AREZZO NEL MEDIOEVO

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Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze AREZZO

A REZZ O Nel MEDIOEVO a cura di

GIOVANNI CHERUBINI - franco FRANCESCHI ANDREA BARLUCCHI - Giulio Firpo

G I O R G I O B RET S C H NEIDER EDIT O RE ROMA • 2012


Volume pubblicato con il contributo di:

Rotary Club Arezzo

Inner Wheel International Club di Arezzo

Rotary Club Arezzo Est

e con il patrocinio di:

Redazione:

Sara Faralli

ISSN 0391-9293 ISBN 978-88-7689-268-4

Tutti i diritti riservati printed in italy

Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze Casa del Petrarca - Via dell’Orto 28, 52100 Arezzo Tel.: 0575.24700 - Fax: 0575.298846 e-mail: info@accademiapetrarca.it www.accademiapetrarca.it COPYRIGHT © 2012 by GIORGIO BRETSCHNEIDER EDITORE - ROMA Via Crescenzio, 43 - 00193 Roma   www.bretschneider.it


INDICE DEL VOLUME

Premessa .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Giovanni Cherubini, Arezzo medievale nella storiografia .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Cristina La Rocca, La formazione di nuove identità sociali, etniche e religiose tra V e VII secolo .  .  .  .  .  .  .

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Alessandra Molinari, La fisionomia urbana attraverso le fonti archeologiche (secoli V-XI) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Claudio Azzara, L’assetto del territorio .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Mauro Ronzani, L’organizzazione ecclesiastica in età longobarda .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Antonio Batinti, Arezzo medievale nella toponomastica .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Jean-Pierre Delumeau, I poteri superiori ad Arezzo dall’età carolingia al Comune consolare .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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François Bougard, I vescovi di Arezzo nei secoli IX-XI: tra le responsabilità locali e i destini “nazionali ” .  .  .  .  .  .

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Maria Elena Cortese, Il tempo dei castelli: popolamento, assetto dei poteri aristocratici e sviluppo signorile del comitatus di Arezzo tra X e XII secolo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Jean-Pierre Delumeau, I primi segni del dinamismo urbano ad Arezzo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Pierluigi Licciardello, La vita religiosa ad Arezzo nei secoli IX-XI .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Alarico Barbagli, Il notariato medievale aretino .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Caterina Tristano, Scuola, scrittura e società .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Antonino Caleca, Arte nel territorio aretino: un Medioevo da scoprire .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Gian Paolo G. Scharf, Poteri, istituzioni e lotte politiche ad Arezzo nel secolo XIII .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Andrea Barlucchi, Le istituzioni e la politica trecentesca .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Andrea Barlucchi, L’economia aretina fra Due e Trecento .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Pierluigi Licciardello, La vita religiosa ad Arezzo nei secoli XII-XIV .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Franca Maria Vanni, Le emissioni della zecca di Arezzo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Antonella Moriani, Povertà e assistenza ad Arezzo nel Medioevo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Francesco Stella, L’Università .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Alberto Nocentini - Luca Pesini, Il volgare aretino nel basso Medioevo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Federico Canaccini, La città di pietra .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Paola Refice, Produzione artistica e committenze .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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I. L’ETÀ DELLE MIGRAZIONI E LA FORMAZIONE DI UNA SOCIETÀ NUOVA

II. DALL’ETÀ CAROLINGIA ALLA NASCITA DEL COMUNE

IIi. L’ETÀ COMUNALE

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IV. AREZZO NELLO Stato FIORENTINO

Augusto Antoniella, Arezzo e il suo territorio prima e dopo la sottomissione a Firenze .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Robert Black, Arezzo e Firenze: politica e clientele .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Petra Pertici, Arezzo e l’opposizione a Firenze fra Quattrocento e Cinquecento .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Franco Franceschi, Aspetti dell’economia urbana .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Luca Berti, L’evoluzione della società e delle istituzioni politiche (1384-1536) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Paolo Viti, Arezzo tra Firenze e Roma. Lo sviluppo della cultura umanistica .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Mauro Mussolin, Architettura ad Arezzo nel XV secolo .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Luciana Borri Cristelli, La committenza artistica aretina nel Quattrocento .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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Indice

delle fonti

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Indice dei nomi propri .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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PREMESSA

Il presente volume costituisce la seconda tappa di un progetto intrapreso dall’Accademia Petrarca di Lettere Arti e Scienze di Arezzo a partire dal 2007, e già in parte realizzato con la pubblicazione, nel dicembre 2009, del volume Arezzo nell’antichità, a cura di Giovannangelo Camporeale e Giulio Firpo, che ha riscosso ampio apprezzamento nella comunità scientifica nazionale e internazionale e, più in generale, tra un vasto pubblico di lettori interessati alla materia. Questo libro intende offrire una sintesi dei più importanti risultati conseguiti nei vari ambiti disciplinari relativi alla storia di Arezzo in un periodo compreso tra il V/VI secolo e i primi decenni del XVI. Da un lato, si vuol offrire allo specialista un’informazione corretta e aggiornata sullo status quaestionis di ciascun argomento, indicando, ogni volta che se ne presenti l’occasione, le prospettive di ulteriori ampliamenti e approfondimenti degli studi; dall’altro, si vuol anche consentire un approccio ragionevolmente agevole a un pubblico di lettori di alto livello culturale ma non necessariamente specializzati nella materia. Per queste ragioni abbiamo riproposto il medesimo “taglio” scientifico-editoriale del primo volume: sono state eliminate le note a pie’ di pagina o in fondo ai singoli capitoli, inserendo all’interno del testo le citazioni di fonti antiche e di studi moderni, con rinvii a un apparato bibliografico, in appendice a ciascun capitolo, limitato, in linea di massima, a un orientamento di carattere generale e ai titoli più recenti e scientificamente qualificati. Com’era già avvenuto per il libro su Arezzo antica, anche in questo caso l’estrema specializzazione conseguita negli studi medievistici ha indotto ad affidarsi a più studiosi, esperti di storia politico-istituzionale, amministrativa, economica, sociale, religiosa ed ecclesiastica; di archeologia, urbanistica, toponomastica, linguistica, paleografia e diplomatica, archivistica, numismatica. Quanto alla storia della produzione artistica nel periodo contemplato, va detto che la recentissima pubblicazione della Collana Arte in terra d’Arezzo, e in particolare dei suoi primi tre volumi (Il Medioevo, Il Trecento e Il Quattrocento), ha offerto un fondamentale supporto a questo lavoro, coprendo un settore che per ovvi motivi di spazio e di opportunità non avrebbe potuto essere affrontato al pari degli altri in questa sede e permettendo – in linea con le finalità del presente lavoro – di focalizzare piuttosto l’attenzione su alcuni aspetti economico-sociali connessi alla produzione artistica, e in particolare sulla committenza. Credo di poter legittimamente affermare, con soddisfazione, che con i volumi su Arezzo nell’antichità e nel Medioevo l’Accademia Petrarca abbia colmato, almeno parzialmente, una lacuna evidente e insidiosa. Infatti, a fronte di una quantità non trascurabile, e fortunatamente in aumento, di studi specialistici, che però, proprio per essere tali, sono destinati a un pubblico non particolarmente vasto, ciò che mancava e che non era mai stato neppur tentato a questo livello (cioè con il coinvolgimento di alcuni tra i maggiori studiosi delle singole discipline) era appunto una sintesi di elevata qualità, destinata a varie tipologie di utenza, come accennato in precedenza, e comunque in grado di dare il senso della continuità e dello sviluppo di una storia complessa e affascinante, conditio sine qua non per evitare che la memoria storica e il senso di appartenenza diventino rassegnati ostaggi di incontrollabile improvvisazione e di folkloristica superficialità, come troppo spesso si è verificato specialmente negli ultimi decenni: la storia, cioè, di una città di antiche origini etrusche (VI secolo a.C.), divenuta poi, in età ellenistico-romana, uno dei più importanti poli “industriali” della Penisola (la definizione è del grande storico inglese Arnold J. Toynbee, riferita alla straordinaria, per quantità e qualità, produzione di ceramica a vernice nera e soprattutto a vernice rossa, la celeberrima sigillata) e risorta a nuova gloria a partire dall’epoca tardomedievale, quale sede di una tra le più antiche Università italiane e genitrice di una nutrita serie di grandi personaggi che sarebbe troppo lungo elencare, idealmente ricollegantisi al loro insigne progenitore d’età romana, Gaio Cilnio Mecenate, consigliere di Augusto e protettore di poeti. Per tali motivi, questo volume, anzi, questi volumi vogliono essere un omaggio e un servizio alla nostra città, ai suoi duemilacinquecento anni di storia, ai personaggi che nei secoli l’hanno resa illustre e famosa nel mondo, alle sue tradizioni culturali e civili, ai suoi superbi monumenti; ma vogliono esser soprattutto un omaggio all’intelligenza crea­

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tiva e alla laboriosità tenace dei suoi abitanti, nell’auspicio che una più approfondita e documentata conoscenza di un grande passato possa essere d’incoraggiamento per superare le difficoltà del presente e contribuire alla costruzione di un futuro nel quale la consapevolezza del ruolo imprescindibile della cultura nel progresso morale e civile della società trovi finalmente sempre maggiore diffusione e apprezzamento. A nome dell’Accademia Petrarca, desidero ringraziare in modo caloroso e davvero riconoscente tutti gli illustri studiosi, italiani e stranieri, che hanno accettato il nostro invito a partecipare a questa impresa e che hanno profuso il loro impegno e il loro sapere per consentirne al meglio la riuscita. Un ringraziamento particolare va ai professori Giovanni Cherubini, dell’Università di Firenze, Franco Franceschi e Andrea Barlucchi, dell’Università di Siena, per essersi generosamente accollati la cura scientifica del progetto in tutta la complessità dei suoi aspetti, oltre che per aver direttamente partecipato, con quattro capitoli, alla composizione del volume. Chi scrive si è limitato a coordinare l’attività organizzativa e redazionale del lavoro. Anche in questa circostanza il contributo concesso da Banca Etruria non è stato solo fondamentale in termini quantitativi, ma ha costituito la condizione preliminare e necessaria per l’avvio del progetto. Una volta di più, questo benemerito Istituto si è dimostrato particolarmente sensibile nei confronti della cultura della città e del territorio e di quanti operano con passione e costanza per mantenerne elevato il livello. A Banca Etruria vada pertanto il nostro più sincero ringraziamento, così come a quanti l’hanno affiancata con il loro prezioso sostegno: la Ditta CEIA, Estra S.p.A., il Rotary Club Arezzo, il Rotary Club Arezzo Est, l’International Inner Wheel Club di Arezzo. Il Comune e la Provincia di Arezzo, sempre vicini alle iniziative dell’Accademia Petrarca, hanno concesso il loro autorevole patrocinio. È altresì doveroso ricordare la cortesia e la disponibilità mostrate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Arezzo, dall’Archivio Capitolare Diocesano di Arezzo e dalla Fraternita dei Laici di Arezzo per aver consentito la riproduzione fotografica di beni artistici e/o documentari in loro possesso, e dalla Casa editrice Edifir di Firenze per aver messo a disposizione il materiale originale del suo Gabinetto fotografico. Infine, a conclusione di più di tre anni di lavoro comune, desidero ringraziare il dr. Boris Bretschneider per aver esaudito il nostro desiderio di pubblicare i volumi su Arezzo antica e medievale con la prestigiosa Casa Editrice da Lui diretta, nonché il dr. Enzo Volpini, titolare della Tiferno Grafica s.r.l. di Città di Castello, e i suoi collaboratori Alessandra Buonavita e Fabrizio Mariucci per la loro elevata professionalità e per la gentilezza e la pazienza dimostrate nel corso della lavorazione dei due testi. Giulio Firpo Presidente dell’Accademia Petrarca di Arezzo

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Giovanni Cherubini

AREZZO MEDIEVALE NELLA STORIOGRAFIA

Nella storiografia aretina o relativa ad Arezzo, non diversamente da quanto è avvenuto per altre città che ebbero un rilevante passato comunale, potrebbero essere naturalmente distinti gli storici in qualche modo collocati nel mondo accademico da coloro che scrivono perché appassionati di storia. Se ai primi può essere in partenza riconosciuto un qualche potenziale elemento di precedenza, non si deve tuttavia dimenticare che alcuni dei secondi si sono distinti e si distinguono spesso non soltanto per passione, ma anche per conoscenze e risultati raggiunti. Si è trattato in passato e ancora talvolta si tratta di sacerdoti che hanno punteggiato la loro vita di propri studi e di edizioni di fonti. Penso a Corrado Lazzeri con Guglielmino Ubertini e con aspetti e figure di vita medievale, compreso il vescovo Tarlati (Lazzeri 1920 e 1937); ad Angelo Tafi con la sua preziosa guida della città, con il volume sulle «antiche pievi» della estesa diocesi, diciannove delle quali il vescovo di Siena tentò invano di trasferire sotto la sua giurisdizione, perché comprese nel gastaldato longobardo, con il volume sulla Pieve cittadina, con il volume sulla storia di Pionta (Tafi 1978, 1998, 1994, 1995); a Silvano Pieri con le notizie sugli hospitalia del territorio e la vita quotidiana di un castello (Pieri 1997 e 1996); ad Antonio Bacci con le origini «aretine» del Petrarca e con le strade romane e medievali del territorio (Bacci 2004 e 1986). Si tratta talvolta anche di autori che per il loro impegno di lavoro ci hanno lasciato pubblicazioni di fonti e di libri di varia natura e di rilevante importanza. Penso a questo proposito soprattutto all’operosità di Ubaldo Pasqui, in primo luogo come editore dei quattro grandi volumi di Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medioevo, dati alle stampe tra il 1899 e il 1937, ma anche come storico della città (Berti 2004). Ma vorrei subito precisare che, di fronte all’aumento si potrebbe dire geometrico degli studiosi del Medioevo aretino, anche quella bipartizione a cui ho poco fa accennato si è ormai complicata, con l’ingresso fra gli studiosi di Arezzo di una terza e più varia categoria, vale a dire di persone che operano negli archivi pubblici (penso all’operosità e alle capacità presenti attualmente o presenti in passato nell’Archivio di Stato della città), negli archivi ecclesiastici o in settori simili, oltre che di numerosi docenti delle scuole medie superiori o inferiori. La crescita di tutti questi cultori si amalgama peraltro con la sede dell’Università di Siena presente e intensamente operante ad Arezzo (Franceschi e Barlucchi, con i quali firmo questo libro, sono appunto due suoi docenti). Mi sem-

bra anche giusto spiegare subito che anche per altra via si è nel corso dei decenni e degli anni moltiplicata in città la fitta schiera della gente istruita (uso volutamente questa vecchia, ma sempre funzionale espressione) che desidera ascoltar conferenze, discutere di ricerca e cimentarsi personalmente nella preparazione di lavori scientifici. Non ho difficoltà ad ammettere a questo proposito che Arezzo figura in modo molto degno nella pur vivace Toscana. A dare voce, oltre che a studiosi affermati, anche ad aretini di valore hanno contribuito nel tempo e continuano a contribuire tre o quattro istituzioni con le loro riviste, prima la vecchia e illustre Accademia Petrarca con i suoi «Atti e Memorie», poi la Brigata Aretina Amici dei Monumenti, con il suo «Bollettino d’informazione», infine la Fraternita dei Laici con «Annali Aretini» e la Società Storica Aretina con «Notizie di Storia». Nel corso del tempo, gli aretini hanno pubblicato loro lavori anche su riviste edite a Firenze («Archivio Storico Italiano», «Rivista di Storia dell’Agricoltura») e a Siena («Bullettino Senese di Storia Patria»). Ma va aggiunto, con il dovuto rilievo, che fra gli aretini operano anche studiosi impossibili a definirsi con facili formule, ma che hanno punteggiato la loro operosissima vita di infinite pubblicazioni dedicate a epoche diverse, a tematiche molto varie, alla scoperta di cose talvolta ignote o poco note. Penso ovviamente a una figura come Alberto Fatucchi e ai suoi studi sull’invasione longobarda, all’importante libro sulla scultura altomedievale nella diocesi di Arezzo, agli studi sulla viabilità del Casentino, al centro monastico di cultura sull’Alpe di Santa Trinita nell’XI secolo (Fatucchi 1973-1975, 1977, 1994, 2000). A lui mi sento fra l’altro legato sia dalla comune nascita nel medesimo paese casentinese, sia dal ricordo ammirato che del padre e della madre di lui mi davano mio padre e mia madre quand’ero poco più che bambino. E proprio a lui confesso, convinto di essere capito, che una cosa nella storia medievale aretina, non ostante la presenza della grande e antica via che veniva da lontano e attraversava l’Appennino al passo di Serra, percorreva la valle del Corsalone e si dirigeva verso Arezzo, non ha trovato l’attenzione che merita, vale a dire la pur battuta storia del pellegrinaggio, se si vuole verso Roma, verso Santiago di Compostella, verso Assisi, verso il Gargano o in altre direzioni. Posso comunque segnalare che alle vie del pellegrinaggio medievale è stato dedicato un volume collettivo che riguarda l’alta valle del Tevere (Mattesini 1998). Io stesso ho avuto modo, ad esempio, di illustrare i vari e impegnativi pel-

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legrinaggi di un tal Popino da Poppi, converso camaldolese, realizzati tra il 1160 e il 1170-1175 una volta a Santiago di Compostella (tempo impiegato per andare e tornare, cinque mesi), due volte a San Michele del Gargano (tempo impiegato ogni volta, per andare e tornare, «tre settimane e più»), due volte a Roma, ma senza fermarvisi (Cherubini 2005, pp. 58-59). E non segnalo neppure, ovviamente, tutto quello che potremmo dire intorno ai pellegrinaggi alla Verna, sia di casentinesi sia di gente venuta da più lontano. Una osservazione deve essere tuttavia subito fatta, o, se si vuole, una domanda bisogna porsi. Quanto della presenza di studiosi stranieri che si sono dedicati allo studio della nostra regione ha toccato anche la nostra città? Direi, con tranquilla coscienza, che nulla di paragonabile è avvenuto rispetto all’interesse riversatosi su Firenze, e la cosa ovviamente non meraviglia. Ma mi chiedo quanto spazio è stato riservato ad Arezzo rispetto a Siena, quanto rispetto a Pisa, a Lucca o a Pistoia; quanto anche rispetto a Prato, che pur non era una città e nacque, diversamente da Arezzo, soltanto verso l’inizio dell’XI secolo, ma ha potuto offrire agli studiosi, particolarmente a quelli di storia economica, l’immenso archivio del grande mercante Francesco di Marco Datini (1335-1410) di cui sono state studiate le attività e le ricchezze, ma di cui qualcuno si è posto anche il problema di intendere la personalità, più complessa di quanto a lungo si è ritenuto (Nanni 2010). Senza mettere in campo inutili graduatorie che dovrebbero ovviamente tenere conto del complesso della civiltà medievale, cioè della storia politica, di quella sociale, di quella economica, dell’arte, delle lettere e delle più varie discipline, si può comunque dire che ad Arezzo non spetta sicuramente il primo posto. Alla nostra città, per quanto da qualche tempo qualcuno avanzi proposte più larghe di quelle che anch’io mi sono talvolta proposto di fare, nessuno attribuisce la quantità di abitanti che viene attribuita non dico a Firenze, che all’inizio del Trecento era popolata da centomila anime, ma neppure a Siena o a Pisa, che in momenti diversi ne contarono, tra Duecento e Trecento, circa la metà di quella cifra, e neppure a Lucca, che ne raggiunse, come sembra, un po’ di meno. È opinione abbastanza diffusa che Arezzo raggiungesse le stesse dimensioni di Pistoia e di Prato, quella «terra» che non poteva ancora chiamarsi città per la mancanza di un vescovo, e che fra le città toscane di antica origine rimaste ancora vitali Arezzo fosse rimasta più popolata soltanto di Volterra. Ma un secondo e rilevante fenomeno connota Arezzo nel corso dei secoli medievali, cioè un grande territorio, un esteso contado, sebbene nel complesso poco popolato e, rispetto all’età romana, fattosi in larga parte paludoso, non segnato da centri veramente concorrenti con il capoluogo, con la sola eccezione – se si vuole – di Cortona, che il pontefice

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nel 1325 dotò di un vescovo e fece diventare città per punire un altro vescovo, quello di Arezzo, schieratosi con l’imperatore che la chiesa avvertiva nemico. Proprio a Cortona, che nella Toscana delle città non riuscì tuttavia mai a sottrarsi a una famiglia di signori locali, i Casali, sino a che non passò sotto il dominio di Firenze, negli ultimi anni una studiosa francese ha dedicato i suoi studi (Pérol 2008). Ma va ora aggiunto, rispondendo a una domanda che mi sono fatto più indietro, che anche ad Arezzo è stata in realtà dedicata una grande «tesi» da parte dello studioso francese JeanPierre Delumeau (Delumeau 1996), che della parte montana del territorio si è occupato con originalità lo studioso inglese Christopher Wickham (Wickham 1987) e che, prima di lui, il suo connazionale Philip Jones aveva scritto un lungo saggio sulla «grande proprietà monastica» dei Camaldolesi nella Toscana tardomedievale ( Jones 1980, pp. 295-315). Sempre alla storia dei Camaldolesi, ma particolarmente alle loro vicende religiose e istituzionali, ha dedicato un ampio e laborioso volume una studiosa francese (Caby 1999). Nel lontano 1953, ad Arezzo come «centro di studi e di cultura nel XIII secolo» la studiosa polacca Helene Wieruszowski dedicò sulla rivista americana «Traditio» un saggio assai rilevante, ora da tempo disponibile anche in lingua italiana negli «Atti e Memorie dell’Accademia Petrarca» (1968-1969, pp. 1-82). Di «studio e scuola in Arezzo durante il Medioevo e il Rinascimento» ha trattato nel 1996, pubblicando abbondanti documenti d’archivio in un suo ampio volume, l’inglese Robert Black, sottolineando in particolare la rilevanza della città nella storia del diritto, nella quale occupano un ruolo significativo i precoci (1255) Statuti dell’Università (Fabbrini 1990), il cui 750° anniversario è stato celebrato nel 2005 da un Convegno internazionale, i maestri, le discipline e il ruolo culturale che il diritto aveva in città (Stella 2006). Ma per la cultura aretina, anzi per il suo più noto personaggio, cioè Guittone, anche altri non italiani hanno mostrato il loro interesse, come risulta dal volume che uno studioso francese gli dedicò nel 1966, precisando sin dal titolo che si trattava della sua vita, della sua epoca e della sua cultura (Margueron 1966). Anche su di lui, nel settimo centenario della morte (1994), fu poi organizzato un importante Convegno internazionale che trattò aspetti della sua cultura, la sua poesia, la sua tradizione, i suoi rapporti con Dante (Picone 1995). Ma la cosa più rilevante che mi pare opportuno ora aggiungere è il cambiamento avvenuto, in conseguenza diretta del mutamento della storiografia, nell’insieme delle tematiche diventate oggetto di studio. Ne farò soltanto qualche accenno senza alcuna pretesa di completezza, anche perché si può ricorrere in proposito a un prezioso e amplissimo volume dedicato appunto allo stato degli studi su Arezzo e alle loro prospettive, edito nel 2010 e curato da due fra i principali


rappresentanti di quell’accennato rinnovamento, Luca Berti e Pierluigi Licciardello (2010). Noto tuttavia che attualmente è molto più difficile cogliere i mutamenti e persino i tratti dominanti all’interno del quadro generale, anche perché, a differenza di quando iniziai le mie ricerche (laureato nel 1961, pubblicai nel 1963, su consiglio del mio indimenticato mae­ stro Ernesto Sestan, una parte della tesi di laurea dedicata alle campagne aretine: Cherubini 1963), su quelle campagne aretine ritornai successivamente in molte occasioni, anche con un sintetico lavoro generale (Cherubini 1991, pp. 209-217; il saggio è del 1975). Rispetto a quegli anni lontani, il quadro storiografico è ora molto più ricco, ma anche di più difficile definizione ideale nei singoli studiosi, per la maggioranza dei quali sembra prevalere se non il rifiuto almeno il non interesse per ciò che sta dietro le nostre idee quando scriviamo di storia e riviviamo il passato. Ho dato in proposito, nell’importante volume del 2010 or ora ricordato, quelle che mi sembravano le motivazioni del mutamento. E visto che non le ho modificate da un anno all’altro, mi piace qui riprodurle senza mutamenti. “Ci si può intanto chiedere perché si sia verificato questo allentamento di interesse per la riflessione storiografica e si potrebbe forse rispondere che causa prima ne sono stati insieme la progressiva scissione tra l’impegno civile del ricercatore e il suo impegno nella ricerca storica, che erano spiegabili proprio con il desiderio di mai tacere, prima a sé stesso e poi agli altri, i motivi che portavano [lo] studioso a interessarsi a una specifica tematica e a chiedersi quale fosse il senso della propria ricerca, onde evitare di rispondere a pure curiosità e invece tacere o dimenticare il nascere e il risolversi dei problemi, dimenticare, nel descrittivismo, magari raffinato, il sottofondo profondo e determinato dell’agire, più o meno cosciente, degli uomini del passato. Altre novità sono emerse negli ultimi anni, che hanno portato, magari in modo non esplicito, proprio all’affermarsi di quello che ho chiamato il descrittivismo, un descrittivismo, talvolta, del resto, affascinante e coinvolgente, oppure all’emersione di una storiografia profondamente segnata da connotazioni sociologiche, antropologiche o di altra natura, nelle quali appare più difficile l’identificazione delle cesure temporanee dei fenomeni, le evoluzioni, le brutali fratture delle società fra le classi, i ceti, gli orientamenti politici. Una società, in definitiva, più o meno largamente spogliata di quei conflitti – idea­li, oltre che politici e sociali – che hanno contraddistinto a lungo la ricerca storica. Specchio, naturalmente, quei conflitti, come quella mancanza dei due diversi e successivi atteggiamenti politico-culturali, della società in cui il ricercatore si è trovato a vivere. Ma è opportuno subito aggiungere che tanto per la storia generale quanto per quella locale, e forse più per questa che per quella, se una curiosità di carattere politico-ideale o sociale sopravvive questo avviene più facilmente

nella storia contemporanea, per la quale si potrebbe tuttavia osservare che in molti casi questo si verifica con una partecipazione non sempre sufficientemente serena e critica degli autori” (Cherubini 2010, pp. 27-28). È ora il momento di accennare, in estrema sintesi, anche a ciò che io stesso ho dato alla storia di Arezzo e del suo territorio. Ho affrontato brevemente il rapporto tra la storia generale e la storia particolare (l’ho fatto nel saggio ora citato, ma l’ho sempre pensato e qua e là toccato in molti miei studi, su Arezzo o su altri argomenti, perché l’ho sempre giudicato indispensabile per dare al particolare una lettura di carattere generale, naturalmente senza sbagliare – almeno così spero – tra la pulce e l’elefante). Devo anche aggiungere che in una certa misura e per un certo periodo, che per la verità non si è mai interrotto, un po’ per il mio affetto, particolarmente per la parte montana del territorio, per i suoi paesaggi, per i suoi signori, per le sue pievi e i castelli, non ho mai definitivamente smesso di occuparmi di Arezzo e del suo territorio, responsabili anche gli amici che mi spingono talvolta in questa direzione con le loro richieste di collaborazione. La parte maggiore di questi lavori sono stati qua e là editi nei miei volumi miscellanei. E di qualcuno almeno mi piace far qui ricordo perché rappresentarono anche una qualche novità nella storiografia. Nel 1972 pubblicai un volume su una comunità (Montecoronaro) alla testata della valle del Tevere, diventata poi romagnola, sfruttando a fondo, in primo luogo, testimonianze notarili e illustrando poteri politici, vita economica, molti aspetti di vita paesana e le forme che prese nel territorio la dominazione fiorentina. In un grosso volume del 1974 pubblicai invece, insieme a qualche altro scritto minore, l’ampio saggio dedicato alla «proprietà fondiaria di un mercante toscano», più particolarmente aretino, Simo di Ubertino (Cherubini 1974, pp. 313-392). Vari saggi casentinesi, aretini o più ampiamente toscani, raccolsi poi in due volumi (Cherubini 1991 e 1992), fra i quali ricordo con maggiore affetto quello, edito nel primo (pp. 117-140) e intitolato Schede per uno studio della società aretina alla fine del Trecento. Accenno infine che fra le mie cose più recenti è compreso uno dei sette studi, basato in larga misura sui dati inediti di un protocollo notarile, relativo alle Attività economiche ad Arezzo tra XIII e XIV secolo, che compongono il mio volume sulla storia delle città comunali della Toscana, e cioè Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia, Arezzo, Siena e anche Prato, pur sotto quel non completo carattere cittadino di cui ho detto (Cherubini 2003, pp. 251-295). In anni recentissimi ho infine steso un ampio lavoro, utilizzando materiale inedito e proprietà di un privato che me ne ha gentilmente concesso l’uso, su La signoria del conte Ruggero di Dovadola nel 1332, pubblicato, insieme a una piccola parte della documentazione, in un volume collettivo e fondamentale per la

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storia dei Guidi (Canaccini 2009, pp. 407-444). Da quel lavoro, oltre che dai numerosi miei precedenti lavori sulla famiglia feudale dei Guidi e sul territorio casentinese, ha preso poi le mosse una sintesi su quella valle «dantesca» (Cherubini 2009). Ma approfitto per segnalare sui Guidi, in primo luogo, ovviamente, per quelli che dominarono in Casentino e lo punteggiarono delle loro realizzazioni, un saggio dedicato all’architettura del loro tempo (Moretti 2009, pp. 157169). Forse non con la continuità resa possibile dalla mia appartenenza per alcuni decenni al mondo universitario, o con la passione di due figure come Alberto Fatucchi e Angelo Tafi, ma certo spesso con la serietà necessaria e risultati pregevoli altri si sono occupati della storia aretina (città e territorio) dell’alto Medioevo, dell’età comunale e del primo Rinascimento. Ricordo, senza tuttavia stilare gerarchie, l’operosità e la varietà dei lavori di Gian Paolo Scharf, che non tralascia la storia dell’area biturgense, ma ha dedicato e dedica la sua attenzione anche al mondo aretino, città e campagna, temi politici, sociali o d’altra natura (Scharf 2009), e ha conseguito il dottorato proprio con una tesi dedicata ad Arezzo nel XIII secolo, che in molti attendiamo possa arrivare alla stampa. Un altro giovane, che ho sempre concepito, in coppia con Scharf, come la seconda punta di un binomio, ha fatto dell’area biturgense il suo terreno elettivo di ricerca e lo ha anzi con impegno esaltato attraverso la sua attivissima partecipazione alla vita della rivista «Pagine Altotiberine», arrivata al quindicesimo anno di vita, con il suo quarantaquattresimo volume: Andrea Czortek. Ma indipendentemente da tutto quello che egli ha scritto, ricordo soltanto il volume su Un’abbazia, un Comune: Sansepolcro nei secoli XI-XIII (1997). Mi pare opportuno che in qualche modo anche gli aretini tengano conto di quello che avviene nell’alta valle del Tevere. Anni fa questa esigenza fu mostrata pure da Giancarlo Renzi, a lungo sindaco della lontana Sestino (lontana se guardata da Firenze, ma un po’ anche da Arezzo), quando accettò di dirigere un volume collettivo intitolato La Valtiberina, Lorenzo e i Medici (Firenze 1995), pensato nel quadro delle manifestazioni realizzate in Valtiberina in occasione del V centenario della morte di Lorenzo il Magnifico (1492). Colpisce, del resto, che un religioso e studioso sensibile alla storia delle diocesi come Angelo Tafi abbia deciso di pubblicare una guida storico-artistica di Borgo Sansepolcro, la «città di Piero» (1994), dopo quella stesa per Cortona (1989), visto che entrambe le città sono andate a costituire un unico vescovato insieme ad Arezzo, per la quale lo studioso aveva in precedenza – come ho accennato – già provveduto. Ma mi fa anche particolarmente piacere trovare che per la guida di Sansepolcro abbia lavorato come primo collaboratore di Tafi l’architetto Giovanni Cecconi, avendo anch’io avuto

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personalmente modo di apprezzarne il valore, la conoscenza del territorio e le capacità. Fra le più giovani, ma già agguerrite leve della ricerca storica, una particolare attenzione merita Pierluigi Licciardello, i cui interessi guardano soprattutto, anche se non soltanto, all’alto Medioevo e a tematiche di storia ecclesiastico-religiosa e istituzionale, con una attuale inclinazione particolare per le vicende dei camaldolesi. Il suo impegno per la valorizzazione della storia aretina si combina con quello di Luca Berti e nel volume da entrambi curato e sopra ricordato (Berti - Licciardello 2010), trattando della storiografia politico-istituzionale egli ha steso un saggio sull’alto Medioevo (pp. 345-381), trattando della riflessione storiografica nelle diverse epoche un secondo saggio sul Medioevo e l’umanesimo (pp. 129-188). A questi lavori possono essere utilmente aggiunti quello steso dallo stesso Berti su Arezzo tra il 1222 ed il 1440, di taglio politico-istituzionale (Berti 2005), e un altro di diversa impostazione (Franchetti Pardo 1986). Studi di particolare interesse e solidità ha dato alla storia della città Lauretta Carbone, mostrando fra l’altro una non comune familiarità con periodi cronologici diversi, dal tardo Medioevo (2002) al principato mediceo (2010), e affrontando con la massima competenza e un gusto spiccato per la precisione e la combinazione tra fonti diverse come quelle fiscali, il notarile o i libri di ricordi (Carbone 1993), alla ricerca di una visione della storia che ci offra congiuntamente immagini non casuali della società, dell’economia, della mentalità. Alla città hanno prestato, nel corso degli anni, il loro interesse gli storici economici, sui quali, per il tardo Me­dioevo, si possono vedere anche le considerazioni di uno studioso equilibrato all’interno del recente volume curato da Berti - Licciardello (2010: G. Pinto, alle pp. 625-637). Questi studiosi hanno soprattutto preso in considerazione figure di mercanti, attività commerciali e produzioni, già a partire da Amintore Fanfani con lo studio su Costi e profitti di Lazzaro Bracci mercante aretino del Trecento e con le Note sull’industria alberghiera italiana nel Medioevo (Fanfani 1936, risp. pp. 1-15 e 109-121) per giungere a Federigo Melis, con studi su Lazzaro Bracci e l’economia del Casentino (Melis 1965-1967 e 1967), a Bruno Dini, con un volume sulla produzione e il mercato ad Arezzo intorno al 1400 e sulla storia dell’arte della lana nella città (Dini 1984 e 1980) e a uno storico economico sui generis come Franco Franceschi, che unisce sempre alle sue larghe conoscenze e ai suoi molti studi in materia la convinzione di non dover dimenticare mai il rapporto dell’economia con la società e la politica. Esempi di questa sua originalità sono rappresentati anche dal saggio pubblicato negli Atti del Convegno su Petrarca politico (Franceschi 2006, pp. 159-182), dedicato ai caratteri della società aretina fra Due e Trecento, o da quello presentato nel volume collettivo Storia di Arezzo:


stato degli studi e prospettive curato da Berti e Licciardello (Franceschi 2010, pp. 407-429) e dedicato all’inserimento di Arezzo nello Stato regionale fiorentino. Ma anche ad altri la storia deve molti contributi. Andrea Barlucchi, insieme ad altri lavori, fra i quali ricordo quello relativo alla lavorazione del ferro (Barlucchi 2007), ha dato un ammirevole contributo alla storia del Casentino e all’organizzazione di convegni annuali di vario argomento a Raggiolo, invitandovi studiosi di diversa provenienza e competenza. Del profilo di un fabbro casentinese e della rara documentazione che lo riguardava fu data invece notizia molti anni fa (De Angelis 1976). Ma si può anche ricordare che pur dovendo tralasciare vari lavori, pur degni di una segnalazione, il Casentino dispone ora di approfonditi saggi pieni di notizie e soprattutto di idee e di riflessioni, come il volume dedicato al monastero di Santa Maria di Prataglia dalle origini al 1270, che signoreggiava su un paio di non grandi castelli della montagna, Serravalle e Frassineta (Belli 1998), o come i libri di Marco Bicchierai che ci illuminano, con taglio sicuro e avvincente, sulle signorie dei Guidi sul castello di Raggiolo e su quello magnifico e centrale di Poppi, che passò a Firenze soltanto nel 1440 (Bicchierai 1994 e 2005). Utile quadro archeologico del Casentino è quello che fu offerto nel 1999 dal Gruppo Archeologico Casentinese. Aggiungo che l’Università di Firenze da tempo lavora sui castelli abbandonati del Pratomagno e anche su altri castelli andati parzialmente in rovina, illuminando sempre meglio soprattutto quelli che furono signoreggiati dai Guidi (Vannini 2002; Vannini - Molducci 2009, pp. 177-210). Non nego di provare una sottile soddisfazione, di fronte a questo aumento di conoscenze, quando penso quale finezza di interpretazione storica mi apparve alla prima lettura il saggio di Sestan su I conti Guidi e il Casentino, da lui letto nel castello di Poppi nel lontano 1956, tutto costruito su una larghissima conoscenza delle vicende di quella stirpe e dei rapporti tra la città, le campagne e più in generale i monti sui quali si erano fissati. Data la rilevanza che non soltanto in Casentino, ma anche in una larga parte del territorio aretino mantennero a lungo, fra gli abitati, quelli detti «castelli», quindi circondati da mura, rafforzati dalla presenza di una torre o di un «cassero», ospitanti al loro interno almeno una chiesa e talvolta un «ospedale», mi sembra opportuno segnalare che disponiamo a questo proposito di un serio studio relativo alla fase più marcata dell’incastellamento, cioè dell’organizzazione dei poteri sul territorio intorno a quel tipo di abitato sino alla fine del XII secolo (Cortese 2000). Parlare di Arezzo sul piano culturale, ma anche con evidenti riferimenti politici, vuol dire parlare anche del rapporto con Dante Alighieri. Ma qui mi basta accennare alla parte del territorio che più attirò l’attenzione del poeta, che vi

combatté la battaglia di Campaldino, vale a dire il Casentino con i suoi monti, i suoi signori, Guidi in testa, i suoi boschi, il suo clima, l’Arno, la Verna, Camaldoli (Migliorini-Fissi 1989, pp. 115-146; Orlandi 2002). Dei caratteri di quell’ambiente naturale la storiografia non ha mancato di fornirci, oltre al quadro relativo alle attività agricole o all’uso del bosco, anche la descrizione della transumanza del bestiame che a settembre prendeva dal Pratomagno e dalle altre montagne la via della Maremma senese e ne ritornava all’inizio di maggio (Massaini 2005; Calzolai 2007-2008). Sulla Verna, almeno entro l’area più vicina al monastero, meno condizionata di altre montagne dalla pressione degli uomini verso il mutamento dei suoli e dell’ambiente, si può vedere un breve specifico saggio su «foresta e ambiente» pubblicato da un esperto per la Comunità Montana del Casentino (Borchi 1992). A questo punto mi pare opportuno fare una sosta e soffermarmi un po’ su quello che avvenne a Campaldino nella battaglia in cui si affrontarono l’11 giugno 1289 l’esercito fiorentino disceso dal crinale che divide il Casentino dal Valdarno e l’esercito salito da Arezzo. In quello scontro si affrontarono guelfi e ghibellini delle due città con relativi alleati. Ma sappiamo che l’esercito aretino, pur rafforzato da truppe del contado e da cavalieri ghibellini della Toscana, della Romagna, della Marca d’Ancona e del ducato di Spoleto, aveva lasciato Arezzo debolmente guarnita, senza tuttavia raggiungere una condizione di parità con l’esercito fiorentino, rafforzato da contingenti della lega guelfa e da truppe bolognesi e lucchesi. Le truppe fiorentine, comandate da Aimeric di Narbona, assommavano a milleseicento cavalieri e diecimila fanti, l’esercito aretino comprendeva ottocento cavalieri e ottomila fanti, ma aveva – come ricorda Giovanni Villani – un atteggiamento di disprezzo per quella che riteneva la mollezza degli avversari. Avvenne così che, anche grazie alla coraggiosa imprudenza dei cavalieri aretini e alla saggia disobbedienza del fiorentino Corso Donati, la battaglia prese, dopo un felice inizio per gli aretini, una direzione per loro tragica. Guido Novello Guidi, alleato di Arezzo, abbandonò lo scontro e fuggì per mettersi in salvo con una squadra di cavalieri. Il vecchio vescovo aretino Guglielmino Ubertini, che stava, nonostante la sua vista diventata molto debole, alla testa degli aretini, cadde sul campo di battaglia. Il ghibellino Bonconte da Montefeltro fu invece immaginato da Dante gravemente ferito e in fuga dal campo di battaglia dopo la sconfitta e morto alla confluenza tra l’Arno e l’Archiano. Il suo corpo, non più ritrovato, sarebbe stato portato via – secondo il poeta – dall’acqua ingrossata per il violento temporale che concluse la sanguinosissima battaglia. Gli uccisi in campo ghibellino sarebbero stati millesettecento e i prigionieri più di duemila. Ma si deve tuttavia notare che furono soprattutto la presenza e la poesia di Dante a immortalare quell’avvenimento. Su

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T A V O L E


Referenze I. II. III a. III b. IV.

delle

T av o l e I-IV

A. Brilli, Arezzo. La città e i suoi ritratti, Città di Castello 2005, p. 217 nr. 115. A. Brilli, Arezzo. La città e i suoi ritratti, Città di Castello 2005, p. 219 nr. 116. A. M. Maetzke - C. Bertelli (a cura di), Piero della Francesca. La Leggenda della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo, Arezzo 2001, p. 154. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Arezzo. Per gentile concessione del prof. A. Brilli.


Vedute

di

Arezzo

Giotto, La cacciata dei diavoli dalla cittĂ di Arezzo (circa 1295). Assisi (PG), Basilica superiore di San Francesco

Tav. I


Tav. II

Vedute

Benozzo Gozzoli, La cacciata dei diavoli dalla cittĂ di Arezzo (1459). Montefalco (PG), chiesa di San Francesco

di

Arezzo


Vedute

di

Arezzo

Tav. III

a

b a)  Piero della Francesca, Ritrovamento della Vera Croce (particolare). Arezzo, Basilica di San Francesco; b)  Bartolomeo della Gatta, San Rocco allontana da Arezzo il flagello della peste (particolare; circa 1479). Arezzo, Museo Statale d’Arte Medievale e Moderna


CONTINUA...


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