PITTURA ELLENISTICA IN ITALIA E IN SICILIA. Linguaggi e tradizioni

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PITTURA ELLENISTICA IN ITALIA E IN SICILIA LINGUAGGI E TRADIZIONI Atti del Convegno di Studi (Messina, 24-25 settembre 2009)

a cura di

GIOACCHINO FRANCESCO LA TORRE e MARIO TORELLI

GIORGIO BRETSCHNEIDER EDITORE ROMA

2011


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CON XIV-606 PAGINE DI TESTO, 185 FIGURE E XLII TAVOLE FUORI TESTO

Comitato di redazione Lorenzo Campagna, Caterina Ingoglia, Fabrizio Mollo, Clara Terranova, Alessio Toscano Raffa

Volume pubblicato con il contributo finanziario di Università degli Studi di Perugia Università degli Studi di Messina Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia

ISSN 0391-9293 ISBN 978-88-7689-254-7

Tutti i diritti riservati PRINTED IN ITALY

COPYRIGHT © 2011 by GIORGIO BRETSCHNEIDER EDITORE - ROMA

Via Crescenzio, 43 - 00193 Roma - www.bretschneider.it


SOMMARIO

Introduzionei .

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I LA PITTURA DEI REGNI ELLENISTICI E I SUOI RIFLESSI Paolo Moreno, Pittura in Grecia dalla maniera alla restaurazione romana (323-31 a.C.): rapporti con l’Occidente . . . . . . . Françoise-Hélène Massa Pairault, Pergamo e la pittura. Ipotesi e problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . Françoise Alabe, Vocabulaire et syntaxe de décors pariétaux hellénistiques . Tiziana D’Angelo, Un ‘Symposion in 4D’: spazio e memoria nel fregio della facciata della tomba di Agios Athanasios . . . . . . . Alexia Latini, Riflessi della mortalità neonatale e materna nella pittura ellenistica . . . . . . . . . . . . . . . . . Monica Baggio, Monica Salvadori, Maschile-femminile nella pittura funeraria ellenistica: tra armi e ornamento per una dialettica spazio-oggetto Paul G. P. Meyboom, A tour along ancient scenes with aithiopian animals the Marisa frieze, the Nile mosaic of Palestrina, the artemidorus papyrus and the great hunt mosaic of Piazza Armerina . . . . . . Malcolm Bell, Osservazioni sui mosaici greci della Casa di Ganimede a Morgantina . . . . . . . . . . . . . . . . .

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II LA PITTURA DELL’ELLENISMO IN OCCIDENTE: IL CASO SICILIANO Claudia Lucchese, Il linguaggio della ceramica siceliota della prima età ellenistica: l’esempio del Pittore di Lipari . . . . . . . . Fabrizio Mollo, La ceramografia policroma siciliana del primo ellenismo: spunti e riflessioni . . . . . . . . . . . . . . .


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sommario

Elisa Chiara Portale, Un «fenomeno strano e inatteso»: riflessioni sulla ceramica di Centuripe . . . . . . . . . . . . . . p. Giovanni Di Stefano, Il tema del defunto banchettante fra scultura e pittura. Il caso di un rilievo votivo di Acrillae . . . . . . . » Lorenzo Campagna, Sistemi decorativi parietali ellenistici in Sicilia: le cornici in stucco . . . . . . . . . . . . . . . . » Alessio Toscano Raffa, Massimo Limoncelli, Una proposta di ricostruzione 3D dei sistemi decorativi della Casa 1 di Finziade (Licata - AG) » G. Barone, V. Crupi, C. Ingoglia, D. Majolino, P. Mazzoleni, V. Venuti, Il contributo dell’archeometria allo studio della pittura in Sicilia: il progetto su Licata (relazione preliminare) . . . . . . . . » Gioacchino Francesco La Torre, Origine e sviluppo dei sistemi di decorazione parietale nella Sicilia ellenistica . . . . . . . . » Caterina Greco, I sistemi decorativi di Solunto: appunti e riflessioni . . »

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III LA PITTURA ELLENISTICA IN OCCIDENTE: IL CASO APULO Giuseppina Gadaleta, Linguaggi e tecnica della pittura a tempera policroma nella Daunia della prima età ellenistica . . . . . . . . Carmela Roscino, Schemi compositivi e linguaggio figurativo nelle scene mitologiche del Pittore di Dario . . . . . . . . . . . Luigi Todisco, Il progetto «La ceramica a figure rosse della Magna Grecia e della Sicilia» dell’Università di Bari . . . . . . . .

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Mario Torelli, Dalla tradizione ‘nazionale’ al primo stile . . . . Francesco Marcattili, Primo stile e cultura della luxuria . . . .

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IV LA PITTURA ELLENISTICA IN OCCIDENTE: IL CASO ETRUSCO Valeria Vaccaro, Caronti e finte porte . . . . . . . Francesco Franzoni, Alcune annotazioni sulla cronologia delle quiniesi dipinte di III secolo . . . . . . . . . Maurizio Harari, Perché all’inferno cresce la barba ai draghi .

. . tombe . . . .

V LA PITTURA ELLENISTICA DI ROMA: L’URBS E LA CAMPANIA


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sommario

Fabrizio Pesando, Case d’età medio-sannitica nella Regio VI di Pompei: periodizzazione degli interventi edilizi e decorativi . . . . . p. 425 Renata Esposito, Decorazione parietale nella Protocasa del Centauro (VI, 9, 3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 437 Dora D’Auria, La Protocasa del Granduca Michele (VI, 5, 5): funzionalità degli ambienti, tipologie edilizie e decorazioni parietali . . . . . » 447 Valentina Befani, Lara Anniboleti, Marinella Antolini, Decorazioni di primo stile nella Domus VI 2, 14 e nella Casa del Marinaio (VII 15, 1-2): recenti acquisizioni . . . . . . . . . . . . » 459 Roberto Cassetta, Un raro fregio figurato di I stile dalla Casa del Naviglio (VI 10, 11) di Pompei . . . . . . . . . . . . » 473 Flaviana Oriolo, Katharina Zanier, Decorazioni di primo stile nei peristili e giardini di Pompei . . . . . . . . . . . . . » 481 Florian Seiler, Questioni intorno ad un complesso di pitture ellenistiche singolari a Pompei . . . . . . . . . . . . . . . » 499 Maria Paola Guidobaldi, La Villa dei Papiri di Ercolano: inquadramento architettonico e decorativo alla luce delle recenti indagini archeologiche » 519 Domenico Esposito, Il secondo stile nella Villa dei Papiri di Ercolano . » 531 Mario Grimaldi, Alcuni esempi di riflessi della grande scultura ellenistica nella pittura romano-campana . . . . . . . . . . . » 547 Umberto Pappalardo, La decorazione dell’Insula Occidentalis a Pompei: mutamenti di gusto dall’età sillana all’età vespasianea . . . . . » 561 Isabella Colpo, Paesaggi dell’altrove . . . . . . . . . . » 571 Indice delle figure .

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Indice delle tavole .

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introduzione Tra le arti praticate nel mondo greco, la pittura ha certamente rivestito un vero e proprio ruolo di arte guida, come sosteneva Ranuccio Bianchi Bandinelli, e questo già dall’epoca arcaica. La pregnanza del linguaggio pittorico, che più direttamente colpisce l’immaginario dello spettatore attraverso la combinazione della forma e del colore, ma soprattutto per l’ampiezza delle possibilità rappresentative, ha fatto sì che i grandi pittori di epoca classica ed ellenistica fossero spesso circondati da una fama particolare e contraddistinti da uno status spesso superiore rispetto a scultori ed architetti. Purtroppo, di questa attività artistica così centrale nel mondo greco, ma anche così fragile per la deperibilità dei supporti, oltre al vasto corpus di notizie letterarie, conserviamo solo pallidi riflessi nella documentazione superstite, gran parte della quale conservata in Italia. Da un lato, alcune aree della Penisola (Etruria, Campania, Apulia) hanno sviluppato fin dall’epoca arcaica la tradizione di decorare le tombe a camera delle classi emergenti con pitture; in quelle stesse aree, inoltre, si sono affermate anche svariate botteghe artigiane di ceramografi. In entrambi i casi, i decoratori, spesso di notevole livello artistico ed in sicuro rapporto di reciproca influenza, hanno recepito e rielaborato temi e linguaggi della grande pittura greca contemporanea. Dall’altro lato, l’Italia e le città vesuviane in particolare, conservano copiosi documenti, di livello artistico non sempre omogeneo, che mostrano le forti influenze che la grande pittura greca di epoca ellenistica ha esercitato per lungo tempo nella decorazione parietale di edifici pubblici e di case private di epoca romana. Nel primo ellenismo la pittura assume, se possibile, un rilievo ancora maggiore, in quanto espressione artistica strettamente legata ai temi della propaganda regia, a partire proprio dalla corte macedone di Filippo II ed Alessandro Magno. Ed è proprio negli ambienti delle corti ellenistiche che avviene la principale trasformazione della pittura antica, che pian piano cessa di essere pittura da cavalletto su tavola: megalografie di carattere mitico e storico-celebrativo, in precedenza destinate esclusivamente ai luoghi pubblici (si ricordino ad esempio le opere principali di Polignoto di Taso nell’Atene cimoniana, recentemente rivisitate nel bel libro di Carmela Roscino 1), sono 1)  C. Roscino, Polignoto di Taso, Roma 2010 («Maestri dell’arte classica», III).


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introduzione

ora concepite per decorare le pareti delle grandi tombe a camera macedoni, un costume che si diffonde rapidamente nel mondo balcanico e in Occidente: soprattutto in Etruria e in Apulia, aree che vantavano una già consolidata tradizione tanto nella pittura funeraria che nella ceramografia. L’affermazione del lusso privato che caratterizza gli ambienti delle corti ellenistiche tra l’ultimo terzo del IV ed il II sec. a.C. e che poi si espande tra le classi dominanti di tutto il mondo ellenizzato, determina la nascita e lo sviluppo di due nuovi generi artistici, strettamente connessi per tecnica, iconografia e stile alla grande pittura: il mosaico pavimentale figurato ed i primi sistemi di decorazione parietale in stucco dipinto. È proprio la diffusione in Occidente di questi due generi ad aver permesso la conservazione di molti dei temi della grande pittura greca, i cui riflessi possiamo studiare soprattutto nel ricco campionario di pitture parietali dei centri vesuviani, oltre che nelle decorazioni musive di lusso di II-I secolo a.C. L’affermazione in Italia e in Sicilia del mosaico figurato e della decorazione parietale dipinta accompagna e scandisce le tappe della progressiva diffusione della cultura ellenistica nell’Occidente mediterraneo ed il suo incontro con l’emergente potenza politicomilitare di Roma, secondo modalità e tempi diversi in ciascuna area, ancora oggetto di acceso dibattito. La questione cronologica rimane ancora oggi uno dei principali ostacoli alla comprensione dei complessi fenomeni di diffusione in Occidente del linguaggio ellenistico, nella pittura come nell’architettura e nell’urbanistica 2. Sotto questo particolare aspetto, alcuni dei contributi presentati al Convegno messinese costituiscono un decisivo passo in avanti nella definizione del momento iniziale dell’affermazione del c.d. stile strutturale in Occidente: le nuove indagini stratigrafiche effettuate al di sotto dei livelli tardo-repubblicani di alcune case di Pompei ed i recenti rinvenimenti di Finziade significativamente convergono verso una data tra fine del III e la prima metà del II sec. a.C. per l’apparizione in ambito domestico dei primi sistemi decorativi in stucco ed intonaco dipinto imitanti strutture murarie semplici, dotate di zoccolo, parete (talvolta con la presenza una fascia a rilievo), fregio e cornice modanata. La sovrapposizione delle innovazioni pittoriche e decorative provenienti dall’Oriente ellenistico ai linguaggi tradizionali, radicati da secoli nell’Occidente etrusco, romano-laziale, campano, apulo, magno-greco e siceliota costituisce l’oggetto del Progetto Nazionale di Ricerca PRIN 2006 «Tradizioni e linguaggi della pittura ellenistica in Italia e in Sicilia», coordinato da Mario Torelli e costituito da cinque Unità locali di Ricerca delle Università di Perugia, Bari, Roma Tre, Pavia e Messina, coordinate rispettivamente 2)  Si veda a tal proposito Sicilia ellenistica, consuetudo italica. Alle origini dell’architettura ellenistica d’Occidente (Spoleto, Complesso monumentale di S. Nicolò, 5-7 novembre 2004), a cura di M. Osanna, M. Torelli, Roma 2006.


introduzione

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da Mario Torelli, da Luigi Todisco, da Paolo Moreno, da Maurizio Harari e da Gioacchino Francesco La Torre; nell’ambito di tale Progetto Nazionale di Ricerca è stato organizzato il presente Convegno. In ogni area oggetto dell’indagine gli esiti dell’incontro tra la tradizione artigianale locale, spesso secolare e molto radicata, e l’introduzione di nuovi linguaggi ha dato adito ad esiti diversi, dovuti alle differenti situazioni determinate dai rivolgimenti politici che hanno caratterizzato il III ed il II sec. a.C. e che hanno prodotto profondi mutamenti di status nei rispettivi tessuti sociali e produttivi, influenzando le richieste e le aspirazioni della committenza. Questa pluralità di esiti che caratterizza il III e la prima metà del II sec. a.C. va progressivamente omogeneizzandosi man mano che la potenza unificatrice di Roma si afferma, fino a scomparire del tutto con la Guerra Sociale; è in questo lasso di tempo, tra la metà del II e gli inizi del I sec. a.C. che cogliamo il definitivo esaurirsi delle diverse produzioni vascolari sovradipinte (di ambiente etrusco, laziale, campano, apulo e siciliano) e delle pitture funerarie accanto alla nascita di sistemi di decorazione parietale sempre più standardizzati, il vero e proprio I stile pompeiano, fino all’affermazione dello stile architettonico. I risultati ottenuti dalle diverse Unità di Ricerca del Progetto PRIN, presentati organicamente già nell’apposita sessione del XVII International Congress of Classical Archaeology di Roma (24 september 2008) 3, sono stati messi a confronto con le esperienze maturate dai colleghi che studiano la pittura dei regni ellenistici ed i suoi riflessi in Occidente e con i risultati di altri importanti progetti di ricerca, condotti da Istituzioni universitarie italiane e straniere e dalle Soprintendenze in Sicilia e nell’area vesuviana. Desideriamo quindi ringraziare tutti gli intervenuti, che hanno voluto dibattere con noi i risultati delle loro ricerche. Un ringraziamento particolare va alla Cassa di Risparmio di Perugia, che ci ha consentito di radunare a Messina un così cospicuo numero di eminenti studiosi per due giornate molto intense e poi il Prof. Vincenzo Fera, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina, che ci ha concesso l’uso dell’Aula Magna della Facoltà per lo svolgimento dei lavori, la Ditta Lisciotto Congressi che ha curato fin nei minimi dettagli l’organizzazione del Convegno e l’editore Giorgio Bretschneider che ha pubblicato, con ammirevole tempestività, questo ponderoso volume di atti, che fotografa lo stato degli studi e che si pone come base per future ulteriori ricerche sulla pittura antica, un tema tanto affascinante quanto labile. Messina-Perugia, febbraio 2011

Gioacchino Francesco La Torre Mario Torelli

3)  Linguaggi e tradizioni della pittura ellenistica in Italia e in Sicilia, organizzato da M. Harari, con la partecipazione di Gioacchino Francesco La Torre, Ilaria Domenica, Luigi Todisco, Mario Torelli, Francesco Marcattili, Maurizio Harari e Paolo Moreno, discussane Alessandro Naso.



I LA PITTURA DEI REGNI ELLENISTICI E I SUOI RIFLESSI



Françoise-Hélène Massa-Pairault PERGAMO E LA PITTURA. IPOTESI E PROBLEMI

Può sembrare paradossale tentare una riflessione su Pergamo e la pittura giacché la città ci è nota innanzi tutto come una capitale dell’architettura e della scultura ellenistica. I documenti archeologici o testuali non ci consentono, infatti, di individuare con sicurezza una scuola di pittura pergamena, una successione di pittori che lavorarono insieme, si richiamarono a una stessa tradizione e si proposero di risolvere determinati problemi estetici. In realtà, spesso ridotte a testimonianze epigrafiche e testuali non del tutto limpide, le nostre conoscenze non sono sempre dirette, ma spesso mediate attraverso altre arti, come la scultura, tanto da ispirare a Esther Hansen il giudizio secondo il quale Pergamo compose pitture ‘plastiche’ 1, oppure l’arte del mosaico, che, secondo Plinio, fino ai lithostrota, conformò il suo modo di operare sulla tecnica pitturale 2. Gli affreschi pompeiani, inoltre, al prezzo di una difficile e aleatoria ricerca sui modelli e i temi possono illuminarci ulteriormente sull’argomento 3. Premettendo che non tratteremo delle case affrescate trovate negli scavi di Pergamo, come quella del console Attalo 4, procederemo prima ad un esame della documentazione e delle testimonianze che riguardano direttamente la città di Pergamo, che si tratti di pittura di quadro, o di affreschi ipoteticamente ascrivibili a spazi pubblici; allargheremo in seguito la riflessione ai documenti che indirettamente rinviano a esperienze pittoriche pergamene. Impossibile abbordare il tema della pittura a Pergamo senza inquadrarlo nel contesto della politica culturale dei sovrani che si giova di trattati riguardanti la storia dell’arte, come quella di Antigono di Caristo, scultore

1)  Hansen 1971, pp. 330 s. 2)  Plinio, N.H., XXXVI, 60 (184). 3)  Saranno citati qui con riferimento all’opera edita dall’Istituto dell’Enciclopedia italiana: Pompei. Pitture e mosaici, I-IX), Roma 1990-1999; Pompei: la documentazione nell’opera di disegnatori e pittori dei secoli XVIII e XIX, Roma, 2003 (abbreviati Pompei I-IX e Pompei X rispettivamente). 4)  D. Pinkwart, W. Stammnitz, Peristylhäuser westlich der unteren Agora, Berlin 1984 (AvP XIV); Radt 1988, pp. 119-127.


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attivo a Pergamo nel III sec. a.C. 5, o fanno eseguire un completo inventario delle opere ed epigrafe esistenti nel mondo greco (significativi a questo riguardo i titoli delle opere di Polemone d’Ilione sui quadri di Sicione, sulla pinacoteca dell’acropoli d’Atene, per citarne soltanto alcuni 6). Precisi intenti politici, e non solo gusto e diletto personale, presiedono dunque alla scelta delle opere d’arte, compresa quella dei quadri: quello di Pitagora di Paro raffigurante le Grazie che si trovava nei pressi del cosiddetto Pythion, ambiente consacrato ad Apollo Pythios, forse non lontano dalla biblioteca 7, sembra propagandare, insieme all’opera dello scultore Boupalos che si trovava nel thalamos di Attalo, l’idea dell’euergesia dei sovrani (le Grazie hanno infatti questo significato in contesto filosofico stoico, crisippeo) 8. Il tema che da giovane scultore Socrate aveva trattato, esalta inoltre la gioia intellettuale di cui i sovrani si vogliono la fonte, questa gioia, charis/chara, come glossa Apollodoro di Atene 9, che a supremo principio di stile era stata promossa dal grande Apelle, la cui Charis era nell’Odeion della vicina Smirne. E proprio di Apelle, se crediamo a Solino, era un quadro che i Pergameni si sforzarono di proteggere dalle ragnatele e dagli uccelli 10 ma ignoriamo di quale quadro si tratta. Conosciamo il vano tentativo di Attalo II per procurarsi un Dioniso del contemporaneo di Apelle, Aristeides, dopo il sacco di Corinto nel 144 11. Ma su opere di ispirazione classica ci riportano altre fonti: ad esempio la presenza a Pergamo di un quadro di Apollodoro raffigurante Aiace colpito dal fulmine 12, opera che doveva fornire un violento contrasto tra la parte dell’eroe illuminata dal lampo e il resto del personaggio nell’ombra della tempesta. Apollodoro di Atene a cui si assegna l’invenzione della prospettiva o skiagraphia classica aveva probabilmente concepito il suo quadro come una dedica ad Atena, forse per i Propilei dell’Acropoli, e possiamo ipotizzare che l’opera, trasportata a Pergamo, 5)  Sull’opera scritta di Antigono di Caristo, vedi da ultimo Antigone de Caryste. Fragments, a cura di T. Dorandi, Parigi 1999 (CUF). 6)  Sui frammenti di Polemone: Polemonis Iliensis fragmenta. Accedunt de Polemonis vitae et scriptis et de historia atque arte Periegetarum commentationes, a cura di L. Preller, Amsterdam 1964 (ristampa). 7)  Plinio, N.H., IX, 35, 8; EAA VI (1965), s.v. ‘Pythagoras’, p. 575 [L. Guerrini]; inoltre AM 32, 1908, n. 4, pp. 383-384: l’iscrizione cita oggetti in relazione con il Pythion dopo aver citato oggetti in relazione ai contenitori (bibliothekai) dei libri (ll. 7-8). 8)  Per l’analisi puntuale di tutti questi aspetti rinviamo al nostro libro Pergamo e la filosofia (Massa-Pairault 2010). 9)  Apollod. di Atene, ap. Erodiano, Raccolta dei lemmi che si trovano in Ippocrate, p. 115 Klein, fr. 3 M; cfr. Allegoristi dell’età classica. Opere e frammenti, a cura di I. Ramelli, Milano 2007, p. 330, nota 82. 10)  Solino, 27, 53; cfr. M. Fränkel, Gemäldesammlungen und Gemälde-Forschungen in Pergamon, JdI 6, 1891, pp. 49-53; Radt 1988, pp. 312-315. 11)  Plinio, N.H., XXXV, 8, 24. 12)  Plinio, N.H., XXXV, 36, 60.


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si trovava anche in stretto rapporto con il santuario di Atena Nikephoros. Ed è forse ancora il modello della pittura classica ad Atene che ha presieduto alla scelta di una Polissena sul punto di essere sacrificata sulla tomba di Achille. Pausania, che commenta le pitture di Polignoto nella Leschè di Delfi 13, dichiara di aver visto la Polissena di Pergamo con i suoi occhi e la paragona implicitamente a quella di Polignoto. La notizia ha fatto sorgere l’ipotesi che la Polissena di Pergamo entrava proprio nel novero delle opere realizzate a partire dalle copie (apographai) di opere esistenti in Delfi eseguite dai tre pittori, Calas, Gaudotos e Leschides (?) mandati da Attalo II nel 140/139 14: conclusione non impossibile e che può inoltre combaciare con l’interesse politico devoluto all’eroe Neottolemo, uccisore di Polissena, ma padre anche dell’eroe Pergamo con Andromaca 15. Ma oltre alla Polissena della Ilioupersis delfica esisteva anche una Polissena di Polignoto nella Pinacoteca dei Propilei dell’acropoli ateniese, opera che un’epigramma dell’Antologia palatina dichiara sorella dell’Era dello stesso pittore 16. Sarà questa Polissena, allora, che sarà stata trasportata a Pergamo, come l’Aiace di Apollodoro? E nella lunga tradizione di rapporti politico-culturali di Pergamo con Atene, dobbiamo forse piuttosto pensare per entrambe le opere ad una iniziativa di Attalo II? In verità i dati archeologici non consentono molte ipotesi, a conferma dei testi, sulla collocazione della pittura di quadro a Pergamo, tranne forse che in un caso assai notevole, notato da Dörpfeld e Ohlemutz e ricordato dalla Simon 17. All’interno del Palazzo V costruito da Eumene II, esiste all’angolo nord orientale del peristilio uno spazio che ha attinenza con il culto dinastico di Dioniso Kathegemon 18 (Fig. 11). È ornato infatti di un prezioso mosaico con raffigurazione di due maschere teatrali, tragica e comica, da una parte e dall’altra di una elemento architettonico sporgente assai simile ad un altare, rivestito di marmi preziosi coronati da un listello 19. È proprio la presenza del listello a coronamento dell’apprestamento marmoreo della parete e della sua sporgenza a mo’ di altare a fare sorgere l’ipotesi di un pinax, più che di una statua, collocata sopra l’insieme. Sembrerebbe allora logico ipotizzare qui la presenza di un quadro raffigurante Dioniso e il tiaso forse della mano di un celebre pittore, ma la consacra13)  Pausania, X, 25, 10. 14)  Syll 2 682. Cfr. B. Haussoulier, BCH 5, 1881, pp. 388-390, n. 1; Hansen 1971, p. 368; Jacquemin 2007, pp. 108-109. 15)  Jacquemin 2008. 16)  Ant. Pal., III, 147, 5 (Planud., IV, 150). 17) W. Dörpfelds, Ueber Gesimse Unterwandmalereien, AM 36, 1911, p. 87 s.; Simon 1961, p. 166; F. Ohlemutz, Die Kulte und Heiligtümer der Götter in Pergamon, Darmstadt, 19682, p. 94. 18) Vedi W. Hoepfner in Pergamo 1996, p. 53. 19)  Da ultimo: D. Salzmann, Zu den Mosaiken in den Palãsten IV und V von Pergamon, Bonn 1995 («Asia Minor Studien», 16), pp. 101 s., specialmente pp. 108-112 (datata prima del 150 a.C.).


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zione dello spazio al culto dinastico potrebbe anche farci pensare alla famosa scena del riconoscimento di Telefo nel santuario di Dioniso Mystes di cui l’affresco della Basilica di Ercolano ci dà una versione. Il mosaico dell’altargemacht, forse di Sosos, ci riporta ad una meditazione sul linguaggio umano e animale (significativa a questo riguardo la presenza del pappagallo (Fig. 12 a) il cui pendant era verosimilmente un altro uccello ‘parlante’), quale si può trovare negli scritti di Diogene di Babilonia: dal linguaggio allo stile (tragico e comico, come suggerito dalle maschere teatrali), tale potrebbe essere il tema del mosaico che rivela nel suo autore una ricerca tanto erudita quanto filosoficamente e scientificamente colta 20. Le stesse caratteristiche si ritrovano nel celebre mosaico delle colombe, sicuramente di Sosos, che secondo un mio saggio in stampa, non va ricondotto alla coppa di Nestore, ma ad un’articolata riflessione sul concetto di ombra nella filosofia e la pittura greca 21. Passo ora a ciò che, con la mediazione di altri documenti non pergameni possiamo ricostruire in merito alla pittura pergamena. Pausania scrive che i Pergameni possiedono spoglie dei Galati e una pittura che rappresenta la battaglia contro questo popolo 22. D’altra parte, la Suda ricorda che Eumene era accompagnato nelle sue campagne dal pittore (zographos) Pytheas insieme al medico Menandro e al poeta Leschides 23. Eumene qui nominato è sicuramente il secondo e la Suda ci consente di ricostruire l’esistenza di una storiografia ufficiale che si appoggia sia alla tecnica pittorica che alla poetica per cantare le glorie del regno. Non sappiamo però se a Pytheas pittore di battaglia, toccava trattare l’argomento in pinakes o serie di pinakes con prospettiva ravvicinata, oppure con prospettiva aerea, più vicina alla topografia: la sua arte è comunque da mettere in relazione con quella di Metrodoro alla corte di Perseo e poi nella Roma di Paolo Emilio 24. Probabilmente inoltre questi quadri storici non trattavano soltanto le pure numerose e reiterate campagne di Eumene II contro i Galati, ma anche contro altri nemici, come insegna il fregio d’armi dei porticati del tempio di Atena Nikephoros. Ma la pittura citata da Pausania potrebbe riferirsi alla più celebre delle battaglie contro i Galati combattuta da Attalo I alle fonti del Caico oppure presso l’Aphrodisium e celebrata con opere scultoree 25.

20)  Per questa interpretazione dell’opera, Massa-Pairault 2007d, in stampa. 21)  Cfr. Massa-Pairault 2010. 22)  Paus., I, 4, 6. 23)  Suda, s.v. Lescídhv (FGrHist., II B n. 172); ibid. II D, p. 597. 24)  Su Metrodoro; Plinio, N.H. XXXV, 11, 135; G. Becatti ha ipotizzato che i cartoni del Monumento di Paolo Emilio a Delfi (prima monumento di Perseo) fossero di Metrodoro: G. Becatti in La Critica d’Arte, n.s. I, 1941, pp. 70-73. 25)  Impossibile ricordare la sterminata bibliografia per la quale rimando solamente all’articolo Pergamena, Arte in EAA suppl. 1971-1994, IV, pp. 307-319 [P. Moreno].


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Al regno di Attalo I possiamo, infatti, con una certa sicurezza fare risalire alcuni motivi o composizioni che troviamo su urne e sarcofagi etruschi: e non solo per questioni afferenti alla cronologia di alcuni di questi monumenti, sicuramente di III secolo, come ha sottolineato Colonna 26, ma perché, trattando del tema del cosiddetto condottiere a cavallo che con la lancia annienta i nemici, presentano un particolare che vorrei riesaminare. Sebbene il modello di Alessandro a cavallo in battaglia, come appare nel mosaico della casa dei Vettii, soggiace alla composizione d’insieme, il cavaliere presenta un berretto frigio che si potrebbe attribuire all’interpretazione degli artigiani etruschi, ma che invece proponiamo di ricondurre ad un originale che celebrava un eroe della terra di Teuthrania, e cioè un Misio, etnicamente caratterizzato da un simile berretto (Fig. 12 b). Questa retorica delle origini ci riconduce all’inno di Nicandro 27 e al Papiro di Amburgo con frammento di poema elegiaco che descrive i misfatti dei Galli incivili arrivati alle porte di una città e ne predice l’imminente disfatta ad opera di un eroe 28. Il poema in questione è stato problematicamente attribuito da Richter a Mousaios di Efeso 29, autore di una Perseide e di numerosi panegirici in onore di Eumene e Attalo, probabilmente qui il primo Eumene e Attalo I. Alle raffigurazioni anche pitturali delle battaglie di Attalo I contro i Galli sono strettamente collegate per gli aspetti cronologici e politici pergameni, quelle del mito di Pelope e Ippodamia che cogliamo soltanto attraverso le raffigurazioni delle urne etrusche con tre principali versioni iconografiche, la fine di Enomao nel suo carro dislocato, la corsa di Pelope e Ippodamia verso Corinto e la morte di Mirtilo 30. Due sono i principali indirizzi stilistici di queste opere. Il primo si richiama all’enfasi epica, sfruttando l’eredità della pittura di IV secolo (il carro dislocato di Enomao è già dal pittore di Dario e simili 31), e costruendo lo spazio sulla base dell’ellisse, figura che riconduce alla riflessione matematica sulle coniche pienamente operante anche nella Gigantomachia del Grande Altare 32. Il secondo indirizzo, di tono narrativo mosso, ricerca invece la poikilia, la varietà nelle sfaccettature delle ombre e dei colori che suggerisce ulteriormente il movimento: è lo 26)  G. Colonna, Celti e Celtomachie nell’arte etrusca, in La Battaglia del Sentino, Atti del Convegno di Studi Camerino-Sassoferrato, 10-13 giugno 1998, a cura di D. Poli, Roma 2002, pp. 163-187. 27)  Cfr. infra. 28)  Hansen 1971, p. 408. 29) W. Richter, Eine Elegie des Musaios von Ephesos auf Attalos I ? in Maia, n.s. 15, 1963, pp. 93-113. 30)  Per brevità rinviamo solo a LIMC VII 1 (1994), s.v. ‘Oinomaos’, pp. 19-23 [Ismène Triantis]; ibid. VI 1 (1992), s.v. ‘Myrtilos’ pp. 693-696 [Ismène Triantis]; ibid. V (1990), s.v. ‘Hippodameia I’, pp. 434-440 [Maria Pipili]. 31)  Cfr. ‘Myrtilos’ n. 19 in LIMC VI 1 (cit. a nota precedente). 32)  Su questi aspetti, Massa-Pairault 2007 in stampa.


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stile della corsa di Pelope e Ippodamia, e in genere delle opere, del Maestro di Mirtilo volterrano. Egli fa passare l’arte di trattare il mito dalla logica della megalografia a quella del pinakion. Che questo ultimo stile possa richiamarsi alla pittura, ne abbiamo la quasi dimostrazione esaminando il mosaico pompeiano della casa reg. VIII, 2, 14-16 in cui si è riconosciuto un ratto delle Leucippidi che giudichiamo vicino iconograficamente e stilisticamente alla nostra corsa di Pelope e Ippodamia 33 (Tav. I a-b). Ora è un frammento della grande politica pergamena che attraverso la creazione di questi quadri perviene in occidente. Sia l’eroe misio delle Galatomachie che il Pelope conquistatore di Ippodamia riconducono all’Inno di Nicandro ad Attalo. Il poeta qualifica Attalo di teuthranidès, e cioè, figlio della terra di Teuthrania, e non teuthrantides (figlio di Teuthras) come finemente ha analizzato Cazzaniga 34, lo esorta a tenere saldamente la terra ereditaria, e cioè la Misia (richiamandoci dunque a minacce esterne), ricorda infine che discende da Eracle attraverso la figlia di Pelope e Ippodamia, Lysidikè che sposò Anfitrione tebano. Non potendo dilungarmi nella completa esposizione delle questioni afferenti all’identità di Attalo citato nell’Inno e di Nicandro di Colofone 35, sottolineo tuttavia che un Nicandro di Colofone poeta epico figlio di Anassagora è noto da un decreto di prossenia delfica datato ora con sicurezza poco prima di 210 a.C. 36, ossia contemporaneo del regno di Attalo I e praticamente della sistemazione della terrazza attalide di Delfi 37. D’altra parte, il contenuto dell’Inno di Nicandro a Attalo lascia intravedere il retroscena della politica pergamena nel Peloponneso da Olimpia a Corinto e alla sede della lega achea, evocando persino Tebe. Ora ricordo che Attalo quale stratega degli Etoli mirò a ridimensionare l’influenza di Filippo V sia sul Peloponneso che su Tebe, appoggiandosi su Sicione e sfruttando anche a suo profitto il mito di Eracle e della sua discendenza, vivo nel Peloponneso. Questo ci sembra il contesto politico più appropriato per l’inno-encomio di Attalo 38 e non ci stupirebbe che nello stesso contesto politico possano nascere opere d’arte di circostanza, 33)  Pompei VIII, 14-16, n. 34, p. 91 (ambiente Sud). Non è sicuro che si tratti del ratto delle Leucippidi. 34)  I. Cazzaniga, L’Inno di Nicandro a Attalo I (fr. 104). Esegesi e problematica, PP 27, 1972, pp. 369-396. 35)  Nella sterminata bibliografia citiamo solo Nicander, The poems and poetical fragments, a cura di A. S. F. Gow, A. F. Schofield, 1997 (reprint); G. Massimilla, Nuovi elementi per la cronologia di Nicandro in La letteratura ellenistica. Problemi e prospettiva di ricerca, Atti del Colloquio internazionale, Roma 29-30 Aprile 1997, a cura di R. Pretagostini, Roma 2000 («QuaSem Rom», 1), pp. 127-137; J. M. Jacques, Situation de Nicandre de Colophon, REA 109, 2007 (con cronologia bassa di Nicandro da Colofone autore dei Theriaca). 36)  Syll.2 452 (cfr. nota precedente). 37)  Jacquemin, Laroche, 1992, pp. 229-258. 38)  Sottolineiamo nell’ultimo verso dell’Inno di Nicandro a Attalo la menzione del mitico re Apis che appartiene sia alle genealogie dei re di Argos che dei re di Sicione: RE I 2 (1894), s.v. ‘Apis’ col. 2809 [Wernicke].


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anche pitture o quadretti, concepiti forse durante il soggiorno di Attalo a Sicione: Sicione, città d’arte e punto focale della politica attalide in Grecia appoggiatasi sui fratelli Dinocrate e Dionisodoro 39. In questo complesso di cause potremmo forse rintracciare l’origine ultima della ispirazione, se non di tutti i modelli, di alcune delle nostre urne etrusche. Ora vorrei brevemente esaminare tre temi dinastici che ci fanno risalire a delle megalografie o dei quadri creati nello stesso contesto della politica pergamena: il tema di Neottolemo, quello di Telefo e quello di Hera Basileia. L’eroe Neottolemo, padre dell’eroe Pergamo, ed eroe soccorritore di Delfi, aveva nel santuario un suo heroon che i sovrani di Pergamo inclusero nella terrazza da loro fondata. A. Jacquemin e D. Laroche preparano una nuova analisi delle architetture da loro riconosciute in un articolo del 1992 40, tentando di risolvere a partire da nuovi argomenti la questione delle posizioni reciproche dell’heroon di Neottolemo e del santuario di Dioniso Sphaleotas, una delle divinità-chiave della Telefia del Grande Altare. Neottolemo, venuto a consultare l’oracolo con la moglie Hermione, era stato ucciso da Oreste che gli aveva teso una imboscata all’interno del tempio. Ora un solo quadro affrescato pompeiano, appartenente alla casa di M. Lucretius Fronto tratta il tema e questa eccezione, come del resto la prospettiva suggerita davanti al tempio di Apollo, che sembra partire dal terrazzo attalide ci porta a riconoscere qui un’opera di sicura derivazione pergamena 41, il cui originale ipotizziamo fosse stato consacrato nel tempio di Apollo o nell’oikos attalide di Delfi (Tav. II). La composizione dell’opera rimanda a quantità di scene con minaccia o assassinio all’altare trattate sulle urne e sarcofagi etruschi, comprese alcune scene che possiamo identificare con l’assassinio di Neottolemo, per la presenza dell’onfalo delfico 42. Il quadro pompeiano è alquanto accademico nella scolastica opposizione dei colori che servono alla designazione del 39) Vedi la dedica di una statua di danzatore dionisiaco (skirtos) a Dioniso e Attalo I: H. Müller, Ein neues hellenistisches Weihepigramm aus Pergamon, «Chiron», 19, 1989, pp. 499533. 40)  Cfr. Jacquemin, Laroche 1992. Un aggiornamento dell’articolo supra citato dovrebbe essere di prossima pubblicazione nel BCH. 41)  Pompei III, V, 4 a, n. 40 (triclinio 4). Un opera del pittore dell’Ilioupersis (in particolare n. 25, p. 777 in LIMC VI 1 [1992], s.v. ‘Neoptolemos’, p. 773-779 [Odette Touchefeu- Meynier]) mostra il tempio in prospettiva obliqua rispetto all’altare dove viene ucciso Neoptolemo. Il quadro pompeiano, pure riprendendo la stessa obliquità, suggerisce inoltre la prospettiva del tempio di Apollo nella lontananza e secondo i punti di fuga che sono stati immaginati dagli architetti del terrazzo attalide per intravedere la facciata del tempio a partire dal terrazzo (Jacquemin Laroche, fig. 14, p. 254). Mentre nel primo caso abbiamo una prospettiva da scenografia classica che si riferisce idealmente alla topografia di Delfi, nel secondo, vediamo un segno di realismo ‘politicamente orientato’. 42) Vedi G. Körte, I rilievi delle urne etrusche, II.2, Roma-Berlino 1896, LXXXIII 4, 5, 6 (anche forse LXXXIII 1,2 che ora A. Maggiani riconduce ad una uccisione di Egisto. Ma


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buono e del cattivo, del primo piano colorito e del secondo piano chiaro o sfumato, ma permette di riconoscere nel turbine goffamente reso dei personaggi attorno all’altare, il caratteristico movimento ellittico che definisce lo spazio delle opere di questa epoca ed alcune figure di repertorio simili a quelle delle urne etrusche (Ermione cascata ai piedi dell’altare, Oreste in tunica orientale dai panneggi svolazzanti). Se dobbiamo valutare cronologicamente e politicamente una tale opera, non sarebbe da escludere il momento dell’attentato ad Eumene II sulla strada di Delfi nel 172 a.C. Per quanto riguarda Telefo, vero eroe ctistès di Pergamo, sono due le scene che, sulla base delle pitture pompeiane, supponiamo abbiano origine nella pittura di Pergamo: – la prima, di cui si conoscono, varie repliche con varianti, la principale dalla casa dei Vettii 43, è la violenza perpetrata da Eracle ubriaco su Auge, accompagnata dalle sue compagne alla sorgente dove lavavano il peplos di Atena Alea. Le figure allegoriche dell’ubriachezza e della Parthenos, strumenti dell’heimarmenè, con il loro intervento, renderanno possibile la congiunzione dei due eroi 44 (Fig. 13). Il primo piano roccioso materializzato come un palcoscenico e reso concreto dall’acqua più scura che lo staglia ulteriormente, il cono di luce che dall’albero del fondo, converge sul personaggio della Parthenos alata (non di Nemesis), retaggio di ricerche prospettiche che risalgono al III secolo (come nella scena di Dioniso e Arianna a Nasso da ricollegare, a giudicare dai frontoni di Civitalba, con Pergamo), sono caratteristiche che ben si addicono all’ambiente pergameno (Tav. IV a, e Fig. 15). Il fregio della Telefia del Grande Altare è lacunoso proprio laddove ci aspetteremmo la scena corrispondente. C’è teoricamente spazio per inserirla dopo l’albero di quercia e l’inizio del paesaggio roccioso che appare sul lato destro della lastra con l’adornamento della statua di Atena Alea da parte di Auge e compagne 45. Abbiamo riconosciuto inoltre un frammento (una mano maschile che afferra una mano femminile) suscettibile di riferirsi alla congiunzione di Eracle e Auge ma ci chiedevamo se non piuttosto in una iconografia simile a quella di un medaglione del Museo di Tripoli o degli specchi di IV secolo con Eracle seduto 46. preferiamo l’interpretazione suggerita da Körte (op. cit., pp. 191-199) secondo il quale è probabile anche qui una uccisione di Neoptolemo. 43)  Pompei VI, 15, 1, n. 164, p. 568. 44)  Per l’interpretazione, Simon 1961, pp. 143-144. 45)  Massa-Pairault 1998, pp. 100-105. 46)  LIMC III 1 (1986), s.v. ‘Auge’ pp. 45- 51 [Christa Bauchhens- Thüriedl], in particolare nn. 9 a 11 (teche di specchi di IV sec. a.C.); per il medaglione del Museo di Tripoli: Theodoros Spyropoulos in Sculpture from Arcadia and Laconia, Proceedings of an international conference held at the American School of Classical Studies at Athens, April 10-14, 1992, a cura di O. Palagia e W. Coulson, Oxford 1993, pp. 282-283, fig. 9.


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I quadri pompeiani ci sembrano comunque derivare dal fregio di Telefo sia pure attraverso ulteriori accenti dell’arte paesistica rodia. – la seconda iconografia che ci riporta a Telefo, nota dal celebre affresco della Basilica di Ercolano 47, rappresentazione dell’Hestia di Telefo in Arcadia, con il bambino Telefo allattato da una cerva e riconosciuto dal padre Eracle. Sono presenti la Meter Theon, o l’Arcadia come altera aurea aetas, la Parthenos alata, un satirello o panisco, la leonessa della Meter Theon o di Dionysos mystes, nonché l’aquila di Zeus. Non ci soffermiamo sulle somiglianze e sulle divergenze tra questo quadro e le parti corrispondenti del fregio di Telefo che più volte abbiamo analizzate 48. Ci limitiamo a sottolineare in entrambi i casi (fregio di Telefo e affresco ercolanese) l’avvincente ricorso all’allegoria, la totale identificazione tra paesaggio e destino, tra physis e nomos. Sono tratti ispirati, in ultima analisi, al giusnaturalismo stoico. Il tema della Parthenos, in particolare, rappresenta l’esito in ambiente pergameno, di un concetto, quello della Giustizia connessa con l’età dell’oro, trattato da Arato nei suoi Fenomena composti alla corte di Antigono Gonata 49 (Fig. 14). Sia la presenza della Parthenos astrale che la connotazione reale e dinastica della scena, ci portano a dubitare che la totalità della composizione sia da ricondurre ad una invenzione di Apelle per il suo amico e poeta Philitas di Cos, come ipotizzato da P. Moreno 50. Vogliamo infine esaminare un quadro-affresco più volte commentato della Casa del poeta Tragico 51. In un paesaggio di montagna dominato da un albero sacro si erge una colonna il cui capitello è ornato di leoni, e al cui fusto sono appesi flauti e cimbali. La scena è quindi ambientata in un santuario di Rhea-Cibele ma la solenne ierogamia del primo piano tra un personaggio maschile seduto e velato e un personaggio femminile che incede in maestà seguito da una figura femminile alata, non riguarda Kronos e Rhea (contrariamente a quanto sostenuto da Curtius o Simon, tale scena non esiste iconograficamente 52 ), ma Hera e Zeus come sostenuto da altri. Al piede del trono rupestre di Zeus sono rappresentati in scala minore 47)  Su Eracle a Ercolano rinviamo da ultimo a M. Pagano, Rappresentazioni di imprese di Eracle a Ercolano: alcune novità in Immagini delle città vesuviane, Atti del seminario del 9 novembre 2000, a cura di F.-H. Massa-Pairault, MEFRA 113- 2, 2001, pp. 913-923; per l’interpretazione dell’affresco della Basilica: U. Pappalardo, Le mythe d’Héraclès à Herculanum, ibid., pp. 925-945, in particolare pp. 938-939. 48)  Oltre all’articolo citato supra nota 43, vedi inoltre, Massa-Pairault 2007 a; MassaPairault 2007 b; Massa Pairault 2007c. 49)  Su questo cfr. Massa-Pairault 2010. 50)  P. Moreno, Pittura greca, Milano, 1987, pp. 155-156. 51)  Pompei IV, Insula VI, 8, 3, 5, n. 20a-b (atrio); Pompei X, n. 61, p. 118; cfr. LIMC IV 1 (1988), s.v. ‘Hera’, pp. 659- 719 [Anneliese Kossatz-Deissmann], in particolare n. 210, p. 684. 52)  Simon 1961, pp. 148 s.


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tre esseri maschili incoronati di rami frondosi e seduti in cerchio su sedili rocciosi (Tav. III a). Per rendere conto del quadro qualcuno ha richiamato il famoso passo del canto XIV dell’Iliade in cui Hera seduce Zeus e la coppia olimpia si unisce, solennemente rinnovando la prima unione 53. Ma il riferimento al passo dell’Iliade non è calzante per tutti i dettagli e personaggi. Il personaggio femminile alato, non è Iris, o Hypnos, ma, come ha visto E. Simon, la Parthenos, anche se la sua presenza non si giustifica esattamente, ci sembra, per le stesse ragioni individuate dalla Simon. Hera si presenta qui infatti sia come Hera Parthenos che come sposa di Zeus Cronides dal legittimo potere. Per questo motivo la Giustizia astrale diventa la pronuba delle nozze di Hera e di Zeus. L’aurea aetas si congiunge, come nel caso del riconoscimento di Telefo, alla suprema Dike e legittimità della coppia reale di Hera Basileia e di Zeus Cronides. Concordiamo con Cook 54 nell’identificare il gruppo a scala minore con i Dactyloi Idaioi, sophoi daimonioi (inventori, tra l’altro, dei ritmi dattilici intonati sui flauti della Madre). Essi sono un’altra emanazione della physis e del paesaggio montuoso dell’Ida troiano. L’imponente personaggio di Hera ci riporta a una creazione pitturale di rara intensità, tutta giocata sui colori chiari, luminosi: simbolici degli elementi, aer e aither dei due sposi. Ma soprattutto dobbiamo riferirci, alle glosse allegoriche di un Agatocle di Cizico per il quale Hera rappresentava già la physis tou pantos 55: giustificando tale conclusione a partire dal passo del canto XVIII dell’Iliade che vede Hera intenta a fare tramontare il sole innanzi tempo 56. L’affresco pompeiano è di epoca neroniana e non è da escludere che le sue allegorie riflettano le speculazioni di una corrente ermeneutica di questo periodo rappresentata da Annaeus Cornutus e la sua cerchia 57. Ma è da ricordare che il fregio di Telefo presenta pure una scena di iniziazione e trasmissione dei sacra in un santuario di Rhea Cibele, delimitato da una colonna sormontata da un leone e in presenza di due personaggi seduti sulla roccia, due iniziati che ci sono sembrati molto di più di semplici boukoloi, ma gli antichi daimonioi dell’acropoli pergamena, chiamati Cabiri 58 (Tav. III b). 53)  Il. XIV 295 s. 54)  A. B. Cook, Zeus. A Study in Ancient Religion, III, Cambridge 1925, p. 1003. 55)  Agatocle, fr. 9, 10, 11, (Montanari, I frammenti dei grammatici Agatokles, Hellanikos, Ptolemaios, Epithetes: in appendice i grammatici Theophilos, Anaxagoras, Xenon, a cura di F. Montanari, Berlin-New York 1988 («SGLG», 7), pp. 3-128). 56)  Cratete di Mallo. I frammenti, a cura di M. Broggiato, La Spezia 2001. Broggiato 2001, F. 26, pp. 36-37 e commentario pp. 188-189. 57)  Rinviamo a Anneo Cornuto, Compendio di Teologia greca, a cura di I. Ramelli, Milano, 2003. 58)  Massa-Pairault 1998, pp. 132-143; B. Hemberg, Die Kabiren, Uppsala, 1950, pp.171182.


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Questa sarebbe una ulteriore ragione per pensare che l’affresco pompeiano ci riporti a una creazione pergamena. In una epoca in cui la politica culturale dei regni ellenistici è imperniata sulla ricerca filologica, tenta di giovarsi dell’inventario delle opere d’arte esistenti, la pittura pergamena ci sembra prima di citazione e di ‘rivisitazione’ di opere celebri, di richiamo a più tradizioni esistenti nelle grandi capitali artistiche, Atene, Sicione, Efeso. Questi caratteri appartengono a tutte le mythikai diatheseis eseguite per mezzo di pinakia siano essi scolpiti, come nel tempio di Apollonis a Cizico, o dipinti. La malleabilità degli stili e le possibilità di conversione da una techne all’altra, sono sfruttate al massimo. Il secondo carattere che ci sembra derivi dell’assimilazione delle ricerche di definizione dello spazio a partire dai trattati sulle coniche (da Apollonio di Perge e da Archimede), è il concetto di squarci luminosi, di coni di trasparenza che si diffondono dal fondo sul primo piano, come nella scena dell’assedio erotico a Auge, o dell’arrivo di Dioniso presso Arianna addormentata (Fig. 15). Lo stesso sistema è messo in opera nella visualità del gruppo dei Galati morenti sulla base rotonda di Atena Nikephoros (Fig. 16). A questa pittura scientifica si ricollegano le ricerche di un Sosos sulle ombre portate. Il terzo carattere, spesso utilizzato per la propaganda dinastica, è il ricorso all’allegoria, all’ainigma che porta all’invenzione di personaggi specifici, o al rinnovo dei motivi in rapporto con determinati personaggi. Il paesaggio è anche logos, e le divinità ci riportano al binomio cosmos/logos. L’influenza dell’ermeneutica stoica è qui evidente, come lo è nel mosaico dell’altargemacht, forse anche di Sosos, l’ispirazione desunta dalle teorie sul linguaggio di Diogene di Babilonia, che ci ricorda in ultima analisi che la fioritura del linguaggio in stile, comico o tragico, è sotto il segno del Dioniso dinastico.

Abbreviazioni bibliografiche Hansen 1971 =  E. V. Hansen, The Attalids of Pergamon, Ithaca 1971. Jacquemin, Laroche 1992 =  A. Jacquemin, D. Laroche, La terrasse d’Attale Ier revisitée, BCH 116-1, 1992, pp. 229-258. Jacquemin 2007 =  A. Jacquemin, Etoliens, Antigonides et Attalides à Delphes, in Images et modernité hellénistiques. Appropriation et représentation du monde d’Alexandre à César, Actes du Congrès International Rome, 4-6 Mai 2004, a cura di F.-H. Massa-Pairault, G. Sauron, Rome 2007 («Collection EFR», 390), pp. 103-111. Massa-Pairault 1998 =  F.-H. Massa-Pairault, Examen de la frise de Télèphe, «Ostraka», VII 1-2, 1998, pp. 93-157. Massa-Pairault 2007a =  F.-H. Massa-Pairault, La Gigantomachie de Pergame ou l’image du monde, Athènes, 2007 («Suppl. BCH», 50).


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Massa-Pairault 2007b =  F.-H Massa-Pairault, L’ideologia monarchica e la sua espressione plastica a Pergamo, in Regalità e forme di potere nel Mediterraneo antico, Actes du Congrès international (6-7 Février 2004), a cura di P. Scarpi, Padova, 2007, pp. 333-368. Massa-Pairault 2007c =  F.-H Massa Pairault, L’interprétation des frises du Grand Autel de Pergame et des stylopinakia de Cyzique, Quelques problèmes, in Images et modernité hellénistiques. Appropriation et représentation du monde d’Alexandre à César, Actes du Congrès International Rome, 4-6 Mai 2004, a cura di F.-H. Massa-Pairault, G. Sauron, Rome, 2007 («Collection EFR», 390), pp. 205-221. Massa-Pairault 2007d =  F.-H. Massa-Pairault, Les artistes de Pergame et les structures du réel. Quelques exemples et quelques problèmes, in L’art en débat philosophique. Le problème du réel de l’époque hellénistique à la Renaissance, Actes du colloque international: Paris 22-24 Novembre 2007, in stampa. Massa-Pairault 2010 =  F.-H. Massa-Pairault, Pergamo e la filosofia, Roma 2010 («Archaeologica», 159). Pompei 1990-1999 =  Pompei. Pitture e mosaici, I-IX, a cura dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana, Roma 1990-1999. Radt 1988 =  W. Radt, Pergamon. Geschichte und Bauten einer antiken Metropole, mit Fotos von E. Steiner, Darmstad,1988 [19992]. Simon 1961 =  E. Simon, Zum Fries der MysterienVilla bei Pompeji, JdI, 76, 1961, pp. 111-172. Telefo 1996 =  L’altare di Pergamo. Il fregio di Telefo, Catalogo dell’Esposizione, Fondazione Memmo (5 Ottobre 1996 - 15 Gennaio 1997), Roma 1996.


FIGURE



FIG. 11

Il Palazzo V di Pergamo con l’indicazione del mosaico dell’ambiente destinato al culto


FIG. 12

a)

b) a) Il pappagallo del mosaico indicato a Fig. 11; b) Urna etrusca di Volterra con rappresentazione di Galatomachia (Maestro delle Petites Patères), Museo Guarnacci 380


FIG. 13

Affresco della Casa dei Vettii con rappresentazione dell’insidia erotica tesa da Eracle a Auge; si noti la presenza della Parthenos


FIG. 14

Basilica di Ercolano: affresco rappresentante l’Hestia di Telefo in Arcadia dettaglio della Parthenos alata con la spiga


FIG. 15

Pompei, Casa del Citarista: Dioniso scopre Arianna addormentata a Nasso (si noti l’applicazione delle conica alla prospettiva), Napoli, Museo Nazionale


FIG. 16

Pergamo: pianta del temenos di Atena Nikephoros con indicazione della base rotonda dei Galati e degli assi della prospettiva volti ad evidenziare dei ‘coni di traparenza’


T A V O L E


TAV. I

a)

b) a) Urna etrusca di Volterra: Pelope e Ippodamia sul carro (Maestro delle Rosettes et Palmettes), Museo Guarnacci 178; b) Mosaico della casa pompeiana reg. VIII, 2, 14-16: Ratto delle Leucippidi ?


TAV. II

Pompei, Casa di M. Lucretius Fronto: uccisione di Neottolemo a Delfi


TAV. III

a)

b) a) Pompei, Casa del Poeta Tragico: ierogamia di Zeus e Hera nel santuario di Rhea-Cibele sull’Ida troiano; b) Pergamo, fregio della Telefia: scena iniziatica in un santuario di Rhea-Cibele: Pergamon Museum, Berlino


TAV. IV

a)

b) a) Pompei, Casa del Citarista: Dioniso a Nasso, si noti la scomposizione prismatica dei colori; b) Urna di Volterra con l’uccisione di Enomao: Museo del Louvre Ma 2356, si notino le sfaccettature dei piani scultorei


Continua....


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