Sul concetto di spazio in sequenze didattiche

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Sommario

Presentazione di Roberta Albiero Metriche Spaziali Sequenze Didattiche

9

13

Antonello Russo

L’architettura dei contesti

107

Maria Carmela Perri

Architettura e Spazio pubblico

131

Contributi

149

Mauro Scarcella Perino

Fabrizio Ciappina Francesco Messina Gaetano Scarcella


Sequenze Didattiche

Sul concetto di spazio Francesco Messina

Il concetto di spazio è prima di tutto un concetto della fisica, definito come sistema di coordinate tridimensionali grazie alle quali è possibile identificare e posizionare oggetti materiali. Lo stesso concetto riportato alla disciplina architettonica comporta l’introduzione di ulteriori livelli di interpretazione a seconda di ciò che ne definisce l’estensione. Una delle finalità primarie dell’architettura, e probabilmente quella prevalente, è proprio la misurazione dello spazio, nonché la sua definizione tecnica ed estetica, che traduce un dato quantitativo in un’entità qualitativa. In tal senso può essere ricordato quanto scrive Lukàcs: “L’architettura è costruzione di una spazio reale, adeguato, che evoca visivamente l’adeguatezza”.1

Uno dei primi atti che vengono compiuti nell’instaurare un rapporto con il suolo è proprio la perimetrazione di un’area, a volte definita quasi esclusivamente dalla proiezione della copertura. La capanna primitiva, che Laugier2 indicò come modello originario dell’architettura, individuava ad esempio l’abitazione dell’uomo, solo attraverso il tetto ed i suoi esili sostegni. Da qui Laugier definì lo spazio attraverso la distinzione degli elementi fondamentali: basamento, focolare, intelaiatura/tetto e membrana. Il significato tettonico e le regole connettive, con cui questi si compongono, 152

connotano la forma e la natura percettivo-sensoriale dello spazio architettonico, condizionato anche dall’evoluzione diacronica dei sistemi costruttivi. La ricerca storico-critica di Giedion3 è argomentata proprio a partire dal concetto di evoluzione dello spazio nel tempo, in relazione al progresso della tecnica che ha permesso all’architettura di manifestarsi come espressione plastica –dall’epoca mesopotamica a quella greca –, come cavità interna – dall’epoca romana fino al Barocco – e simultaneamente secondo entrambe le concezioni – nella modernità. La prima concezione assegna all’architettura un valore scultoreo grazie al quale l’oggetto architettonico ha senso rispetto al suo valore formale e linguistico e coincide al concetto elastico-ligneo dell’architettura. La seconda concezione invece inizia con la concezione plastico muraria dell’epoca romana in cui le innovazioni costruttive, introdotte dall’uso dell’opus caementicium, hanno permesso di indagare la cavità degli edifici come luogo di affermazione estetica. La terza concezione attribuisce all’oggetto architettonico un ruolo anche sul piano urbano, indicando nella sua membrana un dispositivo di modulazione tanto dello spazio esterno, quanto di quello interno ma soprattutto introduce, attraverso ciò che viene definito Group Design, una nuova possibilità d’interpretazione dello spazio di relazione tra elementi architettonici caratterizzata “per la sua duplice istanza di libertà e di strutturazione”4. Un’analoga interpretazione di Purini5 riporta la questione a due modelli strutturali: lo spazio della griglia tridimensionale di matrice brunelleschiano-albertiana e quello fondato sugli schemi regolatori utilizzati per la contrapposizione tra volumi autonomi. Il primo riproduce l’idea dell’ordine generale che governa la misura e la posizione di tutte le parti, subordinate a un’unica ideale gabbia prospettica. Il secondo modello consta di una composizione dei volumi apparentemente libera, che istituisce un rapporto di reciproca appartenenza tra i diversi elementi del sistema caratterizzato, secondo Purini, dalla moltiplicazione delle singole vedute e dall’incoerenza della sequenza narrativa degli spazi. Questi due modelli sembrano delineare configurazioni che è possibile leggere sia come spazi interni, sia come


Sequenze Didattiche

spazi esterni seppur si addicano prevalentemente alla conformazione urbana più che a quella architettonica, poiché non condizionati dall’atto della delimitazione, bensì dalla disposizione delle masse su un campo di relazioni. La demarcazione di uno spazio decreta piuttosto il grado di osmosi tra le due entità che separa e unisce, e che dipende esclusivamente dalla natura del limite e, per tornare a Lukàcs, dalla sua adeguatezza al bisogno umano, funzionale e rappresentativo, da soddisfare. La struttura continua è sicuramente quella che garantisce una precisione dimensionale entro la quale la percezione è rassicurata dall’esatta estensione dell’ambiente. Ciò accade prevalentemente per l’interno dell’architettura, in cui la continuità muraria e la copertura assicurano un’entità conclusa, seppur apparentemente compromessa da interruzioni che permettono all’uomo di rapportare la dimensione interna con ciò che esiste oltre il limite che lo separa dall’esterno. L’opposto sistema costituito da una struttura discreta, invece, genera uno spazio apparentemente indefinito poiché il confine, la cui disponibilità verso il contiguo induce a una percezione illimitata, è segnato da elementi puntuali che tuttavia scandiscono la metrica della compenetrazione spaziale. Le proprietà dello spazio in quanto cavità interna possono ancora essere declinate attraverso il meccanismo compositivo della variazione planimetrica ed altimetrica dell’invaso, la cui sublimazione avviene nei processi di compressione e dilatazione. Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine di Mario Fiorentino è uno degli esempi più riusciti, non solo per la perfetta declinazione del tema formale e figurativo della scatola sospesa, ma anche per la chiarezza tettonica che lo genera. In questo senso è necessario puntualizzare la distinzione che fa Laura Thermes6 tra due ulteriori modalità di articolazione e definizione dello spazio: assoluto e fenomenico. Il primo può essere riletto attraverso l’essenzialità della campata muraria, coincidente con quella strutturale. Il secondo invece si caratterizza per l’introduzione di elementi, che alimentano e interrompono la cavità, estranei alla scatola muraria. A queste due categorie dello spazio oggi potrebbe aggiungersi la categoria, esitata dalla deriva decostruttivista, dello spazio cosiddetto

fluido. Quest’ultima categoria in realtà prende le mosse da alcuni esempi dell’espressionismo moderno che vede nelle opere di Mendelhsson, Aalto o dell’italiano Michelucci alcune delle più interessanti manifestazioni. Vi è tuttavia una sostanziale differenza tra la “fluidità moderna” e quella contemporanea, che consta nella diversa concezione compositiva. La modernità infatti introdusse lo slittamento del centro della composizione, lasciando tuttavia che esso restasse all’interno della stessa e premettendo quindi la rilettura dei meccanismi da cui avevano origine le conformazioni organiciste. Il decostruttivismo invece, spostando il centro della composizione fuori da essa ed all’infinito, ha scardinato le regole di gestione della forma ed ha sostituito la conformazione con la deformazione incontrollata. Di conseguenza la stessa concezione tettonica ne ha subito gli effetti. Le opere espressioniste del movimento moderno, invero, concepivano lo spazio come positivo volumetrico della forza espressiva che scaturiva dal sistema costruttivo. Non vi erano mediazioni ulteriori tra spazio e sistema strutturale. L’architettura contemporanea ha invece assunto un carattere quasi allestitivo, producendo quello che Koolhaas chiama junkspace, in cui il valore tettonico è assolutamente negato dalla giustapposizione di materiali, involucri resinosi e temporanei, tralicci metallici incollati tra loro come residui inconciliabili, che non necessitano di corrispondenza tecnica, ne dell’adeguatezza sopracitata, quanto dell’impellente esaltazione della scenografica dello spazio.

1 György Lukàcs, Estetica (1963), trad. it. Einaudi, Torino 1960, p.1210. 2 Marc Antoine Laugier, Essai sur l’architecture, 1753. 3 Sigfried Giedion, Le tre concezioni dello spazio in architettura, traduzione di Laura Bica (a cura di), Flaccovio, Palermo,1998. 4 Sigfried Giedion, ibidem. 5 Franco Purini, Comporre l’architettura, Editori Laterza, Roma-Bari 2000, p. 121. 6 L. Thermes, Spazio fenomenico e spazio assoluto, in “Architetturà. Interni Urbani” n.1213/2005, Agorà Edizioni, Sarzana 2003, pp.8-9. 153


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