Campagnolo. La storia che ha cambiato la bicicletta [TULLIO HOMO FABER]

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Tullio Homo Faber Sotto il segno della lima

Il mercato, la concorrenza

Il nome, il marchio: comunicare Campagnolo

Tutti per Tullio, Tullio per tutti

L’irresistibile ascesa di Tullio Campagnolo nel mondo della bicicletta da corsa: dal retrobottega della ferramenta del padre ai primi brevetti, dalla costituzione della Campagnolo s.r.l. alla conquistata stima e fiducia dei grandi campioni del pedale. Intuizioni geniali e tenacia nel perseguirle, nel promuovere il marchio e i prodotti con la forza e la strategia di un grande comunicatore. Come ha scritto Gianni Brera, Tullio Campagnolo per non meno di mezzo secolo ha influenzato e diretto il ciclismo europeo, da Di Paco a Magni, da Bartali a Coppi, da Adorni a Gimondi a Eddy Merckx.


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CAMPAGNOLO

Sotto il segno della lima

L’

impiegato dell’anagrafe di Vicenza si dava arie da

sangue veneto da molte generazioni. Da grande, Getul-

uomo di cultura. Sicchè quando Valentino Campagnolo

lio avrebbe sopportato con malcelato fastidio il fatto di

e Elisa Paiusco nel denunciare la nascita del loro secon-

dover firmare documenti ufficiali con quel nome bizzar-

dogenito dissero che volevano chiamarlo Tullio, quello

ro. Ma anni dopo si sarebbe in qualche modo rifatto di

scosse la testa deplorando l’ignoranza di quei poveri ge-

quel sopruso anagrafico imponendo al mondo intero l’i-

nitori. E in bella grafia sul suo librone scrisse «Getullio»

dentità autentica e desiderata: Tullio Campagnolo.

che – l’aveva letto sull’“Almanacco Italiano” dei fratelli

Era nato il 26 agosto del 1901 nella casa paterna, nella

Bemporad – derivava da Gaetullius, cioè originario di

campagna tra Ospitaletto e Anconetta, alla periferia

Gaeta. Poco importava se quel neonato aveva in corpo

orientale di Vicenza. Terra povera, il Veneto di inizio

Il giovane Tullio Tullio Campagnolo negli anni ’20 fu un promettente ciclista.

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Il primo cambio Tullio Campagnolo e il primo cambio a bacchette.

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TULLIO HOMO FABER

Novecento. Tempi duri. Difficile mettere assieme pane

zietto di ferramenta in cui vendeva chiodi, viti, gan-

e companatico. In molti se ne erano andati o progetta-

ci e quant’altro servisse al fai-da-te di allora. Annes-

vano di farlo, come del resto torme di piemontesi, emi-

so al negozietto c’era un’autentica bottega dei mira-

liani, friulani che sognavano terre lontane, luoghi dove

coli: un laboratorio con attrezzi da lavoro e un ban-

si potesse coltivare una speranza di vita migliore, fos-

cone da fabbro per forgiare o aggiustare vanghe, fal-

sero le Americhe o l’Australia.

ci, erpici, ruote. Così il piccolo Tullio crebbe familia-

I Campagnolo invece scelsero di restare e di soffrire.

rizzando poco con i libri di scuola e molto di più con

Mamma Elisa accudiva la casa e i due figli e lavora-

lime, tenaglie, incudini, morse e martelli. Lo affasci-

va nei campi; papà Valentino campava con un nego-

nava quel modellare e creare oggetti piegando i me-

All’inizio era il carretto… La ferramenta Campagnolo si avvaleva di un triciclo furgonato per il trasporto dei materiali. Lo aveva costruito lo stesso Tullio.

La prima pubblicità Il primo trafiletto pubblicitario del Cambio Campagnolo sulla pagina di una “Gazzetta dello Sport” del 1934.

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CAMPAGNOLO

Artigianato e industria a Vicenza nel primo Novecento In un Veneto prevalentemente agricolo, alle soglie del

sione di importanza non solo nazionale. Ma più in gene-

Novecento spiccava come anomalia il territorio vicenti-

rale nei primi decenni del Novecento nella provincia vi-

no: era l’unica provincia industrializzata della regione.

centina l’impulso all’industrializzazione si estese dal-

Questa vivacità imprenditoriale derivava da antiche ra-

l’ambito tessile ad altri settori produttivi: conciario,

dici storiche e culturali: la lavorazione dei tessuti era

meccanico, cartario, tipografico, orafo. A sostegno del-

sempre stata una prerogativa della popolazione locale.

l’industria, man mano che avanzava la meccanizzazione (nel 1911 le ditte meccaniche della zona erano 600), era proliferata una notevole attività artigianale. Il territorio di Vicenza pullulava di piccole aziende artigianali, in prevalenza a conduzione familiare: piccole botteghe – come quella dei Campagnolo – in cui si esprimevano la creatività e l’industriosità dei singoli. Ancora oggi il 24% della popolazione attiva del territorio di Vicenza è impegnato nel settore artigianale. Molti di questi artigiani si sarebbero evoluti negli anni ’30 proprio in controtendenza alla grave recessione che aveva investito l’Europa e l’Italia, causata dalla crisi americana del 1929. Infatti nel 1932 anche in Italia si cominciò a denunciare un preoccupante calo della produzione e delle esportazioni, nonché un’inquietante crescita della disoccupazione. Lo stato intervenne l’anno successivo atraverso l’azione dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, ente pubblico preposto al risanamento delle aziende in crisi. Molti artigiani e piccoli industriali sparirono, i più coraggiosi scelsero la logica

Il Lanificio Rossi di Schio, fondato già nel 1817, era al-

del “crescere per non soccombere”, cioè l’azzardo di

Lo stabilimento Marzotto

l’inizio del XX secolo la maggiore industria laniera ita-

sfuggire alla stretta della crisi con un salto di qualità e

liana. Negli anni Venti, il lanificio Marzotto di Valdagno,

di dimensioni. Per i più attivi la vecchia bottega intrisa

Il lanificio Marzotto, di Valdagno, è una delle più antiche manifatture vicentine. Venne fondato fin dal 1836 e si

grazie a fortissimi investimenti nella meccanizzazione e

di odori familiari si sarebbe trasformata in fabbrica ope-

nella razionalizzazione del lavoro, raggiunse una dimen-

rosa. Così fece Tullio Campagnolo.

sviluppò industrialmente fino alla prima metà del ’900.

talli a seconda della fantasia o della necessità.

che le ferrovie, da private quali erano, erano passate al-

A 14 anni frequentava la Scuola di Arti e Mestieri di Vi-

lo Stato. Vinse il concorso ma fu assunto come secon-

cenza, impegno che certo non gli impediva di comple-

do macchinista, un ruolo che non gli permetteva di

tare nella bottega del padre la parte pratica dell’istruzio-

esprimere la propria creatività in materia di meccanica.

ne. A 18 anni partecipò a un concorso delle Ferrovie per

Lasciò così dopo poco le Ferrovie e tornò a lavorare nel-

diventare macchinista: il treno era un mezzo meccani-

la ferramenta del padre: lì sì che poteva dare sfogo al

co meraviglioso e a quei tempi, anno 1919, nel primis-

proprio genio.

simo dopoguerra, se ne stava espandendo l’uso dopo

Nella bottega dei miracoli il giovane Campagnolo si co-

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Nel retrobottega Tullio Campagnolo al banco della vecchia officina di ferramenta paterna, in corso Padova 101.

struì la prima bicicletta, mettendo insieme e adattando

A 21 anni indossò la maglia del Veloce Club Vicentino

pezzi in disuso. Costruì anche un triciclo furgonato per

e cominciò a correre. Era una promessa, un bel fisico

consentire al padre di portare ai clienti attrezzi nuovi o

e tanta potenza. Sicchè qualcuno cominciò a pagarlo

riparati. Sui lati del cassonetto campeggiava la scritta

per pedalare: prima la Cicli Aliprandi e poi la Nicolò

in vernice bianca “CAMPAGNOLO FERRAMENTA”, con tanto

Biondo di Carpi gli rimborsavano le spese e aggiunge-

di indirizzo e numero di telefono. La promozione pub-

vano qualcosa a mo’ di incentivo. Curava la propria bi-

blicitaria dell’azienda di famiglia era nei geni del giova-

cicletta con puntiglio maniacale, sempre studiando il

ne Tullio.

modo di migliorarne l’efficienza con piccoli ma inge-

La bicicletta lo affascinava, al punto che pensò di di-

gnosi accorgimenti e modifiche: dal portaborraccia al

ventare corridore. A quel tempo, inizio anni ’20 del

freno, dal meccanismo della moltiplica e dei pignoni

Novecento, il ciclismo era lo sport più popolare in

ai raggi delle ruote.

Europa, e in Italia in particolare. I giornali esaltavano

Poi arrivò il giorno del Croce d’Aune. «Ero paralizzato

con prosa aulica le imprese di Costante Girardengo

dal freddo – raccontò in seguito – . Le mani che traffi-

e Tano Belloni, di Bartolomeo Aymo, Giovanni Bru-

cavano sui blocchi cominciarono a sanguinare perché la

nero e Ottavio Bottecchia mentre dalla Francia e dal

ruota non si sganciava. Quando tornai a casa sconfitto

Belgio arrivavano le voci delle gesta di Henri Pelissier

e avvilito cominciai a pensare a quello che sarebbe di-

e Philippe Thjis, Jean Alavoine e Gustave Garrigou.

ventato il cambio più perfetto del mondo.» 27


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CAMPAGNOLO

Bloccaggio rapido L’inizio fu con un dado che teneva le ruote ben fissate sul telaio e sulla forcella della bicicletta. Quando, però, l’evoluzione tecnica introdusse il concetto di rapporto nella bicicletta, così come la concepiamo oggi, le cose… cambiarono. Per spostare la catena, prima dell’introduzione del cambio di velocità, era necessario rimuovere, o quanto meno allentare, la ruota posteriore. La catena, non più in tensione, poteva facilmente essere messa sull’ingranaggio più appropriato già presente sul mozzo posteriore. Una volta fatta l’operazione si poteva rimettere in posizione la ruota e stringere il dado. Ma ben presto la soluzione si rivelò assai poco pratica: per aprire e richiudere un dado ci voleva un utensile non comodo da portare in bici. Si passò allora ai “galletti”, dadi modificati in modo da permettere l’appoggio delle dita e consentire di allentare il mozzo della ruota semplicemente con la forza delle mani. La praticità rimaneva tuttavia ancora limitata. Le condizioni delle strade non asfaltate portavano a un facile accumularsi di sporcizia, l’umido e l’ossidazione facevano il resto. Se poi si considerano anche il freddo e la fatica è facile capire la difficoltà incontrata dai corridori.

Schema del bloccaggio rapido L’immagine, tratta dalla rivista “Ciclismo italiano”, del 1° marzo 1950, mostra come il bloccaggio rapido sia costituito da un asse cavo all’interno del quale si colloca il tirante. Questo comprendo un cappellotto di chiusura e la leva di bloccaggio che insiste su un eccentrico. Chiudendo la leva l’eccentrico tira l’asse interno bloccando il mozzo sui forcellini del telaio (o sulle punte forcella).

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Viti di regolazione Le due viti, fissate sui lati del cappellotto opposto al bloccaggio rapido, permettono di regolare la posizione dell’asse del mozzo e quindi la forza di chiusura del bloccaggio rapido.

In queste condizioni venne a trovarsi il ciclista Tullio Campagnolo, nel 1927, sulla salita del Croce d’Aune: nella sua mente cominciò a delinearsi il progetto che sta alla base del brevetto Campagnolo che aprì la strada a una nuova era della meccanica ciclistica: lo sgancio, o bloccaggio, rapido. Tullio intuì che avvitare e svitare non era la soluzione più pratica per un mozzo che doveva essere smontato rapidamente. Meglio una leva che scostava le coppie di chiusura senza attriti. L’eccentrico inserito nel cappellotto di fissaggio faceva muovere le parti in contatto lasciando il mozzo libero. Un attimo per aprirlo e un attimo per richiuderlo. Cambiare il rapporto diventava più facile. Lo sgancio rapido, seppure non più necessario per il cambio di rapporto, è concettualmente lo stesso ancora oggi. Quando si vede un corridore sostituire una ruota rapidamente il merito è proprio di quel meccanismo: un cappellotto dotato di un eccentrico e di una leva facile da azionare. Quella stessa leva che campeggia ancora nel logo Campagnolo.


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TULLIO HOMO FABER

1930

Sgancio rapido Un’immagine del primo sbloccaggio rapido realizzato da Campagnolo. Sul mozzo posteriore è evidente la doppia filettatura che permette il montaggio contemporaneo della ruota libera su un lato e di un rocchetto fisso sull’altro.

Il corpo dei primi mozzi era in acciaio, solo successivamente si arrivò ai modelli in lega leggera.

Qui si trova l’eccentrico azionato dalla leva di sgancio/aggancio del sistema. Nella parte opposta si trova un cappellotto regolabile nella posizione sull’asse tramite due viti di bloccaggio. La regolazione del cappellotto permette di tarare la forza di chiusura della leva.

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CAMPAGNOLO

Il mercato, la concorrenza

T

utto cominciò con quell’idea di di riuscire a sgancia-

lire fattogli dall’avvocato Zilio Grande, cominciò a seguire

re la ruota posteriore dal mozzo in maniera rapida e ed

le corse in ogni parte d’Italia, mostrando a tutti il suo moz-

efficace, facendo presa su una leva a galletti con alme-

zo a sgancio rapido e magnificandone l’efficacia.

no quattro dita della mano. L’8 febbraio del 1930 Tullio

Quando il suo ruotismo per ciclisti ebbe conquistato la

Campagnolo depositò il primo dei suoi 185 brevetti bat-

fiducia dei più – lo adottarono i maggiori produttori di bi-

tezzandolo ufficialmente «Ruotismo per ciclismo.» L’a-

ciclette Bianchi e Atala, Legnano e Gloria – Tullio Cam-

veva disegnato di notte su un foglietto di carta e poi l’a-

pagnolo si sentì pronto per la grande avventura della

veva fatto realizzare dai fratelli Brivio di Brescia. L’aveva

produzione in serie e della commercializzazione. E nel

collaudato a lungo e adesso doveva convincere mecca-

1933 fondò la Campagnolo s.r.l., con sede nel retrobotte-

nici e corridori ad adottarlo, mentre cominciava già a

ga della ferramenta del padre in Corso Padova 101.

pensare ad una ulteriore evoluzione del suo congegno.

Con grande coraggio, bisogna sottolineare. A parte il

«La pubblicità è l’anima del commercio», recita un antico

difficile momento economico, non erano tempi facili

adagio. E Campagnolo, mente dinamica oltre che genia-

anche per motivi politici. Alfredo Binda e Learco Guerra

le, lo mise subito in pratica. Grazie ad un prestito di 3000

esaltavano le folle con le loro gesta stupefacenti, stava

I fratelli Nieddu e il Vittoria Margherita Un volantino di quegli anni, in quattro pagine, ne magnificava le qualità e ne spiegava il funzionamento. Il Vittoria Margherita veniva definito (e vi si legge una sorta di riferimento comparativo al nascente cambio Campagnolo) «il cambio nazionale per eccellenza, portato al più alto grado di perfezione da recenti modernissime innovazioni tecniche all’autoderagliatore di catena, col quale si cambia pedalando». Quel volantino era anche una specie di libretto di istruzioni: ma le parole che ne illustravano l’uso ne denunciavano, involontariamente, la fragilità strutturale:

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1. Allinerare la catena con le corone centrali della ruota li-

corone della ruota libera e nel cambiare marcia evitano il

bera.

salto della catena fra la ruota libera e il forcellino; fissare

2. Stringere la guida-reggi-catena in base alla larghezza del-

l’autoderagliatore nella posizione del disegno, stringendo

la catena per evitare eventuali incagli fra il rullo tenditore

forte la vite di bloccaggio per evitare la rotazione.

e la guida-reggi-catena.

4. Nel cambiare marcia, in pianura ed in salita, si continui a

3. Le dita meccaniche dell’autoderagliatore, indipendenti

pedalare per tenere il ramo superiore della catena nella giu-

l’una dall’altra, limitano la corsa della catena fra le varie

sta tensione.


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TULLIO HOMO FABER

nascendo l’astro di Gino Bartali ma il fascismo quasi

fondista Luigi Beccali, medaglia d’oro sui 1500 m alle

osteggiava la popolarità di questo sport, che con la sua

Olimpiadi di Los Angeles nel 1932, allo schermidore

epopea di fatica quasi contadina non corrispondeva agli

Edoardo Mangiarotti, stella nascente del fioretto italia-

ideali di modernità, di potenza e velocità che alimenta-

no, oro a Berlino quattro anni dopo. E naturalmente i

vano la propaganda di regime. «Il ciclismo decade» si

calciatori, gli azzurri campioni del mondo nel 1934 e

scriveva sui giornali per compiacere il governo. Quando

1938 e vincitori del torneo olimpico del 1936. Quando

nel 1929 il settimanale “Lo sport fascista” aveva svolto

nel 1934 vennero chiamati a presenziare alla Mostra del-

un’inchiesta tra personaggi famosi chiedendo loro qua-

la Rivoluzione fascista numerosi atleti, fra i decorati da

le fosse la disciplina preferita, soltanto due avevano ri-

Mussolini al valore sportivo non ci fu nessun ciclista.

sposto: il ciclismo. Si esaltavano invece altri modelli

Chiaro che un simile atteggiamento del regime era pe-

sportivi, elevati a simbolo di italianità vincente: dal gi-

nalizzante per l’industria della bicicletta. Fu dunque fra

gante friulano Primo Carnera, campione del mondo dei

notevoli sacrifici che Tullio Campagnolo proseguì nel

pesi massimi di pugilato nel 1933, al pilota Tazio Nuvo-

suo lavoro di ricerca e perfezionamento tecnologico e,

lari, vittorioso al volante di rombanti bolidi; dal mezzo-

soprattutto, di lungimirante promozione di se stesso e

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CAMPAGNOLO

Vola Di Paco Raffaele Di Paco, velocista toscano, professionista dal 1928, fu tra i primi a credere nei prodotti Campagnolo e a promuoverli nel mondo delle corse.

della sua attività. Campagnolo segue le gare, parla con i

del braccio teso verso terra e tre rapporti montati sul

corridori, ne raccoglie le indicazioni, i suggerimenti. In-

mozzo posteriore. Pesava 225 grammi e fu reclamizza-

terpreta tutti quei dati raccolti sul campo, poi mette ma-

to come un «geniale apparecchio: è resistente ad ogni

no a carta e matita e disegna schizzi, prospetti; passa

sollecitazione, si adatta a qualsiasi marca di bicicletta,

poi a lavorar di lima nel retrobottega del negozio di fer-

ha l’enorme vantaggio mantenere la ruota costante-

ramenta. Nascono i prototipi che servono da modello

mente centrata».

alla produzione, per la quale Campagnolo ancora si af-

Geniale, sì. Però maledettamente complicato. Per cam-

fida all’esterno. La ditta bresciana dei fratelli Brivio gli

biare, il corridore era costretto a dare un colpo di peda-

garantisce la qualità che cerca senza dispendio d’inve-

le all’indietro allo scopo di bloccare la sua azione e con-

stimento sui materiali.

temporaneamente spostare la catena da un pignone al-

Ma la concorrenza nel campo della componentistica

l’altro con le dita della mano premute su una leva fissa-

della bicicletta da corsa è molto agguerrita, in Italia co-

ta al mozzo. Il che provocava spesso perdita d’equilibrio

me all’estero. In parecchi artigiani si erano già messi al-

o inceppamenti della catena. Senza contare che la ro-

l’opera per risolvere la questione del cambio di rappor-

tellina del tendicatena, posizionata così in basso, era

to senza dover scendere di bicicletta. Primi fra tutti i fra-

particolarmente esposta agli accumuli di polvere e fan-

telli Amedeo e Tommaso Nieddu, meccanici sardi tra-

go o agli urti provocati dal fondo stradale accidentato.

piantati a Torino che brevettarono un complicato mar-

Se ne resero subito conto gli stessi fratelli Nieddu che

chingegno che – garantivano – avrebbe assicurato van-

perfezionarono il meccanismo: un’asta a manetta fissa-

taggi a chi lo utilizzava portandoli a un sicuro successo:

ta lungo la forcella posteriore consentiva lo spostamen-

e appunto per questo lo chiamarono cambio Vittoria. Il

to della catena su quattro pignoni posizionati dalla stes-

congegno meccanico consisteva in un’asta caricata a

sa parte della ruota senza dover usare le dita. Fu battez-

molla, con la rotellina tendicatena posta all’estremità

zato cambio Vittoria Margherita e reclamizzato – secon-

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TULLIO HOMO FABER

Il Super Champion Nel 1937 il francese Roger Lapébie vinse il Tour de France su una bici che montava il cambio Super Champion. Fu un grande lancio pubblicitario per il prodotto della ditta parigina Osgear.

do il ridondante stile fascista – come prodotto che esal-

di altri e più funzionali modelli, e in primo luogo quelli

tava «l’Italia imperiale, avanguardia del mondo».

firmati Campagnolo.

Il Vittoria Margherita veniva chiamato dai suoi costrut-

Negli anni ’30 Tullio Campagnolo getta le basi di quello

tori anche il Campionissimo, per ribadirne la suprema-

che, dopo la guerra, diventerà il successo della sua idea

zia rispetto alla concorrenza. Bartali nel 1935 fu uno dei

imprenditoriale. Ma la sua è la saggia politica dei picco-

primi corridori a usarlo e, quando nel 1938 vinse il suo

li passi. È chiaro che l’obiettivo è quello di legare il no-

primo Tour, il modello con cinque pignoni fu battezzato

me dei suoi prodotti a quello di una grande casa indu-

Giro di Francia. Più tardi, negli anni ’40, i Nieddu avreb-

striale, la Legnano di Binda e poi di Bartali, la Maino di

bero realizzato in duralluminio altre e più perfezionate

Girardengo prima e poi di Guerra, o la milanese Bian-

evoluzioni del loro dispositivo (dopo il Margherita ci fu

chi. Ma Tullio procede per gradi. Innanzitutto cercando

anche il cambio Giuseppina!) alleggerendone il peso a

dalla base l’approvazione e l’apprezzamento dei suoi

soli 100 grammi.

mozzi, dei suoi cambi. Il lavoro è pervicace e costante.

Nel dopoguerra Tommaso Nieddu separò la sua attivi-

Gira per le officine meccaniche a mostrare i suoi pezzi,

tà da quella del fratello e, insieme a Virginio Colombo e

che costano più degli altri per il semplice fatto che Tul-

ai fratelli Santamaria, produttori del marchio Fiorelli, di

lio non si accontenta di materiali qualsiasi, vuole il me-

Novi Ligure, mise sul mercato nuovi modelli come il

glio. Una caratteristica che dalle origini fino ai giorni no-

Cervino e lo Stelvio, versioni rielaborate del francese Su-

stri è un costante filo rosso nella storia Campagnolo.

per Champion. Col Cervino Alfio Ferrari nel 1947 avreb-

Ostinata e incalzante è l’opera di convincimento, la con-

be conquistato il Mondiale dilettanti e Gino Bartali lo

quista della stima personale di corridori e meccanici.

avrebbe adottato dal 1949 sulle bici fatte costruire col

Tra i primi Campagnolo può contare anche su ex

proprio nome dai Santamaria. La fortuna del Vittoria e

compagni di corsa. Tra questi è Raffaele Di Paco, pi-

dei suoi derivati si sarebbe spenta nel 1952, all’apparire

sano di Fauglia, grande velocista ma altrettanto gran33


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CAMPAGNOLO

La leva del Simplex

de amatore, genio e sregolatezza delle corse degli anni

È opera di Simplex uno dei primi deragliatori anteriori. Il funzionamento è praticamente diretto: il ciclista agisce sulla levetta direttamente collegata alla forcella che guida la catena.

Trenta. Di Paco nel 1935 fu il primo a collaudare il cambio ideato da Campagnolo e dopo si adoperò per convincere altri ciclisti ad adottarlo: come Glauco Servadei, della Gloria, più volte vincitore di tappe al Giro e al Tour tra il 1937 e il 1940; o come Primo Bergomi, pistard genovese, più volte primatista mondiale tra il 1939 e il 1941. Si racconta di un altro leggendario incontro con Alfredo Binda, dominatore quasi incontrastato del panorama ciclistico nazionale tra la metà degli anni Venti e i primi anni del decennio seguente, che aveva appena lasciate le corse ma la cui opinione continuava a essere determinante nel mondo del ciclismo: lo scettico campione venne convinto con una improvvisata dimostrazione meccanica nel cortile di casa Binda, a Cittiglio, e promise i suoi buoni uffici per dare una mano a Campagnolo a imporre i suoi prodotti. Ma Campagnolo sapeva di dover allargare i propri orizzonti. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio dei ’30 la Francia era divenuta una fucina di artigiani attrezzatissimi ad affrontare le migliori soluzioni meccaniche da applicare ai sistemi di cambio di rapporto nelle bici da corsa. E Tullio, nonostante le ristrettezze economiche – sarà la sorella Amelia a finanziargli la trasferta – nel 1937 parte al seguito del Tour, anche perché per la prima volta nella Grand Boucle gli organizzatori ammettono l’uso del cambio. Il favorito è Gino Bartali, che corre su Legnano e monta il cambio Vittoria Margherita, ma che sarà costretto al ritiro, mentre era in maglia gialla, in seguito a una caduta occorsagli nella tappa tra Grenoble e Briançon. Vince il francese Roger Lapébie, e Campagnolo porta a termine il suo “master” internazionale studiando i modelli della concorrenza francese. Il Super Champion, assieme al Vittoria Margherita, fu il primo cambio autorizzato a equipaggiare le bici-

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TULLIO HOMO FABER

Bartali cambio vincente Dal catalogo Campagnolo n. 12, pubblicato nel 1953, una foto di Gino Bartali, al Tour del 1948, in salita sul Galibier mentre mette mano al cambio a bacchette. Bartali vinse quell’edizione del Tour.

clette dei corridori partecipanti al Tour nel 1937. Il Su-

sarebbero ispirati molti modelli negli anni a seguire. La

per Champion era stato realizzato a Parigi da Oscar

vittoria al Tour del 1937 con Roger Lapebie fu un grande

Egg, ispirato dal Vittoria dei fratelli Nieddu, nei primi

lancio pubblicitario per il Super Champion. Che però

anni 30.

presentava un inconveniente decisivo: il tendicatena, si-

Il Super Champion era prodotto dalla ditta parigina

tuato sotto la moltiplica, si trovava in una posizione

Osgear, fondata alla fine degli anni Venti dallo svizzero

troppo esposta rispetto alle varie insidie del terreno ed

Oscar Egg, già campione su strada e su pista negli anni

era facile che un sasso, un ostacolo qualsiasi, lo piegas-

a cavallo della Prima guerra mondiale: tre volte record-

se compromettendone il funzionamento. Come già si è

man dell’ora fra il 1912 e il 1914, vincitore di numerose

detto per il cambio Vittoria, anche il Super Champion

Sei Giorni (New York, Chicago, Gand e Parigi), trionfa-

nel dopoguerra – nonostante ancora la vittoria al Mon-

tore della Parigi-Tours 1914. Aveva corso per la Griffon,

diale del 1946, con Hans Knecht – non seppe evolversi

la Peugeot e la Bianchi approfondendo le proprie cono-

e tenere il passo della concorrenza e le sue fortune ra-

scenze meccaniche. Nato nel 1932 col nome di Cham-

pidamente decaddero.

pion, l’anno seguente il modello si era evoluto in Super

Anche Constant Huret era stato, a cavallo del Novecen-

Champion pubblicizzato come il «più leggero e il più

to, tra i migliori corridori nelle gare su lunga distanza:

veloce.» Ed era stato subito un grande successo, cui si

vincitore della Bordeaux-Parigi (594 km) nel 1899, pri35


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CAMPAGNOLO

matista mondiale delle 6, 12 e 24 ore, era detto «le grand Constant» o anche «il fornaio» perché questo era stato il suo mestiere prima di diventare corridore ciclista. Toulouse Lautrec lo aveva preso a modello quando aveva abbozzato la celebre pubblicità delle catene Simpson. Terminata la carriera agonistica a 35 anni, appassionato di meccanica, più tardi Huret assieme ai due figli maschi aprì il laboratorio in cui realizzava pignoni e componenti per biciclette. Il primo modello, il Criterium, ebbe un certo successo dapprima grazie ai successi del corridore francese, di origine italiana Fermo Camellini, vincitore anche di una Freccia Vallona, e poi soprattutto negli anni Cinquanta in virtù dei trionfi di Louison Bobet, vittorioso per tre anni consecutivi al Tour, dal 1953 al 1955. La meccanica del cambio Huret

ne – nelle sue varie versioni dominò il mercato europeo

era solida e robusta, ma anche troppo pesante e ben

fino ai primi anni ’50, quando Campagnolo abbandonò

presto venne soppiantato da altri sistemi, fino agli anni

il cambio a bacchetta per introdurre il Gran Sport, vera

’60 quando il modello Jubilèe, più leggero e a parallelo-

rivoluzione copernicana nel sistema bicicletta. Se oggi

gramma deformabile, consentì al marchio un certo ri-

la contrapposizione tecnica è Campagnolo vs Shimano,

lancio. Acquistata nel 1980 dalla Sachs, nel 1997 la Hu-

negli anni di Coppi il dubbio amletico era: Simplex o

ret è stata incorporata dalla statunitense SRAM, oggi

Campagnolo?

concorrente di Campagnolo e Shimano.

Lo sguardo di Campagnolo era sempre rivolto al futuro,

Ma il vero rivale dei cambi Campagnolo negli anni d’o-

a progettare evoluzione e miglioramenti delle sue idee,

ro del ciclismo, nell’immediato dopoguerra, fu il Sim-

a cercare materiali che facessero la differenza rispetto ai

plex. Brevettato negli anni ’30 dal meccanico digionese

concorrenti. Il “mito Campagnolo” nasce proprio anche

Lucien Juy, s’impose in breve tempo con grandi produ-

da questa volontà di distinguersi e di privilegiare la qua-

zioni industriali in serie: nel 1933 ne vennero prodotti

lità. Operava in perdita, perché i metalli da lui usati e la-

40.000 esemplari. Col Simplex il campione francese

vorati a mano erano i più costosi, ma considerava que-

Antonine Magne vinse a Berna il titolo mondiale su

ste perdite un investimento per il futuro. Tanto che nel

strada nel 1936 e per l’occasione quel tipo di cambio fu

1940, mentre l’Italia entrava in guerra e l’attività agoni-

ribattezzato Campione del Mondo. Molto leggero e fun-

stica praticamente si fermava, si sentì pronto ad assu-

zionale, poteva essere azionato mediante una levetta

mere i primi dipendenti della sua azienda: Enrico Pic-

posizionata sul tubo diagonale del telaio e senza biso-

colo, che era stato meccanico di Severino Duranti, ex

gno della contropedalata. Il Simplex – probabilmente il

corridore, e che aveva il compito di perfezionare le idee

primo cambio ad aver montato un pignone con 5 coro-

che Tullio disegnava sui suoi foglietti.

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TULLIO HOMO FABER

In quattro lingue Un volantino pubblicitario Campagnolo dei primi anni del secondo dopoguerra (1946-50). Istruzioni e prezzi sono forniti in quattro lingue: italiano, francese, inglese e tedesco.

Il 4 maggio 1940 Tullio Campagnolo brevetta il suo pri-

Ma l’operazione del cambio di rapporto restava co-

mo “cambio a bacchette”. È così denominato perché uti-

munque sempre complicata e richiedeva quasi un’abili-

lizza due aste rigide: l’una controlla lo sganciamento del-

tà da prestidigitatore. In sequenza, le mosse da fare era-

la ruota dal forcellino e l’altra il deragliatore per il desi-

no queste: allentamento dell’asta più lunga per sbloc-

derato posizionamento della catena sul pignone. Il se-

care la ruota posteriore; contropedalata e spostamento

greto di questo congegno erano i forcellini di particola-

dell’asta più corta verso l’esterno o l’interno per far slit-

re fattura, a cremagliera, che consentivano alla ruota di

tare la catena sul pignone desiderato; riposizionamen-

restare sempre centrata. Altro grande vantaggio, rispet-

to dell’asta più lunga e regolazione della tensione della

to alla concorrenza – soprattutto del Vittoria Margheri-

catena; ripresa della pedalata.

ta e del Super Champion – fu la scomparsa del tendica-

Spesso l’esito di una corsa dipendeva dall’abilità di un

tena, che era un notevole ostacolo alla fluidità della pe-

corridore nell’eseguire alla perfezione tutte le manovre:

dalata. Così Alfredo Martini, grande vecchio del ciclismo

chi sbagliava, perdeva tempo e veniva staccato. «Il cam-

italiano, professionista dal 1940 al 1957, e poi vittorio-

bio Campagnolo preclude ogni possibilità di guasto e di

so CT della nazionale azzurra per oltre un ventennio

perditempo», «Senza attrito e senza tendicatena»,

(1975-1997 e ben sei maglie iridate con Moser, Saronni,

«Senza attrito e senza molla»: così strillava la pubblici-

Argentin, Fondriest e due volte con Bugno), ricorda

tà sui giornali. Ma parecchie delle epiche vicende che vi-

l’invenzione di Campagnolo: «Il cambio a bacchette di

dero protagonisti i grandi eroi dell’epoca d’oro del cicli-

Campagnolo era più ingegnoso, come ingegneria era

smo, da Coppi a Bartali, erano spesso condizionate dal-

straordinario: aveva sdentato i forcellini, quando inserivi

la minore abilità o fortuna nell’armeggiare col cambio:

il rapporto per la pianura la ruota si spostava indietro,

«Coppi attacca… Bartali perde terreno….» Sì, perché

quando inserivi quello per la salita la ruota si abbassava.»

magari la catena faticava a salire sul pignone giusto! 37


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