PROGETTI IN FIERA
Antonino Marino
con Francesco Messina
PROGETTI IN FIERA Progetti urbani degli studenti del Laboratorio di Progettazione Architettonica 2째- C.d.L. S.A.R. Presentazione di Laura Thermes a.a. 2004/05 a.a. 2005/06 a.a. 2006/07
So mm ar io
Tra qualità diffusa e unicità architettonica
Laura Thermes
La Fiera e la città delle immagini
Francesca Fatta
La Fiera di Messina Laboratorio di Idee Policity
Quall’Arco, arcobaleno di pace tra Roma e Messina Messina e la Passeggiata a mare
La Fiera di Messina: tra storia e progetto Tra cielo e mare
Messina. Laboratorio di architettura moderna Sicibria, Calilia, ovvero il Mito contro la Storia
La Fiera di Messina come "non luogo" del moderno
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Antonino Marino
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Francesco Messina
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Pasquale Belfiore
Maria Anna Caminiti Francesco Cardullo Mario Manganaro Marco Mannino
Gianfranco Neri Rita Simone
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Progetti Laboratorio di progettazione architettonica 2 V.O. a.a. 2004/05
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Laboratorio di progettazione architettonica 2 V.O. a.a. 2006/07
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Laboratorio di progettazione architettonica 2 V.O. a.a. 2005/06
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L’impoverimento del valore fondativo dei nuovi insediamenti e, in generale, dell’espansione della città contemporanea impone una riflessione di carattere epistemologico sui sistemi urbani e sulle loro attuali possibilità di trasformazione. Citando Christian Norberg-Schulz, secondo cui il luogo è la “manifestazione concreta del mondo della vita poiché ne assicura la stabilità spaziale e temporale”, è possibile affermare che la città è prima di tutto un luogo o, con maggior precisione, un insieme di luoghi. Il termine “città” viene utilizzato nella quotidianità con accezioni sempre differenti perché racchiude un concetto in grado di esprimere momenti della vita collettiva che investono la sfera politica, socio-economica, antropo-geografica e artistico-architettonica. Ognuna di queste accezioni considera la città ancora come un insieme che può a sua
volta essere sviscerato come globalità dei modi di essere (fenomenico) o come aggregato di unità (analitico). Nel primo caso la città viene interpretata attraverso la qualità degli spazi e delle relazioni che intercorrono tra le sue parti; nel secondo caso invece la compagine urbana viene letta secondo strutture schematiche che forniscono una forma di conoscenza quantitativa, essenzialmente fondata sull’estensione delle parti. Sotto ogni chiave di lettura la città continua a rimanere locus, in quanto prodotto della stratificazione dovuta al rapporto di interdipendenza tra sito e modalità insediative in esso introdotte1. Interpretando il luogo come unità fisico/semantica primaria della costituzione della città secondo le tre modalità sintetizzate da Franco Purini2, questa nozione permette di attribuire identità ad una precisa parte della superficie terrestre, determinata dal modo in cui l’uomo la fa propria e vi definisce il proprio habitat. L’identità “locale” di una
Francesco Messina
PoliCity
Francesco Messina
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PoliCity
città è in sostanza prodotta dal rapporto tra l’oggettività delle cose che sono date, esistono o che vengono trasformate e prodotte nel tempo, e la soggettività di chi le abita, le produce, le trasforma secondo le contingenze geografiche, storiche, tecniche. Compito dell’architetto, all’interno di questo difficile e complesso quadro, è porre in evidenza e controllare il modo in cui, a seguito degli eventi che ne producono la stratificazione, la città traduce le argomentazioni della propria identità in esperienze spaziali e formali. Esse, che in origine si esprimevano nella risoluzione primaria del rapporto gerarchico tra nucleo centrale della città e margine, con l’evoluzione urbana sono state via via determinate dai sistemi di relazioni tra le diverse porzioni urbane, producendo nel tempo luoghi autonomi dal centro, ulteriori centri, non luoghi, superluoghi etc. ognuna con connotazioni formali e spaziali difficilmente determinabili. Il processo di espansione incontrollata della città, il 28
fenomeno della città diffusa, lo sprawl hanno prodotto lo sfilacciamento delle principali relazioni tra centro e periferia, provocandone quasi l’annullamento, proprio perché fondato su un’interpretazione della città esclusivamente quantitativa che ha dato seguito alla destrutturazione e allo scollamento tra i diversi ambiti che la compongono. A questo processo di dilatazione incontrollata si è aggiunto, quantomeno in gran parte delle città europee, l’eccessivo accentramento dei servizi primari che ha indebolito il senso strutturale delle periferie rispetto all’intero sistema urbano, cagionando un grado di incompiutezza ed indeterminatezza generale all’interno del quale resiste una flebile condizione di stabilità. Tutto ciò può considerarsi per qualche verso contestuale alla disgregazione ed allo slittamento tra i concetti di spazio e tempo, provocati dalla smaterializzazione delle reti di comunicazione, che ha concretizzato il fenomeno trasformandolo in modello fisico. Tuttavia
Un’immagine dello sprawl
condizionato ovviamente anche gli apparati teorici ed operativi per la lettura ed il controllo della città. La disarticolazione del sistema città in un programma più complesso e fatto di alternanze funzionali, spaziali e formali non sempre progettate, e quindi non strutturate, impone nuovi modelli come fondamento di proposte praticabili nella città del XXI secolo che appare sempre più come sommatoria di parti che come organismo unitario. Le teorie strutturaliste di Aldo Rossi, o quelle percettive di Kevin Lynch che per tutta la seconda metà del ‘900 sono state tra e più significative nel percorso disciplinare sulle analisi urbane, oggi non si presentano più esaustive per una realtà che ha preso consapevolezza dell’impossibilità di pensare la città come un unico grande manufatto, accettandola come compagine di parti indipendenti. Le ricerche degli anni ‘60 e ’70 che, intuita la deriva della disseminazione insediativa sul territorio, spinsero verso le teorie della “grande
Francesco Messina
alcune attuali realtà europee si stanno rivelando come risposta a questa condizione di sprawl urbano organizzando la dispersione come un sistema secondo una tendenziale forma di autocontrollo, esercitata attraverso la nascita di insediamenti spontanei e l’appropriazione di spazi dislocati fuori dal centro urbano che appaiono come forme di sperimentazione depolarizzanti. Il tema della città/regione che occupava la scena del dibattito degli anni ’70 si è inverata in alcuni esemplari casi europei come l’area denominata NWMA (North Western Metropolitan Area)3. Questa, organizzandosi come un grande sistema urbano non più fondato su centralità univoche ma sulla dinamica della rete, si costituisce come centralità in cui servizi, infrastrutture e utenti si distribuiscono in funzione delle facilità di relazione e di spostamento determinati dalla finanza, dalla comunicazione, da flussi sociali o da trasformazioni politiche. I mutamenti degli scenari urbani hanno
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PoliCity Il progetto alle Barene di San Giuliano di Ludovico Quaroni (con altri) - 1959.
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Il progetto per l’Università della Calabria a Rende (Cs) di Vittorio Gregotti (con altri) - 1973/79.
dimensione”, non riuscendo a colmare il vuoto semantico che si era provocato nel rapporto tra città e campagna, sicuramente individuarono nuove prospettive. In questo clima si inquadrano alcune esperienze anticipatrici di Ludovico Quaroni, come il progetto di San Giuliano alle Barene e gli scritti, oltre che i progetti, di Vittorio Gregotti che interpretavano il tema attraverso la concezione di una scrittura geografica, che ritrova l’unitarietà sistemica attraverso la dilatazione scalare dell’architettura sul campo territoriale. Queste esperienze assunsero un valore deterministico che trovò scarso consenso nei processi di trasformazione brevi, poiché fondati su programmi a lungo termine che città e territori non riuscirono più a rispettare. L’attualità di alcuni di questi ragionamenti è confermata dalle teorie di Rem Koolhaas sul Bigness, che, seppur dense di contenuti innovativi, possono essere inscritte nelle fila di un discorso già dispiegato. Secondo gli assunti propa-
gandistici dell’architetto olandese la grande forma urbana può divenire nuovo elemento catalizzatore e risolutivo delle indeterminatezze urbane grazie alla perentorietà ed all’autoritarietà insediativa, attraverso la quale si possono istituire relazioni con l’intero sistema territoriale anziché con precisi ambiti della città. La constatazione che la città, ormai sfuggita al controllo unitario, deve essere concepita per parti, come scrivevano Colin Rowe e Fred Koetter in Collage City già nel 1978, indica nuovi scenari che individuano negli interventi episodici la possibilità di produrre trasformazioni capillari ma attuabili in tempi brevi, con risorse minime e facilmente adattabili. Ciò che appare adeguato a dare risposte in questa direzione, considerato come evoluzione del quaroniano ‘disegno urbano’4, è la pratica del progetto urbano. Questa modalità operativa accoglie le premesse del maestro romano riguardo il controllo in intervalli temporali e spaziali medi, ma sposta
Le copertine di “Edilizia Moderna n.87/88”(1966) e di Il territorio dell’architettura (1966) di Vittorio Gregotti.
La copertina di Collage City (1978) di Colin Rowe e Fred Koetter.
sistema delle tracce insediative alle quali viene restituita visibilità e senso. Ma non solo. Le tracce come emblema di una vicenda storica che ha lasciato sul suolo la sua scrittura vengono considerate materiale che si può produrre artificialmente, quasi a simulare un passato parallelo e virtuale”6. Questa ultima proposizione svela il carattere inventivo entro cui l’elaborazione progettuale supera l’aspetto analitico, indicando modalità di strutturazione, attraverso la riconnessione dei frammenti7 che rappresentano l’esito del processo di stratificazione della città, di una nuova unità urbana. Essa non ha la pretesa di circoscrivere entro margini fisici precisi le sue parti, ma esclusivamente riconoscere, mettere in atto o svelare il campo di relazioni che ne permette una riattivazione e l’inserimento organico in una più ampia rete di sistemi territoriali. Tra gli obiettivi vi è dunque quello della costituzione di un network, nella definizione che ne da Cristopher Alexander a pro-
Francesco Messina
gli obiettivi finali sulla messa a sistema di vari brandelli territoriali. Il progetto assume quindi un carattere tentativo5 in funzione di un certo grado di flessibilità programmatica che incontri le istanze variabili degli utenti finali, oggi requisito necessario alle trasformazioni urbane che richiedono sensibili margini di adattabilità. Questo evidenzia come ogni operazione progettuale, in quanto risposta ad esigenze di una collettività in continuo mutamento, plasmata sul modelli sociali dai bisogni incerti, difficilmente verifica con scientificità il raggiungimento delle finalità preposte, presentandosi sotto forma di previsione soggetta ad oscillazioni e continui aggiustamenti. Per cui la sostenibilità e l’attendibilità del progetto urbano sono assegnate al metodo inclusivo ispirato dai fatti urbani e sociali che informano la parte di città su cui esso agisce. Laura Thermes definisce il progetto urbano un’operazione che “si configura sostanzialmente come interrogazione del
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PoliCity Frammento urbano - Progetto per lo Spreebrogen (Berlino) di F. Purini e L. Thermes - 1992.
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La città uguale di Franco Purini - 2000
posito dei sistemi urbani, come elemento che “disegna lo schema organizzativo di un qualunque sistema attraverso un insieme di relazioni e interconnessioni dinamiche che intercorrono tanto tra le componenti interne che tra queste e l’ambiente esterno”8, in grado di istituire il senso di interezza (wholeness) di un’unità organica. La stessa Generic City di Rem Koolhaas, manifesto sulla città contemporanea che ha occupato il dibattito architettonico degli anni ’90, sembra indicare come unica via d’uscita, per governare la crisi generata dalla globalizzazione e dalla società liquida, la liberazione dal centro, dalla storia, dalle gerarchie, soppiantandole con l’estensione illimitata, la frattalità seriale, l’equivalenza tra le parti, la facilità di dismissione e riconversione. Presentandosi come “riflessione sui bisogni di oggi, sulle capacità di oggi”, la Città Generica in realtà, dietro la necessità di stemperare il valore della struttura urbana, maschera la precisa intenzione di affidare
alle infrastrutture l’ordine della città contemporanea per cui strade, ferrovie e aeroporti costituiscono le nuove centralità urbane, proprio perché costituiscono una rete. Questa traduzione del concetto di centralità implica che “forse il centro non potrà essere più un ‘punto centrale’ bensì una semplice striscia tra altre strisce, come nel quadro White Centre di Mark Rothko”9. Le città possono trasformarsi all’interno di questa nuova dimensione concettuale e territoriale non necessariamente privandosi dei caratteri identitari, quanto muovendosi all’interno di nuovi ambiti configurativi, in cui le infrastrutture abbiano esito dalla dinamica metamorfica dei siti su cui si collocano, assorbendo dalla specificità geografica di questi ultimi il potenziale per nuovi paradigmi linguistici. Questa possibilità potrebbe spostare nuovamente il campo della ricerca progettuale verso le forme territoriali, in cui i bidimensionali segni delle vie di comunicazione aspirano, inter-
Nodi infrastrutturali nella megalopoli contemporanea.
“White Center”, Mark Rothko - 1950.
nodi, rafforzandone la polarità, così come potrebbero costituire una rete di ordine inferiore e collocarsi in punti intermedi tra i vari nodi, o ancora occupare le aree libere della rete come tasselli omologhi ed isotropi. Tutte le possibilità insediative qui elencate appartengono in realtà alla storia dell’evoluzione urbana, ma sarà necessario trovare il modo di governare questo processo con l’obiettivo di assegnare alla città policentrica un valore topico al fine di restituire il collettivo senso di appartenenza della civitas.
Francesco Messina
pretando la morfologia del suolo, a costruire piranesiani spazi architettonici, dove le linee di forza degli elementi strutturali ne definiscono il valore espressivo. La perdita del senso fondativo di gran parte dell’architettura contemporanea potrebbe essere rimpiazzata proprio da una maggiore applicazione nel campo infrastrutturale, ancora non sufficientemente indagato sotto il profilo architettonico se non in alcuni casi esemplari. Nonostante la rete sia contrapposta alla struttura gerarchica per definizione, il progetto architettonico delle infrastrutture che la costituiscono assumerebbe il ruolo di elemento ordinatore, attraverso cui strutturare lo spazio e sperimentare nuove regole di aggregazione e compenetrazione garanti del principio di equivalenza tra i nodi e tra i settori. Un ulteriore campo di sperimentazione che deriva da questi nuovi organismi urbani riguarda le configurazioni degli insediamenti stabili: essi potrebbero aggregarsi attorno ai
Note
1_“Con tale termine [luogo, ndr] si intende il rapporto metamorfico tra tre entità, ovvero il sito (…) il primo segno insediativo che si è prodotto sul sito stesso, la continua trasformazione di questo elemento, a sua vola messa in relazione con le modificazioni del sito” -Franco Purini, Comporre l’architettura, Laterza – Roma/Bari, 2000, p. 146.
2_“L’ide di luogo può essere interpretata in tre modi. Il primo la considera come l’ambito concettuale relativo agli aspetti psicologico -esistenziali espressi da un determinato intorno dell’abitare; il secondo lo legge come chiave interpretativa del paesaggio e della città sotto il segno 33
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della storia, e quindi all’interno della sfera dei significati simbolici, artistici, conoscitivi che il paesaggio e la città propongono; il terzo la assume come puro dispiegarsi di valori architettonici tesi alla costruzione nel tempo di un vero e proprio testo stratificato fondato sull’unicità, sull’intensità, sulla permanenza” - Ibidem.
3_Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza – Roma/Bari, 2005, p.163-166. Con questo acronimo si intende la macro regione che unisce Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, e Regno Unito il cui centro è defintito da un triangolo con vertici a Londra, Bruxelles e Parigi.
4_[…]e noi vogliamo qui usare il termine nel significato completo che aveva in antico da noi e che viene mantenuto nella cultura anglosassone; senso creativo, attivo, di progettazione, di espressione; il nostro “disegno”, quindi, no si limita alla rappresentazione grafica d’una idea, ma è l’idea stessa” –, Ludovico Quaroni, La Torre di Babele, Marsilio Editori, 1967, Padova, p. 48. 5_Il termine viene introdotto da Giancarlo De Carlo, a proposito di un metodo di lavoro che procede per tentativi e con una forte componente partecipativa da parte degli utenti finali.
6_Laura Thermes, Tempie e spazi, Diagonale - Roma, 2000, p. 76.
7_Il concetto di frammento, secondo Laura Thermes, si può intendere sia come risultato delle distruzione di un’unità, e quindi come resto o scarto, sia come qualcosa che non pervenne mai all’interezza. Nell’interpretazione più vicina alla problematica architettonica, sempre secondo L.T. la scelta del frammento può dipendere da un incidente analitico, vale a dire da una rottura dell’unità 34
provocata volontariamente nell’intenzione di rendere visibili le fibre interne alle cose. – Ibidem.
8_Alexander, C., Neis, H., Anninou, A. and King, I. (1987) A New Theory of Urban Design (New York, Oxford University Press). 9_Paolo Perulli, Visioni di Città. Le forme del mondo spaziale, Einaudi, Torino, 2009, p. 15.