Virgilio Guidi - oltreil bianco, la luce

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BUGNO ART GALLERY S. MARCO 1996/D, 30124 VENEZIA tel. 041 5231305 fax 041 5230360 info@bugnoartgallery.it www.bugnoartgallery.it in collaborazione con

FRATELLI

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MARCO

Cornici e Telai VENEZIA © Bugno Art Gallery 2013 testo T

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Proge o grafico A

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa olio su tela, cm 75 x 61, 1977

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Il bianco non é luce il nero non é tenebra colori del nulla cieli spenti perduti dalla luce

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Ed. Rebellato (1966) - Padova


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Questa mostra di dipin di Virgilio Guidi, che non a caso si inaugura oggi, intende altresì celebrare la ricorrenza della nascita, avvenuta a Roma il 4 aprile del 1891. E quindi rappresentare in mancanza di rela ve manifestazioni ufficiali, le quali sarebbero state ben più doverose, un omaggio comunque significa vo che la Galleria Bugno ha voluto, anche a nome della ci à, dedicare alla grande figura dell’ar sta, scomparso a Venezia il 7 gennaio del 1984. Del resto già in passato la galleria ave-

va puntualmente ospitate e curate varie esposizioni di opere del maestro ma nella prospe va della odierna circostanza essa si è orientata invece a privilegiare e a selezionare, con verificabile acume, degli importan esempi dell’ul ma produzione di Guidi, scegliendo di quel tempo, rela vamente circoscri o al decennio 1974–84, alcune delle sue straordinarie tele che documentano in ogni caso di poter validamente qualificare ed insieme compendiare quella ancora fervida sebbene tarda fase crea va, rivela-


tasi certamente più rischiosa e problema ca ma anche più sorprendente ed innova va, espressa infa dal pi ore con un linguaggio davvero originale ed estremo, e nuovamente davvero di incomparabile bellezza sia per intensità e profondità di contenu iconografici che per stupefacente potenza lirica ed emova. A tale riguardo si tra ava di riuscire inoltre a fornire, pur a raverso un numero obbligatoriamente limitato di tes pi orici, uno spaccato per tan versi ugualmente magari illuminante di quel cruciale periodo storico, appunto quello purtroppo conclusivo della stessa lunga e non meno feconda parabola crea va di questo solitario protagonista della pi ura del secolo scorso. Da lui percorso quasi completamente, dialogando e confrontandosi con le principali avanguardie dell’epoca in maniera pressoché ininterro a, ma anche con piena libertà e senza mai rinunciare a professare i propri ideali este ci. E questo dunque a par re ancora dai suoi sbalordi vi esordi ar s ci o, se si vuole, dalla stessa poe ca dei Valori Plas ci, da lui an cipata o ripensata semmai con singolare autonomia s lis ca in termini già allora di un

epifanico plas cismo luminoso, comunque dichiaratamente an naturalis co, così come estranea sarebbe poi rimasta per lui la disposizione classicheggiante se non esplicitamente restaura va che viceversa andava ispirando i fautori del “Novecento Italiano”, del quale egli ha fa o parte soltanto occasionalmente e per un periodo assai breve. Persino il costante ancorché dis ntamente mo vato interesse che, in quegli anni romani, egli ebbe a col vare per il costru vismo essenzialmente plas co e geometrico di Cézanne e, in seguito, per il sinte smo lineare e croma co di Ma sse, cos tuirà s molo fondamentale per ribadirne però diversamente gli assun rivoluzionari sull’esigenza, del tu o affa o personale, di ricercare e di affermare invece l’indissolubile unità nella luce tra segno e colore, tra forma e spazio, secondo un principio per lui cos tuivo che necessariamente inves va nella stessa fenomenologia dell’esperienza pi orica altri significa e valori, come a dire il quo diano e l’eterno, il vissuto e il trascendente. Pertanto l’intera storia ar s ca di Guidi non poteva allora essere, nel corso del tempo, se non appunto segnata da im-

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prevedibili e spesso radicali svolte s lis che ma anche da persisten richiami tema ci e simbolici, da ritorni e avanzamen , seguendo o, meglio, declinando in ogni caso uno sviluppo espressivo altre anto straordinario, anzi incredibilmente coerente nelle rela ve an cipazioni e riprese, giacché fondato di volta in volta sul medesimo inderogabile bisogno di formulare e manifestare, in forme quanto mai a uali, la propria concezione ontologica della luce, vale a significare dunque le istanze stesse di una visione totale e totalizzante della luce quale epifania del mistero stesso dell’essere e dell’esistenza. Sarà così anche per le prove successive, riferibili alla produzione tra gli anni Trenta e Quaranta, connotate da ulteriori aperture formali e da sconcertan rivolgimen linguis ci sia quando l’ar sta sperimenterà nodi e accen di avventurose espressività, sia quando arriverà, addiri ura, a scomporre e destru urare la compa ezza tonale e volumetrica delle sue classiche figurazioni in una sintesi di pure energie segniche e croma che liberamente dilagan sulla superficie con pervadente sconfinato afflato, sia spaziale che luminoso. Anche per simili

proponimen e acquisizioni da lui maturate e tramandate in forme ed immagini di innegabile originalità si deve, in defini va, giungere pure a riconoscere che Guidi resta un caso, in questo senso, unico tra i maggiori esponen della sua generazione, proprio perché, sebbene tu ora meno purtroppo compreso e valutato da un certo conformismo modaiolo della cri ca e del mercato, egli ha saputo di volta in volta percorrere o interpretare i tan vor cosi mutamen storici e culturali dell’epoca. Si rifle e del resto su questa profonda esigenza, sia e ca che este ca, la ragione di ogni cambiamento s lis co che ha accompagnato e mo vato per tu a la vita l’ansiosa ma fer le ricerca dell’arsta sollecitata non solo da un bisogno pur necessario di aggiornamento bensì da una imprescindibile istanza spirituale e crea va, portandolo di conseguenza, negli anni Cinquanta e Sessanta, a far proprie e trasformarle in maniera tempes vamente alterna va sia le turbolenze gestuali e materiche dell’Informale che poi le mitologie consumis che variamente ogge vate dalle iconografie massificate della Pop Art, da lui ugualmente recepite ma virate in una dimen-


sione sublimata e sublimante. E persino nell’ul ma fase, quella ormai tarda della propria operosa esistenza, il già novantenne Guidi non cesserà di provare altre strade, di offrire ancora modi e immagini di inaudita arcana bellezza. Una piccola parte della sua ul ma produzione compone quindi la mostra attuale, per di più focalizzata quasi esclusivamente sui cicli di dipin in tola , per il prevalente colore della materia usata, “Bianco su bianco”. Già in età giovanile Guidi, il quale puntava con determinante convinzione al superamento delle ormai manierate dis llazioni del naturalismo “impressionis co”, allora alquanto influente sul corso del diba to ar s co europeo, notava scrivendolo con non celata polemica in un ardito testo che: “i maestri francesi di questa corrente avevano forse confuso la luce, anche la luce naturale, con il chiaro se non con il bianco”, mentre per lui la luce era – doveva essere - in ogni momento e luogo, per ogni ogge o e realtà raffigurate, da concepire e avver re quale sostanza e fa ore interno all’energia della materia plas ca ovunque vivente; qualcosa che nella sua flagrante apparizione, nella stessa imminenza perce va, come idea

ed insieme come sen mento, cos tuiva per Guidi l’essenza primaria della forma e dello spazio. Già dunque un conce o di luce intesa quale energia cosmica che si ritroverà ancor’oggi nelle mirabili perigliose risoluzioni degli ul mi anni, sebbene ovviamente del tu o diverse per configurazione e significa . Qualche anno prima l’ar sta aveva intanto proposto a raverso il tema dell’albero un ritorno non solo di aspirazione ecologica al mondo della natura, ma anzi quale basilare riferimento, a sua volta emblema co, al rinnovamento di una condizione di perennità originaria della vita, del suo inarrestabile divenire, rappresentando infa quelle maestose archite ure vegetali con le radici addiri ura vistosamente scoperte, fuoriuscite dunque dalla terra rossa per primordiale impeto e per incontenibile gestante proliferazione. Figure insieme arche pi e reali di grandi alberi, ritra in presa dire a, a conta o ravvicinato, i cui tronchi al ssimi, raggiunta la sommità del quadro, protendevano a toccare il cielo stesso, avidi perciò di una immensità solare, espandendosi altre anto illimitatamente, lungo i margini laterali della superficie, con i loro robus rami

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colmi di un vasto fogliame, rigoglioso di verdi e di gialli arden di uno splendore assolutamente folgorante. Immagini che come sue altre di quel periodo su mo vi composi vi e tema ci tu avia differen – dalle Grandi teste agli Incontri, dagli Occhi nello spazio alle Figure agitate -­‐ vengono per l’appunto a convalidare una imprevista e quanto insolita dizione, vigorosamente espressionis ca, pulsionalmente dirompente, che egli allora andava prospe ando con lampante novità di contenu iconografici e di soluzioni formali, e che oggi sarebbe pure da considerare, in questa analoga e specifica direzione, quale inedita pronuncia di un’altra dimensione possibile della figurabilità, già decisamente an cipatrice di cer orientamen s lis ci della pi ura dei “Nuovi Selvaggi” e della stessa “Transavanguardia Italiana”. Ma sopra u o colpiva, con subitaneo risalto conce uale ed emo vo, l’intensità visionaria di quelle raffigurazioni, preludio del resto inevitabile al ciclo delle materiche pi ure bianche, come se per l’appunto l’ar sta davan alla fine dell’esistenza, poi non tanto lontana, data l’avanzata età che egli aveva raggiunto e su cui andava ormai medi-

tando con religiosa serenità, mirasse a trovare nel bianco più puro, tramite e oltre il bianco stesso, il via co estremo a quella luce assoluta che aveva tentato di ricercare e decantare in ogni mo vo e momento dell’opera. Infa l’idea e la natura misteriosamente effusiva della luce quale energia immanente della spazialità cosmica pervade e si propaga dai dipin , qui, espos dove, come si può visibilmente riscontrare, ogni annuncio e traccia di colore e di forma convergono, inestricabilmente, a suscitare ancora percezioni ed emozioni nuove, poiché quanto appare sulla superficie pi orica non è solo il segno peraltro tangibile di un pensiero e di un’immagine a orno alla dinamica relazione di materia-energia, di colore-­‐luce, ma una figurazione di per sé finora inaudita, trasformandosi addiri ura in una sindone evoca va di quella invisibile presenza che anima in sé è e di sé sia le cose terrene sia quelle celes . Cimentandosi infine con questa materia monocroma ca, dando persino irriducibile centralità a quel “non colore” e al suo opposto, il nero, Guidi dimostra in maniera concreta che la luce non può che eccedere per forza crea va interna ogni determinazione puramen-

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te sensibile del colore e della forma, ogni illusoria pretesa allora di configurarne e di rappresentarne pienamente e defini vamente la reale e da sempre nuovamente e diversamente originaria natura. Per Guidi la sostanza di questa luce è quell’altrove a cui ogni sua immagine rimanda come possibile incontro nella con ngenza rivela va di una speculazione interminabile e di un fare che ad essa si richiama nel proprio incessante impulso crea vo. Nascono da questo anelito, insieme spirituale ed espressivo, i cicli pi orici sul mo vo delle Figure agitate, orchestrate e modulate sul registro dei grigi, dei neri, dei bianchi, fantasma che tracce e movenze di sagome umane plasmate e ritmate nello spazio da una materia-segno di elementare enunciazione formale. L’ar sta che era pure arrivato a formulare una essenzialità d’immagine di indicibili trasparenze con le famose sintesi delle sue Marine astra e e spaziali, riuscendo inoltre ad inventare pologie figura ve altresì pressoché scorporate e disincarnate nell’eterea leggerezza delle sue angelicate apparizioni femminili, giungeva ora ad altri estremi di visione,

sino a sprofondare con lo sguardo dentro inquietan oscurità materiche per denunciare e rimuovere cieche tenebre spirituali e perturban abissi esistenziali. Risaltano allora ver ginosamente sullo schermo della superficie pi orica -­‐ resa in precedenza come vibrante pellicola appena impressionata per prodigiose captazioni immagina ve – le febbrili segnature e i materici stra composi vi di una gestualità invece immediata e convulsa che intride persino con violenza la levita intangibile del libero flusso luminoso, divenuto in quel bianco sudario unica e stremata effige ormai del suo corpo ossificato, anzi cristallizzato in una durezza minerale. Pochi erra ci ma infallibili segni configurano, generandoli e percorrendoli secondo oblique e contrastan dinamiche gestuali, gli infuoca spazi di quelle allucinatorie traiettorie psichiche e visuali, abita soltanto da ectoplasmi, da spe ri umani; ancora profili di figure irrompen e con le braccia alzate nell’a eggiamento di una invocazione senza fine, forse non più appellabile o già defini vamente negata per troppi inascolta ammonimen . Talvolta sui solchi e rilievi di quella spessa e grumosa materia bianca, debordan-


te dai suoi confini, inaspe atamente si incunea come uno sperone tagliente qualche lampo di rosso o di giallo, la piana stesura di una lama triangolare che non solo croma camente sfregia la superficie di quell’uniforme e mercuriale incandescenza spaziale. Così si susseguono nelle opere di quel momento, presen ugualmente alla mostra, an che e nuove tema che iconografiche ed immagina ve, gli Incontri, i Vol , le Grandi teste femminili, le Figure agitate, l’Uomo e il cielo, per finire con due strepitose figurazioni. Una di queste è la ripresa addiri ura del mo vo della “Donna che si leva”, del ’21, assumendo però un diverso tolo quello della “Prigioniera”, l’altra un’ ulteriore rappresentazione sul tema dell’Albero, il cui ciclo avviato nel ’72, risulta qui stupendamente proposto in una versione simbolica e immaginifica di assoluta insuperabile modernità per sapienza di sintesi costru va e d’invenzione lirica e formale. L’icas ca bellezza che emana la figurazione proviene in realtà da un fulgore indicibile che di sé genera ed impregna anche plas camente la stessa stru ura emergente del tronco dell’albero, inu-

sitatamente bianco, soltanto bianco sul fondo di un bianco appena diverso, e modella, a sua volta, gli ovali degli occhi, sempre della stessa tonalità. i quali fungono come fioren foglie dei rami: occhi frontalmente spalancan ed interrogan per stupori inesplicabili. Bianco su bianco è anche la mater-materia con cui Guidi plasma i lineamen a ne o rilievo della figura della Prigioniera. La donna reclusa dietro la grata, ma in effe sono delle sbarre, si erge disperata con le braccia alzate, mossa non da un senso di necessitata ribellione, bensì da un bisogno più interiore, invocante piuttosto l’urgenza di un pietas esiliata da tempo dalla storia degli uomini. Ora l’accostamento anche interpreta vo da osare per tale opera è quello possibile soltanto con l’ Urlo di Munch, probabilmente si è tra ato in questo caso per Guidi di un convergente richiamo anche ideale, peraltro non del tu o casuale né incongruo sia per pari tensione spirituale che per qualità s lis ca. Ma, diversamente, il grido della donna prigioniera non si rivolta dilagando poi sulla strada del mondo, per lei resta anzi strozzato in gola, dramma camente muto, poiché ciò che avviene, a meno che non sia già

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avvenuto e che si mostra non solo simbolicamente, riguarda addiri ura la significazione medesima della luce e l’esistenza stessa della pi ura che come altri valori, pure ritenu perenni, con nuano nel nostro mondo ad essere messi ormai in pericolo, a rischio di scomparire, azzera per sempre. Condanna pertanto a una più terribile forma di segregazione o, peggio, ad una progressiva esclusione sia culturale che sociale dovuta per lo più a quel travolgimento imperiosamente dominante del nichilismo a uale le cui prospe ve sembrano condo e ad intrappolare e vanificare ogni orizzonte. sia con ngente che futuro. Ma perciò dietro i tra quasi minimali e spesso persino imperce bili con cui Guidi ha ancora foggiato queste immagini di un mondo appunto disorientato e sconvolto, dentro la divorante ossessione di quel bianco us onante che però suggella, a sua volta, le ul me parvenze, le finali impronte di una luce ormai annichilita, fossilizzata, la cui residuale materia fisica porta visualmente quelle tragiche s mmate nel suo stesso corpo, si può e si deve propriamente intravvedere e comprendere in sostanza a quali incredibili significan esi conosci vi

alla fine fosse veramente allora approdato con le sue espressioni. Ancorché medesimamente incarcerata in quel bianco abbacinante la luce di questa pi ura guidiana risplende tuttavia di altri emblema ci presagi, personificando e descrivendo le ineffabili parabole di supreme allegorie, una luce chiamata pertanto a custodire e tramandare ancora l’incanto immutabile del suo mistero vivente e di questo poi risuona ogni evoca vo segno, ogni vibrazione della materia, ogni nervatura dello spazio e della forma di queste smaglian immagini dell’ar sta.. Nella visione di quell’umanità alla deriva, angosciata e sgomenta, come mostrano le scene sul giro delle varian a orno all’insis to ciclo delle Figure agitate, sia poi nella più governata rappresentazione di una danza allusivamente iera ca che inscenano quelle fantasma che figure di Guidi, oppure in quelle versioni pi oriche manifestan , invece, un turbinio di ges e movenze disordinate e scomposte, vi incombe inaspe atamente dall’alto, ora, un grande disco vuoto, talvolta un enorme occhio scrutatore, talaltra una enigma ca icona che sembra svolgere dal cielo il compito di sorvegliare, di am-

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monire, infine di giudicare. Ma anche vi si deve piu osto scoprire e cogliere, proprio in taluni dei mo vi sviluppa per parecchi dei dipin appunto espos , una modernissima rielaborazione invece dell’iconografia della Pentecoste, giacché tale pure significa quell’annuncio meravigliosamente abbagliante, quantunque del tu o oramai ina eso, di luce rives ta ancora di indicibile grazia, oltre il bianco nuovamente soltanto il suo puro ineffabile evento. L’evento di una luce, evocata qui da una pi ura di irraggiante fulgore, quindi una luce improvvisamente comunque ritornante, discesa ancora una volta nel mondo per risvegliare ed illuminare l’incerta e pavida, se non ormai cieca, coscienza degli uomini mancan di fede e di speranze. Une luce, certamente allo stesso modo fisica e metafisica, il cui senso profondo Guidi non aveva però mai perduto o smarrito durante il suo cammino di uomo e di ar sta, e che con queste opere, altre anto straordinarie, egli ha nuovamente consegnato a una durata senza tempo.

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 90 x 70, 1976

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, 1976

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Ii覺MmMmAaGgIi覺NnIi覺 olio su tela, cm 70 x 90, 1977

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa olio su tela, cm 70 x 90, 1976

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, 1977

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, 1976

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, 1977

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa olio su tela, cm 70 x 90, 1976

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa olio su tela, cm 70 x 90, 1978

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa olio su tela, cm 70 x 90, fine anni ‘70

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 90 x 120, 1979

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, 1978

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa BbIi覺AaNnCcAa olio su tela, cm 70 x 90, 1978

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GgRrAaNnDdEe TtEeSsTtAa BbIi覺AaNnCcAa olio su tela, cm 70 x 90, 1978

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 90 x 120, 1977

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FfIi覺GgUuRrEe AaGgIi覺TtAaTtEe olio su tela, cm 90 x 120, 1978

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FfIiıGgUuRrEe AaGgIiıTtAaTtEe olio su tela, cm 70 x 90, fine anni ‘70

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GgRrAaNnDdEe AaLlBbEeRrOo olio su tela, cm 182 x 150, 1982

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AaLlBbEeRrIi覺 olio su tela, cm 90 x 70, 1981

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DdOoNnNnAa CcHhEe SsIi覺 LlEeVvAa olio su tela, cm 120 x 90, 1981

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Gg Uu Iiı Dd Iiı Bb Iiı Oo Gg Rr Aa Ff Iiı Aa Da giovane Virgilio Guidi segue i corsi dell’Is tuto Tecnico a Roma, appassionato di geometria e disegno. Per col vare quest’ulma vocazione segue anche i corsi serali della Scuola Libera di Pi ura. Nel 1908 abbandona l’Is tuto Tecnico e va a far pra ca di pi ura nella bo ega del restauratore e decoratore romano Giovanni Capranesi il quale alla fine dell’anno lo promuove suo primo aiuto. A distanza di pochi anni, siamo nel 1911, per contras sulle tendenze della pi ura moderna, abbandona lo studio di Capranesi e si iscrive all’Accademia di Belle Ar a Roma con Aris de Sartorio. Per dissensi este ci con il

maestro lascia al secondo anno l’Accademia ed intraprende una ricerca del tu o libera ed indipendente dalle influenze del momento. Nel 1913 partecipa e vince il concorso “Lana” in pi ura bandito dall’Accademia e in questo periodo comincia ad esporre i suoi primi lavori. Partecipa alle due mostre delle secessioni romane dove si interessa in par colare dell’opera di Cezanne e di Ma sse. Per venire incontro alle necessità economiche della famiglia dal 1916 è costre o a impiegarsi presso il Genio civile a Roma, e vi rimane per due anni come disegnatore. Fra 1920 -­‐ ‘23: Dipinge alcuni dei suoi più importan quadri di figure. Ne espone nella


XIII Biennale di Venezia del 1922. Comincia a vendere i suoi dipin e frequenta la “terza sale a” del Caffé Aragno dove entra in conta o, tra altri, con Giorgio De Chirico, Giuseppe Ungare , Roberto Longhi e Vincenzo Cardarelli. Nel 1924 raggiunge il successo alla XIV Biennale di Venezia con il suo Tram. Il parere favorevole della cri ca sancisce un riconoscimento internazionale tanto che il Granducato di Lussemburgo si offre di acquistare l’opera, ma Guidi preferisce che essa rimanga in Italia (ora alla Galleria di Arte Moderna a Roma). Nel 1926 prende parte alla prima mostra del “Novecento Italiano” a Milano, al Palazzo della Permanente e parteciperà anche alla seconda, nel 1929 pur conservando una certa autonomia rispe o agli indirizzi di quella tendenza. Nel 1927 è nominato per chiara fama alla Ca edra di Pi ura presso l’Accademia di Belle Ar di Venezia, precedentemente occupata da E ore Tito. Sia nel 1928 che nel 29 partecipa alla XVI Biennale di Venezia dove presenta le prime versione le prime Marine sul tema della Giudecca. Si interessa a definire la sua poe ca anche con tes teorici alcuni dei quali saranno pubblica nel catalogo della Quadriennale Romana. Nel 1935 per contras con le tendenze prevalen nell’Accademia Veneziana è trasferito d’autorità all’Accademia Clemen na di Bologna dove rimane fino al 1944. Nel 1936 ene alla Galleria del Milione una importante mostra personale. Il 1937 è l’anno

della prima monografia che è edita a New York e curata dalla giornalista e cri ca americana Nedda Arnova, inoltre presenta sul “Bolle no d’Arte”, pubblicato a Bologna, vari saggi sulla sua ricerca di un plas cismo fondato sul trinomio luce-forma-colore. Partecipa alla XXII Biennale di Venezia con una sala personale. Inizia nel ’42 l’a vità di poeta che troverà sviluppo nelle pubblicazioni successive a datare dal 1959. In precedenza nel gabine o di Visseux a Firenze espone in una conferenza i sviluppi del suo pensiero este co e della sua poe ca ar s ca. Nel 1944 torna defini vamente a Venezia. Dal 1947 -­‐ ’48 avvia il ciclo sulle sinte che Marine Veneziane e presenta alla Biennale dello stesso anno una serie di Figure nello Spazio. E’ ancora presente alla XXIV Biennale con altri esponen del gruppo di Fontana dello Spazialismo. Con nua in seguito a sperimentare nuovi cicli pi orici sul mo vo di astrazioni sia gestuali che croma che, dialogando a suo modo, prima con l’esperienza dell’informale e poi con le nuove tendenze che andavano emergendo sulla scena internazionale. Dal 70 all’80 elabora ulteriori declinazioni sui mo vi iconografici più cara eris ci del suo repertorio, dalle Nuove Figure alle Figure Agitate, dalle Grandi Teste alle Marine Spaziali, concludendo con il ciclo sul tema del “L’Uomo ed il Cielo”, riscoprendo una matericità gestuale del tu o nuova specie nella serie dei “Bianchi su Bianco”. Muore a Venezia il 7 gennaio 1984.



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