09.AdueA/HANS KOLLHOFF_04
Permanenze e mutazioni urbane nella postcittà I volumi delle architetture di Hans Kollhoff si stagliano decisi e inconfondibili nei cieli di diverse città europee indicando una strada controcorrente nel frammentario ed eterogeneo dibattito architettonico.L’intensità delle sue opere, riconoscendo valore ai caratteri insediativi della città, continua a tracciare una scrittura urbana precisa, costruita attraverso semplici e tradizionali elementi fondativi. Il muro, l’arco, la colonna, il basamento, il coronamento e ancora il mattone, la pietra costruiscono sequenze attive, organiche e unitarie che reinterpretano la grande tradizione della città europea, andando a occupare una posizione originale nei Sette tipi di semplicità in Architettura indicati da Franco Purini: La conformità urbana. Le diverse esperienze rivelano un’idea di città, dominata dall’oggetto architettonico che disegna e costruisce la scena urbana, affermando con forza e inequivocabile vitalità i concetti di solidità e durata dell’architettura. In particolare il lavoro svolto dall’architetto tedesco con Helga Timmermann sperimenta una diversa prospettiva del rapporto tra città e abitazione, riesaminando il tema di Abitare la città, attraverso una personale idea di oggetto urbano che elegge con chiarezza alcuni principi come la densità, la mixitè tipologica e funzionale, il rapporto con lo spazio pubblico e la forte presenza dell’architettura.
8.
Hans Kollhoff (Lobestein – Turingia/Germania, 1946) si laurea in architettura nel 1975 persso l’Università di Karlsruhe. Durante gli studi collabora con alcuni studi di architettura tra cui quello di Hans Hollein. Nel 1975 stesso anno vince una borsa di studio DAAD che lo porta negli Stati Uniti a studiare presso la Cornell University di New York, dove sarà allievo di O.M. Ungers. Nel 1978, dopo gli anni di formazione alla Cornell decide di aprire il proprio studio a Berlino con Arthur Ovaska e nello stesso anno diventa assistente alla Facoltà di Architettura e Design presso il Politecnico di Berlino. Nel 1984 Ovaska torna negli U.S.A e Hans Kollhoff entra in società con Helga Timmermann. È stato professore di numerose università tra cui Università di Dortmund e l’ETH di Zurigo. La ricerca svolta e le opere realizzate hanno portato Kollhoff ad ottenere una riconoscibilità in ambito internazionale come uno degli architetti più rappresentativi della cultura architettonica europea. La ricerca sulla città e sulla costruzione caratterizzano la poetica dell’architetto berlinese, le cui opere testimoniano una straordinaria continuità con la tradizione ed una altrettanto energica propulsione innovativa.
A2
8.
dal carattere collettivo, attraverso forme, misure condivise e riconoscibili. La ricorrente misura classica dei fabbricati è strutturata su una geometria solida, chiaramente debitrice dell’opera di Karl Friedrich Schinkel. Le diverse esperienze rivelano l’idea di città di Kollhoff, una città dominata dall’oggetto architettonico che disegna e costruisce la scena urbana, affermando con forza e inequivocabile vitalità i concetti di solidità e durata dell’architettura. Questa riflessione si propone come una risposta alla mancanza di una pianificazione urbana efficace e convincente che, seppur da contesti teorici diversi, sembra trovare punti di contatto con le teorizzazioni sulle grandi strutture di Rem Koolhaas. In particolare il lavoro svolto dall’architetto tedesco con Helga Timmermann sperimenta una diversa prospettiva del rapporto tra città e abitazione, rifiutando quelle politiche che, a partire dagli anni ’60, hanno costruito nelle periferie agglomerati privi di strutturazione urbana, basati su studi distributivi e tipologici. Riesaminando il tema di Abitare la città proposto già dall’IBA, i progetti raccontano una personale idea di oggetto urbano che elegge con chiarezza alcuni principi come la densità, la mixitè tipologica e funzionale, il rapporto con lo spazio pubblico e la forte presenza dell’architettura. Tale oggetto non è concepito solo per le metropoli o le aree densamente consolidate ma viene proposto nelle periferie, trattate come brani di città nei quali immettere regole e elementi di forte carattere architettonico al fine di costruire una dimensione città. Questo è quanto emerge nel progetto Tegel (1989), in cui alla frammentarietà del contesto viene contrapposto un pezzo di città, attento agli spazi aperti ripensati in un’idea di superamento dei termini della piazza storica delimitata dall’edificazione perimetrale. Anche l’edificio per appartamenti nel porto di Anversa (1999-2004), che s’inserisce nel programma di riconversione funzionale dell’area, propone un modello urbano a forte densità abitativa in contrapposizione alla città diffusa. Il progetto si articola come un grande muro abitato sul sedime di vecchi Magazzini Reali, caratterizzato da momenti di discontinuità che destrutturano l’isolato urbano chiuso tradizionale. La massa muraria scava i nodi angolari, si piega come una linea aperta configurando una sequenza di spazi pubblici verso il molo, un viale alberato, una corte in corrispondenza degli ingressi. La compresenza di più funzioni è esplicitata attraverso la classica tripartizione –basamento, elevazione, trabeazione - rafforzata dall’articolazione della tessitura muraria di chiaro riferimento alla Scuola di Chicago. L’esclusiva capacità di assecondare l’isolato, sperimentando inedite possibilità figurative è presente nel progetto sulla Diagonale a Barcellona (1989) che enfatizza il punto di conflitto tra la regolarità della griglia urbana del Piano Cerdà e l’asse diagonale, materializzato da corpi di fabbrica profondi ventiquattro metri, nei cui angoli si eleva un sistema di torri concepite come segnali urbani. L’effrazione alla griglia regolare è tradotta come un racconto di volumi, frammenti dell’originaria unità dell’isolato. La necessità di configurare architetture con decisi principi insediativi è evidente anche negli interventi nella città diffusa contemporanea come appare evidente nel parco residenziale in Malchower Weg , a Berlino (1992-94). Nell’indefinito tessuto di case unifamiliari a bassa densità del quartiere periferico viene inserito di un sistema di isolati di ville urbane, ricorrenti nella cultura tradizionale berlinese. La scelta di reiterare un unico tipo edilizio rafforza la strategia di costruire uno spazio urbano denso e riconoscibile, impostato su due assi ortogonali e simmetrici, lungo i quali si dispiega la cortina edilizia delle ville rafforzata dall’orizzontalità della copertura a padiglione aggettante, accentuata dallo svuotamento degli angoli dei corpi di fabbrica. L’idea urbana di Kollhoff non ricerca una contestualizzazione con lo spazio fisico adiacente piuttosto rivela un dialogo continuo con la storia dell’architettura, assunta come contesto ideale di riferimento. Il legame con il classicismo è particolarmente evidente in due progetti che propongono una qualità urbana senza tempo, attraverso una grammatica elementare che non rinuncia a conferire all’isolato una forte riconoscibilità architettonica: il nuovo isolato urbano a Maastricht (2004) e l’intervento sulla Walter Benjamin Plaz a Berlino (1997-99). Nel primo caso Kollhoff e T. riprogettano un isolato di forma allungata che si pone in continuità con la stazione esistente, concludendosi in una torre di quindici piani, elemento urbano di cerniera tra la città storica e la nuova espansione. L’isolato costruisce una corposa cortina edilizia che chiude la vista sui binari e disegna una nuova piazza occupata da una fontana lineare. L’invaso del nuovo spazio urbano è amplificato dalla presenza di un doppio ordine di porticato/colonnato che definisce il ritmo della partitura della facciata rigorosamente segnata da lesene e marcapiani. Il secondo lavoro risolve un vuoto urbano con la semplicità classica di due fabbricati lineari simmetrici di otto piani che si pongono in continuità con gli isolati esistenti e che, anche in questo caso, si condensano nello spazio del portico a due livelli, concepito come sistema di misura e ritmo della rigorosa partitura della cortina edilizia e ancor di più come luogo pubblico. L’edificio per abitazione realizzato nel porto di Amsterdam sull’isola di KNSM rivela un diverso riferimento figurativo. La manipolazione della forma rettangolare del lotto costruisce una linea spezzata con diverse pieghe e contaminazioni con i vincoli del contesto, proponendo un isolato urbano dal forte carattere plastico e scultoreo. La sequenza dei segmenti configura differenti spazi urbani e apre la corte privata verso il parco. Sicuramente il tema della torre, che più esplicitamente traduce l’idea urbana di Kollhoff e Timmermann, è anche quello più ricorrente nei progetti in una propensione a contrastare scontate soluzioni ipertecnologiche. La forte verticalità permette di esprimere la natura ideogrammatica, resa ancora più evidente dall’uniformità materica, dal rigore formale e dalla chiarezza tipologica. Molti sono i riferimenti alle tettoniche nervature gotiche, alla scuola di Chicago di Sullivan sino all’architettura industriale tedesca, come quella della città di Amburgo o delle fabbriche Siemens a Berlino. L’edificio a torre Mainplaz, a Francoforte (2000-2002), quello per Potsdamer Platz, a Berlino (19932000), e i più recenti Ministeri olandesi a L’Aia (2012) rivelano una ricerca tipologica continua che sperimenta intersezioni tra l’isolato urbano a corte chiusa e l’edificio a torre. I grattacieli di pietra e mattoni di Kollhoff non ostentano audacia strutturale o tecnologica ma diventano il luogo della memoria, emergenze architettoniche costruite sui valori essenziali e solidi della tradizione urbana europea ancora vivi. Le architetture di Kollhoff con pochi segni tratteggiano un nuovo skyline dell’Europa, dimostrando quella capacità propria della tradizione tedesca di coniugare modernità e classicismo e di continuare a pensare che progettare oggi, seguendo le aspirazioni alla conformità urbana, non è solo una modalità del fare ma una scelta etica.
AdueARCHITETTURA
Periodico del LId’A_Laboratorio Internazionale d’Architettura RC
09 Hans Kollhoff
AdueArchitettura Periodico trimestrale del LID’A Laboratorio Internazionale d’Architettura Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana Facoltà di Architettura, Reggio Calabria n.09 / 2013 anno V / aprile 2013 Direttore scientifico Direttore Responsabile Laura Thermes Comitato scientifico Ottavio Amaro Gianfranco Neri Ettore Rocca Laura Thermes Redazione Marina Tornatora Antonello Russo Segreteria di redazione lida@unirc.it www.lida.unirc.it Progetto grafico Francesco Messina Francesca Mazzone Editore Centro Stampa, Ateneo – Reggio Calabria
La riscoperta della durata_Hans Kollhoff è una delle più importanti figure tra quelle che hanno dato all’architettura
tedesca degli ultimi trenta anni un volto nuovo. Nelle sue opere un forte richiamo a quella tradizione nello stesso tempo concreta e idealizzata del costruire, alla quale il mondo germanico ha dato vita - da Karl Friedrich Schinkel a Peter Behrens, da Egon Eiermann a Oswald Mathias Ungers - si unisce a un’espressione piena e motivata dei valori innovativi che le città tedesche stanno ora esprimendo. Valori legati a una dimensione metropolitana che ha raggiunto ormai, per la densità e la Editoriale quantità dei flussi che in essa si dispiegano, quella delle maggiori e più articolate concentrazioni urbane del mondo. Nella produzione di Hans Kollhoff, ispirata a tre interessi fondamentali, ovvero la rappresentazione dell’essenza dell’architettura, Laura Thermes la ricerca di una interrelazione teorica e operativa tra l’architettura e la città, una precisione esecutiva nella quale il rapporto tra i materiali e il loro ruolo nella definizione dell’edificio raggiunge tonalità metafisiche, è possibile individuare tre periodi. Il primo, testimoniato esemplarmente dall’edificio residenziale nella Luisenplatz a Berlino-Charlottemburg, vede l’architetto, formatosi alla Technische Universitat di Karlsruhe e alla Cornell University, dove ha anche insegnato, Daimler Chrysler Highrise Building, operare una felice sintesi di quanto l’architettura moderna aveva proposto sul problema di uno stile che voleva essere Potsdamer Platz, Berlin universale. Uno stile che doveva rinviare al contesto per trovare una sua specificazione, dal momento che nasceva Fabrizia Berlingieri da una pregiudiziale tabula rasa per raggiungere il limite della pura astrazione A questa prima stagione, nel quale egli raggiunge una originale riconoscibilità stilistica, fa seguito una fase neosperimentale nella quale Hans Kollhoff si dedica all’indagine su configurazioni formali dal carattere neoavanguardistico. Testimonia questo periodo l’edificio da lui costruito sull’Isola KNSM nel porto di Amsterdam. Si tratta di un manufatto di notevole grandezza che gioca Il valore poetico della costruzione sulla dialettica figurativa tra una pronunciata articolazione plastica del volume, che si avvolge quasi su se stesso, Francesco Messina e un trattamento delle superfici in cui una sensibilità pittorica scandisce i piani con una particolare attenzione alle questioni proporzionali. Il risultato è un consistente frammento urbano che per la sua stessa natura tende a Mutazione dell’oggetto urbano nella postcittà identificarsi con la totalità della città mettendo in scena una coinvolgente ambiguità. La terza fase dell’itinerario creativo di Hans Kollhoff ha inizio con le Ville Urbane nel Malchower Weg a Berlino-Hohenschonhausen e, sempre Marina Tornatora nella capitale, con l’intervento nella Potsdamer Platz. In queste opere egli riscopre, come si è detto all’inizio di questa nota, il problema del fondamento, definendo attraverso i suoi edifici una teoria costruita nella quale la tettonica acquista un rilievo primario. Le opere che Hans Kollhoff realizza da allora in poi riformulano nel contesto disciplinare attuale i principi semperiani riproponendo al contempo, in tutta la sua ampiezza, il senso di una classicità intesa come capacità di coniugare le regole con l’eccezione, la chiarezza con l’oscurità, la parte con l’insieme, il luogo con l’atopia, il tipo con il modello, il finito con l’infinito, il continuo con il discontinuo. In queste architetture i temi della durata, dell’oggettività del costruire, della sua necessaria razionalità e della riconoscibilità collettiva dell’architettura diventano preminenti, assieme a quello della riaffermazione dei rapporti tra spazio e struttura, tra struttura e tessitura dei rivestimenti, della decorazione come esito della scrittura tettonica. Una complessità come quella descritta non sarebbe però in grado, da sola, di garantire un risultato se non fosse animata dal suo interno da una vocazione poetica che guarda all’assoluto, una attitudine selettiva severa fino all’esclusività più intransigente che fa della stratificata varietà dei temi un campo espressivo unitario attraverso il quale individuare una forma che si avvicina alla perfezione. a cura di Francesco Messina con la collaborazione di Francesca Mazzone
ISBN 978-88-6494-118-9 Iriti Editore