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GIANCARLO FRANCO TRAMONTIN Sculture, forme come linguaggio Palazzo Ducale L F V
caleidoscopio arte
GIANCARLO FRANCO TRAMONTIN Sculture, forme come linguaggio galleria ravagnan
Palazzo Ducale L F V A CURA DI
S A V E R I O S I M I de B U R G I S
Stampato in occasione della mostra
giancarlo franco tramontin Sculture, forme come linguaggio P D -‐ L F -‐ V Saverio Simi de Burgis dal 13 luglio al 18 agosto 2012
T Saverio Simi de Burgis giovanni Bianchi italo zannier U maria angela riva T mark J. newman P G andrés David carrara F Ma eo De Fina italo zannier giancarlo gennaro
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giancarlo franco tramontin Sculture, forme come linguaggio S AV E R I O S I M I de B U R G I S
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La Loggia Foscara di Palazzo Ducale di Venezia ospita un selezionato numero delle più recenti sculture di Giancarlo Franco Tramontin, sculture realizzate in statuario di Carrara, in marmo nero del Belgio e in bronzo che si ambientano e trovano magicamente una loro collocazione naturale tra gli “aerei” trafori della più rappresentativa fabbrica medievale veneziana per incomparabile bellezza e apparente leggerezza. Sicuramente lo spazio definito dalle “frange di un tappeto rovesciato “ che ne connota iconograficamente la suggestiva metafora, così come è stato definito per ribadire il concetto del ribaltamento dei rapporti tra pesi ed effettivi sostegni, per lo meno rispetto ai più diffusi esempi delle coeve architetture delle città italiane e non solo, in questa occasione si coniuga perfettamente con la raffinatezza elegante delle opere esposte adeguandosi, anche nella contrapposizione dei bianchi e dei neri delle sculture, ai ritmi chiaroscurali dei pieni e dei vuoti scanditi dai particolari elementi architettonici che rendono unico e così particolare il contesto. La scultura di Tramontin rifugge dichiaratamente dal monumentale, non è retorica né celebrativa
per scelta, verte principalmente sull’ideapretesto universale del corpo femminile nudo, con tutte le sue possibili e infinite declinazioni sul tema collegato indissolubilmente a un sempre meditato concetto della forma come espressione di bellezza e stile. Per tali motivi, oltre che per i materiali utilizzati e soprattutto dalla stessa mano dell’artista elaborati nella realizzazione delle opere, la sua è, per scelta, una scultura da collocare in spazi interni. Che uno scultore abbia un senso innato dello spazio sarebbe assurdo non percepirlo, ma il fatto che Tramontin abbia scelto, al tempo degli studi accademici, come argomento della tesi, indirizzo scultura, proprio l’architettura e le sculture di Palazzo Ducale, - relatore, com’era in uso, fino a pochi anni fa, il docente di Storia dell’arte, allora un maestro quale Giuseppe De Logu, - costituisce la chiara dimostrazione che tale attitudine, ora in evidente sintonia proprio con questi spazi, l’ha sempre coinvolto e motivato dall’inizio e l’attuale mostra personale non fa che confermarlo ulteriormente. In una ricerca contrassegnata pur da un’attenta sperimentazione dei materiali più diversi, Tramontin nel suo percorso è approdato a
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una verifica diretta di quelli tradizionalmente utilizzati e così intrinseci al linguaggio della scultura, vedi il legno e soprattutto il marmo e il bronzo. I passaggi a questi ultimi materiali sono scanditi da quelli immediatamente precedenti costituiti sempre dal comune punto di partenza della meditazione su un’idea di forma che muta in continuazione e che costituisce l’effettiva cifra della ricerca. Sempre fondamentale ed essenziale rimane il disegno, che per l’artista costituisce la più diretta manifestazione di idee primigenie, pretesti sostanziali alle successive fasi di uno studio, indagatore del segno e della forma che poi viene tridimensionalmente raggiunta in primis nelle sculture lignee dove soprattutto ricorre allo jelutong , legno di origine esotica, diffuso in particolare in Malesia, che per compattezza e per l’assenza di nodi gli è il più idoneo a esprimere la purezza delle forme perseguite, le quali si impreziosiscono ulteriormente nelle successive declinazioni, in un controllato rapporto uno a uno, nei materiali più nobili del marmo e del bronzo. Bronzi e marmi ora diventano i naturali elementi che scandiscono un ritmo apparentemente scenografico ma che interven-
gono concretamente all’interno di uno spazio “formale” allo stesso tempo antico e contemporaneo come quello di Palazzo Ducale, incrementandone il reciproco valore estetico. E, infatti, oltre all’inedito “topos”, luogo immateriale della memoria, tale spazio accoglie concretamente l’attuale rassegna amalgamandosi perfettamente in un rapporto simbiotico con le sculture di Tramontin. D’altronde con la coerenza che ne contraddistingue da sempre gli esiti, le opere esposte documentano, anche in questa occasione e in termini esaurienti, il percorso creativo che parte sempre dal progetto del segno-disegno per poi definirne i passaggi nelle sculture che spesso, nella loro sottigliezza, ne conservano evidenti tracce. Opere che nelle variazioni infinite dei particolari rimangono rigorosamente, per coerente scelta dello stesso autore, pezzi unici. I riferimenti al segno, alla linea, al progetto del disegno, sono, come egli stesso ha consuetudine di sottolineare, intrinseci ai valori universali della ricerca dello scultore connaturati al linguaggio delle stesse “forme” possibili che, nel suo caso, non aderiscono più a rigide dicotomie antitetiche tra classico e anticlassico, tra gotico
e rinascimento, tra figurativo e astratto, tra informale e una scelta formale. Su tali presupposti si riscontra, quale semplice e necessario corredo rivolto ad assecondare un naturale linguaggio delle “forme”, l’attento studio condotto attraverso l’approfondimento di testi di filosofia in generale, e di estetica in particolare, quale fondamento della teoria dell’arte, così essenziale per tale tipo di analisi che si estrinseca poi nell’opera. I suoi interessi spaziano dai classici già basilari per Winckelmann e per Canova, a più recenti teorici destinati a fare scuola in ambito universitario quali Luigi Pareyson, Carlo Diano, lo storico dell’arte Sergio Bettini che con l’avidità tipica di un giovane seguiva nelle loro disquisizioni durante gli incontri padovani ai quali era invitato insieme al maestro Alberto Viani. Più solidale la frequentazione e l’amicizia con Dino Formaggio che ha voluto, poco tempo fa, commemorare facendo omaggio di una sua scultura all’Università Statale di Milano, donata in occasione del convegno organizzato e al filosofo dedicato dal Preside di Facoltà Elio Franzini che in prima persona invitò l’artista a parteciparvi quale relatore e che, fra l’altro, già a suo
tempo, si occupò dell’opera dello scultore. Su tali confronti e su un personale approfondimento del pensiero di Martin Heidegger è cresciuta la sua opera e la conseguente notevole produzione artistica che si riconduce, nello specifico della ricerca di Tramontin, alla purezza e alla semplicità arcaica dell’idea originaria dell’ “antropociottolo” per arrivare a un’idea della bellezza del corpo femminile nudo, oggetto prioritario assunto come pretesto di un’attenta indagine che, in tal senso, può anche metaforicamente ricollegarsi a un “saper vedere” e cogliere qualsiasi “cosa”, sia essa contestualizzata in un paesaggio urbano o architettonico o semplicemente immersa nella natura. Un lungo percorso, quindi, maturato nel costante prolifico, utile e vicendevole, scambio tra didattica e ricerca artistica condotta nel suo studio, e precedentemente nell’aula dell’Accademia dove ha insegnato per 40 anni e in occasione delle varie importanti mostre in sedi pubbliche, museali e private. Tramontin è consapevole che qualsiasi ricerca rimane sempre aperta, infinita e pertanto ci si arricchisce sempre di qualche dato in più. Se rimane ovviamente fondamentale il
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costante rapporto con la “grammatica” del disegno attraverso il quale Tramontin elabora in seguito i suoi progetti e le sue opere tridimensionali, altrettanto rilevante resta per lo scultore il concetto di spazio, ma anche di luce, spazio e luce elementi così importanti per la ricerca scultorea. In tale continuo movimento intellettuale e confronto, certamente si viene ad arricchire così di ulteriori voci e inediti punti di vista la corposa critica che ha accompagnato i suoi 60 anni di attività, da lui stesso sempre seguita con la dovuta attenzione e scrupolosità degli opportuni scambi dialettici tra teoria e prassi e viceversa, già raccolti e con perizia archivistica schedati in occasione della pubblicazione voluta da Mario Piantoni, assoluto esperto nella materia e che volle personalmente seguire nella meticolosa ricognizione analitico-antologica dei vari interventi. Il volume uscito dalle Edizioni della Laguna di Marino De Grassi a cura di Giusi Sartoris nel 1997 rimane un apparato critico imprescindibile per il nostro autore, ma che proprio per l’accurata e dettagliata ricostruzione documentaristica oltreché critica, necessiterebbe di un altrettanto adeguato aggiornamento che arrivi fino a
oggi. Solo così, infatti, qualsiasi lettore della scultura di Tramontin diventa consapevole interprete di una “leggerezza” che ha una sua profondità di percorso, quella dell’artista inoltratosi, in termini di reciprocità di interessi e di scambi, tra didattica e ricerca. Interessante trovare riscontro in una lettura giovanile dello stesso artista che qui riportiamo, così come afferma, direi in termini poetici più che filosofici, Luigi Pareyson nel suo Estetica. Teoria della formatività . Parole illuminanti per comprendere la forte spinta motivazionale che ha caratterizzato il suo percorso estetico: “il lettore di fronte all’opera d’arte” – afferma Pareyson – “si deve trovare in un punto di vista assai simile a quello dell’artista. Come l’artista interroga la forma futura perché essa stessa gli dichiari in felici anticipazioni come esige d’essere fatta, così il lettore interroga la forma presente, perché essa stessa gli sveli il modo in cui è stata fatta, anzi il modo in cui ha potuto e dovuto e voluto esser fatta.” Sono valutazioni che Tramontin ha sempre condiviso e paiono calzanti per ricostruire con attenzione il percorso delle scelte di ricerca, il rapporto con i lettori, gli interlocutori privilegiati quali i critici
che si sono occupati della sua opera: in molti casi, egli stesso afferma, “le letture servono a far dimenticare le forme, altre letture ti portano a comprenderne una, altre ancora distruggono la forma. Ogni libro ha qualcosa che rimane legato a una struttura formale, ossia ad un’opera.” Molti i critici con i quali ha tessuto rapporti di collaborazione e di confronto proprio su questi temi, nella maggior parte dei casi poi trasformatisi in legami di profonda amicizia. Un esaustivo excursus antologico sulla sua opera merita un’ulteriore e più meditata attenzione, proprio partendo da alcuni fondamentali passaggi che necessitano di essere ripresi accanto a quelli degli altri che via via si aggiungeranno ma che non potranno mai prescindere dalla volontà dell’artista di essersi trovato a condividere, con sempre validi interlocutori, le scelte del momento più utili alle soluzioni delle varie problematiche incontrate, ma che alla fine gli hanno consentito di raggiungere, grazie anche a un’innata e fine autocritica, nonché grazie a un raro obiettivo giudizio, la cosa più importante per un artista e per un uomo, quella di conoscere se stesso.
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giancarlo franco tramontin SculptureS, form aS language S AV E R I O S I M I de B U R G I S
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T The magical and historical setting of La Loggia Foscara, Palazzo Ducale, Venice, with its beautifully carved “fretwork” of outstanding lightness, hosts a selected number of Giancarlo Franco Tramontin’s most recent sculptures, made of Carrara stone, black Belgian marble and bronze. No doubt that the interiors and, more so, the beautiful façade of this unique Venetian Gothic Palazzo recall the “fringes of an overturned ancient carpet”, and this iconographic metaphor, so widely used to explain this architectural masterpiece, thus reinforcing the concept of an overturning rapport between weight and effective supports, in comparison with other famous examples of similar architecture present in Italian cities and elsewhere, are an ideal setting that enhance completely the elegant refinement of the works on show. In order to balance the “chiaroscuro effects” the sculptures, with their alternating blacks and whites, seem to be playing a game with the full and empty spaces that are evidenced by the famous architectural elements of La Loggia Foscara, thus making the entire context truly unique and particular. Tramontin’s work in sculpture openly refuses the idea of the monumental, it isn’t rhetori-
cal nor celebratory by choice, it aims mainly at the universal pretext-idea of the female nude, in all its potential and infinite possibilities, regarding the theme that is inextricably connected to a continually meditated concept of the form as an expression of beauty and style. For these reasons, as well as the materials used that are, most important, worked on by the artist’s own hands, Tramontin’s work is, by choice, a type of sculpture that finds its ideal setting in internal spaces. It would be absurd to ignore that a sculptor has an innate sense of space, but the fact that during his schooling Tramontin chose, as a thesis, the practice of sculpture, and specifically the architecture and sculptures of Palazzo Ducale – his thesis adviser, according to a practice in use up to a few years ago, was Maestro Giuseppe De Logu, who was also professor of Art History – and this is a clear demonstration of his attitude, which today is in obvious harmony with these spaces. This has always involved him and motivated him since the beginning and is something that the current personal exhibition only further confirms. In his research that distinguishes itself by a careful experimentation of very different materials, Tramontin
has arrived at a clear and direct examination of traditionally used materials that are so intrinsically part of the language of sculpture: wood, marble and bronze. The transition to these materials derives by those used in his last works which always have the same point of departure: a meditation on the idea of form that changes continually and that constitutes the effective point of his research. As always, drawing remains important and essential and for the artist it is the most direct demonstration of primigenial ideas, substantial pretexts to the successive phases of study, with its investigation of the sign and form which then becomes transformed 3-dimensionally in wooden sculptures where jeluton is employed above all, a wood of exotic origins, found widely throughout Malaysia, and which, for it compactness and lack of knots, is the most ideal type of material to express the purity of the shapes moulded, and which are further enhanced aesthetically in his next elaborations, in a controlled one-toone relationship, in those most noble of materials, namely marble and bronze. Bronze and marble have become by now natural elements which inform the apparently scenographic rhythm but which also
make their presence felt concretely within a “formal” space that is both ancient and modern, as is that of Palazzo Ducale, thereby mutually enhancing each other aesthetically. And, in fact, apart from the original “topos”, the immaterial place of memory, this space concretely accommodates the current show to work together perfectly in a symbiotic relationship with Tramontin’s sculptures. After all, with the coherence that has always distinguished his output, the works on display attest to, even on this occasion and in a complete way, the creative course that always starts from the plan with a sign-drawing, then progressing to the definition of transition in the sculptures which often, for their fineness, conserve evident traces thereof. Works which in their infinite variations of details remain unique pieces in the most rigorous of ways, as informed by the coherent choices of the artist. The reference to signs, lines, plan drawings are, as the artist himself often emphasizes, intrinsic to the universal values of the sculptor’s research that is deeply rooted in the language of the same 2 possible “forms” which, in his case, do not belong anymore to the strict antithetic dichotomies of classicism and anticlassicism,
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of gothic and renaissance, of figurative and abstract, of informal and formal choices. Given these premises, we can see the careful research, the simple and necessary critical apparatus to support a natural language of forms, that has been carried out through an in-depth investigation of philosophical tracts in general, of aesthetics in particular, fundamental to the theory of art, and so essential for such a type of analysis which is expressed in the work. His interests range from the once basic and classical examples of Winckelmannn and Canova, to the more recent theories that became de rigueur in university milieus of Luigi Pareyson, Carlo Diano and the art historian Sergio Bettini, who, with the typical rapacity of a young man, took in the disquisitions of the encounters in Padova to which he was invited to along with the Maestro Alberto Viani. More intense were his friendship and encounters with Dino Formaggio whom, a short while ago, he commemorated donating a sculpture to the State University of Milan on occasion of a conference organized and dedicated to the philosopher by the Head of the Faculty, Elio Franzini, who personally invited the artist to give a lecture and whom, among other things, had alrea-
dy been involved with the work of the sculptor. Through these measures and a personal in-depth examination of Martin Heidegger’s philosophy, his work increased and the resulting and remarkable artistic production which goes back, specifically in Tramontin’s research, to the purity and the archaic simplicity of the original idea of “anthropomorphic stone,” in order to come to an idea of the beauty of the female nude, an object already approached as a pretext for a careful investigation, which, in this sense, can also metaphorically reconnect itself to a “knowing how to see” and to take in any type of “thing”, when it is contextualized in a landscape that is urban, architectural, or simply immersed in nature. Thus it has been a long development, matured via a prolific constancy that is useful and eventful, in an exchange between didactics and artistic research carried out in his studio, and once in the halls of academia where he taught for 40 years and the various important shows in public, private and museums. Tramontin knows that research always remains open-ended and infinite, and in this way it enriches itself increasingly with added details. The constant relationship between the “grammar” of drawing by
which Tramontin subsequently elaborates his projects and his three-dimensional works; just as important for the sculptor is the concept of space, but also that of light: space and light are such important elements in the research of sculpture. In this continual intellectual movement and confrontation, the critics that have followed his 60-year career have also contributed to the enrichment of his work with their voices and original points of views: these are critics that Tramontin has also regarded with the utmost attention and scrupulousness for opportune dialectical exchanges concerning theory and practice and vice versa. Critical works have already been put together on the occasion of a publication by Mario Piantoni, the absolute expert in the field, who wanted to follow the analyticalanthological reconnaissance of his various work personally. The volume published by Edizioni della Laguna in 1997 by Marino De Grassi, edited by Giusi Sartoris, remains the incomparable critical apparatus for the artist, because of its precise and detailed documentary reconstruction, as well as its criticism, but there is a need to update it to the present. In fact, it is only in this way that any viewer of Tramontin’s sculptures can
become a conscientious interpreter of the “lightness” which is the result of a profound development, that of the artist’s, which conveys the terms of reciprocity between interests and exchanges, between didactics and research. It is interesting that we find this said in a letter of his youth which is reported here, where he confirms, in poetical rather than philosophical terms, in my opinion, Liugi Pareyson and his Estetica. Teoria della formatività [“Aesthetics. Theory of Forms”]. These are illuminating words that lead us to understand the strong motivational thrust that informs his aesthetic career: “the viewer in front of a work of art” – asserts Pareyson - “must find a point of view similar to that of the artist’s. As the artist questions the future form, it declares itself in felicitous anticipations as to how it wants to be made, thus the viewer must question the present form, because it unveils the way in which it has been made, that is the way in which it could and should and would like to be made.” These are considerations that Tramontini has always shared and they appear fundamental in tracing out his career and research choices with care, the relationship with viewers, and privileged voices of the critics who have shown interest in his
3-dimensional works: in many cases, he himself confirms: “interpretations serve in order to forget the forms, other interpretations bring about the understanding of one, while others destroy the form. Every book has something in it that remains connected to a formal structure, that is, a work.” Tramontin has forged many collaborative and confrontational relationships with critics on these themes, and in most of these cases, solid friendships have been formed. An exhaustive anthological excursus of his work deserves further and more careful attention, starting right from some of the fundamental developments which need to be compared to those of others that will eventually come, but which will never prescind from the will of the artist to share his choices, with experts in the field, and the momentary choices made that were most useful to coming up with solutions to the various problematics encountered, but in the end, solutions which have brought about results, due to an innate and refined self-criticism, not to mention his rare and objective judgement, that thing which is most important for an artist and a man to have: knowing oneself. 18-‐19
il roVeScio Delle immagini G I OVA N N I B I A N C H I
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Terminati i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 1956 Tramontin vince una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione per un soggiorno di studio in Grecia. Questa esperienza, accanto agli insegnamenti del suo maestro Alberto Viani, risulterà fondamentale per la sua formazione artistica, tanto che lo studio della scultura greca antica (che pone la figura umana al centro della sua produzione plastica) e le “pure” suggestioni arcaiche influenzeranno profondamente il suo modo di concepire la forma e l’evento artistico. L’interesse di Tramontin si concentra nella resa plastica del nudo, in particolare di quello femminile, sottoponendolo a continue variazioni orientate ad una estrema sintesi formale. Pur raggiungendo anche esiti astratti questi risultano essere in coerenza e in armonia con i rimandi anatomici e organici del nudo che viene caratterizzato da forme e tagli particolari, alla ricerca di una stilizzazione pura e assoluta. Il nudo viene inteso come immagine archetipa, primitiva, originaria ma anche come immagine che resiste al tempo, e dunque sempre moderna, in grado di recare in sé la memoria “storica” della
classicità. Immagine che in Tramontin è allusiva e non rappresentativa. Risulta particolarmente interessante definire il rapporto dell’artista con la “forma” che si manifesta materialmente nello spazio. Tramontin ha sempre sottolineato la grande importanza riservata al disegno, considerato come mezzo essenziale per definire e conoscere la forma, per poi impossessarsene. Certo che il passaggio dalla forma disegnata alla forma plastica può comportare il presentarsi di variabili inaspettate, il più delle volte legate al materiale prescelto. Come ha sottolineato lo stesso artista, “prima della realizzazione della forma c’è qualcosa che l’annuncia e la fa presagire, che tende ad essa e ne crea l’attesa, che orienta l’artista nella sua creazione. Si raccolgono gli appunti, gli schizzi, i disegni, gli abbozzi attraverso cui si è progressivamente delineata l’opera, e le esercitazioni e gli studi e i programmi di lavoro. L’artista studia amorosamente la materia, ne scruta, ne spia il comportamento e le reazioni: la interroga per poterla comandare, la interpreta per poterla governare, le obbedisce per poterla piegare, nasce
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un colloquio con l’opera, talvolta la materia suggerisce delle soluzioni che nel disegno, nel progetto non esistono” 1. La forma può diventare anche formula e canone, diventare una vera e propria ossessione che può anche spaventare l’artista, “una forma entra nella nostra mente e non riusciamo a staccarcene. Ci svegliamo alla mattina con questo motivo musicale, usciamo, andiamo a dormire sempre con questo motivo e così quando una forma, un’immagine è entrata dentro di noi, la disegniamo dappertutto. Una volta entrata l’unica possibilità che abbiamo per liberarci da questa forma è una lettura e soprattutto fuggire dallo studio, altrimenti la rivediamo in continuazione” 2. Il rischio è quello di bloccarsi in una ricerca assillante che si rivela incapace di cogliere le forme che mutano in un mondo che cambia, di esprimere quel senso del divenire che rende viva l’espressione artistica. Risultano pertanto importanti queste parole di Tramontin, che definiscono puntualmente il suo pensiero, “ogni forma reca in sé una fatica, ma la fatica più grande è dimenticarla, per dare libertà di pensiero a quella nuova” 3.
Nel corso degli ultimi anni Tramontin continua la sua profonda ricerca sulla “necessità” e sulla “purezza” della forma, esaltata dalla levigatezza delle superfici. I suoi materiali preferiti - il legno, il bronzo e il marmo - perdono sempre più fisicità e divengono dominio della luce che evidenzia l’incorrotta essenza delle forme. Le superfici “epidermiche” delle sue sculture, che invitano ad una esperienza tattile oltre che visiva, sono mondate da ogni più piccola imperfezione: sono lisciate, lucidate, smussate, ammorbidite; sono superfici elegantemente mosse su cui scorre la luce dando vita a leggere e fugaci ombre sfumate. Le sue opere non comunicano mai nulla di drammatico, enfatizzato da un netto contrasto di luci e di ombre, ma sempre uno stato apollineo percorso da un sottile fremito dionisiaco. I corpi stanti, distesi, rannicchiati non sono mai rigidi ma flessuosi e fluidi, e accennano a controllati movimenti, caratterizzati da una sciolta e armonica articolazione ritmica, con chiastiche rispondenze nelle membra. I sinuosi e dinamici contorni delle sculture, le cadenze delle curve, le superfici
the reVerSe SiDe of imageS G I OVA N N I B I A N C H I ondulate, solcate a volte da leggere incisioni e caratterizzate da elementi aggettanti o da cavità superficiali, suggeriscono una acerba e sublimata sensualità. Un inno pindarico alla gioventù. Un dato importante riguarda il tempo della visione di queste opere. Come è noto, per avere una visione totale di una scultura a tutto tondo bisogna girarci attorno, perchè possa essere letta da tutti i lati. Certamente vi sono punti di vista che offrono occasioni per una lettura privilegiata dell’opera nello spazio. La visione si offre dunque per successione di tempi. Le opere recenti di Tramontin, per la loro particolare plasticità, impongono almeno due momenti di “lettura” ben distinti, che hanno lo stesso valore. Innanzitutto vanno lette nella loro frontalità che permette di cogliere lo sviluppo e la continuità del modellato che è morbido, senza forti risalti e depressioni; il chiaroscuro non costruisce saldamente la forma ma l’avvolge in uno sfumato discontinuo, in cui s’alternano addensamenti e schiarite. Poi bisogna passare al “rovescio dell’immagine”, e cioè alla visione da dietro
che si presenta altrettanto importante e curata dall’artista. La visione di profilo risulta affascinante ma non permette di cogliere la continuità della figura, che si dà per piani. Tramontin tende dunque ad annullare la fisicità plastica dei volumi, la pienezza delle masse, per dare spazio ad un modellato di superficie, morbido e sensibilissimo alla luce; la “vita” di questi nudi è rivelata dall’accenno al movimento che non esprime un’azione decisa e compiuta, ma piuttosto un “essere” nello spazio come espressione dell’esistenza. Tramontin rivela ed espone alla luce le superfici levigate del nudo che sono espressione dell’imporsi della idea-forma contro la materia-forza, della natura-armonia contro la natura-potenza.
Parole di Giancarlo Franco Tramontin riportate in F. Bizzotto, M. Agazzi (a cura di), Colore segno progetto spazio. Giuseppe Mazzariol e gli “Incontri con gli artisti”, Il Poligrafo, Padova 2009, p. 85. 2 Ivi, p.86. 3 Parole di Giancarlo Franco Tramontin riportate nell’intervista rilasciata a Mario Piantoni in G. Sartoris (a cura di), Giancarlo Franco Tramontin, Edizioni della Laguna 1997, p. 322. 1
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When Tramontin completed his studies at the Academy of Fine Arts of Venice, in 1956, he went to study in Greece having won a scholarship from the Ministry of Education. This experience, along with the teachings of his Professor and mentor, Alberto Viani, was to be important in his artistic training, so much so that his studies of ancient Greek sculpture (which posits a human figure as its focus) and the “pure” archaic evocations would deeply influence his way of conceiving artistic form and event. Tramontin’s interests lie in the so-called “plastic arts” of the nude, specifically the female nude, for which he exercised constant variations directed at an extreme formal synthesis. Even though the results are abstract, they are also coherent and in harmony with anatomic and organic references of the nude, which is characterized by particular shapes and cuts, in the search for a pure and absolute style. The nude is seen as an archetypal, primitive and a primary image, but also it is also associated with images that are timeless, and therefore modern, and capable of expressing the “historical” memory of classical times. Tramontin’s images are allusive and not figurative. It is particularly interesting to define the re-
lationship of the artist with the “form” which materially manifests itself in space. Tramontin has always underlined the great importance that drawing has, when it is considered as an essential means to define and recognize form, in order to possess it. It is true that the passing from drawn form to the 3-dimensional form can bring about unexpected variables, which are usually linked to the materials selected. As the artist himself has emphasized, “before realizing the form, there is something that announces it and that foretells it, something that goes towards the form and creates the expectation, and this is what orients the artist during his creation. Notes are made and there are brief sketches, drawings and drafts which progressively begin to delineate the work, or there are the working programs, exercises and studies. The artist studies the material with great passion, he scrutinizes it, he ekes out its behavior and reactions: he enquires into it, in order to be able to take command of it; he interprets it in order to be able to control it, and he obeys it in order to work with it, and as a consequence, a dialogue opens up with the work, so much so that sometimes the material offers solutions which did not exist in the drawing
or project”.1 The form can become both formula and canon, becoming a true and proper obsession that can unsettle the artist: “a form enters into our mind and we cannot get it out of our head. We wake up in the morning with this musical motif, we go out, and we go to sleep, always with this motif, and as such when a form, an image has entered within us, we draw it everywhere. Once it has entered, the only way we have of freeing ourselves from it is to make an interpretation and to leave the research behind, or otherwise we keep on seeing it over and over again.”2 There is a risk that the artist may get trapped in a type of obsessive research which makes him incapable of seeing the forms that change in a world that change and to express that sense of becoming which makes the artistic expression live. Tramontin has something important to say in the definition of his thoughts: “every form has within it a struggle, but the hardest struggle is forgetting it, so as to be able to free up thought processes to new ones”.3 Over the last few years, Tramontin has continued his in-depth research into “necessity” and the “pureness” of form, exalted
as it is by the smoothness of the surfaces. His favourite materials – wood, bronze and marble - lose more and more physicality to become a dominion of light that reveals the uncorrupted essence of the forms. The “epidermic” surfaces of his sculptures, which provide a tactile experience as well as visual, are purified by very small imperfections: they are smooth, shiny, rounded off, softened; they are elegantly articulated surfaces where the light flows to give life to light and fleeting fading shadows. His works do not communicate anything dramatic, which is emphasized by the contrast of light and shadow, and they always chart an Apollonian course with a subtle Dionysian frisson. The sitting, stretched-out, crouching bodies are never stiff, instead they are supple and fluid, and they seem to be making controlled movements, which can be seen in their relaxed, harmonious and rhythmical articulation, with crisscross correlations along the different parts of the bodies. The sinewy and dynamic outlines of the sculptures, the cadences of the curves, the undulating surfaces, the sparodic grooves with their light incisions and characterized by projecting elements or superficial cavi-
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ties, all combine to evoke a youthful and sublime sensuality. A Pindaric hymn to youth. An important thing is the time passed in looking at these works. As we know, in order to have a total view of a sculpture, that is fluid and shaped on all sides, it is necessary to go behind them, because it is here that their entirety can be seen. There are certainly view points that provide occasions for a privileged interpretation of the work in space. The visual is offered over a succession of time. Due to their particular sculptured nature, Tramontin’s recent works impose at least two well-defined moments of “interpretation” which have the same value. Most of all, they are to be seen from the front in order to see the development and continuity of the modeling which is soft, without dramatic protusions and depressions; the chiaroscuro effect does not lead to a solid form, but it embues it in an interrupted shadow, in which light and dark alternate. But it is also necessary to see a “back view of the image”, that is, the view from behind which is just as important and elaborated by the artist.
The view from the side is fascinating but it does not show the continuity of the figure which comes out on different levels. Tramontin tends to cancel out the moulded qualities of the volumes, the fullness of the masses, in order to highlight the surface modeling which is soft and very sensitive to the light; the “life” in these nudes is revealed through hints at movement, a movement which is not expressed through decisive and complete actions, but rather a “being” within space as an expression of existence. Tramontin reveals and exposes the light of the smooth surfaces of the nude which are the expression of imposing the form idea against the strength of the material, of nature and harmony against nature and power
Giancarlo Franco Tramontin’s words reported in F. Bizzotto, M. Agazzi (curators), Colore segno progetto spazio. Giuseppe Mazzariol e gli “Incontri con gli artisti”, Il Poligrafo, Padua 2009, p. 85. 2 Ibid., p.86. 3 Giancarlo Franco Tramontin’s words reported in an interview with Mario Piantoni in G. Sartoris (curator), Giancarlo Franco Tramontin, Edizioni della Laguna 1997, p. 322. 1
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2 MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2012 -
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2 MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2012 - C M .94 X 48 X 7
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II MARMO NERO DEL BELGIO - 2009 - C M .82 X 52 X 7
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D
BRONZO NERO - 2012 - C M .70 X 64 X 7
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A
BRONZO BRUNITO - 1990 - C M .83 X 52 X 8
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II MARMO NERO DEL BELGIO - 2011 - C M .85 X 46 X 6
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S
3
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2011 - C M .82 X 49 X 6
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N
BRONZO BRUNITO - 2011 - C M .86 X 46 X 7
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N
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2011 - C M .85 X 49 X 5
48-‐49
F
II
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2011 - C M .83 X 50 X 5
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T
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2007 - C M .75 X 38 X 6
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B
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2005 - C M .76 X 40 X 7
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N
BRONZO NERO - 2011 - C M .84 X 46 X 7
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P
2 MARMO NERO DEL BELGIO - 2012 - C M .83 X 62 X 9
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S
II
MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2011 - C M .89 X 44 X 5
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MARMO STATUARIO DI CARRARA - 2011 - C M .84 X 46 X 6
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P
BRONZO BRUNITO - 2011 - C M .84 X 47 X 7
fotografie Di italo zannier S
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A CURA DI
S A V E R I O S I M I de B U R G I S E VALENTINA LUNARDELLI
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la Scultura Di giancarlo tramontin Dal DiSegno alla fotografia I TA LO Z A N N I E R
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Secondo Arturo Martini, la fotografia non sarebbe stata in grado di “riprodurre” la scultura, e quindi, nonostante la necessità, anche sua, di documentazione e di comunicazione, ne lamentava la specifica bidimensionalità di queste immagini. Al riguardo scrisse anche un breve testo, quasi di protesta e comunque di provocatoria delusione. In effetti, questo ipotetico handicap della fotografia – l’essere fissata su due dimensioni -, riguarda qualsiasi soggetto, l’architettura in primis e, ovviamente, il ritratto. Per quest’ultimo i criminologi positivisti di fine 8oo, inesorabilmente tesi a definire “obiettivamente” l’identità fisionomica delle persone criminali, adottarono un rigoroso binomio di immagini, una ripresa frontale e l’altra di fianco. Vennero eseguite anche simultaneamente, con un procedimento reso possibile dalle cosiddette “gemelle Ellero”, un marchingegno fotografico, progettato da Umberto Ellero, direttore della Scuola di polizia a Roma, nei primi anni del Novecento. L’anelito massimo della fotografia, che infine costituisce il suo “sogno” ancestrale, è di istituirsi come “doppio” del-
la realtà, come “memoria”, meglio se rimpicciolita e possibilmente tascabile. Così sembrò essere un dagherrotipo (subito definito “specchio con la memoria”), via via passando, nel tempo degli ultimi centosettant’anni, alle suggestioni “realistiche” della stereografia, degli anaglifi, del cinematografo, della televisione, per giungere alla magica olografia (“fotografia globale”, venne definita ) e quindi a Internet e a tutto il resto futuribile. Alla fine dell’800 si tentò anche la scultura fotografica , per la quale vennero progettati complessi apparecchi, che consentivano di modellare in copia un ritratto a tutto tondo, servendosi della fotografia. Ma il risultato non convinse, soprattutto perché, paradossalmente, quel “calco” tecnologico non assomigliava sufficientemente al soggetto! Ahimè, neppure la fotografia offrì, come si sperava, garanzie di verosimiglianza , ma soltanto sembianze, simulacri. ( Evviva ; forse è proprio questo che l’uomo desidera e spera !) Invece della fotografia, può invece risultare rassomigliante , e finalmente simile al vero , l’astrazione di un limpido nudo in marmo di Giancarlo Tramontin.
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Questo nasce dall’ Idea di un corpo, dal suo simulacro mentale, che l’autore trasferisce quindi con scalpello e martello. E poi lima e accarezza il corpo finale, vero più del vero, come una magica sembianza. La fotografia, a questo punto, potrà quindi testimoniare l’opera, non come riproduzione, ma come trascrizione o, se si preferisce, una traduzione, che a sua volta è mentale ed estetica, tendente a esprimere il vero significato dell’opera, anche nella energica sintesi di una singola immagine e non necessariamente in una sequenza, come avremmo comunque potuto suggerire all’anelante Martini, girando a balzi attorno al corpo scultoreo. Certamente la sequenza, come osservava nel 1932 Laszlo Moholy-Nagy, può essere “il culmine logico della fotografia”, perché ad essa “non può essere applicato alcun canone dell’estetica pittorica…”, ma in effetti egli pensava al cinematografo, mentre ogni immagine “statica” ( fotografica), anche in una serie, possiede, quando ce l’ha, una valenza figurativa autonoma, dalla quale non si sfugge. Dal disegno alla fotografia e la scultura sta nel mezzo, ossia l’opera può vivere
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in tre mezzi espressivi, secondo linguaggi articolati nel tempo e nello spazio. Linguaggi che varrebbe mettere a confronto nel loro divenire, dall’Idea emozionale dell’artista, al segno grafico progettuale, al corpo tattile e formoso, e infine alla sua immagine , una sembianza , che a sua volta nasce da un’ Idea, foto-grafica questa volta, buona o falsa che sia. L’esperienza recente che ho avuto con la scultura di Giancarlo Tramontin - negli spazi di una suggestiva esposizione delle opere a Treviso e nel suo magico Atelier veneziano - , mi ha stimolato d’impulso a cercare di coglierne soprattutto la bellezza , per farla possibilmente rivivere nella fotografia, non come riproduzione, ma come Idea di una realtà trasfigurata, nel passaggio dal disegno allo spessore del marmo e quindi ancora alla sintesi bidimensionale dell’immagine evocativa della sua Luce corporea. La fotografia, credo, può comunque anche aiutare a comprendere l’oggettosoggetto, sia questo di una persona, di un paesaggio, di una scultura. Ci hanno provato, tra gli altri, Medardo Rosso o Constantin Brancusi, entrambi anche straordinari fotografi, filtran-
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do nell’emulsione fotografica il senso dell’opera e persino, in particolare Medardo, riferire, anzi trasferire su di essa i segni dinamici della luce, la luce della modernità, com’è quella della Fotografia. Un genere di immagine che si è nel frattempo integrata a tutto il resto, nell’evolversi della nostra Era, che possiamo definire dell’Iconismo, da Daguerre a Bill Gates. La luminosità delle opere di Giancarlo Tramontin, anelano all’astrazione, un sintomo che mi è parso di intravedere nel mirino dell’apparecchio fotografico, già prima del cosiddetto “scatto”. Un’ idea infiltrata nella mente proprio nell’attimo dell’azione, che un pulsante infine consente di definire persino come un concetto. Una lettura, “ da un punto di vista, in un determinato momento ”, che è in sintonia con la luce immanente sull’oggetto e definisce in sintesi la sua oggettuale bellezza e quindi il significato, che in quell’attimo – il gesto fotografico -, definisce in immagine l’”insistenza” intelligente dello sguardo sul soggetto. 68-‐69
Lignano Pineta, 9 maggio 2012.
the SculPtureS of giancarlo tramontin from DraWing to pHotograpHY I TA LO Z A N N I E R
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According to Arturo Martini, photography would not have been able to “reproduce” sculpture, and therefore, despite the necessity, including his, of documenting and comunicating, he complained about the specific two dimensionality of these images. He wrote a small essay on this, almost as a protest and provocatory delusion in the end. In fact, this hypothetical handicap of photography – to be trapped in two dimensions – concerns any subject, with architecture at the fore and obviously, portraits. For the latter, positivist criminologists at the end of the 19th century, inexorably directed at “objectively” defining physionomic identities of criminals, adopted a rigorous dual image, one from the front and the other from the side. This was carried out at the same time, with a procedure made possible by the so-called “Ellero twins”, a system of cameras invented by Umberto Ellero, director of the School of Police in Rome, at the beginning of the 20th century. The greatest desire of photography and its ultimate ancestral “dream” is to institute itself as a “foil” to reality, like “me-
mory”, and better yet if it is smaller and possible pocket-size. As such, it seemed to be a daguerreotype (immediately called “mirror with a memory”) and slowly in the last 170 years it opened itself up to the “realistic” evocations of stereography, anaglyphs, cinematography, television and right up to holography (called “global photography”) and then onto Internet and future possibilities. At the end of the 19th century, there was an attempt to make photographic sculptures , for which complex devices were planned that permitted modelling a 3-dimensional copy of a portrait, using photography. But the results were not convincing, especially because, but paradoxically so, technological “moulding” did not look like the subject enough! Alas, not even photography provides, as was hoped for, a guarantee of verisimiltude, but rather mere semblances and shadowy likenesses. ( Hallelujah ; this is what man really wants and hopes for!) Even more than a photograph then, it is the clean abstraction of a marble nude by Giancarlo Tramontin that can resemble reality, and that is finally true to life.
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This comes from the Idea of a body, of its mental likeness, which the artist transfers with his hammer and scalpel. And then he polishes it and strokes the final body, more real than real, like a magical semblance. At this point, photography can therefore give witness to the work, not as a reproduction, but as a transcription, or in other words, a translation, which in turn is mental and aesthetic, tending to express the real meaning of the work, even in the energetic synthesis of a single image and not necessarily a sequence, as we could have suggested to the ever longing Martini, jumping around the sculpture of a body. A sequence can certainly be, as Laszlo Moholy-Nagy observed in 1932, “the logical pinnacle of photography ...” but, in effect, he was thinking of cinematography, whereas every “static” (photographic) image, even in a series, possesses, when indeed it does, an autonomous figurative value, from which it can not escape. Sculpture stands in the middle between drawing and photography, or in other words, the work can come to life in three types of expression, according to
languages articulated in time and space. Languages that try to confront their development, from the emotional Idea of the artist, to the “graphic sign” plan, to the shapely and tactile body and finally to its image, a semblance, which in turn develops out of an Idea, this time photographic , and true or false as it may be. The recent experiences I have had with Giancarlo Tramontin’s sculptures – in an evocative exhibition space in Treviso (Italy) and his magical Venetian atelier – have stimulated me to search out beauty, most of all in order to bring it back actively into photography, not as reproduction, but as an Idea of transformed reality, in the path from drawing to the thickness of marble and, therefore, to the two-dimensional synthesis of the image that evokes its bodily Light. I think that photography can, anyway, also help lead to an understanding of the subject-object, whether it be a person, a landscape or a sculpture. Many have tried, including Medardo Rosso and Constantin Brancusi, both of whom were extraordinary photographers, capable of filtering from the photographic emulsion the meaning of a work and
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even – in particular, Medardo – refer, or more precisely, transfer upon it dynamic signs of light, the light of modernity, like that of Photography. A type of image that has, in the meantime, become integrated with everything else, through its evolution in our times, which we can define as Iconism, from Daguerre to Bill Gates. The brightness of light in Giancarlo Tramontin’s works leaning towards abstraction is a symptom that appears to emanate from the camera’s viewfinder, even before the so-called “clicking” of a photograph. An idea filtered through the mind in the moment of action, that the shutter release button permits to define even as a concept. An interpretation, “from a point of view, in a determined moment,” which is attuned to the immanent light on the object and that synthesizes its objectified beauty and therefore its meaning, and which in that moment – in the photographic act – visualizes the intelligent “insistence” of the subject’s gaze onto its object.
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l’occhio Di italo zannier DoVe germinano le forme
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Biografia
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GIANCARLO FRANCO TRAMONTIN è nato a Venezia nel 1931. Ha compiuto gli studi di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove è stato allievo e poi assistente di Alberto Viani. Successivamente è diventato titolare della cattedra di scultura nella medesima Accademia. Dai primi anni ’50 ha esposto in numerose mostre personali ed è stato invitato a partecipare, ottenendo premi e riconoscimenti, alle più importanti rassegne nazionali e internazionali, tra le quali citiamo: Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia dal 1957 al 1965; VI Mostra Internazionale d’Arte Figurativa, Gorizia 1958; Concorso Internazionale del Bronzetto di Padova dal 1959 al 1975; 3° premio Concorso Internazionale di Scultura, Biennale di Carrara 1962; Biennale Nazionale d’Arte, Verona 1961-63; Fondazione Querini Stampalia, sala Luzzato, Venezia 1964, 1970, 1982; Teatro La Fenice, sale Apollinee, Venezia 1968; XXXV Biennale Internazionale d’arte di Venezia, 1970; Immagini e Strutture nel Ferro e nell’Acciaio, Rassegna In-
ternazionale di Scultura Contemporanea, Repubblica di San Marino, 1979; XLII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1986; Aspetti della Scultura Contemporanea 1900-1989, Forni Scultura, Bologna 1989; Il Tempo del Marmo e quello del Bronzo, BerlinoNeuchâtel-Carrara, 1998; Renconte Européenne de Sculpture, Montauban, 2001; ‘900 all’Accademia, Opere per il Nuovo Museo, Gallerie dell’Accademia, Venezia 2001 e Villa Manin, Passariano, Udine 2002; Het Depot, “Nieuwen Asnkopen”, Wageningen, Olanda 2008; XIII Biennale Internazionale, Carrara Laboratori di Scultura 2008, Statuaria d’Arte; Museo di Santa Caterina, Treviso 2012; Het Depot, “Hommage Ann Italie”, Wageningen, Olanda 2012; “Giancarlo Franco Tramontin. Sculture, forme come linguaggio”, Palazzo Ducale, Loggia Foscara, Venezia 2012. Sue opere si trovano in musei e collezioni in Italia e all’estero. Documentazione dettagliata presso l’Archivio Storico della Biennale di Venezia e presso la Biblioteca della Fondazione C. L. Ragghianti di Lucca.
BiograPhY
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GIANCARLO FRANCO TRAMONTIN was born in Venice. He completed his studies in sculpture at the Academy of Fine Arts in Venice where he was a student and then assistant to Alberto Viani. Following this, he became a professor of sculpture at the same institute. From the 50s on he has had many personal shows and been invited to participate in many important Italian and international exhibitions, where he has received prizes and recognition. To cite a few: Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia from 1957 to 1965; VI Mostra Internazionale d’Arte Figurativa, Gorizia 1958; Concorso Internazionale del Bronzetto, Padua from 1959 to 1975; 3rd prize in the Concorso Internazionale di Scultura, Biennale di Carrara 1962; Biennale Nazionale d’Arte, Verona 1961-63; Fondazione Querini Stampalia, sala Luzzato, Venezia 1964, 1970, 1982; Teatro La Fenice, sale Apollinee, Venezia 1968; XXXV Biennale Internazionale d’arte di Venezia, 1970; Immagini e Strutture nel Ferro e nell’Acciaio, Rassegna Internazionale di Scultura Contemporanea, Repubblica di San Mari-
no, 1979; XLII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, 1986; Aspetti della Scultura Contemporanea 1900-1989, Forni Scultura, Bologna 1989; Il Tempo del Marmo e quello del Bronzo, Berlino-Neuchâtel-Carrara, 1998; Renconte Européenne de Sculpture, Montauban, 2001; ‘900 all’Accademia, Opere per il Nuovo Museo, Gallerie dell’Accademia, Venezia 2001 and Villa Manin, Passariano, Udine 2002; Het Depot, “Nieuwen Asnkopen”, Wageningen, Holland 2008; XIII Biennale Internazionale, Carrara Laboratori di Scultura 2008, Statuaria d’Arte; Museo di Santa Caterina, Treviso 2012; Het Depot, “Hommage Ann Italie”, Wageningen, Olanda 2012; Palazzo Ducale, Loggia Foscara “Giancarlo Franco Tramontin. Sculture, forme come linguaggio”, Saint Mark’s Square, Venice 2012. His works can be found in musems and collections in Italy and abroad. Detailed documentation is available at the Historic Archives of the Venice Biennial and in the Library of the Fondazione C.L. Ragghianti in Lucca.
Si sono occupati della sua produzione artistica: Critics who have written about the artist:
U. Apolionio, G.C. Argan, L.M. Barbero, F. Battolini, G. Belli, G. Bianchi, E. Bordignon Favero, L. Bortolatto, S. Branzi, L. Caramel, D. Carlesi, G. Cecchini, D. Collovini, E. Crispolti, F. De Santi, E. Di Martino, G. Dal Canton, G. Dorfles, W. Dorigo, D. Formaggio, E. Franzini, C. Giumelli, D. Marangon, G. Marchiori, G. Mazzariol, N. Miceli, L. Panzeri, S. Perin, G. Perocco, M. Piantoni, G.M. Pilo, E. Pouchard, C.L. Ragghianti, A. Restucci, M. Riccionì, M. Rizzante, P. Rizzi, H.P. Rohde, F. Rolla, P.C. Santini, G. Sartoris, L. Scardino, G. Segato, L. Serravalli, S. Simi de Burgis, I. Tomassoni, T. Toniato, D. Valeri, M. Valsecchi, S. Viani, F. Vincitorio, P. Zampetti, I. Zannier, J. Zibransen.
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un ringraziamento a:
A NTONIO A MOROSO PAOLA B ALDARI VALENTINA L UNARDELLI GIAMPAOLO P AVAN GIULIA S ERSALE
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