Il lavoro non è un gioco 1C

Page 1

il lavoro

IL DRAMMA DELLO SFRUTTAMENTO E DEL LAVORO MINORILE


introduzione L’ESPERIENZA E LE PRODUZIONI DELLE ALUNNE E DEGLI ALUNNI DELLA CLASSE IC DELLA SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO FABRIZIO DE ANDRÈ DI ALBISSOLA MARINA.

IL PERCORSO DIDATTICO Il 14 febbraio, noi alunni della 1C abbiamo incontrato la dottoressa Roberta Greco della Bottega della Solidarietà di Savona che ci ha coinvolto in un laboratorio dal titolo “Il lavoro non è un gioco”. Siamo andati in aula LiM e divisi in gruppi abbiamo simulato il lavoro in una fabbrica del Bangladesh, in cui lavoravano adulti per produrre buste di carta di giornale; la signora Roberta, la nostra datrice di lavoro, ha preteso un lavoro preciso e accurato in poco tempo e, dopo aver valutato il nostro lavoro, ci ha dato un compenso, per fare gli acquisti. Con quello che abbiamo guadagnato ci siamo resi conto che era difficilissimo mantenerci: impossibile pagare un affitto anche nella periferia della città, mangiare dignitosamente, comprare vestiti ed avere risparmi per i trasporti e la sanità. Ecco perchè molte famiglie sono costrette a far lavorare i minori, non riescono solo con il lavoro degli adulti a mandare avanti una famiglia. Nel secondo incontro dedicato al progetto “Il lavoro non è un gioco”, il giorno ventuno febbraio , nella nostra classe è ritornata Roberta della Bottega della Solidarietà che ci ha spiegato in cosa consiste lo sfruttamento minorile. In molti paesi come per esempio in Bangladesh, un paese di 150.000 Km2, con quasi 169.000.000 abitanti e una densità di 1126 abitanti al Km2, una densità elevatissima rispetto ad esempio all'Italia, è presente questo fenomeno. Ci ha raccontato che in Bangladesh, cinque anni fa, a Dacca è crollata una fabbrica di otto piani e sono morte più di 1100 persone. I lavoratori (prima del crollo della fabbrica) avevano fatto tanti scioperi per e condizioni in cui lavoravano ma sono stati perseguitati e non ascoltati. Sotto le macerie di questo edificio sono state scoperte etichette di famose marche che facevano lavorare minorenni i dodici-sedici anni e sfruttavano anche gli adulti che lavoravano in condizioni non accettabili e pagati pochissimo. Poi ci ha mostrato un video che faceva vedere le varie fabbriche tessili, a Dacca. Erano buie, piccole, sporche, con molti operai minorenni. Alcuni operai sono stati intervistati nelle loro “case”: la maggior parte era contenta di lavorare perché aiutava la famiglia però i ragazzi volevano andare a scuola come tutti gli altri bambini. Ci ha colpito la storia di un ragazzino che lavora per 2 euro al giorno sei giorni alla settimana e quella di una ragazzina che lavora dieci ore al giorno per 30 euro al mese. Queste fabbriche in Bangladesh lavorano per conto terzi cioè per altre aziende famose del Nord del mondo. Questo lavoro per conto terzi si basa su una specie di piramide : sotto ci sono le “ fabbriche”, le più numerose, buie, piccole, con tanti operai giovani e che lavorano a mano, poi ci sono altri operai che lavorano i prodotti forniti dall’azienda precedente in condizioni migliori, poi ancora altri lavoratori che guadagnano di più e lavorano in condizioni migliori. I prodotti partono dal Bangladesh, viaggiano circa 19.000 Km e infine arrivano alle grandi aziende del Nord del Mondo, dove vengono venduti a prezzi elevatissimi, rispetto al prezzo del Paese di produzione. Una maglietta di cotone che in Bangladesh costa 2 dollari, in Europa è venduta a 30.

Gemma I. - Nicole B.


a scuola STORIE DAL MONDO

inventate, ma non troppo lontane dalla realtĂ

03

Nalina

03

Suri

04

Luky

05

Champalala

05

Juan

06

Juan

06

Champalala

07

Ramelu

08

Mukesh

08

Chamapalala


Mi chiamo Nalina, vivo in Malesia, ho 15 anni e devo lavorare da 6 anni perché sono senza papà ed ho quattro fratelli da mantenere. La mia giornata inizia presto e finisce tardi. Alle 6:00 mi reco alla piantagione di palme da olio dove lavoro. Il mio lavoro è molto faticoso: devo raccogliere molti frutti di olio di palma che sono pieni di spine. Una mattina raccogliendo un frutto mi sono punta con molte spine per fortuna c'era un mio amico che mi ha dato una pomata. Sono stata subito meglio e ho continuato il lavoro, qua non ci si può fermare, altrimenti si è licenziati e io ho bisogno di lavorare.

NEW YORK

Anselmo T.

03

Claudia G.

Ciao sono Suri, ho 12 anni e lavoro in una fabbrica di tappeti, da quando mio padre è morto di tifo per colpa delle condizioni in cui vivamo sono obbligata a dare un contributo alla mia famiglia, soprattutto perché mia madre ha un debito con un usuraio e quindi abbiamo bisogno di soldi. Così sono entrata in questa fabbrica in cui non facciamo mai pause in 16 ore di lavoro, sempre attaccato ad un telaio, per questo quando arrivo a casa, ceno velocemente e mi butto sul letto. Guadagno tre soldi a settimana quindi mi ci vorranno ancora 3-4 anni per saldare il debito della mia famiglia. Nella fabbrica ci occupiamo di fare nodi su corde molto tese che si estendono dal soffitto al pavimento, è un lavoro massacrante, chi prova a scappare, e qualche volta succede, viene ammanettato a una delle corde e lavora per 2-3 ore in più per punizione. Ho visto bambini morire di fame, di stanchezza per colpa delle condizioni in cui ci fanno lavorare. Spero di non essere mai fra questi. Pregate per me!


Mi chiamo Luky, ho dieci anni, vivo in India, lavoro in una miniera per dieci ore al giorno con solo una pausa di trentotto minuti e ricevo uno stipendio di settantotto Rupie al giorno. Devo lavorare per la mia famiglia visto che mio padre è morto per una malattia ancora sconosciuta e mia madre si deve prendere cura dei miei tre fratellini. In miniera è molto pericoloso lavorare, molti muoiono a causa di crolli, molte volte sono svenuto per la troppa polvere o per mancanza di cibo o acqua. E’ molto difficile lavorare al buio: alcuni si fanno male e vengono portati via in barella. Da qualche giorno mi sono fatto un amico , si chiama Ysach, ha dodici anni . La mattina mi sveglio alle sei, mi incammino e, dopo circa un'ora di camminata veloce, arrivo in miniera alle sette; comincio a battere la roccia con il piccone e non mi fermo per ore. Dopo cinque ore ci è concessa una pausa per mangiare un pezzo di pane e bere un po’ d’acqua. Ieri Isac non aveva da mangiare e così gli ho dato un pezzo del mio panino. Quando lavoriamo non possiamo parlare e durante le pause ci raccontiamo qualche cosa, è così che è nata la nostra amicizia in miniera. Quando finiamo il nostro turno usciamo dalla miniera, io e Isac mentre torniamo a casa, anche se siamo stanchi, giochiamo a rincorrerci e questo è il nostro unico gioco della giornata, l'unico momento di distrazione dai problemi della nostra famiglia. Arrivato a casa, i miei fratellini vogliono giocare con me, ma io sono distrutto e così mi butto sul letto esausto: mi fanno male le braccia, le gambe, mi bruciano gli occhi e la gola, non ho voglia di niente, nemmeno di ridere e giocare, solo di riposare e sognare un'altra vita; almeno nei sogni posso immaginare una vita diversa... Domani è un altro giorno uguale a quello di oggi, purtroppo.

Michele P.

04


Ciao mi chiamo Champalala, vivo a Dacca in Bangladesh e ho tredici anni ma non vado a scuola perché i miei genitori sono rimasti senza lavoro, così sono costretto a lavorare. Per fortuna mi hanno preso in una fabbrica a un’ora dal mio villaggio, così tutti i giorni percorro quei chilometri che mi separano dal luogo del mio lavoro. Cucio colletti bianchi, che andranno poi applicati alle camicie destinate alle grandi firme europee. Io guadagno quarantacinque dollari al mese, pochissimo per riuscire a sostenere la mia famiglia. Al mattino mi devo alzare presto per prendere il carro che mi porta alla fabbrica, rimango lì dodici ore, a volte anche diciotto, soprattutto quando inizia la nuova collezione! Dopo risalgo sul carro che mi riporta a casa. Il carro ogni mattina si riempie di ragazzi come me e la sera si svuota. Molti miei coetanei sono nella mia stessa situazione, le nostre storie sono simili: siamo costretti a lavorare per aiutare le nostre famiglie. Il mio capo è una brava persona perché mi concede due pause al giorno, per bere e mangiare. Alla sera mi sento stanco e con le mani doloranti per il duro lavoro, ma sono felice di riunirmi alla mia famiglia e contribuire al loro mantenimento.Il mio sogno è quello di andare a scuola, avere tanti amici con cui giocare e poi diventare dottore per aiutare i bambini del mio paese. Spero che le cose cambino presto e poter realizzare il mio sogno. 05

Alessandro M.

Ciao, mi chiamo Juan e vivo in Nicaragua insieme ai miei genitori e ai miei quattro fratelli. Ho quattordici anni e lavoro in una piantagione di banane, mi occupo di irrorarle con i pesticidi.Lavorare alla mia età non è strano nel mio paese, spesso noi giovani braccia dobbiamo aiutare la famiglia, infatti i miei genitori sono malati e io sono l'unico che può occuparsi di loro e dei miei fratelli più piccoli. Anche io non sono proprio in forma perché i pesticidi che usiamo sono velenosi per i polmoni e la pelle. Tossisco tantissimo. Mi sveglio alle sei del mattino perché da casa mia fino alla piantagione ci sono due ore di cammino; quando arrivo inizio subito a lavorare per dodici ore di seguito con una breve pausa per mangiare e bere.Oltre a me lavorano nella piantagione anche altri bambini e tutti ritorniamo a casa alle dieci di sera stanchi e affamati. A me non piace lavorare e sono molto triste perché non posso tornare a scuola e non posso più giocare con i miei compagni come facevo prima che i miei si ammalassero. A me piaceva studiare infatti da grande avrei voluto fare il medico, ma adesso non posso più. Rimane solo un bellissimo sogno.

Edoardo B.


Mi chiamo Juan, sono un ragazzino di 10 anni e lavoro in una fabbrica tessile, in un piccolo paesino che dista qualche km da Mumbai, in India.Il mio lavoro inizia alle cinque di mattina e si prolunga fino alle diciannove con una sola pausa al giorno per mangiare e bere, noi ragazzi mangiamo solo una porzione abbondante di riso e ogni tanto, ma solo nei giorni di festa, ci danno anche il Rogan Josh che è uno spezzatino di carne molto speziato. Essendo piccolo, mi occupo di portare tonnellate di vestiti su un camion, quando è carico il mezzo parte e porta i vestiti lontano a mercati occidentali. Spesso sogno di salirvi sopra e scappare lontano da qui, in un posto migliore dove non sono costretto a lavorare tutto il giorno e posso essere solo un bambino. Pur lavorando quattordici ore al giorno, guadagno cinque euro al mese, che mi servono per mantenere me e mia sorella. I miei genitori infatti sono morti schiacciati da un camion e sono rimasto da solo con la mia sorellina di quattro anni, per cui mi devo occupare di lei. Durante la mia assenza lei è sola in casa e ha imparato ad occuparsene: pulisce il pavimento con una maglietta cucita male della fabbrica in cui lavoro e ha imparato ad accendere un piccolo falò in casa per scaldare il riso. Di sera dopo il lavoro mangio con la mia sorellina e poi vado a letto. Ogni notte penso se il mio sogno si realizzerà mai: vorrei tornare a scuola e diventare un professore.

Giorgia P.

Ciao, mi chiamo Champalala, ho tredici anni e vivo in Bangladesh. Abito con mia nonna, ormai anziana. E' difficile vivere per noi due, siamo sole, io mi prendo cura di lei. Prima ero un bambino come tanti altri, andavo a scuola e vivevo con mia mamma, mio papà e mia nonna. Un giorno mia madre e mio padre morirono in un incidente sul lavoro e così rimanemmo solo io e mia nonna. La nonna non va a lavorare, è anziana, con gravi problemi di salute e quindi non abbiamo soldi, infatti vado a lavorare in una fabbrica di vestiti per guadagnarmi un po’ di soldi. Si tratta di una fabbrica che produce vestiti per le grandi firme europee. Lo faccio per guadagnare 45 dollari al mese che spendo per mangiare e comprare la medicine alla nonna. Io mi occupo di fare il colletto alle camicie, lavoro 12 ore al giorno però quando deve partire una nuova collezione lavoro perfino 18 ore e faccio due pause brevi per mangiare e bere.Il mio più grande sogno è quello di diventare un pilota di macchine, ma soprattutto quello di scappare con mia nonna in America e di frequentare di nuovo la scuola. Solo l'istruzione può cambiare il mio futuro e quello di tanti bambini che nel mondo vivono come me: privati della loro infanzia e delle possibilità che la vita offre.

Margherita B.

06


07

Alessandro V.

Mi chiamo Ramelu, ho 14 anni e lavoro in una miniera di diamanti in Sudafrica. I miei turni sono massacranti, ho mezz'ora di pausa due volte al giorno, mangio quello che la mia mamma mi prepara alla sera, per lo piu' avanzi della cena. Ho sempre perennemente fame. La mamma è ancora giovane, penso che non abbia neanche 50 anni, ma sembra già molto vecchia, ha tutti i capelli grigi, molte rughe intorno agli occhi e non sorride mai. Capisco che è giovane perchè quando sente una musichetta allegra alla radio, si perde per qualche minuto come se stesse sognando, un lampo accende i suoi occhi, ma poi diviene subito triste. Mio padre è sempre stanco, cerca di mantenere il buonumore, ma alla sera è stravolto e si addormenta subito dopo aver cenato. Così è la povertà, mi ha detto un giorno, raccogliamo diamanti per ricchi signori che li faranno sfoggiare alle loro mogli, e noi ci spacchiamo la schiena tutti i giorni. Ma ha una maniera di dirlo un po' ironica, cerca di farla sembrare una cosa scontata, anche se non lo è. I diamanti sono meravigliosi, ti illuminano gli occhi, purtroppo io li vedo solo passare ... se solo ne potessi possedere uno! Ho iniziato a 9 anni, mio fratello piu' grande invece ha iniziato a 8 anni, ma il destino è stato crudele con lui... è morto a 11 anni per un incidente nella galleria della miniera. Io lavoro 14 ore al giorno, per pochi soldi, sempre al buio. Quando esco, la luce fioca della sera quasi mi acceca.Mi domando spesso cosa facciano nel mondo i ragazzi della mia età: giocano a calcio, ridono, scherzano, escono con le ragazze? Oppure il loro destino è simile al mio? Avrei tanto voluto diventare un calciatore famoso, non dico come il mio mito Cristiano Ronaldo, sarebbe davvero troppo! Ho sempre giocato al pallone, in qualunque specie di campetto mi trovassi, con qualunque pallone... sono i miei ricordi piu' belli. Purtroppo i miei genitori hanno bisogno del mio stipendio e, anche se alla sera sono distrutto, so che il mio aiuto è importante, e questo mi rende felice. Ho anche due fratellini piu' piccoli, di 3 e 6 anni, li guardo e penso che non voglio che il loro destino sia come il mio. E' proprio vero che ci si adegua a qualunque tipo di vita, ma io spero sempre che il mio futuro sia migliore, che questa povertà grigia e triste, un giorno si trasformi in qualcosa di diverso.


Emilia P. Mi chiamo Mukesh Somaji Damore, sono indiano, ho dodici anni. Ero un bambino fortunato perché andavo a scuola. Poi un giorno mio papà mi disse che non potevo più andare perché lui si era ammalato e dovevo andare a lavorare per guadagnare soldi per le medicine e per comprare il cibo per la mia famiglia. Da quel giorno la mia vita cambiò e divenne più faticosa e malinconica. Mi svegliavo prestissimo all'alba, il mio lavoro consisteva nello spuntare e impollinare le piante di cotone. Lavoravo fino a sera a stomaco vuoto, perchè non era prevista una sosta neppure per il pranzo; tornavo a casa con solo un sacchetto di farina, la mia paga, destinata alla mia famiglia e mi davano solo pochi soldi. Dovevamo sopravvivere in sei con quel poco che non era mai abbastanza. Tutti i giorni erano uguali, ma io andavo avanti, con forza e coraggio. Alla sera prima di addormentarmi, stanco ed affamato, ero triste e ripensavo ai giorni spensierati, che non sarebbero più tornati. Poi avvenne il miracolo, mio padre si riprese, guarì e, dopo poco, tornai a scuola. Una vera festa. Oggi sono un ragazzo che studia e capisce l’importanza di difendere i diritti dei bambini.

Mi chiamo Champalala sono un bambino di 13 anni e vivo a Dacca, capitale del Bangladesh. Il mio sogno è quello di andare a scuola per studiare e diventare dottore. Purtroppo da quando entrambi i miei genitori si sono ammalati, la mia vita è cambiata: ho dovuto iniziare a lavorare. In casa siamo in sei: io, mamma, papà e gli altri tre miei fratellini più piccoli. In questo momento sono l'unico a poter dare un contributo economico alla famiglia e allora, senza pensarci troppo, faccio il mio dovere. Lavoro in una fabbrica tessile, che produce abiti per le grandi firme europee. Lavoro dodici ore al giorno e mi occupo di rifinire i colletti delle camicie, capita a volte di lavorare anche diciotto ore di seguito, quando deve partire la nuova collezione, con solo due brevi pause per mangiare e bere qualcosa. Non vedo mai il lavoro finito, faccio parte di un ingranaggio molto grande e io sono solo una piccola pedina. Guadagno 45 dollari al mese e con questi soldi sostengo la mia famiglia. A fine giornata quando torno a casa sono felice perché so che sto aiutando la mia famiglia, anche se distrutto dal lavoro, non mi resta molto tempo per me, ceno e mi sdraio immediatamente, a quel punto sogno ciò che ho nel cuore: studiare e diventare un…dottore! Chissà se rimarrà solo un sogno.

Francesco A.

08


BOTTEGA DELLA SOLIDARIETÀ SOCIETÀPROGETTO COOPERATIVA SOCIALE ONLUS A SCUOLA DI MONDO PROGETTO DIDATTICO "A SCUOLA DI MONDO" ANNO SCOLASTICO 2019-2020

ANNO SCOLASTICO 2019/20

ISTITUTO COMPRENSIVO DELLE ALBISOLE Coordinamento: prof.ssa ALESSANDRA MINETTI e prof.ssa BARBARA BAFFETTI


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.