettaglio che, rifacendosi all’immaginario comune, garantisca la corretta interpretazione. L’ombra di inferriate, di grate alle finestre o sbarre ci da l’impressione di trovarsi all’interno di uno di questi luoghi, da qui la denominazione di “icona”, intesa nell’eccezione figurativa. Quando si va ad esaminare un fotogramma di una pellicola, come se si trattasse di un’immagine isolata, un quadro, non è un’operazione consentita dal punto di vista teorico critico. Il cinema espressionista tedesco dei primi del novecento, è un eccezione per vari motivi. Due autori come Murnau e Wiene, facevano parte di quei registi che avevano dichiarato il loro legame nei confronti della pittura del passato. Teorici e critici del cinema, hanno sottolineato come i due registi concepivano ogni immagine, ogni inquadratura, in modo tale da rimandare, per analogia o per contrasto, al film nella sua interezza. Il film, a sua volta, si basava sull’idea o sull’auspicio di una “visione trasversale”, fermata a lungo su ogni fotogramma. Quindi analizzare un solo fotogramma o un’inquadratura non è un errore ma un’operazione di analisi lecita. Per questa analisi si prendono in esame due fotogrammi, estrapolati da due distinti film eseguiti dai registi Murnau e Wiene. Il primo fotogramma, è tratto dal film Gabinetto del dottor Caligari (1919-20) di Robert Wiene e Willy
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Hameister, si nota sulla sinistra la figura del dottore, mentre nella parte destra si trova la gigantesca proiezione della sua ombra. Quest’ultima supera per dimensioni il personaggio e ha un carattere significativo, è un’esteriorizzazione dell’interiorità del personaggio, è come se, attraverso l’ombra, la cinepresa avesse potuto immergersi nella conoscenza del personaggio per proiettarne, in un momento successivo, l’interiorità sulla parete (ossia usare la parete bianca come schermo per conoscere la sua interiorità). L’ombra, immagine esterna, mostra ciò che sta avvenendo nel personaggio, ciò che il personaggio è, la sua proiezione equivale a un’apertura di quell’interiorità chiusa. Si nota, il contrasto tra l’atteggiamento di Caligari, le braccia che proteggono il petto, il pugno della mano sinistra quasi chiuso e la sua ombra, che si presenta allo stesso tempo come emanazione diretta del personaggio, come distorsione e come proiezione sullo schermo della sua psiche. Grazie alle deformazioni, la proiezione apre la forma: il profilo mette a nudo una linea a stento antropoide, il pugno si chiude mostrando delle dita raggrinzite. Esiste tuttavia in quest’immagine un’ambiguità di fondo: essa è solo l’incarnazione dei fantasmi di un pazzo, il narratore dell’intero racconto. Quel che noi vediamo sono delle proiezioni, ed esse devono
67. Pagina a fianco. Il Gabinetto del Dottor Caligari, 1919-1920, regia di Robert Wiene e Willy Hameister.
68. Nosferatu, il vampiro, 1921-1922, regia di Friedrich Murnau.
intendersi come tali. E proprio a causa di questo gioco, è stato possibile far osservare, ripetutamente, che il narratore appare come il doppio del regista, e la proiezione delle ombre come un doppio del film quanto tecnica figurativa. Il secondo fotogramma oggetto di studio, è estrapolato dal film Nosferatu di Murnau (1922). La celebre silhouette, che sta per imboccare la scala, è la personificazione di un vampiro oppure è la sua ombra? Le deformazioni alle quali le sue braccia e le sue mani sono state sottoposte, indurrebbero a propendere per la seconda ipotesi, ma Murnau e lo spettatore sanno che, secondo un’antica tradizione, i vampiri non posseggono ombra. Il protagonista abita in un universo sotterraneo, fatto di porte, di corridoi e di scale, un universo ispirato all’inconscio freudiano. In questo senso la funzione del regista è quella di un “uomo che mostra le ombre”, visualizza i contenuti oscuri della coscienza e li rende racconto, sulla base di un’estetica che evidenzia analogie fra “ombre” e “immagini filmiche”. La prova che queste immagini sono meta-estetiche, è data solo alla fine del film, nell’attimo in cui il primo raggio di sole comincia a illuminare la città di Brema, ponendo fine alla vita di Nosferatu e soprattutto, nell’attimo in cui la luce elettrica inonda la sala di proiezione e lo schermo torna ad essere bianco.
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IL NON LUOGO Niente come tornare in un luogo rimasto immutato ci fa scoprire quanto siamo cambiati. Nelson Mandela (1918) Politico sudafricano, primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell’apartheid e Premio Nobel per la Pace.
Non luogo Lo spazio del non luogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine. [...]. I non luoghi si percorrono e dunque si misurano in unità di tempo. Gli itinerari non esistono senza orari, senza pannelli di arrivo e di partenza nei quali c’è sempre lo spazio per menzionare eventuali ritardi. Essi vivono al presente.29 Questa citazione, è stata tratta dall’introduzione del libro Non Luoghi, scritto dall’antropologo e studioso di civiltà antiche francese Mark Augé, che identifica quali sono gli elementi essenziali dell’idea di “nonluogo”. Augé definisce il non luogo, attraverso la mancanza di tre caratteristiche principali: elemento identitario, luogo tale da contrassegnare l’identità di chi ci abita; elemento relazionale, luogo che individua i rapporti reciproci tra i soggetti, in funzione di una loro comune appartenenza; elemento storico, luogo che rammenta all’individuo le proprie radici. Il non luogo, slegato completamente dal genius loci 30, del territorio che lo circonda, può sorgere ovunque. È un luogo in cui l’individuo svanisce, diluendosi nella solitaria e silenziosa massa dei passeggeri, i consumatori, ognuno volto al soddisfacimento di un’esigenza, i cui punti cardinali sono la partenza e l’arrivo. Tutti i rapporti che vengono instaurati e vissuti tra questi due punti, sono dedicati alla competizione, non lasciando spazio alla memoria, alla storia e alla percezione sensoriale.
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Le indicazioni su manifesti, cartelloni, pannelli luminosi, schermi informativi e segnaletica di vario tipo, sono strumenti utilizzati per far conoscere il luogo stesso. L’individuo non vive il non luogo, ma accade esattamente l’opposto, egli viene vissuto dal non luogo. L’unico modo che l’individuo ha per essere riconosciuto, si attua nell’esibizione del documento d’identità, o attraverso l’utilizzo di carte di credito, che lo riducono a un codice alfanumerico, null’altro può fare, se non farsi trasportare. Il luogo antropologico è quello occupato dagli indigeni che vi vivono, vi lavorano, lo difendono, ne segnano i punti importanti, ne sorvegliano le frontiere, reperendovi allo stesso tempo la traccia delle potenze celesti, degli antenati o degli spiriti che ne popolano e ne animano la geografia intima, come se il se il segmento di umanità che in questo luogo indirizza loro offerte e sacrifici ne fosse anche la quintessenza, come se non ci fosse umanità degna di questo nome se non nel luogo stesso del culto che viene loro consacrato. Il luogo antropologico ha almeno tre caratteri, esso è identitario, relazionale e storico.31 Anche questa citazione, è stata estrapolata dal primo libro, in cui il termine non luogo viene ad essere coniato e si identificato in modo minuzioso. Augé per identificare il non luogo esprime quali sono le caratteristiche che identificano il luogo antropologico: un luogo fatto di cose funzionali ai
69. Alto. Villach Atrio Shopping Center, esempio di ambiente desfinito da Mark AugĂŠ come non luogo.
70. Destra. Esempio di ambiente desfinito da Mark AugĂŠ come non luogo.
71. Basso. centro comerciale di Seattle, esempio di ambiente desfinito da Mark AugĂŠ come non luogo.
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bisogni individuali e collettivi di crescita interiore, di lavoro e di vita. L’individuazazione, di questo luogo fisico, si esprime attraverso caratteristiche geometriche, perché è possibile ridurlo a tre forme spaziali semplici quali: la linea, l’intersezione e il centro. Tutte forme identificate da un passare, da un incrociarsi e da un sostare. Il vettore principale di queste azioni è l’individuo. Le rotte individuali dei sentieri, intersecano altre rotte individuali nei crocevia, per poi confluire tutte nei centri d’incontro, le piazze e i luoghi d’interesse collettivo. La distinzione tra luogo e non luogo si riesce a comprenderla, indicando le differenze tra luogo e spazio. Lo spazio è un luogo praticato, per esempio: una strada si trasforma in spazio solo quando ci saranno persone che si muovono su di essa. Il luogo è l’insieme degli elementi, mentre lo spazio è animazione di questi luoghi, causata dalla mobilità.
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La parola spazio può essere utilmente applicata anche a causa di un’assenza di caratterizzazione, quindi si può opporre lo spazio simbolizzato del luogo, allo spazio non simbolizzato del non luogo. Questa rappresentazione la troviamo nel linguaggio comune come: spazio pubblicitario, spazio pubblico (per riferirsi ai giardini usati dalla comunità, parcheggi per le automobili), si portano i consumatori di spazio ad essere appagati con le parole, non più con uno spazio reale e concreto. Con lo sviluppo delle reti telematiche, e di strumenti di relazione “virtuale”, è possibile individuare attraverso la teoria di Mark Augé un cyber luogo. Principalmente il cyber luogo, è un luogo ideologico, poiché non è possibile localizzare un centro di interesse, questo viene ad essere vissuto nella sua completa interezza, da ogni utente, con una percezione olistica.
72. Pagina a fianco, alto destra. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania.
73. Pagina a fianco, destra. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania.
74. Pagina a fianco, basso sinistra. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania.
Quello che accade nel cyberspazio è un abbattimento dell’unicità dello spazio, una chat è un cyberluogo in cui il luogo della comunicazione è composto da spazi distinti, l’uno slegato dall’altro, sconosciuti e lontani tra di loro, dove il momento è vissuto contemporaneamente dai partecipanti. Il tempo nel cyber luogo subisce una dilatazione non indifferente, dove la sincronizzazione degli accessi è riferita alla realtà temporale, legata all’unico vincolo spaziale. Il “tempo” di ogni utente può essere differente ed insieme unico, per via della sua collocazione spaziale nel cyberluogo, azzerando drasticamente le differenze temporali. La rete, consente la creazione di un cyberluogo mentale, originato dalla trasmissione di dati via cavo, maggiore è la trasmissione minore è lo sfasamento spazio-temporale tra la percezione dell’unicità del luogo e la consapevolezza. La chat è la simulazione
75. Sopra. Aeroporto Madrid Barajas T4, Spagna.
di uno spazio fisico indeterminato, il riconoscimento e la loro accettazione da parte del server, attraverso il quale si effettua l’accesso, determina l’inizio della simulazione del luogo chat (quello che accada all’individuo nel non luogo con le carte magnetiche) e dunque la creazione del cyberluogo. Dire che si accede a un canale è dunque un’ inesattezza, il cyberluogo non occupa uno spazio omogeneo, non è determinabile, e la sua forma varia al mutare dei cosiddetti accessi.
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Non luogo, non ombra I non luoghi: supermercati, stazioni ferroviarie, aeroporti, stanno cambiando la nostra percezione della natura delle cose. Allora, cosa accomuna i non luoghi alle ombre? Nei supermercati come in altri non luoghi, le ombre sono negate. Se riflettiamo sulle varie volte in cui siamo andati a fare acquisti in un supermercato, o in un centro commerciale, ci accorgiamo di quanto sia difficile ricordare situazioni nelle quali le ombre dei nostri corpi, o dei prodotti esibiti, si siano rese manifeste. Le ombre qui non “esistono”, l’illuminazione è talmente elevata e diffusa da negare alla nostra ombra una qualche forma di esistenza. In realtà affermare che non ci sono ombre
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sarebbe improprio, tant’è che essendo i non luoghi caratterizzati da un’illuminazione così diffusa, vengono a crearsi tantissime ombre, queste tuttavia non si percepiscono e si cancellano l’un l’altra, l’ombra viene annullata dall’eccesso di ombre. In questi luoghi, specialmente nei supermercati, non si annullano solo le ombre, ma anche il silenzio. Oggi i luoghi del commercio di prodotti sono ancora relativamente silenziosi, ma le tendenze future produrranno centri commerciali musicali. Creare dei luoghi, dove non è più importante porsi il problema del chiaroscuro, condiziona l’utente nell’esperienza dell’acquisto, libera la mente lasciandosi accarezzare da motivetti piacevoli e orecchiabili.
IL PROGETTO
DI INTERACTION DESIGN Progetta sempre una cosa considerandola nel suo più grande contesto, una sedia in una stanza, una stanza in una casa, una casa nell’ambiente, l’ambiente nel progetto di una città. Gottlieb Eliel Saarinen (1873 – 1950) Architetto finlandese.
Considerazioni generali Il progetto riguarda la realizzazione di un’installazione che reinterpreta e da corpo alle ombre laddove queste sono state eliminate. L’installazione è predisposta all’interno dei non luoghi, dove ognuno è stato privato di una parte si se ... Altre locazioni possibili, per successive evoluzioni, riguardano gli spazi pubblici delle piazze e dei quartieri. Lo spettatore ha la possibilità di giocare con la propria ombra e di far comprendere come alcuni luoghi hanno la facoltà di farci cambiare la percezione reale delle cose. L’idea del progetto è nata da una considerazione fatta sui non luoghi, una presa di coscienza di come questi particolari ambienti distorcano e cambino la nostra percezione del reale, stravolgendo la nostra visione della natura e catapultandoci in un’altra dimensione diametralmente opposta a quella che viviamo. Solo dopo tempo, e una lunga frequentazione, ci si accorge che nell’entrare in un non luogo spesso ciò che affascina è l’accorgersi dell’esistenza di una realtà parallela, qualcosa che ci appartiene e con la quale abbiamo imparato a convivere. Si è detto più volte che il non luogo cancella l’ombra, un po come accade ad Alice nel film Alice nel paese delle meraviglie32 , della WaltDisney nel 1951. Quando Alice e il suo gatto Oreste camminano in mezzo ai prati le loro ombre sono visibili, quando invece si intraprende il viaggio attraverso la fantasia, l’ombra sparisce magicamente.
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La favola vuole capovolgere ciò che è reale in immaginario, e ciò che è irreale può assumere connotazioni realistiche, così l’ombra, difficile da separare nella realtà, nel mondo della fantasia non esiste, non si lega a nulla. É quello che ci accade ogni qualvolta mettiamo piede in un non luogo, entriamo in un mondo che non ci lega più alla realtà dell’abitudine, catapultandoci in un mondo di fantasie, di piacere e di scelte indotte. Il progetto, di interaction design, punta a riportare una parte della nostra natura in quei luoghi dove ne siamo stati privati. Individuati gli ambiti all’interno dei quali noi tutti veniamo privati della nostro alter ego proiettato, l’idea del progetto è stata quella di ricreare l’ombra artificialmente, reinterpretando così questo fenomeno naturale. La realizzazione dell’ombra è una interpretazione della realtà, questa non deve essere più una riproduzione-copia, ma può e deve spaziare nella fantasia di ognuno di noi. Di fatto l’opera interattiva riproduce un’ombra che ha le nostre sembianze, ma con peculiarità differenti, può modificarsi a seconda delle azioni che noi compiamo, nell’area sensibile dell’installazione. Le azioni, che la nostra ombra può eseguire, sono individuate facendo un approfondito studio sui tratti salienti dei non luoghi, e di quanto l’essere umano percepisce dall’oggetto ombra. L’utilizzo di tecnologie e strutture leggere, per l’esibizione, offre alla stessa la possibilità di essere trasportata, smontata e
rimontata facilmente, permetterebbe a questa installazione di poter avere una visibilità più ampia e potersi confrontare anche in luoghi comuni come: piazze, o campi veneziani. Lo scopo principale del progetto è quello di far riflettere lo spettatore-attore che trascorre il tempo in ambienti “innaturali” come i non luoghi, e trova piacere nel continuare frequentarli e a viverli. Individuati gli elementi essenziali del progetto, si è proceduto con sperimentazioni empiriche utili alla formulazione di una casistica di possibilità, che ha condotto alla definizione di tre differenti stadi: nel primo caso all’interno dell’area sensibile si ha la presenza di una sola persona, nel secondo caso all’interno dell’area sensibile si ha la presenza di due persone, dove queste possono creare una unica identità o due identità distinte, nel terzo caso all’interno dell’area sensibile si ha la presenza di più di due persone che possono essere percepite come unicum, come singole, o come gruppi collaborativi. Altro punto considerato è stato quello delle relazioni tra le unità distinte, ovvero, se questi singoli attori o gruppi di attori si devono relazionare tra loro con azioni di collaborazione o di rivalità. Intrecciando le possibili situazioni di raggruppamento degli attori, con le varie relazioni, si individuano una serie di possibili interazioni da non sottovalutate per lo sviluppo dell’installazione:
Attori
Realzione
Attori
singolo
Sintesi (A), (B)
singolo
contro
singolo
(A - B)
singolo
assieme
singolo
(A + B)
singolo
contro
gruppo
(A - BCD), (BCD - A)
singolo
assieme
gruppo
(A + BCD), (BCD + A)
gruppo
contro
gruppo
(ABC - DEF), (DEF - ABC)
Nel progettare l’installazione sono state tenute in considerazione le differenti possibilità di interazione sopra indicate. Lo studio delle varie possibili azioni è stato sviluppato in modo tale che queste possano essere effettuate senza contrapposizione tra di loro. L’installazione segue un filo logico coerente con l’idea iniziale, non è segmentata, non crea fratture fra ombra e non luogo, fa interagire le persone all’interno di spazi, i non luoghi, all’interno dei quali ci sentiamo spesso soli. Attore singolo (A) (B) Attore singolo contro attore singolo (A-B) Attore singolo contro attore singolo contro attore singolo (A - B - C - D)
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Movimenti degli attori Ogni persona che attraversa lo spazio interattivo, viene catturata dalle telecamere dell’installazione ed è indicata come “attore”. Ogni attore indistintamente: dal sesso, peso, colore, altezza, …, compie dei movimenti che possono essere identificati come volontari (o attoriali), e involontari (o naturali). I movimenti volontari o attoriali, sono quelli che non si compiono normalmente, ovvero quei movimenti che calcano l’espressione del corpo, per esempio: lo sbracciarsi, il correre, il muovere velocemente le mani o girare su se stessi. I movimenti involontari o naturali sono invece quelli che vengono individuati nelle azioni e nei gesti tipici del moto dall’attore, per esempio il camminare normalmente è considerato involontario, perché una persona deambulante non potrebbe spostarsi se non camminando, altro esempio riguarda il dondolare delle braccia mentre si cammina, questo movimento è istintivo quindi involontario. Le mozioni eseguite dagli attori sono catturate dalle telecamere, istallate per monitorare i soggetti, questi movimenti sono successivamente elaborati dal computer e trasformati in azioni eseguite
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dalle ombre proiettate degli attori. Un movimento compiuto dall’attore si trasforma in un’azione proiettata. Lo schema indicato, se considerato alla lettera, potrebbe essere frainteso, quindi va specificata la differenza tra azione e movimento. L’installazione è un’interpretazione dell’ombra del soggetto che attraversa l’area sensibile. L’ombra che viene ad essere proiettata mantiene le stesse sembianze del soggetto che la rappresenta, essa viene modificata e reinterpretata quando l’attore compie dei movimenti attoriali, in modo tale che la propria ombra compia un’azione che modifichi ciò che lo circonda. Le azioni che l’attore può far compiere alla propria ombra non sono illimitate, non possono sovrapporsi tra di loro e sono distinte l’una dall’altra. Questa limitazione è stata inserita per non creare confusione a chi compie la funzione di attore nell’installazione, ogni azione che si compie ha un significato ben preciso. Se vi fossero più parti attive, contemporaneamente, si potrebbe creare un disorientamento dell’attore, che non comprenderebbe il senso del progetto.
76. Alto. Allestimento generale e stand della XXIII mostra nazionale della radio e della televisione, palazzo dello sport, Milano progetto APGC, committente Anie, Rai, 1957. Architetto Achille Castiglioni. 77. Centro. Allestimento della mostra internazionele del petrolio, padiglione Eni, Napoli, 1955. Progetto APGC, architetto Achille Castiglioni, grafica Max Huber. 78.Basso. Allestimento della mostra internazionele del petrolio, padiglione Eni, Napoli, 1955. Progetto APGC, architetto Achille Castiglioni, grafica Max Huber.
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AZIONI
Le azioni eseguibili dall’ombra, attraverso i movimenti degli attori, vengono distinte in tre momenti o livelli di interazione, questi livelli sono differenziati dal numero di attori presenti sulla scena, e quindi dal tipo di interazione che viene a crearsi tra i vari soggetti (singolo, uno contro uno, molti contro molti). Le azioni eseguibili sono formulate amalgamando i due concetti spiegati nella prima parte della tesi: quello che i non luoghi rappresentano per le persone, e la percezione e considerazione che l’uomo ha delle ombre naturali. Le reinterpretazioni delle ombre sono state pensate in modo tale da accrescere la sensibilità dei fruitori del non luogo, mostrando loro che questi spazi non sono naturali e non esprimono un ambiente dove l’essere umano è abituato a vivere. L’installazione oltre ad essere attiva, quando i sensori catturano i movimenti dei passanti trasformandoli in attori, ha dei momenti in cui gli input si azzerano, questi riguardano l’assenza di pubblico nell’area interattiva, pertanto non si produce nessuna azione. Se l’area sensibile non viene utilizzata dai passanti e viene ignorata, per attirare la curiosità dei fruitori dei non luoghi, si deve dar vita a una situazione in cui ciò che viene percepito dal passante non sia coerente con la realtà che lo circonda, e con ciò che vede nelle vicinanze dell’installazione. Nei momenti di standby del sistema si è pensato
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di inserire una proiezione, che provochi dei dubbi sulla veridicità del non luogo, portando l’utente ad avvicinarsi alle aree sensibili per tentare di capire che cosa sta accadendo. Il video proiettato consta di un’inquadratura fissa di una porzione di spazio del luogo che ospita l’interazione. L’immagine di sfondo può riprodurre quello che realmente si trova dietro lo schermo, in modo da mimetizzarsi all’interno dello spazio, o può essere un’immagine costruita con un fotomontaggio, senza però che questa crei delle incongruenze con gli altri spazi adiacenti. L’elemento aggiuntivo che stimolerà la curiosità è dato da un layer che si sovrappone all’immagine fissa, dove saranno visualizzate delle sagome d’ombra, di persone che si muovono avanti e indietro. Per rendere ancor più anomala questa proiezione, le sagome che camminano o sostano nell’area di proiezione, porteranno dei capi di vestiario estivi e invernali. Questo approccio serve per far comprendere subito al pubblico qual’è l’idea che governa l’installazione proposta. La rappresentazione dei non luoghi viene mostrata per quello che essi sono, mimetizzando e confondendo l’installazione, l’effetto curiosità è provocato da un’anomalia nella percezione dell’ambiente causata dalle ombra. La rappresentazione dei passanti, in forma di ombre che vanno avanti e indietro quando questi
79. Allestimento dello stand Autovox, salone dell’auto, Torino, progetto APGC, committente Autovox, 1962. Architetto Achille Castiglioni.
non sono presenti, crea l’effetto sorpresa, per due motivi: la difficile comprensione del soggetto che genera l’ombra, visto che nelle vicinanze dell’area sensibile non ci sono persone; la seconda motivazione riguarda la presa di coscienza da parte dei visitatori della mancanza di ombre (ogni oggetto all’interno di un non luogo non crea una ombra), le uniche che possono essere percepite sono quelle presenti nell’area dedicata. L’idea di sviluppare in questo modo l’introduzione all’installazione, lo standby, è scaturita da una ricerca sul lavoro, dei designer e degli architetti, nelle installazioni e nelle esposizioni a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60. In particolare, la collaborazione tra Achille
Castiglione e Max Huber, per esposizioni come: Pirelli, Fiat, Esposizione Internazionale della scienza, del petrolio, della telecomunicazione a Milano, RAI, ecc... Nella Mostra Internazionale del Petrolio, del 1955, per l’allestimento del Padiglione Eni hanno utilizzato dei pannelli semitrasparenti, bianchi, dove avevano appeso vari manifesti. Dietro ai pannelli erano posizionate delle sagome di legno che riprendevano forme umane, e dietro queste dei proiettori creavano le ombre delle sagome sui pannelli. Le posture che mimavano le sagome erano state studiate in modo tale da dare l’impressione che altre persone stessero passeggiando, o fossero ferme, come se stessero guardando un’altra esposizione dietro ai pannelli. L’aver disposto dei manichini di legno dietro a dei pannelli, per proiettarne le ombre (tra queste si incontrano anche bambini con i propri genitori), viene assunto come espediente per non isolare il visitatore, e tiene conto dell’aspetto ludico dell’esperienza, così caro ai bambini, ma non solo. Vista da un’ottica differente, bisogna dire che la presenza di diverse ombre potrebbe diventare inquietante, perché il vedere un’ombra con una certa forma presuppone la presenza di un soggetto (in questo caso un adulto o un bambino), il trovarsi soli in una stanza invece, con delle ombre umane, senza sapere se queste sono reali o meno, potrebbe creare delle paure giustificate.
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Prima azione Le azioni sono tre e si differenziano l’una dall’altra per numero di attori coinvolti. La prima azione riguarda un solo attore nell’area sensibile dell’installazione, ed è nata da una riflessione sulle considerazioni di Marc Augé: Lo spazio del non luogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine. [...] I non luoghi si percorrono e dunque si misurano in unità di tempo. Gli itinerari non esistono senza orari, senza pannelli di arrivo e di partenza nei quali c’è sempre lo spazio per menzionare eventuali ritardi. Essi vivono al presente. Possiamo affermare che la loro esistenza coincide con la mancanza di alcuni elementi essenziali (identità, storia, relazioni), e non con la loro presenza. La rappresentazione di quest’idea è stata sviluppata basandosi sul principio dell’eliminazione. Di fatto la prima azione è quella che elimina gli elementi che danno vita ai non luoghi, ossia gli utenti. Colui che entra nell’area dell’installazione si trasforma in attore, trova di fronte a se una proiezione video che rappresenta il non luogo in cui si trova. La
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proiezione eseguita è stata pensata appositamente per rappresentare il non luogo, in modo che l’attore non allontani l’attenzione dallo spazio in cui è immerso e vive quell’istante. La proiezione viene eseguita in una serie di “n” video l’uno sovrapposto all’altro, non in trasparenza. Per ogni movimento che l’attore andrà a compiere all’interno dell’area di cattura, indistintamente dai movimenti attoriali o naturali, la proiezione dell’ombra andrà a ripetere gli stessi movimenti, ma con un effetto di eliminazione, il video proiettato verrà cancellato lasciando spazio al video sottostante. La serie di video che verranno proiettati, è girata precedentemente nello spazio nel quale verrà installata la proiezione. Questi video riporteranno la stessa inquadratura con la medesima illuminazione, in modo tale che quando l’attore andrà a eliminare pian piano i video, disposti in sequenza, quello che si noterà non sarà una variazione dello spazio, ma si avrà un’eliminazione dei fruitore di questi luoghi, gli stessi utenti. L’eliminare gli utenti mantenendo il non luogo invariato va, simbolicamente, a rappresentare l’assenza dei tre elementi mancanti che identificano il non luogo: l’identità, la storia e le relazioni.
n ... video quinto video quarto video terzo video secondo video primo video
schermo proiezione
area sensibile
In questa serie di immagini si può notare come sono disposti i veri video e che cosa accade quando un soggetto si muove all’interno dell’area sensibile.
Quando un attore antra nell’area sensibile, a ogni suo movimento o spostamente effettuerà un’azione di eliminazione. La parte eliminata permetterà di vedere il video sottostante.
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Nella sequenza di immagini qui sopra viene rappresentato, quello che accade quando un attore comincia a muoversi all’interno dell’area sensibile. A ogni movimento del attore è un’azione per cancellare l’immagine che si trova in primo piano.
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In questa sequenza è stata voluta, la rappresentazione delle azioni attraverso i colori. In questo modo è più evidente e comprensibile le regole che l’attore è vincolato.
Qui sopra tre esempi di quale potrebbe essere il risultato di quest’azione esposta per un lungo periodo al pubblico. Come si può vedere, al passaggio di molte persone le varie immagini messe in sequenza si fondano in un’unica immagine con piccoli particolari.
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Seconda azione La seconda azione, che l’installazione permette di compiere agli utenti, è quella che si attiva quando all’interno dell’area sensibile si ha la presenza di due soggetti. Come indicato precedentemente, quando vengono percepiti più soggetti, questi vengono individuati come singole unità. In questo preciso caso i due utenti giocheranno l’uno contro l’altro. Lo scopo del gioco, tra i due attori, consiste nel cancellare l’uno l’ombra dell’altro. L’azione di eliminare l’ombra dell’avversario non deve però essere eseguita semplicemente con dei movimenti scontati (come il banale cancellino sulla lavagna), ma dev’essere eseguita giocando con la propria ombra, muovendosi all’interno dell’area sensibile. La proiezione che si realizza, quando i due soggetti entrano all’interno dell’area, è la proiezione delle loro ombre. Queste appaiono come delle sagome semplici, ricavate dai profili dei due attore, ma in realtà queste sono prodotte da una serie di tasselli disposti nello spazio, visti da un particolare punto di vista, nel caso di una situazione a riposo in vista frontale in cui vadano a comporre la sagoma e quindi le ombre degli attori. I tasselli, in fase di riposo, inteso come momento in cui le ombre non compiono nessuna azione, si muovono e cambiano forma su quelli che sono i movimenti degli attori, mimandone solamente gli spostamenti. Abbiamo operato una distinzione
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tra movimento naturale e attoriale, nel verificarsi di questi due casi il processore elabora due differenti comportamenti, e ne produce altrettante soluzioni: se gli attori mantengono dei comportamenti naturali le ombre proiettate rimangono costanti, ossia rimangono delle ombre composte da tasselli che eseguono le stesse gestualità dei soggetti, se invece gli attori compiono dei movimenti attoriali, questi vengono percepiti dal programma come delle azioni che innescano l’eliminazione dell’avversario, cancellandone l’ombra. L’azione compiuta dall’ombra in questa situazione di “uno contro uno” è molto semplice. Ai movimenti attoriali del soggetto, l’ombra risponde creando un vortice tridimensionale, composto dai tasselli che prima erano ordinati nello spazio e componevano la sagoma dell’ombra. Lo scopo del gioco è quello di rubare l’ombra all’avversario, attraverso gli spostamenti del vortice. In questo caso le situazioni che si possono avverare sono limitate a tre tipi: entrambi i giocatori si rifiutano di giocare, tutti e due decidono di giocare l’uno contro l’altro, uno dei due decide di giocare mentre l’altro resta passivo subendo le azioni dell’avversario. Cominciamo ad analizzare l’ultima ipotesi, un attore è fermo, l’altro si muove. Quando un attore compie dei movimenti la sua ombra comincia a roteare, creando un vortice di tasselli, l’avversario non muovendosi mantiene la sua sagoma d’ombra
inalterata. Il movimento che deve compiere l’ombra dell’attore in azione, dopo essersi trasformata in un vortice, è quello di avvicinarsi all’avversario in modo che i tasselli che lo compongono vadano ad impattare contro i tasselli dell’ombra ferma. Lo scopo dell’azione è quello di far si che il vortice ombra si impossessi dell’ombra avversaria, interamente o in parte. La visualizzazione di questo vortice non è sviluppata su una vista piana ma tridimensionale, così come il piano che ospita l’area sensibile, e la disposizione dei tasselli dell’ombra semplice. La scelta di trasformare la rappresentazione, da piana a tridimensionale, è stata fatta per renderla più dinamica, più coinvolgente per chi la osserva e partecipa, un modo per eliminare l’idea di piattezza che caratterizza l’ombra, e per reinterpretarla trasformando la visualizzazione dell’ombra in qualcosa di fantastico. Quando il vortice viene creato, il suo fulcro a terra, nel piano virtuale, corrisponde con la posizione dell’attore sul piano reale dell’installazione. I due piani, quello sensibile reale e il piano virtuale, conservano le stesse proporzioni in modo da mantenere una corrispondenza percettiva. Per far capire agli attori quanto la loro riproduzione dell’ombra non sia semplice, si è pensato di far corrispondere al movimento dell’attore, che si trova all’interno dell’area, lo stesso movimento dell’ombra con una semplice differenza: i tasselli non si muoveranno tutti alla stessa velocità, ma creeranno
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Qui a finaco le illustrazioni di come viene ad essere composta l’ombra degli attori quando entrano nell’area sensibile. L’ombra è composta da tasselli che ricompongono la sagoma dell’attore, a ogni movimento i tasselli seguono la sagoma. Quando l’ombra non compie nessun spostamento o movimento l’ombra di infittisce deventando più densa.
una scia. Quest’ultima deve invogliare gli utenti a compiere dei movimenti attoriali in modo da attivare l’azione del vortice. Altra ipotesi possibile si ha nel caso in cui tutti e due gli attori decidano di fronteggiarsi, entrati nell’area sensibile cominceranno a muoversi e a scontrarsi l’uno contro l’altro. La velocità dei vortici degli attori, entrambi con la medesima rotazione in senso orario, dipende dalla rapidità dei movimenti attoriali e dalla loro intensità. Quando i tasselli dell’ombra dell’attore che compie i movimenti attoriali, con maggiore velocità, colpiscono i tasselli dell’avversario più “lento”, il primo li incorpora aumentando la densità dell’ombra. Quando i due attori smettono di compiere dei movimenti, e quindi torneranno a ricomporre le loro ombre, possono vedere chi dei due possiede più parti dell’ombra avversaria. Nel caso in cui i due attori non compiano nessuna azione attoriale, ma solo degli spostamenti, non si avrà una trasformazione delle ombre, e i loro movimenti attiveranno una scia di tasselli che rincorrono i movimenti fatti dall’attore. Concludendo: quando due persone entrano nell’area
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sensibile le loro ombre sono composte da piccoli tasselli che sono disposti nello spazio, per qualsiasi semplice movimento questi tasselli rincorrono la forma che l’attore assume, questo spostamento dei tasselli da una posizione all’altra è più lenta del movimento che compie l’attore, in modo da creare curiosità nell’attore e stimolarlo a muoversi più velocemente. Quando l’attore si muove, più velocemente, si crea un vortice che cattura i tasselli dell’ombra dell’altro attore. Quando i tasselli che turbinano, nel vortice di uno dei due soggetti, si scontrano con i tasselli dell’altro attore, i tasselli del secondo passano al primo per rafforzare l’ombra di quest’ultimo. Quest’idea è stata sviluppata traendo ispirazione dal racconto scritto da Adelbert von Chamisso34 , dove il protagonista Peter Schlemihl viene privato delle propria ombra dal diavolo. Nel romanzo il diavolo sfila l’ombra del protagonista per indossarla, così da avere due ombre distinte. Nell’installazione, attraverso l’azione, lo scontro tra i due attori porta all’eliminazione di una delle due ombre, per arricchire e rafforzare l’altra.
Sopra, In questa illustrazione abbiamo la dimostrazione di come le ombre composta da tasselli si trasforma in un vortice. L’attivazione di questa azione la si ha quando uno dei due attori compie dei movimenti attoriali , in questo esempio si può vedere come uno dei due attori non compie nessuna azione (verde) mentre l’altro si sposta nello spazio sensibile.
Sotto. In questa serie di immagini si può vedere cosa succede quando i due attori compio dei movimenti attoriali e si fronteggiano tra di loro.
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Terza azione L’ultima azione corrisponde alla terza struttura organizzativa degli attori, quella in cui nell’area sensibile si trovano tre o più persone, e dove ogni attore gioca l’uno contro l’altro. Lo scopo del gioco è che per ogni movimento i soggetti possono creare un’energia che può modificare l’ambiente di proiezione e le ombre dei partecipanti all’installazione. L’energia che va a modificare l’ambiente e le ombre degli attori, dipende da quanto sono intensi i movimenti e la loro durata. La proiezione che viene visualizzata, quando tre o più attori entrano nell’area dell’installazione, è la proiezione delle ombre dei soggetti, una riproduzione reale senza nessuna deformazione. Sullo sfondo della proiezione invece compaiono delle linee verticali che vanno a dividere l’intera area di proiezioni in fasce verticali, queste linee andranno a visualizzare quali sono gli effetti delle azioni che le ombre eseguiranno. Quando gli attori, all’interno dell’area, vengono intercettati dai sensori dell’installazione, il software analizza i movimenti che questi compiono, i movimenti non si differenziano solamente in naturali ed attoriali come detto precedentemente, ma vengono individuati anche: direzione, verso, e velocità con cui le azioni vengono eseguite, e ciò per individuare l’intensità e la forza. Prima di spiegare quali sono le caratteristiche utili per individuare il verso e le
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direzione delle varie azioni, si deve spiegare com’è composta e come si sviluppa l’interazione. Differentemente da come si presentava la seconda azione, dove l’effetto ombra era costruito da vari tasselli disposti in uno spazio tridimensionale, e dove parte dell’azione possibile era in 3D, in questa azione ogni movimento ed effetto dei movimenti, viene svolto in un piano bidimensionale, che corrisponde al piano di proiezione. La modifica dell’ambiente, e delle ombre degli altri attori, si esegue nella rappresentazione di “bolle di energia”. Queste sono così chiamate per due motivi: perché per creare l’“energia” c’è bisogno di un movimento veloce del corpo, e perché la forma che assume questa energia è simile a una bolla d’aria immersa in un liquido. Il tipo di movimento compiuto da queste “bolle d’energia” è molto simile a quello che accade in una Magma Lamp.35 Una bolla di energia viene creata e indirizzata verso un punto, questa inizia il suo percorso modificando l’ambiente e le ombre che incontra. Se incontra altre bolle, l’una subisce e influenza l’altra contrapponendo la propria forza. L’energia di ogni singola bolla ha una durata d’efficacia tale che viene determinata dall’intensità della stessa, quando l’energia diminuisce l’ambiente visualizzato con le linee verticali tende a ricomporsi, e a tornare come in origine, portando con se le bolle originate
precedentemente. Come nell’azione prima descritta, composta da soli due attori, anche in questa situazione possono verificarsi varie interazioni, si può decidere di contrastare gli avversari o rimanere indifferenti. “Le bolle d’energia” si attivano in base ai movimenti compiuti dall’attore, non importa se questi sono volontari o involontari, l’importante è che siano dei movimenti del corpo. Il software percepisce il moto in rapida sequenza e lo trasforma in energia. Il software per la gestione dell’installazione, riesce ad orientare le bolle, l’orientamento impresso a quest’energia dipende dall’area nella quale l’attore compie il movimento. Il software, quando individua più di tre attori nell’area sensibile, applica ad ognuno di loro uno schema che suddivide lo spazio attorno al singolo attore in sei aree, ogni area identifica una diversa direzione delle bolle di energia. Lo schema di orientamento è basato sulle proporzioni del corpo umano, proporzioni ritrovate nel disegno dell’uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci. Esso indica lo spazio che una persona può occupare muovendo le articolazioni delle braccia e delle gambe, e suddivide l’intera area in zone, facendo riferimento alle proporzioni del corpo umano. Lo schema sovrapposto ad ogni attore assume come unità di misura l’altezza, in questo modo la suddivisione delle aree sarà proporzionale all’altezza degli attori.
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Con lo studio delle proporzioni del corpo umano, sul modello Vitruviano, è stato possibile individuare uno schema che permette di orientare “le bolle di energia”. Questo schema è stato realizzato sulla base dei possibili movimenti che un uomo può compiere, con movime di braccia e gambe. L’area di movimento è uno schema proporzionale basato sull’altezza dell’attore. Le prime quattro illustrazioni in alto vanno a individuare l’area che braccia e gambe possono occupare in uno spazio bidimensionale. Successivamente lo schema che viene ad essere composto basandosi sull’altezza delle persone.
1/7 1/7 1/7 1/7 1/7 1/7 1/7
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In alto lo schema che suddivide le aree attorno al attori. Successivamente lo stesso schema ma con le indicazioni dell’orientamento delle “bolle d’energia”. Sotto esempi di come lo schema delle aree si adatti indifferentemente all’altezza degli attori.
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Sopra alcuni dei fotogrammi di studio per la realizzazione e concretizzazione della terza azione. A ogni movimento dell’attore viene a crearsi un’energia che va a modificare l’ambiente. Le foto a lato e sotto sono i primi screenshot dei primi risultati. L’effetto ombra viene a crearsi con la differenza tra due fotogrammi, ogni secondo vengono generati 25 fotogrammi. Il ripemimento dell’effetto ombra è il video che la stessa telecamera cattura.
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Sopra alcuni fotogrammi di una delle due proposte di installazione. L’intera proiezione è individuata da linee verticali che si modificano soltanto al passaggiodegli attori. La seconda proposta, fotogrammi sotto, utilizza lo stesso principio della proposta precedente ma con una semplice variazione, le linee verticali sono la composizione di un’immagine sfocata. Per comprendere l’immagine si devono spostare le corde, questo solamente compiendo dei movimento attoriali nell’area sensibile dell’installazione.
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COMPONENTI
HARDWARE E SOFTWARE
Dopo aver descritto, quali sono le azioni che possono compiere i diversi attori, viene esposta la componente tecnica che concretizza l’installazione. In prima istanza si definisce lo spazio all’interno del non luogo che la ospiterà, dotandolo di video proiettori, videocamere, superfici di proiezione, …, e successivamente l’hardware e il software che dovranno gestire l’interazione. Nella progettazione e nello studio dello spazio dell’interazione fra attori e ombre, si era pensato di dedicare una zona di passaggio del non luogo, in modo tale che i soggetti interessati potessero entrare ed uscire facilmente dall’area sensibile. Con il susseguirsi delle sperimentazioni di progetto, si è valutata la possibilità di sviluppare l’installazione in zone di passaggio obbligato per gli utenti, ad esempio nei lunghi corridoi asettici che caratterizzano gli aeroporti, nei trasbordi delle metropolitane. L’opzione di ampliare l’estensione orizzontale della superficie di proiezione, è stata presa in considerazione in corso d’opera, per motivi differenti quali: dare la possibilità agli utenti di potersi muovere lungo il trasbordo e non farli stazionare in un solo punto, dare la possibilità a più utenti di interagire, da soli o in gruppo, in tutta la lunghezza, sfruttare al massimo lo spazio a disposizione, dato che questi corridoi di trasbordo sono molto lunghi.
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L’idea è quella di espandere l’installazione fin dove è possibile. Le due soluzioni brevemente descritte, sono differenti nella loro declinazione espressiva, perché operano su due porzioni di non luogo contraddistinte: nella prima l’interazione da parte dell’utente è volontaria, la seconda invece obbliga l’utente, ignaro, a partecipare all’esperienza interattiva. Soluzioni molto diverse l’una dall’altra, concettualmente, ma similari per quel che riguarda gli aspetti tecnici. La prima ipotesi contemplava la presenza di sensori per la cattura del movimento, e videoproiettori, in numero ridotto, e prevedeva la progettazione di una segnaletica adeguata, per indicare agli utenti la presenza dell’area sensibile. Nel secondo caso invece, l’installazione pervade lo spazio percorribile ed è subito manifesta, non necessita pertanto di alcuna segnaletica. In questo caso il numero di sensori e di videoproiettori dipende dalla dimensione dei corridoi o dei trasbordi, dalle possibilità economiche messe a disposizione per acquistare o affittare i singoli elementi. Le componenti essenziali per la realizzazione di questa installazione sono tre: i sensori di cattura, i video videoproiettori per la visualizzazione, e un computer che processi i dati.
Ipotetico sviluppo dell’installazione in un corridoio di una metropolitana, aeroporto, ... Da queste immagini si può vedere qual’è la posizione dei sensori e l’area di cattura(di colore magenta), la posizione dei video proiettori e qual’è la lunghezza della superficie di proiezione (di colore cyano).
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Sensori I sensori utilizzati ne progetto si identificano nelle videocamere a infrarosso, che offrono la possibilità di riprendere un’immagine più definita, riducendo di molto le informazioni ridondanti. La posizione degli elementi all’interno dell’installazione, è stata inserita ad una altezza di 2,50 metri circa, da terra, appena sopra lo schermo di proiezione. Questo per dare la possibilità alle telecamere di individuare più attori, ed evitare che questi si sovrappongano visivamente, o evitare che un attore troppo vicino al sensore occupi interamente l’area di cattura del sensore stesso. Posizionare un sensore di questo tipo a un’altezza elevata creerebbe un’immagine, in acquisizione, distorta. L’immagine che si percepisce, se non è sottoposta a particolari elaborazioni, andrebbe a falsare la realtà, in questo caso, il programma che elabora le immagini, apporterà degli accorgimenti in modo da ricreare una situazione reale.
Qtà.
Tipo
Modello
3
Telecamera bianco/nero
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81,60 €
3
Focale 2,8 mm
RE-028F
28,56 €
3
Illuminatori infrarosso
SUR-RE-NIR 30DS
96,90 €
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SUR-RE-NAL 4SS
15,50 €
I prezzi indicati sono stati presi dal sito http://videosorveglianza.feniva.it
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Presso/cad.
In queste immagini sono indicate le sovrappossizioni dei sensori di cattura. Questo viene ad essere eseguito per avere la massima superficie di copertura. La prima illustrazione è una vistra frontale, mentre la seconda è una vista dall’alto. Da quest’ultima si può notare l’effettiva sovrapposizione dell’aria di cattura dei sensori.
80. Telecamera infrarossi bianco/ nero, modello RE-TBC2.
In fase di installazione nel luogo specifico, il programma, che gestirà l’installazione, serrà programmato in modo che non si verifichino questi accavallamenti di aree, perché causerebbe una ridondanza di dati e quindi una scorretta rappresentazione.
81. Illuminatori infrarosso, modello SUR-RE-NIR 30DS
82. Focale 2,8 mm., modello RE-028F.
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Videoproiettori Per quanto riguarda la proiezione, si è pensato di utilizzare un video proiettore che dia la possibilità di essere installato in prossimità dello schermo, in modo tale che gli attori, nel muoversi all’interno dell’area sensibile, non proiettino le loro ombre reali sullo schermo, ciò accadrebbe,se un il proiettore si trovasse a una distanza elevata dallo schermo di proiezione. La nota casa di produzione Sanyo produce un modello di proiettore molto grandangolare, che può essere orientato in molti modi. Il modello è SANYO PLC-XL51, e permette quindi di proiettare a distanze ravvicinatissime (minima distanza 8,1 cm). Le proporzioni della superficie di proiezione del quadro si assestano su un rapporto di 16:9, a rimarcare l’orizzontalità del luogo, ma anche perché le varie azioni che sono state considerate, necessitano di una superficie orizzontale più estesa. Partendo da questo rapporto tra lato e altezza, si è fissata una delle due dimensioni, l’altezza è indicata a 250 cm, di conseguenza la larghezza è di 444 cm. Il proiettore, per avere la possibilità d’illuminare un’area del genere, ha bisogno di essere collocato ad una distanza di 89 cm, potrebbe essere posizionato indifferentemente sul soffitto o appoggiato sul pavimento, ma per evitare eventuali urti con i protagonisti dell’installazione, e per ridurre la possibilità di ricreare delle ombre reali, questo verrà posto sul soffitto.
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Nell’immagine sopra rappresentata l’intera area di proiezione (colore cyano), composta da cinque videoproiettori messi in sequenza. Nell’immaigne a sinistra, invece, si può notare il posizionamento dei videoproiettori al soffitto e la loro vicinanza al muro di proiezione.
83. Videoproiettore SANYO PLCXL5.
Scheda tecnica Proiettore: Risoluzione: XGA (1024 x 768) Brillantezza: (typical) 2700 ANSI Lumens Aspect Ratio: 4 : 3 Zoom/Focus: Manual Lente di proiezione: F1.85 / f0.19” Lampada di proiezione: 275W NSHA Sistema Colore: NTSC/PAL/SECAM/NTSC4.43/PAL-M&N Compatibilità computer: UXGA, WXGA, SXGA+, SXGA, XGA, SVGA, VGA,MAC analog Voltaggio: 100-120V/200-240V AC; 50/60 Hz (auto Voltage) Dimensioni: (WxHxD) 37.4x49.5x20.1 cm Peso netto: 7,70 kg Prezzo: 2.285 €
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Computer Oltre ai sensori e i videoproiettori, per completare l’installazione, c’è bisogno di un sistema che elabori le informazioni in entrata, ciò è possibile utilizzando un comune PC, dotandolo però di una scheda grafica adeguata. Questo tipo di scheda grafica permetterà con facilità il cambiamento della tipologia dell’installazione, potendo connettere più sensori di movimento e più videoproiettori, in modo tale da poter estendere la superficie della stessa.
Specifiche computer: Cabinet: ATX MIDI Tower PC302 500W 20*4P 12cm SIL Scheda madre: MB ASUS P5Q SE C2D/Q 775-1600 4D2DC-1200 PCIE2 CPU: CPU INTEL E7400( BX80571E7400) CORE2 DUO 2.8GHZ 7 Memoria: DDR2 DIMM 4GB(2X2GB) PC2-6400 800MHZ CORSAIR 5-5-5 Scheda di acquisizione video: Scheda d’acquisizione video sorveglianza a 8 canali Sk-Brain [559590256] Scheda video con 4 uscite DVI: SAPPHIRE TECHNOLOGY Radeon HD 4850 X2 - 1 GB GDDR3 - PCI-Express 2.0
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Software La scelta del programma, con il quale sarà gestita l’intera installazione, è stata fatta dopo aver messo a confronto i differenti software oggi disponibili (QuartzComposer, Java, VVVV, ...). Nella comparazione si è individuato Processing, quale applicativo che corrisponde alle esigenze richieste dal progetto, facilmente risolvibili con tale software. Processing è un linguaggio di programmazione che si basa su delle librerie di Java, in specifico Momani Specific Language dedicate completamente alla grafica. L’idea di questo linguaggio è nata da sue ricercatori del MIT Media Lab, Ben Fry e Casey Reas, come strumento per insegnare le basi della programmazione in ambiente visuale e di sviluppo immediato. Ora questo programma, scaricabile dalla rete liberamente, e sviluppato come progetto OpenSource, è uno dei linguaggi di programmazione più utilizzati e diffusi tra i Visual Artists, o dai ricercatori, per via della sua immediatezza e per la facilità con la quale è possibile realizzare animazioni e/o visualizzazioni grafiche.
84. Sopra. Logo Procecing Sinistra. Due finestre di lavoro del programma, con visualizzate alcine parti del linguaggio di programmazione.
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Bibliografia Roberto Casati, La scoperta dell’ombra, Da platone a Galileo la storia di un enigma che ha affascinato le grandi menti dell’umanità, Laterza, Roma 2008. I. Stoichita Victor, Breve storia dell’ombra, Dalle origini della pittura alla Pop Art, Traduttore da B. Sforza, Editore Il Saggiatore, 2003. Jun’ichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Traduttore Ricca Suga A., Editore Bompiani, 2000. Augé Marc, Nonluoghi, Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2005. Ernst Hans Gombrich, Ombre, Traduttore M. C. Mundici, Einaudi 1996. Di Bosoni Giampiero, Moos Stanislaus von, Campana Mara, Max Huber, Editore Phaidon, 2008. Platone, Repubblica, traduzione di Francesco Srtori, Laterza, Bari 1997. William Rubin, Picasso and Braque: A symposium, New York 1992. Elia Bonci, Elementi della teoria delle ombre, U. Hoepli, Milano 1908. Antonio Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi Editori, Torino 2002. Alberto Abruzzese, Lessico della comunicazione, Maltemi editori, Roma 2003. Manuel Castells, Galassia Internet, Feltrinelli, 2006. Sergio Polano, Achille Castiglioni, Electa Mondadori, 2000. Dante Allighieri, La Divina Commedia, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976. Gianni Sirch, Warhol e la pop art, E-ducation.it, Firenze, 2008.
Siti web Illusion Work, http://www.illusionworks.com/mod/fukuda.htm Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Shigeo_Fukuda Morasha, http://www.morasha.it/arte/kagan.html Art on web, http://www.artonweb.it/artemoderna/quadri/articolo111.htm Design Museum, http://www.designmuseum.org/design/philip-worthington Pata magazine, http://www.patamagazine.com/it/tim-noble-e-susan-webster Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Tim_Noble_and_Sue_Webster Art’s blog, http://www.artsblog.it/post/493/le-sculture-dombra-di-tim-noble-e-sue-webster Art’s blog, http://www.artsblog.it/post/1008/kumi-yamashita-luci-e-ombre-per-disorientare-i-sensi Kumi Yamashita, sito personale dell’artista, http://kumiyamashita.com/ Thirteen, http://www.thirteen.org/sundayarts/chalk-artist-ellis-gallagher/81
Gothamist, http://gothamist.com/2005/12/10/fun_and_semileg.php NewYork the blog, http://nyctheblog.blogspot.com/2008/09/ellis-g-installation-at-sara-tecchia.html Brooklyn Museum, http://www.brooklynmuseum.org/exhibitions/graffiti/ellis.php Only the blog know’s brooklyn, http://onlytheblogknowsbrooklyn.typepad.com/only_the_blog_knows_ brook/2005/07/postcard_from_t_14.html Friend’s we love, http://friendswelove.wordpress.com/2008/10/08/friends-we-love-ellis-gallagher-aka%C2%A9-ellis-g/ NewTime Time, http://www.nytimes.com/2005/12/10/nyregion/10chalk.html?ex=1291870800&en=14d6fbf4 c8ce722b&ei=5090&partner=rssuserland&emc=rss Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Ellis_Gallagher Telenet, http://users.telenet.be/eerdekens/main.htm Digicult, http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=966 Rafael Lozano-Hemmer, http://www.lozano-hemmer.com/
Video Current_ , http://current.com/items/76432902/ellis_g_the_life_of_a_shadow_director_s_cut.htm Blip tv, http://blip.tv/file/641270
Note
1 Platone, Repubblica, traduzione di Francesco Srtori, Laterza, Bari 1997. 2 Vocabolario Illustrato della lingua Italiana, Giacomo Devoto - Gian Carlo Oli, Selezione dal Reader’s Digest, Milano - M C M L X X I X - Vol. II, M-Z. 3 James G. Frazer, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e sulla religione, Newton Compton 2006. 4 Adelbert von Chamisso - Peter Schlemihls wundersame Geschichte. 5 Alice nel paese delle meraviglie, titolo originale: Alice in Wonderland, Paese: Stati Uniti, Anno: 1951, Durata: 72’, Rapporto: 1.33:1, Regia: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske, Soggetto: Lewis Carroll, Sceneggiatura: Aldous Huxley, Produttore: Walt Disney, Casa di produzione: Walt Disney Productions. 6 Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, III, 415-440. 7 Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, III, 446-465. 8 Dante Allighieri, La Divina Commedia, Paradiso, canto II, verso 49-50, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976. 9 Dante Allighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, canto II, verso 74-82, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976. 10 Dante Allighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, canto III, verso16-30, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976. 11 Monet, lettera, dell’11 agosto 1908, in Wildenstein, Claude Monet. Biographie et catalogue raisonné, [1899-1926], Lausanne-Paris 1985, pag.373. 12 De Chirico, “réflexions d’un peintre sur ce que peut etre la peinture de l’avenir” 1966. 13 De Chirico, “réflexions d’un peintre sur ce que peut etre la peinture de l’avenir” 1966. 14 Arnheim, R., Art and visual perception: a psychology of the creative eye, Berkeley-Los Angeles 1954). 15 Bonito Oliva, (a c.di), “Industrial metephysics. Interview with Andy Warhol by Achille Bonito Oliva”, in Warhol verso de Chirico, Milano 1982, pag.72. 16 Larry Kagan, tratto da http://www.artonweb.it/artemoderna/quadri/articolo111.htm. 17 Larry Kagan, tratto da http://www.triennale.it/index.php?id=1&tbl=0&idq=98. 18 Gianni Mercurio, tratto da http://www.triennale.it/index.php?id=1&tbl=0&idq=98. 19 Demetrio Paparoni, tratto da http://roma.art-radar.com/events/event.php?idelemento=14841. 20 Intervista di Monica Ponzini a Rafael Lozano-Hemmer, titolo articolo Relationl Architecture, tratto da http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=966. 21 La signora di Shanghai, titolo originale: The Lady from Shanghai, paese:USA, anno: 1948, durata: 86 min, regia: Orson Welles, soggetto: tratto dal romanzo L’altalena della morte (If I Die Before I Wake) di Sherwood King 22 Otello, paese: Francia/Italia/Marocco/USA, anno: 1952, durata: 91 min, regia: Orson Welles, soggetto: William Shakespeare (dalla tragedia omonima), sceneggiatura: Orson Welles e Jean Sacha. 23 Rapporto confidenziale, titolo originale: Mr. Arkadin, paese: Francia/Spagna/Svizzera, anno: 1955, durata: 93 min, regia: Orson Welles, soggetto: Orson Welles, sceneggiatura: Orson Welles. 24 Il processo, titolo originale: Le Procès, paese: Francia/Germania Ovest/Italia/Jugoslavia, anno: 1962, durata: 120 min, regia: Orson Welles. 25 Sin City, titolo originale: Sin City, paese: USA, anno: 2005, durata: 126 min.,147 min. (director’s cut), rapporto: 1.85:1, regia: Robert Rodríguez, Frank Miller, Quentin Tarantino (special guest director),
soggetto: dal fumetto di Frank Miller, Sceneggiatura: Robert Rodríguez, Frank Miller, Casa di produzione: Dimension Films, Troublemaker Studios. 26 M - Il mostro di Düsseldorf , titolo originale: M - Eine Stadt sucht einen Mörder, paese: Germania, anno: 1931, durata: 117’, regia: Fritz Lang, sceneggiatura: Thea von Harbou, Fritz Lang. 27 Pulp Fiction, titolo originale: Pulp Fiction, paese:USA, anno:1994, durata:154 min., rapporto:2.35 : 1, regia: Quentin Tarantino, soggetto: Quentin Tarantino, Roger Avary, sceneggiatura: Quentin Tarantino, produttore:Lawrence Bender, produttore esecutivo:Danny DeVito, casa di produzione: A Band Apart, Jersey Films, Miramax Films. 28 Anna Rado, Ombre nel cinema : classificazione delle ombre nei film, Tesi di laurea specialistica IUAV, relatore Roberto Casati, 2007. Biblioteca Centrale IUAV, cod. CLASVEM 0011-LCV0011. 29 Augé Marc, Nonluoghi, Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2005. 30 Genius loci: Il Genius loci è un’entità soprannaturale legata a un luogo e oggetto di culto nella religione romana. Tale associazione tra Genio e luogo fisico si originò forse dall’assimilazione del Genio con i Lari a partire dall’età augustea. Secondo Servio, infatti, nullus locus sine Genio (nessun luogo è senza un Genio) (Commento all’Eneide, 5, 95). Secondo le prescrizioni del Movimento Tradizionale Romano, il Genius loci non va confuso con il Lare perché questi è il Genio del luogo posseduto dall’uomo o che l’uomo attraversa (come i Lari Compitali e i Lari Permarini), mentre il Genius loci è il Genio del luogo abitato e frequentato dall’uomo. Inoltre quando si invoca il Genius loci bisogna precisare sive mas sive foemina (“che sia maschio o che sia femmina”) perché non se ne conosce il genere]. 31 Augé Marc, Nonluoghi, Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2005. 32 Alice nel paese delle meraviglie, titolo originale: z in Wonderland, paese: USA, anno: 1951, durata: 72 min., rapporto: 1.33:1, regia: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske, soggetto: Lewis Carroll, sceneggiatura: Aldous Huxley, produttore: Walt Disney, casa di produzione: Walt Disney Productions. 33 Augé Marc, Nonluoghi, Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2005. 34 Adelbert von Chamisso, Storia straordinaria di Peter Schlemihl, titolo originale: Peter Schlemihls wundersame Geschichte, 1814. 35 Nome originario Astro Lamp, designer Edward Craven-Walker, commecializzata nel 1963.
Immagini
1. La caverna di Platone, Grabado nel 1604 per Jan Saenredam su disegno di Cornelis Cornelisz. Fitzwilliam Museum, Cambridg. 2. Schema di rappresentazione delle varie tipologie di ombre. Pagina 257 del libro La scoperta dell’ombra, Roberto Casati, Da platone a Galileo la storia di un enigma che ha affascinato le grandi menti dell’umanità, Editori Laterza, 2008. 3. Spiegazione delle cause della penombra. Pagina 258 del libro La scoperta dell’ombra, Roberto Casati, Da platone a Galileo la storia di un enigma che ha affascinato le grandi menti dell’umanità, Editori Laterza, 2008. 4. Esempio di una contro-ombreggiatura in un leopardo, colorazione più scura nella zona superiore del corpo (quali testa e dorso), e più chiara nella zona inferiore (quali gola e pancia). Immagine utilizzata dal prof. Roberto Casati durante il corso di Teoria del colore, Universita IUAV di Venezia. Autore Pascal Mamassian. 6. Primi esempi di lampadine elettriche realizzate da Thomas Edison nel 1880, http://www.sciencemuseum. org.uk/images/object_images/535x535/10276216.jpg. 7.Illustrazione brevetto lampadina di Thomas Edison, 1880, http://www.allamericanpatriots.com/files/ hd/1880-edison.jpg. 8. Illustrazioni di Georg Cruikshank, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio offre a Peter Schlemihl la sua ombra in cambio della sua anima. 9. Illustrazioni di Georg Cruikshank. Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. Il giovane ragazzo scambia la sua ombra con la sua unima. 10. Illustrazioni di Georg Cruikshank. Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. Peter rincorre la sua ombra che va a nascondersi nella foresta. 11. Illustrazioni di Adolf Schrodter, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio sfila l’ombra del giovane. 12. Illustrazioni di Adolfo Menzel, Romanzo di Adelbert von Chamisso dal titolo Peter Schlemihl. L’uomo in grigio si impadronisce dell’ombra di Peter Schlemihl. 13. Le avventure di Peter Pan, titolo originale: Peter Pan, paese: USA, anno: 1953, durata: 76 min., regia: Clyde Geronimi, Wilfred Jackson, Hamilton Luske, soggetto: James Matthew Barrie (opera teatrale), sceneggiatura: Milt Banta, William Cottrell, Winston Hibler, Bill Peet, Erdman Penner, Joe Rinaldi, Ted Sears, Ralph Wright, Produttore: Walt Disney. 14. Antonio Tempesta, Narciso alla fonte, illustrazione per Ovidio, Metamorfosi, 1606, Tav.28, incisione, 97x115cm, london, British Library. 15. Manifesto pubblicitario di Chanel perfume Egoiste ‘Platinum’, 1994. 16. Sequenza fotogrammi spot Chanel perfume Egoiste ‘Platinum’, 1994. 17. Bartolomé Esteban Murillo, L’origine della pittura, 1660- 65, olio su tela, 115 x 169 cm, Bucarest, Muzeul National de Arta. 18. Natività di Filippo Lippi, le ombre proiettate dai paletti sono incoerenti: non esistono una sorgente di luce che possa proiettarle. Tuttavia la scena non sembra inverosimile: la percezione accetta buona parte di ciò che il pensiero trova scorretto.
19. Masaccio, San Pietro risana gli infermi con la propria ombra, 1426-27, affresco, 230x162 cm, Firenze, Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci. 20. Pablo Picasso, Ragazza triste, 10 giugno 1939, olio su tela, 92 x 60 cm, collezione privata. 21. Claude Monet, L’ombra di Monet nello stagno delle ninfee, 1905, fotografia, Parigi, collezione Philippe Piguet. 22. Paplo picasso, l’ombra sulla donna, 29 dicembre 1953, olio e carboncino su tela, 129,5 x 96,5 cm, Parigi, Musée Picasso. 23. Paplo picasso, Ombra, 29 dicembre 1953, olio su tela, 130,8 x 97,8 cm, Toronto, Art Gallery of Ontario. 24. Giorgio de Chirico, Mistero e melanconia di strada, 1914, olio su tela, 87 x 71,5 cm, collezione privata. 25. Giorgio De Chirico, Melanconia, olio su tela, 78,8 x 63,5 cm - 1912, ma riferibile al 1914, Collezione privata. 26. Andy Warhol e Giorgio de Chirico, 1974, Autore Gianfranco Gorgoni, fotografia. 27. Andy Warhol, Shadow, 1979, installazione all’Andy Warhol Museum di Pittsburg, 102 tele, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm ciascuna, esposizione a rotazione in gruppi di 55. 28. Andy Warhol, Shadow, 1979, installazione all’Andy Warhol Dia Art Foundation, 102 tele, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm ciascuna. 29. Shadow, Andy Warhol, 1979, serigrafia e acrilico, 193 x 132,1 cm. 30. The Shadow (autoritratto), Andy Warhol, 1981, serigrafia e acrilico. 31. Shigeo Fukuda, Lunch with a Helmut On, 1987 utilizzando 848 pezzi tra forchette, coltelli e cucchiai saldati tra loro. 32. Fotogrammi del video performance di Shigeo Fukuda, creazione dell’opera Clamp, http://www. illusionworks.com/mod/fukuda.htm. 33. Larry Kagan, Zanzara http://farm3.static.flickr.com/2259/1663993260_b3530ecdb0_o.jpg. 34. Larry Kagan, Lucky Strike http://www.puppiesandflowers.com/blogimages/09/05/LarryKagan2.jpg. 35. Larry Kagan, Love, http://farm3.static.flickr.com/2338/1663115343_de2ae03898_o.jpg. 36. Kumi Yamashita, Profile, 1994, wood, light, cast shadow, http://kumiyamashita.com/. 37. Kumi Yamashita, Clouds,2005, Light, Aluminum, Shadow, Permanent display at the 3rd floor of Stellar Place Sapporo JR Tower, Commissioned by Japan Railways Inc. 38. Kumi Yamashita, Feather,2006, Light, Wood, Shadow. 39. Kumi Yamashita, City View ,2003, Light, Aluminum, Shadow. 40. Tim Noble and Sue Webste, Black Narcissus, 2006, http://farm2.static.flickr. com/1366/1031913280_3a8bb6a9f4.jpg?v=0. 41. Tim Noble e Sue Webster, HE/SHE, 2003 http://i198.photobucket.com/albums/aa87/mikeen06/ noblewebster4.jpg. 42. Tim Noble and Sue Webster, Manhattan, a 2003, http://www.boxvox.net/images/2008/10/05/ noblewebster.jpg. 43. Tim Noble and Sue Webster, Real Life is Rubbish, 2002, http://i198.photobucket.com/albums/aa87/ mikeen06/noblewebster.jpg. 44.Fred Eerdekens, Could suggest something..., 1999, http://users.telenet.be/eerdekens/main.htm. 45. Fred Eerdekens, minimum, 2004, http://users.telenet.be/eerdekens/main.htm. 46. Fred Eerdekens, Men ga een zachter gang, 1999, http://users.telenet.be/eerdekens/main.htm. 47. Ellis Gallagher, Ombra di una bicicletta proiettata su una parete, 2000 installazione temporanea
a Sara Tecchia Gallery 529 W.20th St. Bet. 10th and 11th aves. NYC. http://farm4.static.flickr. com/3014/2876244185_f814c105a1_o.jpg. 48. Ellis Gallagher, Ombra di un carrello della spesa proiettata su una parete, 2000, installazione temporanea a Sara Tecchia Gallery 529 W.20th St. Bet. 10th and 11th aves. NYC, http://farm4.static.flickr.com/3242/2 876243497_498b5a79d6_o.jpg. 49. Ellis Gallagher mentre disegna l’ombra di un cestino. http://www.nytimes.com/2005/12/10/ nyregion/10chalk.html?ex=1291870800&en=14d6fbf4c8ce722b&ei=5090&partner=rssuserland&emc=rs suserland. 50. Ellis Gallagher all’opera mentre traccia le ombre. http://graphics8.nytimes.com/images/2005/12/09/ nyregion/10chalk650.2.jpg. 51. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2005. http://www.designmuseum.org/media/item/61416/71/Shadow-330.jpg. 52. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2005 http://gallery. discoverymedia.com.au/artzinePub/edition_1/experimenta_worth.jpg. 53. Fotogramma dell’installazione di Philip Worthington, Shadow Monsters, 2008 Moma a New York http://2.bp.blogspot.com/_cUhhFKJkbIk/R79B7V0XS5I/AAAAAAAAACk/3rmJMzWlUQI/s1600-h/ IMG_0193.JPG. 53. Rafael Lozano-Hemmer, Under Scan, 2005. http://www.lozano-hemmer.com/. 55. Rafael Lozano-Hemmer, Body Movies, 2001, http://farm1.static.flickr.com/25/61830316_94b0d9ca5b_o.jpg 56. Rafael Lozano-Hemmer, Frequency and Volume at The Curve, Barbican Art Gallery, 2009. http://www. flickr.com/photos/blackbeltjones/3207022599/sizes/o/. 57. Rafael Lozano-Hemmer, Under Scan, 2005. http://www.lozano-hemmer.com/. 58. Sin City, titolo originale: Sin City, paese: USA, Anno: 2005, durata: 126 min.,147 min. (director’s cut), rapporto: 1.85:1, regia: Robert Rodríguez, Frank Miller, Quentin Tarantino (special guest director), soggetto: dal fumetto di Frank Miller, sceneggiatura: Robert Rodríguez, Frank Miller, casa di produzione: Dimension Films, Troublemaker Studios. 59 M - Il mostro di Düsseldorf, titolo originale: M - Eine Stadt sucht einen Mörder, paese: Germania, anno: 1931, durata: 117 min., regia: Fritz Lang, sceneggiatura: Thea von Harbou, Fritz Lang. 60. Nosferatu - il vampiro, titolo originale: Nosferatu: Phantom der Nacht, paese: Germania/Francia, anno: 1979, durata: 107 min., rapporto: 1.85:1, regia: Werner Herzog, soggetto: Bram Stoker e Friedrich Wilhelm Murnau, sceneggiatura: Werner Herzog, produttore: Werner Herzog, produttore esecutivo: Walter Saxer, casa di produzione: Werner Herzog Filmproduktion, Gaumont. 61. Psyco, titolo originale: Psycho, paese: Usa, anno: 1960, durata: 109 min., Rapporto: 1.85:1, regia: Alfred Hitchcock, soggetto: Robert Bloch (romanzo), sceneggiatura: Joseph Stefano. 62, 63. La signora di Shanghai, titolo originale: The Lady from Shanghai, paese:USA, Anno: 1948, durata: 86 min, regia: Orson Welles, soggetto: tratto dal romanzo L’altalena della morte (If I Die Before I Wake) di Sherwood King. 64. Pulp Fiction, titolo originale: Pulp Fiction, paese:USA, anno:1994, durata:154 min., rapporto:2.35 : 1, regia: Quentin Tarantino, soggetto: Quentin Tarantino, Roger Avary, sceneggiatura: Quentin Tarantino, produttore:Lawrence Bender, produttore esecutivo:Danny DeVito, casa di produzione: A Band Apart, Jersey Films, Miramax Films. 65. Batman - Il ritorno, titolo originale: Batman Returns, paese: USA/Regno Unito, anno: 1992, durata: 126
min., rapporto: 1.85:1, regia: Tim Burton, soggetto: Sam Hamm, Daniel Waters, basato sul personaggio dei fumetti creato da Bob Kane, sceneggiatura: Daniel Waters, Wesley Strick (non accreditato), produttore: Tim Burton, Denise Di Novi, produttore esecutivo: Jon Peters, Peter Guber, Benjamin Melniker, Michael E. Uslan, casa di produzione: Warner Bros. 66. La signora di Shanghai, Titolo originale: The Lady from Shanghai, Paese:USA, Anno: 1948, Durata: 86 min, Colore: B/N, Regia: Orson Welles, Soggetto: tratto dal romanzo L’altalena della morte (If I Die Before I Wake) di Sherwood King. 67. Gabinetto del dottor Caligari, titolo originale: Das Cabinet des Dr. Caligari, paese: Germania, anno: 1920, durata: 71min., regia: Robert Wiene, soggetto: Hans Janowitz, Carl Mayer, sceneggiatura: Hans Janowitz, Carl Mayer, produttore: Rudolf Meinert, Erich Pommer. 68. Nosferatu di Murnau (1922), titolo originale: Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, paese: Germania, anno: 1922, durata: 94 min., Regia: Friedrich Wilhelm Murnau, soggetto: Bram Stoker (romanzo), adattamento di Henrik Galeen, sceneggiatura: Henrik Galeen, produttore: Prana Film Berlin GmbH. 69. Esempio di non luogo, Villach Atrio Shopping Center, http://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/4/45/Villach_Atrio_Shopping_Center_11082007_11.jpg. 70. Esempio di centro commerciale, http://farm1.static.flickr.com/168/423866603_907844c155_s.jpg 71. Esempio di nonluogo, centro comerciale di Seattle http://www.fayeandsteve.com/SeattleSights/Shoppingcenter-pan-2.jpg. 72. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania, http://www.flickr.com/photos/ yushimoto_02/955153232/sizes/o/. 73. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania, http://www.flickr.com/photos/ liquidkingdom/3494145307/sizes/o/. 74. Stazione ferroviaria U-Bahn Marienplatz, Monaco, Germania, , http://www.flickr.com/photos/ linksparker/385773872/sizes/o/. 75. Aeroporto Madrid Barajas T4, Spagna, http://www.flickr.com/photos/8230500@N04/2098135602/sizes/o/. 76. Allestimento generale e stand della XXIII mostra nazionale della radio e della televisione, palazzo dello sport, Milano progetto APGC, committente Anie, Rai, 1957. Architetto Achille Castiglioni. 77. Allestimento della mostra internazionele del petrolio, padiglione Eni, Napoli, 1955. Progetto APGC, architetto Achille Castiglioni, grafica Max Huber. 78. Allestimento della mostra internazionele del petrolio, padiglione Eni, Napoli, 1955. Progetto APGC, architetto Achille Castiglioni, grafica Max Huber. 79. Allestimento dello stand Autovox, salone dell’auto, Torino, progetto APGC, committente Autovox, 1962. Architetto Achille Castiglioni. 80. Telecamera infrarossi bianco/nero, modello RE-TBC2, http://videosorveglianza.feniva.it. 81. Illuminatori infrarosso, modello SUR-RE-NIR 30DS, http://videosorveglianza.feniva.it. 82. Focale 2,8 mm., modello RE-028F, http://videosorveglianza.feniva.it. 83. Videoproiettore SANYO PLC-XL5, http://www.projectorcentral.com. 84. Sopra. Logo Procecing, http://www.processing.org