IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE. Indagini e studi 1987-2006

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ATTI E MEMORIE DELLA

SOCIETÀ

MAGNA

GRECIA

FONDATORE: UMBERTO ZANOTTI BIANCO DIRETTORE: GERARDO BIANCO QUARTA SERIE IV (2008-2010)

SOCIETÀ MAGNA GRECIA Piazza Paganica, 13 Roma 2010


PROPRIETÀ RISERVATA

COMITATO

DIRETTIVO DELLA SOCIETÀ

Presidente:

GERARDO BIANCO

Consiglieri:

GIUSEPPE ANDREASSI, JOSEPH CARTER, STEFANO DE CARO, JULIETTE DE LA GENIÈRE, ANTONINO DI VITA, ADRIANO LA REGINA, EUGENIO LA ROCCA, ELENA LATTANZI, MARIA LETIZIA LAZZARINI, ELISA LISSI CARONNA, GIANFRANCO MADDOLI, MARIA LUISA NAVA, FELICITA NISIO CIFARELLI, GABRIELE PESCATORE, † GIOVANNI PUGLIESE CARRATELLI, SALVATORE SETTIS, † ATTILIO STAZIO, GIULIANA TOCCO, LICIA VLAD BORRELLI, FAUSTO ZEVI

Segretario:

FELICITA NISIO CIFARELLI

ISSN 1592-7377

La rivista «Atti e Memorie della Società Magna Grecia» è pubblicata a cura della Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, Piazza Paganica, 13 - 00186, Roma, tel. 06/68136846 - fax 06/68136142 - e-mail assmezz@tin.it


IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE INDAGINI E STUDI 1987-2006 a cura di JULIETTE DE LA GENIÈRE e GIOVANNA GRECO

TOMO I

SOCIETÀ MAGNA GRECIA Piazza Paganica, 13 Roma 2010


Curatori J. de La Genière G. Greco Coordinamento scientifico B. Ferrara Revisione testi e bibliografia M. Giacco Documentazione grafica M. Franco Rilievo topografico P. Cifone Foto di scavo J. de La Genière Foto dei materiali G. Grippo, F. Valletta Matrix B. Ferrara M. Franco Autori delle schede del catalogo Ceramica d’impasto: P. Criscuolo Bottiglie: B. Ferrara Ceramica corinzia: M. Franco Ceramica miniaturistica: G. Pagano Coppe ioniche: M. Franco Anfore da trasporto: S. Visco Ceramica a decorazione lineare: M. Franco Lucerne: B. Ferrara, M. Franco Ceramica attica figurata: S. Visco Coroplastica: A. Tomeo Ceramica figurata locale: M. Falcomatà Terrecotte architettoniche: A. Tomeo Ceramica a vernice nera: B. Ferrara Laterizi: A. Tomeo Ceramica sigillata: M. Falcomatà Ossi lavorati: M. Falcomatà Ceramica medievale: M. Falcomatà Elementi architettonici lapidei: S. Visco Ceramica comune: G. Pagano Metalli: M. Falcomatà Unguentari: B. Ferrara


I N D I C E Presentazione (Gerardo Bianco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Introduzione ( J. de La Genière, G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Nota preliminare (Giuliana Tocco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

vii xi xiii

Atti Storia delle ricerche (G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un racconto inedito (U. Zanotti Bianco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il paesaggio geologico (M. R. Senatore e T. Pescatore)  . . . . . . . . . . . . . . . . L’antica vegetazione alla foce del fiume Sele (M. Mariotti Lippi, M. Mori Secci ) . . . . Metodi di indagine e di documentazione (B. Ferrara et alii) . . . . . . . . . . . .

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3 5 35 53 61

I saggi: Il thesauros ( J. de La Genière, G. Greco, M. Franco) . . . . . . . . . . . . . . . Area del Tempio ( J. de La Genière, G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gli Altari( J. de La Genière, G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le stoai ( J. de La Genière, G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I saggi 8800 e 8300 (B. Ferrara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Area del primo bothros (B. Ferrara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Saggi vari (B. Ferrara ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trentalona ( J. de La Genière, G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Volta del forno (P. Criscuolo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I reperti faunistici da Volta del Forno alla foce del Sele (F. Fedele) . . . . . . .

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83 130 261 281 301 311 351 355 365 393

Le classi di materiali: I materiali protostorici (P. Criscuolo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica arcaica (M. Franco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica attica figurata (S. Visco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica figurata locale (M. Falcomatà) . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica a vernice nera (B. Ferrara ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica sigillata (M. Falcomatà) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica comune (G. Pagano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Unguentari e bottiglie (B. Ferrara ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica miniaturistica (G. Pagano ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le anfore da trasporto (S. Visco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le lucerne (M. Falcomatà, B. Ferrara, M. Franco) . . . . . . . . . . . . . . . . La coroplastica ( A. Tomeo ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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399 403 437 441 443 481 483 499 503 509 511 513

Alcune riflessioni e ipotesi dettate dalle recenti scoperte nell’area del santuario ( J. de La Genière) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Il culto, il rito, i doni votivi. La fenomenologia religiosa dall’universo olimpico a quello ctonio (G. Greco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

Studi e Ricerche Il Portus Alburnus (L. Vecchio ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La ceramica attica figurata (S. Visco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Una lekythos a rilievo (M. Falcomatà ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vasi ad anello (P. Criscuolo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Terrecotte di età ellenistica: le figure femminili stanti (A. Tomeo); la ‘donna fiore’ (F. Cantone) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I bronzi (M. Giacco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rinvenimenti monetali (R. Cantilena) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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593 605 623 631

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641 665 685

Indice delle Tavole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »

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Abbreviazioni bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Presentazione

La scoperta del santuario di Hera, alla foce del Sele, è una delle più affascinanti imprese archeologiche del secolo XX. La piana di Paestum era già da tempo mèta di pellegrinaggio culturale, con i suoi maestosi templi, splendida testimonianza di quella civiltà magno-greca che aveva disseminato lungo la costa del basso Tirreno i segni della sua vitale presenza. Quel luogo, con felice evocazione, aveva cantato, nel suo poema sull’Italia, il britannico Samuel Rogers, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Era l’epoca d’oro del “liturgico” Grand Tour degli studiosi europei verso l’Italia. Dopo la metà del ’700, quando l’erudito Giuseppe Antonini aveva rivelato all’Europa le rovine dell’antica città, Paestum divenne tappa quasi obbligata. Così il Rogers espresse l’emozione suscitata dalla visione del panorama pestano: «O voi di ignote deità superbi / Templi passò dè secoli il torrente / da che qui state solitarî; è muto / il sacro canto entro le mura; il fuoco / dè sacrifici sull’altare è spento /. Il viàtor che la sua mente inspira / a classiche memorie, entro i scolpiti / fregi discopre dell’augello il nido / inviolato, libero: e le immani / Colonne ammira, che circonda e veste / l’edera solitaria, a cui natura / d’una mesta beltà diede il sorriso». Con questa ispirazione, in una giornata di maggio del 1870, il poco più che ventenne Giustino Fortunato (il futuro grande “esploratore” del Mezzogiorno d’Italia, che fu tra i fondatori della nostra Associazione, promossa da Zanotti Bianco), si imbarcò a Napoli, nella rada di S. Lucia, «in compagnia d’una ventina di giovani tedeschi» sulla nave Tifeo, per visitare Paestum. «Sorgono i famosi tempii – egli scrisse – l’un dopo l’altro su d’una spiaggia triste ed arenosa […]. Non è possibile immaginare la forte emozione che produce l’improvviso apparire di què monumenti, abbastanza logori dal tempo, eppure ancor maestosi dopo il lungo corso di più che venticinque secoli!». Fortunato descrive l’ambiente della piana del Sele. Il silenzio dominava su un terreno acquitrinoso, vi regnava la malaria e il paesaggio era appena animato da alcuni bufali «ritti e immobili con le gambe mezzo ne’ pantani», ma solenne appariva lo spettacolo dei templi. Non era diverso il paesaggio che circa sessanta anni dopo si profilò a Umberto Zanotti Bianco e a Paola Zancani Montuoro, due singolari “viaggiatori” che non andavano solo per ammirare la bellezza di luoghi suggestivi. La motivazione era più alta: portare alla luce ciò che restava ancora sepolto. Vorrei immaginare che lo scopo sia nato dai conversarî di Fortunato con il giovane Zanotti Bianco. In due lettere del 2 dicembre 1925 e poi del 19 giugno 1929 Fortunato esprime la sua ammirazione per l’attività archeologica dell’amico che chiama affettuosamente «l’allobrogo». Conoscere e inquadrare meglio, scientificamente, appunto, la storia dei culti fioriti nell’antica Posidonia, significava aprire nuovi orizzonti archeologici e storici alla cultura italiana ed europea. L’“avventura” di Umberto Zanotti Bianco e di Paola Zancani Montuoro, cominciata nella primavera del 1934, nella insalubre palude del Sele, con in mano il testo di Strabone, si apre, fin dall’inizio, sotto il segno della eccezionalità. Umberto Zanotti Bianco è un sorvegliato politico. La polizia ne controlla i movimenti. La ricerca archeologica si sviluppa sotto lo sguardo sospettoso, sorpreso e talvolta indulgente dei poliziotti che finiscono per arrendersi alle vigorose “impennate” di Paola Zancani Montuoro.


VIII

IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

La storia di questa appassionata campagna di ricerca archeologica è raccontata con vividezza da Zanotti Bianco, scrittore raffinato, con un sentimento profondo della natura che accuratamente egli descrive rievocando le escursioni alla ricerca della “misteriosa” area dove sorgeva l’Heraion. Nall’archivio dell’ANIMI è conservato il racconto dell’impresa, che viene opportunamente pubblicato da Giovanna Greco nel presente volume. Ma esiste un’altra felice testimonianza di quella spedizione archeologica, che si svolge tra pescatori, bovari, contadini e cacciatori, ed è, appunto, quella (come lui si firma) di un anonimo «cacciatore di anatre selvatiche nelle paludi del Sele, avvocato a tempo perso». L’articolo, pubblicato su Le vie d’Italia nel gennaio 1953, è una vivace ricostruzione dell’“avventura” archeologica di Zanotti Bianco e della Zancani Montuoro. L’anonimo articolista seguì con curiosità le fasi degli scavi e delle scoperte che descrive in modo anche divertito, evocando l’atmosfera che circondava i due archeologi. Dal racconto emergono la forte, aperta personalità di Paola Zancani Montuoro, la riservatezza aristocratica di Umberto Zanotti Bianco e la loro religiosa dedizione al lavoro archeologico che sfidò anche un pauroso allagamento causato dalla inondazione del Sele, quando tutti furono costretti ad abbandonare i luoghi, le capanne e l’osteria che era il loro rifugio. La notizia della scoperta del Santuario di Hera, una delle più importanti conquiste dell’archeologia del Novecento, accese l’interesse degli studiosi del mondo antico, europei e americani, ma cadde nel gelo del regime fascista e della pavida Accademia italiana. L’impresa di Zanotti Bianco e della Zancani Montuoro era stata sostenuta dalla Soprintendenza napoletana di Amedeo Maiuri, ma incontrava l’ostilità del Governo. Come ricorda Giovanna Greco, è dalla Germania, dall’America e dall’Inghilterra che arrivarono appoggi e contributi finanziari per andare avanti negli scavi tra il 1937 e il 1939. È dopo circa un quindicennio dalla prima relazione sulla ricerca degli anni trenta che vengono pubblicati dal Poligrafico dello Stato, nel 1951 e poi nel 1954, i due fondamentali volumi dei due archeologi che raccolgono i risultati dello scavo dell’Heraion. La cronistoria degli eventi successivi che riguardano l’antico santuario pestano non è affatto esaltante. Dagli anni ’60 l’area ridiventa dominio delle bufale e gli acquitrini del Sele tornano, ancora, a ricoprire i resti monumentali dell’Heraion. È alla fine degli anni ’80 che si registra una svolta, sotto la direzione della Soprintendente archeologica di Salerno, Giuliana Tocco Sciarelli, in collaborazione con Marina Cipriani. L’area viene, finalmente, restituita al grande pubblico. La realizzazione di un originalissimo Museo narrante, nella masseria utilizzata da Zanotti Bianco e dalla Zancani Montuoro per il riparo delle metope, consente ora di “raccontare” la storia suggestiva del monumento dell’antica Posidonia. La ripresa della sistemazione del sito è stata integrata dall’attività scientifica. Lo studio dello scavo e dei materiali è stato magistralmente condotto da Juliette de La Genière dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres e da Giovanna Greco dell’Università di Napoli. Le loro ricerche hanno aperto nuove prospettive che illuminano la “vita” dell’Heraion attraverso i secoli, ma anche le preesistenze storiche all’insediamento della colonizzazione greca. Juliette de La Genière e Giovanna Greco hanno coordinato le altre ricerche di valenti studiosi che hanno analizzato e approfondito aspetti specifici della complessa problematica suscitata dalla scoperta dell’Heraion che riguarda temi ambientalisti, topografici, archeo-faunistici, artistici, religiosi, economici. Restano, comunque, aperti altri capitoli di ricerca relativi all’ampiezza del sito e alla natura dei suoi materiali. La pubblicazione di quest’opera negli Atti e Memorie della Società Magna Grecia (fondata nel 1920 da Zanotti Bianco), che segue quella imponente dei 15 volumi dei Pinakes di


PRESENTAZIONE

IX

Locri Epizefiri, è anche un omaggio ai due grandi archeologi, l’uno del Nord, l’altra del Sud, che rappresentarono, in un’epoca buia, l’Italia migliore. La biografia di Umberto Zanotti Bianco, di recente ben delineata da Sergio Zoppi (Rubbettino, Soveria Mannelli 2009), è strettamente intrecciata con la storia dell’ANIMI di cui fu ideatore e promotore nel 1910, dopo il terremoto di Messina e di Reggio Calabria del 1908. In occasione del Centenario della nostra Associazione, e alla vigilia del centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, questa pubblicazione vuole essere anche una testimonianza di fedeltà alla lezione etica e culturale che Zanotti Bianco e la sua “compagna di ricerca”, come egli definì Paola Zancani Montuoro, ci hanno trasmesso con la loro piena dedizione a un ideale d’Italia colta e dignitosa. Gerardo Bianco



Juliette

de la genière,

Giovanna Greco

Introduzione L’attività di ricerca all’Heraion alla foce del Sele è stata ripresa, alla fine degli anni ’80, dalla Soprintendenza di Salerno, Avellino e Benevento nell’ambito di un vasto e articolato progetto di recupero e ripristino dei monumenti, con l’obiettivo di rendere fruibile al pubblico l’area santuariale. L’invito di Giuliana Tocco a coordinare e dirigere le ricerche fu per noi motivo di grande gioia e di non poca preoccupazione, avendo piena coscienza della delicatezza di un intervento intorno a monumenti così splendidamente editi e universalmente conosciuti. Abbiamo avuto la fortuna di poterne discutere, almeno una volta, con Paola Zancani che aveva accolto con entusiasmo la possibilità di rendere visitabile l’area del santuario ed era stata particolarmente prodiga, come suo costume, di suggerimenti e idee. La ricerca, iniziata nel 1987, è stata portata avanti in numerose e successive campagne di scavo con finalità diverse dettate, di volta in volta, dai risultati che si andavano ottenendo; Roberta Donnarumma ha documentato egregiamente le fasi dello scavo e ha guidato il gruppo di studenti fino al 2000; il compito è poi stato assunto da Bianca Ferrara che ancora lo porta avanti con dedizione e alta professionalità. Parallelamente allo scavo sono state condotte la ricognizione, la catalogazione e la documentazione dei materiali recuperati ancora, per buona parte, chiusi e sigillati in grosse casse lignee e non sempre è stato possibile decifrare le preziose annotazioni che gli scavatori avevano lasciato su fogliettini volanti che il tempo ha del tutto consumato. Il lavoro è stato coordinato, nei primi anni, con la collaborazione di Martine Dewailly e Roberta Donnarumma e successivamente da Bianca Ferrara. Nel corso di questi anni, sono state edite notizie preliminari con lo scopo di offrire al dibattito alcuni dei risultati più innovativi della ricerca che hanno suscitato interesse e attenzione nella comunità scientifica. Ben consapevoli dell’importanza dei monumenti e delle problematiche affrontate e dunque del dovere di offrire una documentazione il più esaustiva possibile, abbiamo scelto di presentare analiticamente e nel dettaglio tutte le fasi dello scavo con i relativi materiali dei quali non si è operata una scelta, ma solo una quantificazione lì dove non erano per alcun verso definibili. Questo lungo e faticoso percorso non sarebbe stato possibile senza un folto gruppo di lavoro che nel corso di questi anni ha sempre più cementato l’armonia e la serenità che hanno caratterizzato la ricerca al Sele. A Giuliana Tocco va il nostro particolare ringraziamento non solo e non tanto per l’invito alla ricerca quanto piuttosto per l’amicale, attenta e costante presenza in ogni fase e difficoltà del lavoro. Speriamo di aver risposto alle attese espresse nel convegno di Taranto del 1987 1. Marina Cipriani, validamente coadiuvata da Giovanni Avagliano, ha facilitato, sempre e comunque, il piacere di lavorare insieme. All’amico architetto Dinu Theodorescu va il nostro ringraziamento per i preziosi consigli e la disponibilità al confronto e alla discussione.  Tocco 1988, p. 362.

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XII

IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

A tutto il personale del Museo Archeologico Nazionale di Paestum va il nostro più caloroso ringraziamento per la cordiale e aperta disponibilità e per la costante collaborazione; è gradito ricordare, tra tutti, Gladinoro Iorio, Peppe Corrente, Armando Celso, Enzo Passarella, Cinzia Marino, Rosario Marino, Franco Calceglia, Raffaele Cantiello, Franco Marino, Pietro Stasi, Aldo Tirabasso, Maria Voza. Al restauro dei materiali ha lavorato costantemente il laboratorio di restauro del Museo Archeologico Nazionale di Paestum. A un parziale rilievo delle strutture hanno lavorato Ivo Cracas e Raffaele Mele della Soprintendenza Archeologica di Salerno. Il cantiere archeologico al Sele è stato anche un prezioso campo didattico e nuove professionalità si sono formate nell’ambito di questa ricerca; le diverse campagne di scavo hanno visto la partecipazione di numerosi studenti dell’Ateneo napoletano Federico II e numerosi sono stati gli elaborati di tesi presentati per la laurea; hanno partecipato inoltre allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia e del Dottorato in Archeologia della Magna Grecia e il frutto di questa partecipazione è dato da numerosi studi che, almeno in parte, vedono l’edizione in questo lavoro; molti altri potranno essere editi in un prossimo volume dedicato esclusivamente ai materiali. La partecipazione di un così folto numero di studenti e allievi è stata resa possibile grazie a contributi annuali di ricerca dell’Ateneo napoletano. Una campagna di scavo è stata realizzata con un contributo della Regione Campania: Progetto di ricerca dell’Assessorato alla Ricerca Scientifica (L. R. del 28/05/02, n. 5 - finanziamento 2003). È un doveroso piacere ringraziare i donatori dell’Association P. R. A. C. per il contributo alla realizzazione del progetto di ricerca e i dirigenti dell’Electricitè de France per aver realizzato una campagna di prospezioni nell’estate del 1994. Il Centre J. Bérard di Napoli ha visto la collaborazione di Jacques Rougetet che ha assicurato il rilievo topografico negli anni 1987-1994 e Marina Pierobon che ha curato una parte della documentazione grafica dei materiali. L’attuale rilievo topografico georeferenziato è stato realizzato da Pietro Cifone che ha curato anche la documentazione topografica e il rilievo delle strutture sin dal 2004. La documentazione grafica dello scavo è stata rielaborata e digitalizzata da Marianna Franco con Serena Avallone e Marzia Del Villano. Le tavole grafiche dei materiali sono di Marianna Franco. Le foto di scavo sono di Juliette de La Genière; quelle dei materiali di Giuseppe Grippo e Francesco Valletta del Museo Archeologico Nazionale di Paestum. I matrix sono stati realizzati da Bianca Ferrara e da Marianna Franco. La redazione e tutta la complessa operazione di sistemazione della documentazione grafica e fotografica è stata curata da Bianca Ferrara mentre la revisione dei testi da Marialucia Giacco. I lavori di scavo sono stati eseguiti dagli operai specializzati della Ditta Ronga e si ricorda con particolare affetto il gruppo assiduo composto da Guglielmo Corrente, Antonio D’Alessio, Mario Di Bartolomeo, Carmine Di Biasi, Giuseppe Di Fiore, Carmine Federico, Arturo Palma, Carmine Pignataro, Luigi Pinto. Infine un grato pensiero va al Sen. Michele Cifarelli e al Prof. Giovanni Pugliese Carratelli che, sin dal primo momento, hanno avuto fiducia nella nostra ricerca e nel progetto di edizione, appoggiandolo in ogni modo; all’attuale presidente dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, Gerardo Bianco, il nostro ringraziamento per aver voluto portare a compimento l’opera, affrontando non poche difficoltà.


Giuliana Tocco Nota preliminare

Le

nuove indagini

Riprendere la ricerca archeologica al santuario di Hera Argiva alla Foce del Sele a trent’anni dalla conclusione, avvenuta con le ultime campagne di scavo del 1962-1963, richiedeva coraggio. Cimentarsi, infatti, con due menti illuminate, P. Zancani e U. Zanotti Bianco, proseguendo le loro indagini e, più che altro, approfondendole, con l’intento di dissolvere, per quanto possibile, le nebbie che ancora avvolgevano alcuni punti cruciali nella ricostruzione dell’articolazione del santuario, poteva apparire temerario. D’altronde l’individuazione del sito e le scoperte che seguirono hanno segnato un progresso eccezionale nella conoscenza non solo del sistema insediativo di Poseidonia/ Paestum ma anche della storia dei culti, della produzione artistica e dell’architettura della Magna Grecia arcaica. Era, perciò, difficile non avvertire quasi il dovere morale di dare, per quanto ardua fosse l’impresa, un contributo, anche piccolo, volto ad arricchire il quadro delle conoscenze. L’incontro con P. Zancani per sottoporle il progetto di ricerca fu come sempre stimolante e ricco di riflessioni. In realtà ella aveva scarsa fiducia che si potesse conseguire qualche risultato anche modesto dalla ripresa degli scavi, ritenendo di avere indagato integralmente la zona occupata dai templi. Tuttavia, sebbene la sua metodologia di scavo fosse stata rigorosa, così come la classificazione dei materiali, ella era ben consapevole che le tecniche di analisi dei terreni e delle sequenze stratigrafiche si erano ormai affinate al punto che era possibile nutrire la speranza di conseguire, nella verifica dei vecchi scavi, qualche nuovo risultato significativo o chiarificatore. D’altra parte ella stessa, quando aveva portato alla luce, esplorando l’edificio quadrato, altre metope oltre a quelle che avevano consentito a Krauss di proporre la ricostruzione del thesauros realizzata nel Museo Archeologico Nazionale di Paestum, rendendosi conto che la sua scoperta avrebbe rimesso in discussione tale ipotesi ricostruttiva e lo schema evolutivo del santuario proposto da lei e da U. Zanotti Bianco, non aveva esitato ad affermare che era necessario riprendere la ricerca. Probabilmente pensava ad ulteriori approfondimenti speculativi, forse ad un esame più accorto dei materiali che solo in parte aveva potuto sino ad allora studiare piuttosto che ad una ripresa dell’esplorazione archeologica, che, a suo giudizio, poteva ritenersi esaurita almeno nella zona degli edifici templari. Grazie ad una immediata affinità di sentimenti instauratasi tra noi sin dal primo incontro, ben prima del 1987 e cioè quando muovevo i primi passi da funzionario della Soprintendenza della Basilicata, e grazie soprattutto alla liberalità di P. Zancani, che le consentiva di mettere a proprio agio, con amichevole cordialità, una archeologa tanto più giovane, fu quasi naturale avere uno scambio di idee fondato sulla reciproca stima e poi


XIV

IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

gettare le basi per l’avvio, nell’estate del 1987, della impresa, che ho voluto affidare a due archeologhe e studiose non solo di provata esperienza ma anche entrambe legate a P. Zancani da un rapporto di stima e di affetto: Juliette de La Genière e Giovanna Greco. In particolare Juliette de La Genière aveva maturato le sue prime esperienze sul campo proprio al santuario di Hera alla foce del Sele alla scuola di P. Zancani e di U. Zanotti Bianco e ha dedicato gran parte dei suoi studi all’archeologia della Magna Grecia, come Giovanna Greco, che per di più come docente di tecniche di scavo ha messo a punto una rigorosa metodologia di indagine sul terreno e ha formato intorno a sé una validissima squadra di collaboratori. La scomparsa di P. Zancani proprio all’inizio delle nuove esplorazioni ci ha impedito di portare avanti con lei un dialogo che si prometteva ricco di stimoli e di suggestioni. Abbiamo il conforto di pensare che gli straordinari risultati della ricerca, che sono andati ben oltre ogni aspettativa, la avrebbero sicuramente entusiasmata, inducendola ad ulteriori proficue riflessioni. Prospettive

della ricerca

Le nuove indagini all’Heraion si sono inserite nella intensa attività di ricerche, che, dopo gli anni eroici delle prime campagne di scavo alla foce del Sele condotte, a partire dal 1934, da U. Zanotti Bianco e da P. Zancani, e, dopo la drammatica interruzione della guerra, non ha mai visto sosta, concentrandosi prima con P. C. Sestieri e poi con M. Napoli soprattutto nell’area urbana e in quella suburbana di Poseidonia/Paestum, mentre negli stessi anni e fino al 1963 la sola P. Zancani continuava le sue indagini al santuario. All’esplorazione estensiva che in città aveva portato alla scoperta delle ricchissime stipi votive dei santuari urbani e di alcuni quartieri residenziali e, fuori le mura, delle vaste necropoli con la splendida ed eccezionale serie di lastre tombali dipinte, avevano fatto seguito, a partire dalla fine degli anni ’70 del Novecento, una attenta indagine con sondaggi puntuali per la verifica dei risultati raggiunti in ambito urbano con gli scavi intensivi degli anni precedenti e un’ampia ricognizione topografica nel territorio extraurbano. Il XXVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, tenutosi dal 9 al 15 ottobre del 1987, dedicato a Poseidonia/Paestum, si propose di fare il punto sulla grande quantità di dati emersi dalle indagini sul terreno e sui dibattiti che ne erano scaturiti intorno a quella che ormai poteva considerarsi la città della Magna Grecia più ampiamente indagata e il cui ruolo preminente, rispetto alle altre colonie, si era andato delineando con sempre maggiore nitidezza. In questa circostanza, a validare l’importanza della ripresa delle indagini all’Heraion alla foce del Sele appena iniziate, era emerso con assoluta evidenza, grazie al progresso degli studi e delle ricerche, il ruolo significativo assunto da Poseidonia tra le colonie della Magna Grecia dopo la caduta di Sibari, della quale aveva raccolto ‘l’eredità’ nel controllo politico ed economico delle rotte mercantili, come città di frontiera posta su una linea di demarcazione di particolare rilievo; il corso del Sele non costituiva, infatti, semplicemente il limite tra due territori coloniali ma il confine sul quale si erano affacciati gli Etruschi che, avanzando lungo le vie interne da un lato e contendendo alle colonie greche dall’altro il traffico lungo le coste meridionali del Tirreno, si erano attestati sulle sponde del fiume.


G. TOCCO - NOTA PRELIMINARE

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Il santuario posto proprio sulla sua riva sinistra risaltava, ancor più di quanto fosse già evidente per P. Zancani e per U. Zanotti Bianco, nella doppia funzione di baluardo e al tempo stesso di tramite verso le comunità insediate oltre il fiume. Non a caso nel magistrale contributo di G. Pugliese Carratelli Per la storia di Poseidonia, che apre il volume degli atti del convegno, l’Heraion del Sele è posto in primo piano. Per l’importanza che il santuario doveva aver rivestito proprio nelle dinamiche che avevano accompagnato la fondazione di Poseidonia e l’occupazione della chora protetta da una rete di santuari distribuiti in punti chiave, di passaggio o di delimitazione, era da un lato necessario indagare sul contesto generale e dunque in primo luogo definire ulteriormente la funzione dell’Heraion del Sele all’interno di un sistema ben organizzato di santuari sia urbani che extraurbani e dall’altro verificare le cronologie, in particolare quelle riferibili al primo impianto, al fine di offrire un contributo determinante alla interpretazione del noto passo di Strabone (V, 4, 13) sul quale si è prodotta tanta letteratura, che pone all’inizio della storia della città la fondazione di un teichos. Da un punto di vista topografico si avvertiva la necessità di individuare i collegamenti con la città e gli accessi al santuario. Si presentava ora la opportunità di effettuare sondaggi puntuali per intercettare il grande asse stradale che provenendo da Paestum proseguiva anche oltre il Sele e attraversava l’agro picentino e che P. Zancani aveva già individuato, G. Schmiedt aveva riconosciuto su una aerofotografia del 1943 e M. Guy aveva recentemente accertato nelle immagini da satellite. Su tutti gli obiettivi della ricerca primeggiava quello di tentare di sciogliere l’enigma, sul quale si era concentrata l’attenzione degli studiosi dopo la scoperta da parte di P. Zancani, nella fase conclusiva delle sue esplorazioni alla foce del Sele, di una ulteriore parte del fregio dorico arcaico che, dopo le prime campagne di scavo, era stato ipotizzato a coronamento di un piccolo edificio templare, il cd. thesauros, e riconosciuto dai due studiosi come il primo edificio monumentale del santuario. L’accresciuto numero di metope, se per un verso metteva in discussione la ricostruzione proposta da Fr. Krauss e pubblicata nell’edizione finale del santuario costituita dai due spendidi volumi Heraion alla Foce del Sele I e II, del 1951 e del 1954, stampati dall’Istituto Poligrafico di Stato e ricostruita nel museo di Paestum, dall’altro consentiva di immaginare l’esistenza di un tempio arcaico del quale P. Zancani e U. Zanotti Bianco avevano portato alla luce una congrua parte della splendida decorazione architettonica senza riuscire, in realtà, ad individuarne l’impianto. Il desiderio di colmare una assenza tanto intrigante e problematica ha costituito lo stimolo più forte ad intraprendere nuove indagini all’Heraion alla foce del Sele “nella rinnovata speranza di avvicinarsi al vero”, secondo le parole scritte con grande fervore da P. Zancani nel pubblicare, nel volume V (1964) degli Atti e Memorie della Società Magna Grecia, i risultati della sua ultima eccezionale scoperta. Modalità

della ricerca

L’indagine prima ancora che sul terreno è iniziata, secondo la corretta metodologia, dalle ricerche d’archivio e bibliografiche. Particolarmente stimolante ed emozionante è stata la consultazione del ricco archivio della Società Magna Grecia. Addentrarsi nella dovizia di appunti e annotazioni riportate nei preziosi taccuini di U. Zanotti Bianco, e di scambi epistolari con la comunità scientifica internazionale o con i rappresentanti delle istituzioni ha significato, come


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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

giustamente sottolinea G. Greco nel capitolo dedicato alla storia della ricerca, divenire in qualche misura partecipi della temperie culturale che animò i primi decenni del XX secolo tra ideali e pregiudizi. Nello stesso tempo s’intraprendeva l’impegnativo lavoro di riordinamento e di catalogazione dell’ingentissimo materiale raccolto nelle vecchie campagne di scavo, per il quale, a causa dei molteplici e fortunosi trasferimenti, non sempre si erano conservati i dati relativi alla provenienza. Tuttavia anche questa meticolosa attività non è stata scevra dal conoscere momenti emozionanti nel ritrovare gli appunti autografi, talora scritti direttamente su contenitori di fortuna, da U. Zanotti Bianco o da P. Zancani con le loro estemporanee osservazioni o suggestioni. La ricerca sul terreno, poi, è stata condotta sempre sulla scorta rigorosa dei risultati conseguiti nella precedente ricerca e con un confronto costante di dati e di idee in una sorta di continuità ideale con i due studiosi. Per l’équipe di giovani archeologi che hanno affiancato J. de La Genière e G. Greco è stata una opportunità straordinaria avvalersi del loro magistero e partecipare ad una impresa di particolare delicatezza e complessità e all’intero processo investigativo: dalla consultazione delle fonti d’archivio e bibliografiche, alla documentazione secondo le metodologie più aggiornate, all’analisi attentissima delle tracce del suolo non solo relative agli interventi di trasformazione antichi ma anche a quelli prodotti dai vecchi scavi e da modifiche recenti e, infine, all’esame e allo studio dei materiali. Risultati

della ricerca

I risultati più eccezionali e insperati delle nuove campagne di scavo sono stati quelli conseguiti con i saggi al cd. thesauros e quelli al Tempio, che si integrano tra loro. Il ribaltamento della cronologia del tempietto arcaico, che da più antico edificio del santuario deve ora considerarsi il più recente, non potendo risalire oltre l’epoca ellenistica, e la scoperta, sotto la platea del Tempio, delle trincee di fondazione di un edificio di pari dimensioni e orientamento ma leggermente dislocato più a Nord e più a Est, consente di ipotizzare con sufficiente fondatezza, sia pure con tutte le cautele del caso, che le metope arcaiche erano effettivamente destinate ad ornare il coronamento di un grande edificio templare arcaico collocato nello stesso luogo, dove alcuni decenni dopo venne realizzato un nuovo tempio del quale si conserva la platea di fondazione. Non meno interessante è stata la scoperta della modalità di costruzione degli edifici, la cui stabilità venne assicurata con un accorto sistema di drenaggio funzionale al consolidamento della superficie di sedime costituita da un suolo melmoso e acquitrinoso più di quanto lo sia anche oggi. Sebbene le felici intuizioni di U. Zanotti Bianco e di P. Zancani restino sostanzialmente confermate così come l’evoluzione e la trasformazione del santuario, tuttavia i numerosi e meticolosi saggi di verifica eseguiti in punti strategici dei singoli edifici permettono oggi di delinearne le modifiche subite nel tempo e di precisarne le funzioni o di proporne di diverse rispetto alla vecchia interpretazione. La complessiva revisione cronologica delle parti del santuario consente non solo di abbassare drasticamente la datazione del cosiddetto thesauros e di proporne una diversa funzione ma anche di fissare ai primi decenni del V sec. a.C. l’impianto dell’edificio settentrionale finora considerato arcaico, mentre la individuazione della fase arcaica dell’altare B o quella di una precedente diversa sistemazione dell’area occupata alla metà del


G. TOCCO - NOTA PRELIMINARE

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IV sec. a.C. dal bothros meridionale, solo per citare alcuni dei risultati più significativi delle recenti ricerche, permettono di proporre una storia dell’Heraion di Foce Sele più ricca e articolata di quanto fosse in precedenza. Resta ancora indefinita la reale perimetrazione del santuario e il rapporto funzionale con le zone indicate nei vecchi scavi con le lettere B, C, individuate e solo in piccola misura esplorate da P. Zancani ma rimaste sostanzialmente inedite. Edizione L’edizione degli scavi effettuati all’Heraion di Foce Sele a partire dal 1987, a cura di J. de La Genière e di G. Greco, ha previsto una prima parte dedicata in misura esaustiva ai risultati delle indagini effettuate, da quella geologica e botanica, mirante alla ricostruzione del paesaggio antico, a quella dei saggi archeologici eseguiti sia all’interno dell’area santuariale sia all’esterno nelle località riferite al contesto territoriale. Il criterio è stato quello di presentare per ogni singolo monumento o località la sequenza dei saggi eseguiti accompagnati dall’elencazione sintetica ma chiara ed esaustiva delle classi di materiali rinvenuti e da planimetrie di immediata lettura. Lungi dall’essere un’arida produzione di dati, il serrato susseguirsi di obiettivi e bilanci di ogni saggio e delle osservazioni conclusive per ogni capitolo dà l’opportunità di seguire, in assoluta trasparenza, quasi partecipandovi, non solo l’avanzamento delle esplorazioni ma anche l’evolversi delle riflessioni e il dipanarsi del filo conduttore e del processo intellettuale che ha regolato, cadenzato e calibrato la ricerca fino al conseguimento di scoperte significative. Il rimando continuo alle esplorazioni condotte da U. Zanotti Bianco e da P. Zancani dimostra quanto le loro considerazioni e la lettura approfondita dei loro scritti siano state presenti in tutto il percorso di ricerca. Se il rigore nelle indagini archeologiche è sempre necessario, alla foce del Sele lo è stato particolarmente poiché si sono prese le mosse da uno scavo già eseguito, a suo tempo, con grande attenzione e perizia. Di qui la necessità di rendere conto anche della metodologia applicata nell’esecuzione dello scavo archeologico, nella catalogazione dei materiali, nelle analisi archeometriche, nella documentazione grafica fino alla gestione informatica dei dati. Seguendo l’esempio degli illustri autori dei due volumi Heraion alla foce del Sele I e II le curatrici di questa edizione, pur avendo operato in tutti questi anni in piena sintonia e comunità di intenti, nel tracciare le conclusioni sugli importanti risultati delle recenti indagini hanno offerto un loro contributo autonomo. J. de La Genière, presentando le trasformazioni del santuario in una attenta articolazione spaziale e temporale, ne intreccia la storia con quella di Poseidonia e, sviluppando le tesi già formulate da P. Zancani, propone ipotesi ricostruttive alternative di grande suggestione. G. Greco, d’altro canto, esaminando tutti gli aspetti del sacro con dovizia di osservazioni, annotazioni e confronti, dalla tipologia delle offerte votive alla variegata complessità dei culti e quindi dei riti legati a Hera e alla peculiarità del paesaggio, rispondente ai canoni trasmessi dalle fonti antiche, proietta il santuario in uno scenario più ampio di intrecci culturali e politici che su un versante guarda al mondo etrusco e sull’altro alla grande tradizione greca. Una serie di contributi, su specifiche classi di materiali, arricchiscono l’opera. Ad


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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

essi si aggiunge una approfondita disamina ad opera di L. Vecchio delle fonti antiche e della letteratura moderna prodotta sul tema del Portus Alburnus, che costituì un punto di riferimento preciso per U. Zanotti Bianco e per P. Zancani nell’intraprendere le ricerche sul santuario di Hera Argiva. La

valorizzazione del sito

La selvaggia e misteriosa bellezza del paesaggio che circondava il santuario, alla vigilia della scoperta, è descritta in maniera sublime da U. Zanotti Bianco nell’esordio del volume Heraion alla foce del Sele I: “La grande pianura, allora di difficile accesso e priva di quelle strade di bonifica che ora la percorrono, difendeva ancora con i suoi acquitrini e le sue solitudini, ove pascolavano mandrie di bufale e di cavalli, il mistero del suo passato… Allora nella perfetta solitudine da nessun aspetto della vita moderna alterata, con le sponde del fiume ricoperte da alberi giganteschi … era più facile immaginare l’ambiente naturale, su cui erano sorti gli edifici sacri a Hera …”. Da queste parole traspare la raffinata capacità di percezione di quello che a pieno titolo si può definire paesaggio storico e, difatti, alla salvaguardia del contesto naturale U. Zanotti Bianco diede una importanza tale da farsi promotore e autore della legge speciale n. 220/1957, volta a salvaguardare il paesaggio circostante la cinta muraria di Paestum per una ampiezza di m 1000. Per la tutela dell’area dell’Heraion del Sele provvidenziale era stata, già molti anni prima, nel 1941, l’acquisizione al demanio dello Stato di un’ampia superficie di due ettari ca. avvenuta ad opera della Soprintendenza, ma certo per impulso di U. Zanotti Bianco, che considerava la tutela conseguenza logica della ricerca. L’esproprio si è rivelato nel tempo strumento di salvaguardia assai più efficace della stessa legge speciale per Paestum. Difatti, anche se l’impenetrabilità della natura rigogliosa che accompagnava e quasi nascondeva il corso del fiume è ora venuta meno, la foce del Sele incanta ancora per la sua bellezza rimasta sostanzialmente intatta nel tempo e scevra dalle trasformazioni del paesaggio rurale. I resti degli edifici che composero il santuario, tuttavia, nulla conservano della monumentalità che ebbero in antico e, sebbene incastonati in un contesto naturale di particolare suggestione, nulla possono trasmettere ad un comune visitatore della densa storia remota e recente che li ha visti protagonisti: nulla della sacralità del luogo, delle cerimonie e dei riti che vi si celebrarono, dei miti che animarono le sculture dei fregi architettonici o di quelli che si narrava avessero accompagnato la fondazione del santuario, nulla di una storia più recente ma non meno appassionante legata alle fasi esaltanti della ricerca e della scoperta. Per colmare questa lacuna fu, perciò, immediata la decisione di mettere in valore il sito già all’indomani della ripresa degli scavi, potendo disporre proprio sul luogo di un immobile demaniale in cui allestire uno spazio museale. Si tratta della Masseria Procuriali, realizzata con la riforma agraria ma mai usata per fini agricoli perché ricadente nell’area acquisita al demanio dello Stato. In essa avevano trovato, perciò, ricovero i materiali che provenivano dagli scavi. Ancora una volta si stabiliva una continuità ideale con il pensiero e le azioni di U. Zanotti Bianco: egli, infatti, aveva sostenuto il valore etico e formativo della divulgazione e quindi del museo come luogo preposto a rappresentare in modo efficace e concreto i risultati delle ricerche archeologiche che, portando alla luce le testimonianze del


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passato, più di ogni altra attività didattica potevano contribuire a consolidare il senso di appartenenza e l’identità culturale delle comunità. Il Museo Archeologico Nazionale di Paestum è stato fortemente voluto da U. Zanotti Bianco e P. Zancani sulla scorta di questi convincimenti già all’indomani delle prime scoperte e realizzato poi nel 1952 con l’obiettivo di renderlo concretamente rappresentativo e comunicativo. L’allestimento, infatti, assolutamente innovativo per l’epoca, si articolava sulla ricostruzione in scala reale del thesauros allo scopo di rendere evidente la funzione del fregio dorico portato alla luce, mentre la figurazione scolpita sulle metope poteva essere ben vista da una galleria che correva tutt’intorno alla stessa altezza. Anche il museo realizzato alla foce del Sele è stato innovativo per gli anni in cui è stato concepito, l’ultimo decennio del 1900, e la sua inaugurazione nel 2000 ha fatto da battistrada agli allestimenti museali fondati sulla comunicazione multimediale. Un museo senza materiale archeologico da esporre ma animato nei suoi spazi dal racconto che, attraverso un percorso fortemente emozionale, si affida a diversi mezzi di comunicazione: dai pannelli tradizionali per le informazioni introduttive sulla geomorfologia e sulla storia del sito, ai filmati sui momenti salienti della scoperta e degli scavi, alle ricostruzioni virtuali per le trasformazioni del santuario attraverso i secoli, alla riproduzione in scala reale di elementi significativi del santuario, agli effetti sonori e di luce che accompagnano punti salienti del percorso espositivo. Uno di questi è rappresentato dalla grande sala dedicata alle metope, che, riprodotte in calco, sono sospese nell’aria a sottolineare la incertezza della collocazione ed, illuminandosi una ad una, propongono la narrazione sonora dei personaggi mitici che vi sono scolpiti. Un Museo del racconto, e perciò ‘Narrante’, che, pur sostenuto da una solida base scientifica, coinvolge il pubblico in una visita affascinante e lo aiuta a rendersi partecipe di una storia che affonda le sue radici nel mito e di una impresa che due insigni studiosi avviarono con grande coraggio e tra mille difficoltà spinti da una inesauribile sete di sapere e da un indomabile senso etico della ricerca. A loro, P. Zancani e U. Zanotti Bianco, è stato dedicato il Museo Narrante e a loro si vuole dedicare questo volume.


Pianta schematica del territorio da Salerno a Velia.


ATTI


Abbreviazioni Alt.: altezza Ca.: circa Cat.: catalogo CC: corpo ceramico cd.: cosidetto/a, cosiddetti/e Cfr.: confronta Des.: destro/a f./m.: fronte/mento Fr., frr.: frammento/i Largh.: larghezza

Lungh.: lunghezza ø f.: diametro fondo ø o.: diametro orlo ø p.: diametro piede Prov.: provenienza ric.: ricostruito Sin.: sinistro/a s.n.: senza numero Spess.: spessore V.: vernice

Le misure dei reperti si intendono sempre espresse in cm.


Giovanna Greco Storia delle ricerche

La storia della ricerca e dell’esplorazione del santuario di Hera alla foce del Sele è ben nota ed è raccontata dagli stessi scopritori P. Zancani e U. Zanotti Bianco che hanno saputo sapientemente comunicare, a più riprese, la meraviglia e lo stupore che li colse quando, nei primi giorni di giugno del 1934, ebbero la certezza di aver individuato l’area sacra dedicata a Hera Argiva citata dalle fonti e invano cercata fino ad allora 1. Dalla lettura dei documenti ancora conservati presso gli archivi della sede dell’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia emerge la dimensione umana e personale dei due studiosi, prima ancora di quella professionale, che ha trovato una severa e rigorosa veste scientifica editoriale nei due famosi volumi pubblicati dal Poligrafico dello Stato 2. In archivio rimane la testimonianza più profonda e riservata di queste due grandi personalità della cultura italiana del XX secolo, con tutto quel retroterra di difficoltà, ostacoli e amarezza che il difficile periodo storico riservava loro; e rimane forte e di notevole spessore anche l’attestazione della grande solidarietà e ammirazione di cui i due ricercatori e la loro impresa furono circondati; i numerosi riconoscimenti che il mondo scientifico internazionale tributava al loro coraggio e alla loro perseveranza, i sostanziosi contributi economici che da tutto il mondo arrivavano a Zanotti Bianco “per le danzatrici del Sele” 3 sono minuziosamente e puntigliosamente conservati e selezionati dallo stesso Zanotti Bianco, accanto ai contributi e sussidi che molti sostenitori e amici italiani riuscivano a far giungere all’associazione da lui presieduta 4 (Fig. 1). L’archivio conserva tutto questo, accanto ai preziosi taccuini di Zanotti Bianco, la corFig. 1. Taccuino di U. Zanotti Bianco. rispondenza, i ritagli di giornali

Relazione Preliminare, pp. 214-218; Heraion I, p. 57.   Heraion I; Heraion II. 3   Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (Roma) – di seguito citato ANIMI –, fondo U. Zanotti Bianco, sezioni A e B. 4   Paoletti 1992, pp. 5-30. 1 2


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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

e quant’altro è legato all’attività di U. Zanotti Bianco e di P. Zancani al Sele e offre uno spaccato incredibilmente ricco del contesto sociale e politico, forse non ancora del tutto esplorato, di quegli anni 5; e se, dal punto di vista archeologico, il materiale di archivio non riserva grandi sorprese, essendo confluito, quasi integralmente, nelle diverse edizioni dello scavo, tuttavia esso contribuisce non poco a delineare il clima intellettuale del periodo compreso tra gli inizi degli anni ’30 e lo scoppio della guerra, a comprendere le strategie delle scelte culturali operate dal potere politico e le prudenti, quanto distanti, posizioni dell’accademia ufficiale. La ricerca del santuario di Hera Argiva “dopo la foce del Sele … e vicino, 50 stadi a Poseidonia” 6 aveva interessato, sin dagli inizi dell’’800, numerosi studiosi ed eruditi locali, che avevano avanzato ipotesi più o meno fantasiose; di un primo progetto di esplorazione dell’area si trova traccia in una lettera, datata 21 febbraio 1928, che A. Maiuri, allora Soprintendente a Napoli, indirizza a U. Zanotti Bianco, in cui, nel sollecitare un ulteriore finanziamento da parte della Società Magna Grecia per lo scavo di Velia, il Soprintendente scriveva: “… su quanto potrei contare quest’anno per una ripresa dell’esplorazione a Velia e per qualche breve campagna nel territorio di Pesto? Avrei in animo di risolvere uno dei problemi più attraenti della topografia della Magna Grecia, la ricerca del tempio di Hera alle foci del Sele, tema fra i più vanamente discussi in schermaglie cartacee dell’archeologia locale. Se qualche indizio, dopo un’accurata esplorazione del terreno, riuscirò a cogliere, è il caso di incominciare senz’altro lo scavo prima del caldo e della malaria” 7. Negli archivi della Soprintendenza Archeologica di Napoli si conserva una segnalazione del marchese P. Pinto, datata 6 maggio 1929, ad A. Maiuri: “nell’eseguire alcuni lavori nella mia proprietà in località Gromola, a m 100 dal fiume Sele, a sinistra della strada antica, già rintracciata nella stessa zona, su di un’estensione di mq 100 ca. si sono rinvenuti resti degni di un antico fabbricato” 8. A. Maiuri non riesce a effettuare il sopralluogo previsto e trasmette la segnalazione a Marzullo, delegato a Salerno per le antichità. Del progetto di un’esplorazione alla foce del Sele non vi è più traccia fino al marzo del 1934 quando, in uno dei minuziosi taccuini di Zanotti Bianco, si trova, annotato brevemente, un appuntamento con la segretaria della sezione napoletana della Società Magna Grecia, dott.ssa P. Zancani, per l’esposizione di un progetto di ricerca nel territorio di Paestum 9. L’incontro ebbe chiaramente esito felice perché, sempre nei taccuini, si trova registrata l’organizzazione della partenza per Napoli per i primi di aprile e nel foglio quadrettato del taccuino, datato 4 aprile 1934, è annotata la prima esplorazione “tra roveti e paludi” lungo le due rive del Sele. Negli scritti di Zanotti Bianco rivivono pienamente i momenti entusiasmanti e difficili della ricerca, avvolti nel greve e asfissiante clima politico di quegli anni; negli archivi, accanto alle relazioni ufficiali, più o meno già note in diverse edizioni, sono gli appunti e le noterelle personali di Zanotti Bianco a rivelare lo spirito della ricerca e l’incontro con la giovane Zancani, da lui indicata come “la mia compagna di ricerche”.   I diari sono parzialmente editi in Isnardi Parente 1980, pp. 161-193.   Strabo, VI, 1, 1. 7   ANIMI, fondo U. Zanotti Bianco, sezione A, serie 1, UA 262. 8   ASSAN, II inv., b. 130, fasc. 10. 9   25 marzo 1934, taccuino di Zanotti Bianco: ANIMI, fondo U. Zanotti Bianco, sezione B, serie 5, UA 5 6

13.


U. ZANOTTI BIANCO - UN RACCONTO INEDITO

5

Ed è nella ricostruzione dei luoghi, dei paesaggi, delle persone, nel tracciare con sottile ironia e nobile fastidio i pedinamenti e la vigilanza del regime fascista, ma soprattutto nel raccontare sensazioni e stati d’animo che emerge la bella personalità di Zanotti Bianco, la mente libera da ogni pregiudizio, lo spirito mordace e l’ansia per una ricerca nuova e affascinante. Un

racconto

(U. Zanotti Bianco) 10

Sulle rive del Sele Aprile del 1934 La grande macchina, messa a dura prova dagli acquitrini e dalle dune sabbiose nella landa senza strade, si era finalmente arrestata, rincorsa da cani abbaianti, su di uno spiazzo. Da un lato una rimessa e una grande ben costruita capanna, dall’altra un rustico casolare sulla cui soglia era apparso un uomo massiccio, dai movimenti lenti, guardinghi, dallo sguardo penetrante che si posava – con una interrogazione tutta interiore – ora sulla nostra, ora sulla macchina della questura che ci seguiva e subito alle sue spalle s’erano affacciate due donne incuriosite. Più in là, due cacciatori in stivaloni da palude, il fucile sulla spalla, intenti a seguire con lo sguardo il volo di un bianco airone, si erano voltati a guardare anch’essi mentre dalla capanna, davanti alla quale sostavano, usciva il suono melanconico e cadenzato di una rumba. L’uomo avanzò lentamente, fece zittire con un urlo “passa là” i cani, e tornò a guardarci Fig. 2. Schizzo del corso del fiume di U. Zanotti Bianco. in tono interrogativo senza parlare (Fig. 2). –  È questa l’osteria della Torre di Kernot? – chiesi, mettendo piede a terra seguito dagli amici che ci avevano accompagnati. Avevo letto quel nome, dal sapore biblico, sulla carta militare. L’uomo tacque un momento sorpreso, poi: –  È questa l’osteria, sissignore. Francesco D’Anzilio, per servirvi. –  Avete camere? –  … per quanti letti? –  due camere a un letto. Guardò sempre più intrigato la nostra numerosa compagnia e l’altra macchina; poi lentamente, con prudenza:   ANIMI, fondo U. Zanotti Bianco, sezione B, serie 5, UA 21.

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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

–  Sissignore, … per quanti giorni? –  Due, tre, non sappiamo ancora. Colsi a volo un cenno, che con inimitabile mimica napoletana, gli fece uno dei questurini. –  Sissignore … sissignore … biascicava l’oste interdetto, retrocedendo senza farne mostra … Sissignore … e profittando del passaggio di una giumenta condotta all’abbeveratoio, si spostò ancora più verso la macchina inseguitrice. Due mani si protesero dallo sportello, due palme aperte che gli tastarono amorevolmente il ventre poderoso: – Ciccilluzzo bello … Ciccilluzzo nostro! *  *  * Durante la traversata della landa, silenziosa nel profumo amaro dei lentischi e delle tuie selvatiche, di fronte a quell’orizzonte vasto e libero ai cui confini sembrava dovesse fermarsi impotente ogni meschinità umana, avevo sentito in me un sommesso batter d’ali, l’emozione, la gioia del grandioso quadro entro il quale si sarebbe svolta la nostra ricerca, ed ora la presenza di quel potere che arbitrariamente contaminava la mia vita, mi aveva gettato in una improvvisa malinconia. Sono anni che esso mi sorveglia e giorno e notte, ed ogni volta che ne prendo coscienza è un disgusto, una sofferenza come il primo giorno. *  *  * Ancora trent’anni or sono, una grande solitudine chiusa regnava in tutta la regione del basso Sele. Tra gli sterpeti di una vecchia torre spagnola mozza, poco distante, una casina da caccia costruita da un inglese venuto in Italia al tempo di Nelson e che s’era invaghito di quella selva solitaria. Accanto alla sua casa aveva fatto erigere una torre a cui era rimasto il suo nome, per rinchiudervisi e difendersi in caso d’aggressione da parte dei briganti che infestavano il bosco di Persano. Il padre dell’oste attuale, guardia di finanza incaricata di vigilare il traffico alla foce del fiume, era di continuo portato, suo malgrado, a considerare i vantaggi che si potevano trarre dall’afflusso dei cacciatori nel periodo della caccia. Essi aumentavano di anno in anno per la ricchezza degli uccelli, soprattutto di palude – anatre selvatiche, folaghe, marzaiole, maliarde, rosselli – che nelle ombrose rive del Sele e nell’intreccio di canali e d’acque paludose del “Sele morto” trovavano il loro paradiso. –  Non avete due uova da venderci, Vincenzo? – Vincenzì, con questa pioggia, fateci un po’ di posto nella vostra pagghiara. –  Allegria, Vincenzì, stavolta la caccia è stata buona: preparate il fuoco e slargatevi la cintola per una mangianza granda. E così accanto alla pagliara del finanziere, altre pagliare erano sorte per offrire ai cacciatori, in quella zona primitiva, un rudimento di ospitalità. Ma chi seppe sfruttare al massimo la situazione, divenendo ben presto il “re della riva sinistra” fu l’uomo massiccio che ci era venuto incontro con il suo sguardo penetrante. Era trasmigrato ancor giovane con la moglie, per suggerimento del padre, dalla natìa Capaccio alla foce del Sele. Con la sua furbizia, la sua intelligenza per gli affari, la sua spregiudicatezza, la sua giovialità ed al tempo stesso la sua tenacia sul non recedere di un centesimo sui prezzi che stabiliva – (Ma figlio d’oro, vi voglio bene … Non datemi que-


U. ZANOTTI BIANCO - UN RACCONTO INEDITO

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sto dolore … che v’aggio fatto? … Sa Iddio cosa costa la vita qui … voi siete un galantuomo, figlio d’oro, non mi fate questa ingiustizia!) – seppe così bene pelare con soavità tutti coloro che gli capitavano sotto mano, da poter in non molto tempo comprare alcune terre nella landa e far sorgere un alberghetto in legname. Vi costruì accanto due vani in muratura, l’inferiore per la cucina, il superiore per la camera da letto propria e dei figlioli. Appena grandicelli anche questi furono utilizzati allo sfruttamento della zona. Il maggiore, da una tara ereditaria nato sciancato, passava le sue giornate al fiume su di un lontro a gettar nasse per i pesci e legar prese per le anguille: gran lavoratore tornava a casa con due, tre ceste cariche di anguille, capitoni e palaie, cefali, pesci che dal mare Fig. 3. P. Zancani e U. Zanotti Bianco al Sele. risalivano la corrente del fiume (Fig. 3). Il minore “o piccirillo vinciuto” sostituiva invece il padre quale guida ai cacciatori e talora lo aiutava, con molta buona volontà, nei fondi nuovamente acquisiti, per i lavori agricoli. Un giorno l’albergo di legno – che il previdente proprietario aveva fatto assicurare da due diverse società – misteriosamente si incendiò, mentre quasi tutti i membri della famiglia trovavansi a Capaccio. Al posto dell’albergo incinerito e accanto ai due vecchi vani in muratura che avevano resistito al fuoco, sorse, con il denaro d’una delle società assicuratrici, l’attuale Osteria dei cacciatori. I La porta d’ingresso s’apre su di un corridoio che divide in due parti l’edificio in fondo al quale c’è un bugigattolo per dispensa che sembra avere un’attrazione per gli animali: pieno di sacchi di patate, di farina, di scatole di pasta, di generi varii, vediamo, al nostro entrare, un cane scheletrito uscire di lì leccandosi con molto impegno i baffi e fuggire veloce, più cosciente della sua colpa, un gatto incipriato di farina. A sinistra del corridoio una camera da pranzo per gli ospiti e una camera da letto tra le cui porte prende inizio e si sviluppa la scala che conduce al piano superiore. A destra, quasi anticamera alla vecchia cucina un’altra camera da pranzo per le persone di riguardo, pescatori, operai, contadini ed addossata ad essa uno stanzone per la famiglia del maggiore dei figli del proprietario. Al piano superiore eguale distribuzione: due camere a destra e due a sinistra, tutte con 6 o 7 letti per cacciatori, tranne l’ultima di destra riservata alla famiglia del minore della casa di recente sposato. Tra le due camere di fondo un lavatoio comune con tre catinelle e una presa d’acqua. Un cartello in bella calligrafia prega di volere, dopo l’uso, vuotare i bacili. Di là per


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IL SANTUARIO DI HERA ALLA FOCE DEL SELE

mezzo di una porta a vetri si esce su di un ballatoio in legno che conduce all’ultima, la meno attraente creazione della casa. Infine una scala a pioli mena al solaio. Scegliamo i due vani di sinistra: la mia compagna di ricerche quello verso la facciata, meno esposto agli sguardi di chi transita sul ballatoio, l’altro me lo riservo io. Una candela di sego fa sussultare le ombre della mia stanza, ove le reti metalliche dei letti sono allineate come in un ospedale. Si sentono, in basso, le voci, le risa dei cacciatori e dei questurini che s’attardano a bere e a giocare assieme nella stanza da pranzo. Ancora poco fa gli occhi di tutti erano puntati sulla mia compagna e su di me che cercavamo di astrarci dai commenti sussurrati tra il risucchio della pasta asciutta, il rumore dominante del masticare e quello dei bicchieri. Ingozzatici in gran fretta ci eravamo subito sottratti a quel supplizio, avvisando il padrone che avremmo pranzato l’indomani con i pescatori e gli operai. –  Avere alle calcagna le guardie … pazienza, ma addirittura sedute allo stesso tavolo e forse gomito a gomito!! … E Ciccillo, aprendo le braccia: “ Signù … che volete da me”. Apro la finestra. La reticella metallica delle zone malariche copre di un velo di malinconia la dolcezza di questa prima notte pestana. Conosco appena la intelligente signora ch’è venuta a Roma per parlarmi di questa ricerca e che ho rivisto ieri a Napoli prima d’imbarcarmi per la nostra avventura. Quali saranno le sue idee politiche? Che ripercussioni avranno sul suo spirito le persecuzioni poliziesche a cui son fatto segno? Sulla landa deserta e muta la luna splende solitaria nell’immensità del firmamento … dalla spiaggia giunge il tonfo regolare e sordo delle onde. Cerco invano nella pianura lontana, tutta immersa in un pallore di sogno, le sagome nere dei templi. All’orizzonte brillano le luci di Agropoli … il capo Licosa svanisce come un’ombra tra il palpitare argenteo del Tirreno. Al di là dei monti del Cilento, non lungi dal mare, sei anni or sono lavoravo in una splendida solitudine di olivi e ginestre sotto l’acropoli turrita di Elea. Gli occhi fissano a lungo questa terra austera, mentre dalle tenebre sorgono i fantasmi di ieri … di domani. Vedo gli uomini curvi sulle trincee, intenti a sollevare della terra. Oh! quanti sogni in questa vigilia di scavo! II All’alba l’assistente della Soprintendenza è già ad attenderci con due operai. La mia collega, amica di un proprietario di questa zona, già percorsa anni or sono con suo marito, crede di aver localizzato lo Heraion in un piccolo rialzo del terreno di cui mi ha mostrato la fotografia: l’ha confermata nella sua idea una errata citazione dello Hardouin. La proposta della ricerca fatta a vari archeologi era rimasta inascoltata: io l’avevo accolta con entusiasmo. Nella vita “the readiness is all ”, essere pronti è tutto. Ci avviamo verso quel sito che sulla carta militare porta il nome di Isola di Conti. Vi arriviamo, con mia sorpresa, in un momento, ch’esso è appena dietro le siepi alberate che attorniano la torre spagnola. Guardo indietro il mare che non dista più di 300 metri: – Troppo vicino, osservo. Accanto ai grandi fiumi il terreno ha sempre avanzato qualche chilometro nel mare.


TAVOLE



Tav. 1

1. Thesauros: il saggio 2700 visto da S/E a conclusione dei lavori.

2. Thesauros: il saggio 2700 visto da N/E,particolare dell’angolo S/O.


Tav. 2

1. Thesauros: il saggio 5000 visto da S/E.

2. Thesauros: il saggio 5000 visto da S/O.


Tav. 3

2. Thesauros: il saggio 2900 visto da Est, riempimento del canale.

1. Thesauros: i saggi 2800 e 2900 visti da Est, fondo del canale.


Tav. 4

1. Thesauros: il saggio 5300 visto da S/E, panoramica a conclusione dei lavori.

2. Thesauros: foto d’archivio dello scavo di P. Zancani.


CONTINUA ...


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