B&G N°17

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anno IV - numero 17 | marzo - maggio 2011 | € 5,00

Direzione Cina

Prospettive di business e nuove opportunità

Stumenti per innovare

Le scelte per vincere la sfida competitiva e il valore degli intangibili

Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino

Lady technology

Roberta Cocco, Direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia, spiega il vantaggio della tecnologia per le donne che lavorano

Protagonisti

Giovanni Azzone Josè Manuel Barroso Marco Fabbrini Marco Lorenzi Maurizio Nava Thomas Rosenthal Gianpaolo Rossi Milène Sicca Enzo Vitale Mark Zuckerberg

L’Italian Style vince nel mondo

Intervista a Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino, un grande marchio del Made in Italy rinomato in tutte le tavole del mondo


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Editoriale di Mauro Milesi Complessità, conoscenza e diversità Legenda delle icone di lettura

La globalizzazione e gli sviluppi della crisi hanno obbligato sempre di più le imprese a vivere in un contesto di maggiore complessità. Vincere la sfida competitiva all’interno di que-

Business & Gentlemen ha studiato dei richiami grafici per aiutare la “naviga-

sta complessità diventa ovviamente più difficile, ma anche più stimolante. Il mondo che ci

zione” dei servizi e offrire informazioni

circonda sarà sempre più vario, variabile e indeterminato e lo strumento fondamentale per

aggiuntive.

operare e crescere in questa prospettiva è quello della conoscenza. Oggi la conoscenza è un

Innanzitutto ogni articolo presenta

valore aggiunto determinate, soprattutto se è legata alle persone. Infatti, l’intelligenza tec-

un’icona che ne identifica la tipologia

nica e ripetitiva delle macchine e dei software standard non sono più in grado di soddisfare

di contenuto:

molti dei nuovi bisogni e di interpretare correttamente gli scenari. Al contrario le persone

Giornalistico: servizi, approfondimenti,

hanno una conoscenza che potremmo definire fluida: è flessibile, analitica e creativa. Que-

interviste realizzate dai nostri giornali-

sto capitale lo riscopriamo in moltissime delle nostre Pmi, che hanno l’imprenditore e le

sti e dai collaboratori B&G.

persone al centro del loro processo di sviluppo. Nell’economia della complessità, la capacità

Tecnico-scientifico: studi e ricerche

di essere competitivi è legata all’apporto di diversità e unicità rispetto al resto del mercato.

che hanno una connotazione tecnico-

Il nostro costo del lavoro, la burocrazia, le limitate infrastrutture ci rendono incapaci di

scientifica e che sono realizzati da esperti, docenti o studiosi.

competere sul puro piano produttivo a livello globale. Dobbiamo, quindi, essere in grado di distinguerci off rendo valore aggiunto attraverso un’economia della conoscenza. La capa-

Divulgativo: notizie, curiosità, anteprime, focus di carattere divulgativo sui

cità di generare nuove idee e servizi innovativi deve integrarsi con alcuni fattori tipici del

temi d’interesse generale: dalla moda ai

Made in Italy, ma essere in grado di andare oltre. Da un lato la nostra conoscenza è la no-

motori, dall’arte al design.

stra diversità sono spesso legati al territorio, al contesto in cui operiamo, dall’altro dobbia-

Inoltre la lettura può riservare informazioni aggiuntive con le seguenti icone

mo essere in grado di rendere questa “localizzazione” un elemento esportabile, dematerializzabile, moltiplicabile anche fuori dai nostri confini. Questa è una sfida determinante in particolare per il nostro manifatturiero che deve necessariamente essere in grado di gestire

Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico

la nuova complessità, confrontandosi e superando i competitor di altri Paesi emergenti. Spesso le nostre Pmi non sono ancora pronte a questo passaggio, ma possono e devono

Url: la segnalazione di siti e portali sul tema trattato

contare su un’arma determinante: la rete. E’ possibile fare squadra, attraverso partnership che possano colmare i nostri gap e presentarci al mercato con un sistema più completo.

Argomenti correlati: segnalazione

Oggi la “politica dell’orticello” ha davvero perso ogni significato perché ancora una volta la

di servizi B&G che trattano argomenti

complessità ci mette alla prova su un piano non solo più alto, ma anche più ampio. Quin-

simili

di dovremo sempre più prepararci a fare gli adeguati investimenti per operare in questa

Citazione: un ipse dixit che impreziosisce

economia della conoscenza. Le aziende dovranno investire di più sul capitale intellettuale

il discorso trattato

(per generare idee, creatività, innovazione) e sul capitale relazionale (per costruire reti e

Bibliografia: la segnalazione biblio-

partnership che ci rendano più strutturati e amplifichino le nostre potenzialità). Infine,

grafica collegata all’argomento

bisogna preparare le persone a lavorare a rischio in questa complessità. Dovranno nascere nuove generazioni di imprenditori e di lavoratori, veri professionisti della conoscenza, capaci di creare e comunicare la propria differenza specifica a nuovi clienti e nuovi mercati. Sapendo, ovviamente, mettersi in gioco.

B&G è anche onli online! Non una semplice vetri vetrina della rivista, ma un magazine vero e proprio dedicato al mondo delle imprese, del d business e del lifestyle. Servizi quotidiani e approfondimenti suddivisi in cana canali tematici: dall’economia ai personaggi, dall’internazionalizzazione ai giri di poltrona, p dalle fiere all’Ict. E poi, i canali dedicati all’intrattenimento e al lusso: yacht, ya motori, gioielli, orologi, viaggi e molto altro. Visita V il nuovo sito di B&G: www.businessgentlemen.it

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Sommario numero 17 | marzo - maggio 2011

6.

Editoriale

46.

Complessità, conoscenza e diversità

10.

Abstract

Intervista al Rettore del Politecnico di Milano

50.

Pillole di B&G dedicate al pubblico estero

12.

Europa e Sviluppo

Innovazione

54.

Globalizzazione

58.

Amplifon

62.

Univet

66.

Capobianco

70.

Gib Italia Service

72.

Cogliati

92.

Uomo dell’anno

Crescita Aziendale

76.

Pubblicità controproducente

78.

Sistemi di misura

Nautica Trawler e Lobster, il futuro delle barche da pesca

96.

Golf Ha preso il via la sesta edizione della Travel Cup

100. USA i grandi parchi

L’importanza di saper pianificare con cura e attenzione ogni dettaglio

Il felice connubbio tra vetro e innovazione

Libro La pianificazione strategica, chiave di successo per le imprese

Il ruolo della simulazione per innovare, ridurre costi e migliorare i prodotti

La risk intelligence al servizio delle imprese

42.

90.

Incentive

Energia in Italia Le novità alla luce del decreto sulle rinnovabili

Il perchè della nomina di Mark Zuckerberg, creatore di Facebook

il successo della qualità e del “made with love”

38.

88.

Intervista a Enzo Vitale di Hotelplan sul mercato del viaggi per le aziende

La sfida tutta italiana nel mercato antinfortunistico

34.

Formazione Manageriale

Lavoro Uno studio di Linkedin sui mesi ideali per avere la promozione

Giampaolo Rossi le nuove frontiere per formare alla leadership

Il successo nel mercato degli apparecchi acustici

30.

86.

Marco Fabbrini

Business Reengineering Trasformare le idee in business per fare la differenza

Intervista all’ad dell’International Tobacco Aceny

Sulla rotta della Cina: quali le opportunità per le imprese italiane

26.

84.

Lady IT

Internazionalizzazione I criteri legali di scelta di un intermediario all’estero

Roberta Cocco di Microsoft racconta l’importanza del web per le donne

Gli strumenti indispensabili a manager e imprenditori per innovare

18.

82.

Stefano Agostini

Neuromarketing Il rapporto tra design thinking e neuroscienze

L’amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino. L’Italian style nel mondo

Intervento del Presidente Barroso sulle prospettive di crescita

14.

80.

Giovanni Azzone

Viaggio attraverso i luoghi più caratteristici e belli degli States

104. Fiere

Come creare un sistema di misurazione efficiente in aziende

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Business&Gentlemen

marzo - maggio 2011

Nuggets of B&G

We dedicate the English abstracts of some of the most interesting articles published on this issue to the foreign business public happening to leaf through B&G

On the road to China It has become the second largest economic power in the world, surpassing Japan in terms of gross domestic product. We are talking about China, whose GDP grew 10.3% in 2010, boosted by a 9.8% expansion – faster than expected – in the fourth quarter. Although the data is still not official, around 2,200 Italian companies operate in China and 60-70 Chinese

The tools to innovate

English version

Sharing experiences, being aware of one’s uniqueness, giving a concrete value to a network, knowing how to invent, learning and, above all, being able to take risks. Innovation and the long and complicated process of change towards a completely new future require entrepreneurs and managers to question old schemes and to discover new ones. Schemes where words such as “network”, “invention”, “knowledge”, “training” and “intangible assets” continue to

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be used. So how is innovation achieved? This thought elicits many different viewpoints from professors, entrepreneurs, institutional authorities and managers, among which Stefano Zambon, Full Professor of Business Economics at the University of Ferrara, Enzo Rullani, Professor of Knowledge-Based Economy TeDIS (Venice International University) and Andrea Pontremoli, CEO of Dallara Automobili and former president of IBM.

multinational enterprises in Italy. Over 35 thousand small businesses have been opened in Italy by Chinese people. We analysed the opportunities offered by the Chinese market by interviewing Thomas Rosenthal, Head of the CeSIF – Centre for Economic Studies of the Italy-China Foundation and a handful of businessmen who knew how to be successful in the East.

Focus on research to improve the quality of life in Italy

Research, skill development, training of internationally qualified human capital and an ambitious fi nal objective: to improve the quality of life in Italy. Giovanni Azzone, one of the youngest rectors in the Politecnico University of Milan, has been focusing on these key points since the day of his election last June. On the strength of his 30year experience in the Milan university, fi rst as a student and then as a professor, Azzone is aware of the critical importance of research as a basic value of the University and a critical resource for a country’s progress. The Politecnico of Milan was classified by the Financial Times as the 75th best school in Europe, the only Italian school with three master’s courses.


Abstracts

Sanpellegrino, 110 years of success

Women and technology, a cut above the rest

A business model built on history, tradition and love for the Italian way of life and, above all, on the quality of a natural resource such as water. We are talking about the history of the Sanpellegrino Group, an internationally renowned brand and pure expression of “Made In Italy” that succeeded in combining the values of the Nestle Waters multinational group, to which is has belonged since 1997, with a history of over 110 years. Stefano Agostini, CEO of the Group describes what lies behind the success that brought Sanpellegrino to 178th place in the classification of Italy’s 1,500 biggest industrial groups (2010 Mediobanca report). “Our success comes from 110 years of very consistent work which has allowed the company to export a quality product, supported by the Italian way of life”.

A successful career filled with passion and enthusiasm, the desire to grow and learn and the strong will to build a family without having to sacrifice the joys of being a mother and wife. Roberta Cocco, Central Marketing Director of Microsoft Italy, has already achieved this goal and continues to travel down this path in the knowledge that tech-

nology can be a real ally for women and mark a turning point. This has led her to create, together with other colleagues, the Futuro@lfemminile project aimed at developing advantageous conditions so that women, through technology, can express their potential and thus contribute to the social and economic development of the country.

A trip through the most characteristic and beautiful places in the United States. From San Francisco, the most beautiful city in California, to the Big Apple, passing through Nevada, the national parks of the North and the Grand Canyon. The USA is a land of great distances: thousands of kilometres of roads, some truly legendary, which pass through deserts, plains, canyons and mountains. There are people who would love to discover its territories, getting behind the wheel of a car and travelling along the legendary coast-to-coast route in long, almost infinite times! The itinerary proposed by Hotelplan offers USA lovers the possibility to discover the immense spaces of the West, and its natural wonders, as well as the not-to-be-missed frenetic madness of New York in a tour of 15 days/13 nights that also includes an Italian-speaking guide.

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English version

Discover the United States: from large parks to the frenzy of New York


Business&Gentlemen

marzo - maggio 2011

Ricostituire prospettive di crescita di lungo termine Pubblichiamo il discorso che il Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso ha tenuto, via video, al Convegno della Fondazione Italcementi dal titolo “L’Europa ai confi ni dello sviluppo” di José Manuel Barroso Presidente della Commissione Europea Signore, signori, [...] state affrontando un tema importante e delicato in un momento di forte criticità per l’Unione Europea e vorrei condividere con voi alcune nostre riflessioni. Anche se intravediamo ormai i primi segnali di ripresa, la crisi che ha colpito le nostre economie avrà ripercussioni molto estese. Gli effetti a lungo termine sulla crescita potenziale sono di difficile valutazione oggi, ma i rischi sono rilevanti, almeno in certi settori e in certe aree. La crisi ha avuto impatti diversi nel mondo. Rispetto all’Unione Europea, gli Stati Uniti hanno subito un aumento più marcato della disoccupazione e del deficit. Ma gli Stati Membri, a loro volta, hanno visto un declino significativo della loro competitività in campo internazionale, accompagnato dalla dilatazione del gap produttivo. Evitare la stagnazione in uno scenario di maggiore concorrenza globale e in un contesto di finanza pubblica insostenibile: questo è l’obiettivo verso il quale devono mirare l’Unione Europea, i governi nazionali e l’industria in generale. La crisi deve costituire l’occasione per affrontare una volta per tutte il tema della competitività globale dell’Europa. Il 12 gennaio la Commissione Europea ha fatto un annuncio programmatico forte e ambizioso in relazione alla propria strategia economica Europa 2020. Si tratta di un’analisi annuale della crescita economica che segna sia l’inizio del semestre europeo per il coordinamento delle politiche, sia l’adozione della nostra strategia economica per la UE. Io credo – e questo è il messaggio che la Commissione Europea vuole indirizzare con il massimo della chiarezza e il massimo della forza a tutti i capi di Stato – che l’Europa non possa più rimandare il consolidamento delle finanze pubbliche, la riforma del settore finanziario, l’introduzione rapida di riforme strutturali urgenti e di misure a sostegno della crescita. Durante la crisi abbiamo imparato una lezione innegabile, e cioè che i legami tra le economie degli Stati Membri sono indissolubili, nel bene e nel male. Il coordinamento delle politiche diventa quindi un prerequisito irrinunciabile per poter rispondere alle sfide economiche. Un coordinamento di questo tipo è essenziale. Dobbiamo aumentare la governance economica all’interno della zona dell’euro e su scala europea. Per questa ragione l’Unione Europea ha deciso di modificare la propria governance economica creando un “Semestre europeo” per il coordinamento preventivo delle politiche. In pratica, ogni go12

verno nazionale presenterà le proprie politiche economiche e i bu get nazionali all’Unione Europea, prima del loro avvio formale. In questo modo, i ministri e i capi di Stato disporranno di strumenti più efficaci quando, a Bruxelles, dovranno affrontare le sfide economiche europee. Tali sfide sono numerose, ma credo che quelle più urgenti siano chiaramente indicate nel documento programmatico appena pubblicato dalla Commissione Europea. Raggiungere uno stato di rigoroso consolidamento fiscale e garantire la stabilità del nostro sistema finanziario sono passi cruciali per il funzionamento corretto, senza squilibri dannosi, delle nostre economie. La ripresa è già partita, ma è troppo lenta e non sufficientemente diffusa. Perché l’Europa prosperi nell’arena globale, dovrà essere in grado di attirare nuovi capitali privati, in misura importante, per finanziare la propria crescita, dovrà ottimizzare le risorse del Mercato Unico e dovrà ridurre i costi energetici. Lo stato di salute delle imprese dovrà essere valutato su base periodica rispetto all’evoluzione del contesto economico e normativo complessivo, facendo sì che le aziende operino in condizioni favorevoli allo sviluppo, senza il peso di inutili oneri amministrativi. Non dimentichiamo infine che la crisi ha distrutto milioni di posti di lavoro. L’Europa non può correre il rischio di un ritorno alla crescita in assenza di un incremento dell’occupazione. In altre parole, i governi dovranno finalmente agire in modo coraggioso, avviando riforme occupazionali che rendano più allettante il lavoro, alleggerendo le imposte sul lavoro e riformando i sistemi pensionistici. Ecco, questi sono alcuni nostri pensieri che spero possano contribuire alla risposta dell’Unione Europea alle comuni sfide dell’economia. Mi auguro anche che possano ispirare le vostre scelte come protagonisti dell’industria europea che affronta le criticità del momento. Sono sicuro che l’Europa ce la farà. Per questo ci serve un impegno più forte da parte di tutta l’Unione Europea e di tutti gli Stati Membri. Ma ci serve anche il vostro impegno di operatori economici, perché siamo arrivati al momento della verità per il futuro dell’economia europea. |

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marzo - maggio 2011

Quali strumenti per innovare

La vera innovazione parte dalla conoscenza, dalla condivisione delle esperienze in un network e dalla costruzione di una propria unicità. Alle idee devono seguire gli investimenti, la smaterializzazione e la diffusione. Sono questi i punti chiave toccati in un workshop organizzato da Warrant Group e Knowita alla presenza di manager e imprenditori testo di Laura Di Teodoro

Mettere in condivisione le esperienze, avere la consapevolezza della propria unicità, dare un valore concreto al network, sapere inventare, conoscere e soprattutto saper rischiare. Di fronte all’innovazione, al lungo e complesso processo di cambiamento verso un futuro completamente nuovo, imprenditori e manager sono chiamati a mettere in discussione vecchi schemi per trovarne e scoprirne di nuovi. Schemi in cui tornano spesso parole come “rete”, “invenzione”, “conoscenze”, “formazione” e “intangibile”. “E’ finita l’epoca del “fai da te” - commenta Sebastiano Barisoni, Caporedattore News Radio 24 de Il Sole 24 Ore, nell’ambito del workshop “Integrare per Innovare” organizzato nei giorni scorsi a Milano, da Warrant Group e Knowita -. La piccola e media impresa degli anni ‘70 e ‘80 è cresciuta con un difetto: non pianificava e andava avanti senza la consapevolezza del perchè le cose succedevano in un determinato modo. Ora è finita questa epoca e non possiamo più permetterci azioni o mosse libere, ci deve essere una consapevolezza e una conoscenza di fondo”. Come costruire questa innovazione quindi? La riflessione ha visto snocciolarsi punti di vista differenti di docenti, imprenditori, autorità istituzionali e 14

manager, tra cui Stefano Zambon, professore Ordinario di Economia Aziendale dell’Università di Ferrara, Enzo Rullani, Professore di Economia della Conoscenza TeDIS (Venice International University) e Andrea Pontremoli, amministratore delegato di Dallara Automobili ed ex AD di IBM. Secondo Zambon per innovare bisogna prima di tutto “capire, inventare, conoscere, educare, organizzare, gestire, informare, valutare, investire e rischiare”. Ergo partire con il capire gli insegnamenti e gli strascichi lasciati da questa crisi per arrivare a “inventare non solo tecnologie o idee brillanti ma lasciando che una strategia emergente possa apparire ed essere conosciuta”. L’innovazione, a detta di Zambon, presuppone conoscenze e una formazione di fondo perchè ogni novità va “organizzata, pensata, pianificata, coordinata e ordinata”, sia esternamente che internamente ad ogni azienda. L’innovazione andrebbe quindi gestita (passando attraverso la collaborazione quale nuova sfida), protetta e soprattutto fatta conoscere e, in ultimo, bisogna investirci tenendo conto della componente “rischio”. Una lezione che Andrea Pontremoli ha conosciuto e messo in pratica in IBM prima e in Dallara oggi. La parola d’ordine per il

Un momento della tavola rotonda

Stefano Zambon, professore Ordinario di Economia Aziendale dell’Università di Ferrara


Sulla strada delle idee

Nuove sfide e strumenti per lo sviluppo integrato Ricerca, innovazione e internazionalizzazione. Sono queste le tre leve su cui puntare per ridare competitività alle imprese. Ne è convinto Fiorenzo Bellelli, Presidente di Warrent Group. La tensione finanziaria, l’incertezza mondiale, la scarsa patrimonializzazione delle imprese e la crisi dei distretti industriali, hanno portato a un indebolimento del tessuto economico e imprenditoriale. Per rinsaldarlo “le imprese devono ripartire dalla competitività- sostiene Bellelli – e quindi dalla ricerca, dall’innovazione e dall’internazionalizzazione”. Un’innovazione che però deve essere il più radicale possibile e non “semplicemente” di processo: “L’innovazione radicale richiede il concorso di: conoscenze e competenze diverse e soluzioni creative ed originali che non sempre sono reperibili all’interno dell’azienda”. Il supporto di università e centri di ricerca diventa indispensabile. La terza leva è l’internazionalizzazione, oggetto negli ultimi anni di un approccio “spesso causale e poco sistematico” e che andrebbe affrontato con strumenti di supporto ad hoc e soprattutto con risorse precise. E proprio il capitale umano unito all’investimento nell’educazione e nella formazione diventano fondamentali per migliorare le performance dell’azienda. Nell’ambito del proprio intervento, Bellelli ha presentato WIN Warrant International Network, una metodologia nata all’interno di Warrant Group per sostenere il percorso di crescita delle imprese attraverso un supporto integrato in grado di intervenire a 360 gradi su tutte le leve necessarie allo sviluppo. “Win intende integrare le competenze delle 4 aree chiave necessarie alle imprese: ricerca e innovazione, internazionalizzazione, equilibrata struttura patrimoniale e capitale intellettuale. Tutte le informazioni raccolte aggiornano quotidianamente il database di Warrant Group e vengono messe a disposizione del network di imprese nella gestione efficace ed efficiente dei loro progetti, in contesti anche molto differenti. Fare rete significa essere in grado di condividere informazioni e implementare progetti attraverso lo scambio intelligente di conoscenza, tecnologia e servizi”.

Direttore dell’azienda più importante al mondo per costruzione di macchine da corsa, resta l’unicità. “Le aziende chiuse non saranno mai innovative. Un imprenditore deve essere in grado di dire “Solo io” e non “Anch’io”. Un’azienda deve essere unica e deve avere una posizione precisa nel mercato. In Dallara investiamo circa il 30% in innovazione e da sempre abbiamo scelto di seguire solo alcune cose su cui continuamo a investire, il resto ci arriva da fuori. Una scelta che premia. Se sono unico mi vengono a cercare i grandi e questo significa che ho un mio preciso know how che altri non

possono copiarmi. Per crescere bisogna essere un metro avanti agli altri”. Come? Partendo dalla formazione. “Siamo cresciuti a compartimenti stagni quindi per innovare bisogna mettersi in condivisione e riuscire a capire l’altro”. Non esiste innovazione senza rischio e di questo ne è consapevole il professor Enzo Rullani. “Il futuro è di chi fa investimenti a rischio – afferma -. Gli imprenditori devono essere consapevoli che continuando a seguire un treno che non è il loro, rischiano di perdere le loro diversità e unicità”. La vera scommessa del futuro resta una: investire su un’idea e trovare i

Fiorenzo Bellelli, Presidente di Warrent Group

Enzo Rullani, Professore di Economia della Conoscenza TeDIS

giusti compagni di viaggio, innovare e mettersi in rete e per farlo bisogna dare valore a tutto quanto è immateriale. “La maggior parte delle nostre imprese ha investito in assets tangibili, poco o niente nell’immateriale.

Il valore aggiunto oggi è dato dalla qualità delle idee, dei significati, delle esperienze e dei servizi, ergo dall’intangibile il cui valore di mercato dipende totalmente dal futuro e dalle idee che abbiamo al riguardo Finora lo sviluppo senza investimenti immateriali è stato un vantaggio perché ha ridotto le barriere all’ingresso per le neoimprese e ha abbattuto i costi nella competizione – prosegue Rullani -, ma nel capitalismo globale della conoscenza di oggi questo è diventato un limite”. 15


Business&Gentlemen

marzo - maggio 2011

I dieci trend da qui al 2020 Come sarà la società nel 2020? Una domanda a cui ha risposto Domenico De Masi, professore di Sociologia del Lavoro, dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza, attraverso 10 punti che toccano tutti gli aspetti, da quello anagrafico a quello economico: 1. Longevità: Nel 2020 la popolazione mondiale sarà un miliardo più di oggi. L’Aids e molti tipi di cancro saranno debellati; la fecondazione artificiale e la clonazione umana saranno all’ordine del giorno; il biossido di carbonio dell’atmosfera sarà reso innocuo; i ciechi potranno vedere attraverso apparati artificiali. Si potrà vivere fi no a 850.000 ore, rispetto alle attuali 700.000. Un cittadino su tre avrà più di 60 anni. Vivranno più a lungo le persone più scolarizzate e con relazioni sociali più intense. Ci saranno 50 milioni di malati di Alzheimer, 60 milioni di malati di febbre “dengue” e un miliardo di obesi. La maggioranza delle persone diventa vecchia soltanto nell’ultimo anno della propria vita, durante il quale le spese farmaceutiche sono pari alla cifra impiegata per comprare medicine in tutti gli anni della vita precedente. 2. Tecnologia: Nel 2020 gran parte delle automobili andranno ad idrogeno e saranno teleguidate. La durata dei beni di consumo sarà il triplo di quella attuale. Per la legge di Moore, la potenza di un chip raddoppia ogni 18 mesi: dunque, nel 2020 sarà piccolo quasi quanto un neurone umano e la sua potenza supererà un miliardo di transistor. Il XXI secolo sarà segnato dall’ingegneria genetica. Gli elaboratori saranno capaci di svolgere tutte le mansioni ripetitive, molte mansioni flessibili, alcune attività creative. Grazie all’informatica affettiva, i robot saranno dotati di empatia. Potremo portare in un taschino tutta la musica, i fi lm, i libri, l’arte e la cultura del mondo. Resterà il problema di come trasferire questo patrimonio dal taschino al cervello. 3. Economia: Nel 2020 il PIL pro-capite nel mondo sarà di 15.000 dollari, contro gli attuali 8.000. L’Occidente avrà ridotto del 15% il proprio potere d’acquisto. La classe media rappresenterà il 50% della popolazione mondiale. Il Primo Mondo conserverà il primato nella produzione di idee ma riuscirà sempre meno a saccheggiare i Paesi poveri. I Paesi emergenti produrranno soprattutto beni materiali. Il Terzo Mondo fornirà materie prime e manodopera a basso costo. L’Africa resterà il continente più povero del mondo. L’Europa dei 27 resterà il più grande blocco economico, con la migliore qualità della vita. La Cina avrà un PIL uguale a quello degli Stati Uniti, avrà le maggiori riserve valutarie, sarà il maggiore acquirente di automobili e il principale produttore di reverse innovation. Avrà le maggiori banche del mondo e 15 megalopoli con più di 25 milioni di abitanti. Accanto ai Bric (Brasile, Russia, India, Cina), saranno emersi i Civets

16

(Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia, Sud Africa). In tutti questi paesi, aumenteranno i consumi e l’inquinamento. Nella manutenzione domestica e nella produzione energetica avanzerà il “fai da te”. 4. Lavoro: Nel 2020 i lavori manuali e quelli intellettuali ma esecutivi saranno assorbiti dalle macchine, trasferiti nei Paesi emergenti o affidati a immigrati. I creativi (30%) occuperanno la parte centrale del mercato, più garantita e retribuita. Si esprimeranno senza orario né sede, attraverso un’attività che possiamo chiamare “ozio creativo” in cui lavoro, studio e gioco si confondono tra loro, si destrutturano nel tempo e nello spazio, si femminilizzano, si organizzano per obiettivi, dipendono dalla motivazione. Gli addetti ai lavori esecutivi (40%), lavoreranno con minori garanzie, per un massimo di 60,000 ore in tutta la loro vita. Tutti gli altri (30%) avranno il diritto di consumare, non di produrre. Sarà sempre più necessario e complesso ridistribuire la ricchezza, il lavoro, il sapere e il potere. 5. Ubiquità e plasmabilità: Nel 2020 la rete avrà trasformato il mondo intero in un’unica agorà capace di rappresentare tutto l’amore e tutto l’odio del mondo. Potremo metterci in contatto ovunque e con chiunque, in qualsiasi punto del pianeta, senza muovere un passo. Tele-


Sulla strada delle idee

apprenderemo, tele-lavoreremo, tele-ameremo, ci tele-divertiremo. Correremo perciò il rischio di diventare obesi per mancanza di moto e troppo astratti per mancanza di contatti materiali con i nostri simili. L’obesità cronica riduce la vita di 10 anni. Grazie alla chirurgia plastica, l’estetica dei nostri corpi potrà essere modificata a piacimento. Grazie alla farmacologia, ciascuno potrà inibire i propri sentimenti, acuirli, simularli o combinarli. 6. Tempo libero: Nel 2020 ogni ventenne ha davanti a sé più di 600.000 ore di vita. Per gli addetti a mansioni esecutive, il lavoro occuperà solo 60.000 ore, cioè un decimo della vita adulta. 240.000 ore saranno dedicate alla cura del corpo (sonno, care, ecc.) e 300.000 al tempo libero. Dunque ogni ventenne destinato a lavori esecutivi, disporrà di un tempo libero cinque volte superiore al tempo di lavoro. Occorrerà dunque formarci al tempo libero, fi n da oggi, più di quanto usiamo formarci al tempo di lavoro. 7. Androginia: Nel 2020 in tutto il mondo le donne vivranno almeno tre anni più degli uomini. Il 60% degli studenti universitari, dei laureati e dei possessori di master saranno donne. Molte donne sposeranno un uomo più giovane di loro. Molte avranno un figlio senza avere un marito, mentre agli uomini non sarà ancora possibile avere un figlio senza avere una moglie. Per tutto questo, le donne saranno al centro del sistema sociale e ne gestiranno il potere con la durezza che deriva dai torti subìti nei diecimila anni precedenti. 8. Etica: Nel 2020 il mondo sarà più ricco ma resterà ineguale. Oggi una mucca da latte in Europa riceve un sussidio di 913 dollari mentre un abitante dell’Africa sub-sahariana riceve 8 dollari. Nonostante il fenomeno del mainstream, la visibilità delle disuguaglianze alimenterà movimenti e confl itti. D’altra parte il 70% dei lavoratori lavorerà nel settore terziario. Nella società dei servizi, l’affidabilità delle prestazioni e la loro qualità costituiranno il primo vantaggio competitivo; l’etica dei professionisti costituirà il loro requisito più apprezzato. Come la società industriale è stata più onesta e trasparente di quella rurale, così la società postindustriale sarà più onesta e trasparente di quella industriale. Dunque, se vorremo avere successo, ci toccherà essere galantuomini. 9. Estetica: Nel 2020 i credenti si appelleranno soprattutto alla fede, i laici soprattutto all’estetica che, più di ogni altra disciplina, si incarica dell’umana felicità. Le tecnologie saranno più precise di quanto occorra a coloro che le useranno: già oggi gli orologi da polso spostano solo un milionesimo di secondo all’anno e sono 200 volte più precisi di quanto occorra ai normali utenti. Ne consegue che la qualità formale degli oggetti interesserà più della loro scontata perfezione tecnica. Perciò l’estetica diventerà uno dei principali fattori competitivi e chi si dedicherà ad attività estetiche sarà più gratificato di chi si dedicherà ad attività pratiche. 10. Cultura: Nel 2020 l’omologazione globale prevarrà sull’identità locale. Si terrà sempre meno conto degli Statinazione e sempre più conto della biosfera. Tuttavia, ognuno tenderà a diversificarsi dagli altri per quanto riguarda i desideri, i gusti, i comportamenti individuali. Il Washington consensus (mercato + pluralismo + libertà) sarà insidiato dal Beijing consensus (“socialismo di mercato” + partito unico + autoritarismo). L’Africa sarà il continente con il maggior numero di monoteisti (640 milioni di cristiani e 700 milioni di islamici). L’istruzione sarà intesa come formazione permanente e occuperà almeno 100.000 ore della vita. La maggiore produzione e trasmissione del sapere avverrà secondo il criterio di “molti per molti” (Wikipedia, Etsy, Facebook, sistema Abreu, ecc.).

Il valore aggiunto oggi è dato dalla qualità delle idee, dei significati, delle esperienze e dei servizi, ergo dall’intangibile “il cui valore di mercato dipende totalmente dal futuro e dalle idee che abbiamo al riguardo”. Le idee differenziano l’impresa, fornendole la possibilità di conseguire in futuro un profitto differenziale rispetto alla norma. Affinchè queste idee possano essere propagate secondo Rullani, sono due le leve da sfruttare: la globalizzazione e la smaterializzazione. La prima permette di aumentare i moltiplicatori delle buone idee, la seconda è indispensabile per separare le idee dalle persone, dalle aziende e da contesti unici e difficilmente riproducibili. “L’esistenza di grandi moltiplicatori connessi ai mercati globali è dunque un formidabile incentivo a smaterializzare le buone idee estraendola dal suo contesto materiale di origine e propagandola in forma di codici, moduli, significati, modelli estetici, esperienze, identità, servizi e attenzione forniti al cliente (modelli riproducibili). Il significato (modello ecc.), separato dal prodotto, può essere riprodotto e trasferito a costo basso e in tempo breve da un capo all’altro del pianeta”. E se innovare significa condividere ecco che il sistema “rete” diventa fondamentale per “ridurre i costi, gli investimenti richiesti, aumentare il valore ottenuto da ciascuno con l’uso della propria conoscenza – conclude il professor Rullani -, perchè la rete mette a disposizione le economie di scala del sistema”. Sull’importanza del network è tornato Mirano Sancin, direttore generale e consigliere delegato del Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso che, sottolineando il valore dell’integrazione e della condivisione di esperienze per recuperare competività e redditività, ha raccontato l’esperienza di uno dei più concreti esempi di innovazione messa in rete. Il Kilometro Rosso infatti è nato con la missione principale di valorizzare l’effettosistema del processo innovativo nelle sue componenti economiche, tecnologiche, sociologiche e istituzionali e realizzare un forte legame tra scienza di base, ricerca industriale, sviluppo tecnologico e innovazione. Nel giro di pochi anni è riuscito ad attivare un circolo virtuoso attraverso la collaborazione e le sinergie tra realtà differenti. | L’innovazione consiste nel vedere cio’ che hanno visto tutti pensando ciò che non ha pensato nessuno. Albert Szent-Gyorgyi www.knowita.it www.warrantgroup.eu

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marzo - maggio 2011

Sulla

rotta della CINA La Cina ha sorpassato il Giappone diventando la seconda potenza mondiale dietro agli Stati Uniti. Cresce il Pil interno e aumentano gli investimenti in Ricerca e Sviluppo per ridurre la dipendenza del Paese dalla tecnologia importata. Intervista a Thomas Rosenthal della Fondazione Italia-Cina sulle opportunità di business e crescita per l’Italia testi di Laura Di Teodoro

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Guardando a Oriente

E’ diventata la seconda potenza economica mondiale sorpassando il paese del Sol Levante in termini di prodotto interno lordo. Stiamo parlando della Cina il cui Pil, in termini reali, sarebbe aumentato del 10,3% nel corso del 2010, grazie a un buon incremento – superiore alla maggior parte delle attese – nella parte finale dell’esercizio, pari al 9,8%. Ad oggi, anche se i dati non sono ufficiali, sarebbero circa 2.200 le imprese italiane presenti in Cina e 60-70 le multinazionali cinesi presenti in Italia, oltre alle 35mile piccole imprese avviate da cinesi nel nostro Paese. Numeri che, a detta di Thomas Rosenthal Responsabile del CESIF - Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina - dovrebbero diventare una leva per avviare relazioni Italia-Cina biunivoche, ovvero sia ricercando opportunità di crescita a Pechino e di contro cercando di attrarre le risorse dalla Cina, “che siano risorse umane, capitali e turisti”. Il motivo? La Cina sta crescendo su molti fronti tra cui quello della ricerca e dello sviluppo, settore in cui è cresciuta di quasi dieci volte nell’ultimo decennio, toccando il massimo di 543,3 miliardi di RMB nel 2009. Le linee guida nazionali per lo sviluppo scientifico e tecnologico raccomandano una riduzione della dipendenza del Paese dalla tecnologia importata, dall’attuale 50% al 30% o meno entro il 2020. “Dovremo essere bravi a stringere accordi con università e ricercatori cinesi per fare un lavoro di squadra – spiega Rosenthal -. Dobbiamo legare i capitali cinesi con la ricerca e la competenza tecnologica. Un tempo si ricercavano partner occidentali, oggi, magari, dobbiamo lavorare con questi Paesi emergenti”. La Cina vede nell’Italia un mercato strategico. Come creare una continua sinergia tra questi due Paesi? E’ vero oggi ma in passato Wen Jiabao, Primo Ministro del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese e il Presidente Hu Jintao hanno più volte saltato l’Italia. Solo quest’anno, in occasione dell’anno culturale della Cina in Italia, i rapporti sono ripresi. Per loro l’Italia rappresenta un mercato di interesse non dal punto di vista numerico ma dal punto di vista del prestigio: siamo uno dei paesi più ricchi del mondo, nonostante la crisi, abbiamo un’economia sviluppata e un certo know how. Potremmo avere un valore strategico maggiore legato alla nostra posizione geografica ma la mancanza di porti attrezzati e infrastrutture ci penalizza, molto. Quali restano le maggiori opportunità di successo in Cina per l’imprenditoria italiana? Quali i principali settori? Anche se storicamente si parla del Made in Italy, il vero successo è legato alla meccanica allargata, sia per l’esportazione di macchinari italiani sia perchè la Cina è diventata una piattaforma produttiva per società italiane che hanno delocalizzato la produzione. Come Fondazione Italia Cina abbiamo collaborato con una ventina di realtà private e pubbliche. Le regioni italiane più attive in questo senso sono Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Marche. Quali caratteristiche deve avere un’azienda o una società che decide di entrare nel mercato cinese? Secondo noi tutte le realtà, di tutti i settori, ce la possono fare. La dimensione conta ma non è comunque un limite, lo conferma il fatto che la maggior parte sono piccole e medie imprese. Contano sicuramente: la precedente storia di internazionalizzazione che l’azienda ha portato avanti negli anni; la presenza di risorse umane preparate; una disposizione di risorse finanziarie adeguate. Inoltre non deve mancare l’investimento in una consulenza di un certo livello, accompagnato da molta informazione e da un processo di marketing intelligence. Come Fondazine Italia Cina supportiamo le imprese con workshop e momenti formativi. Inoltre pubblichiamo annualmente il rapporto sull’economia cinese. L’8 marzo abbiamo presentato il nuovo numero della rivista di studio sulla Cina contemporanea. 19


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marzo - maggio 2011

Danilo Falappa, una storia imprenditoriale dall’Italia alla Cina

Danilo Falappa, presidente di Joy Electronics

Dall’Adriatico a Zhuhai, cuore industriale della Cina. Una storia imprenditoriale di successo tanto da essere destinataria del prestigioso premio, “Capital Elite – Piccola impresa in Cina”, in occasione dei China Awards 2010. E’ la storia di Danilo Falappa, giovane imprenditore quarantenne di Ancona e presidente di Joy Electronics, realtà produttiva specializzata nei prodotti Health Care, Personal Care, Baby Line e piccolo elettrodomestico in generale. Fondendo il design, il know how italiano e la produzione cinese, Falappa nel 2004 ha creato un’azienda che serve oltre 30 brand leader in molti paesi del mondo: Russia, Austria, Australia, Brasile, Spagna, Portogallo, Olanda, Germania, USA, Polonia, Romania, Malesia, Corea e Giappone. L’azienda produce anche marchi propri che commercializza direttamente. I motivi che hanno spinto Falappa a intraprendere un’avventura imprenditoriale in Cina, e precisamente nella città di Zhuhai sono principalmente due: da una parte i costi più competitivi e dall’altra la necessità di passare dall’essere importatore a diventare produttore. “Mi resi conto che sempre più produttori cinesi tendevano a approvigionarsi direttamente dai nostri fornitori, saltando quindi l’anello degli importatori. Inoltre volendo vendere prodotti di elettronica, i prezzi rispetto al mercato cinese non erano competitivi”. La carriera La carriera di Falappa inizia nel 1989 come subagente con l’Agenzia di zona della Irradio, per poi passare nel ’91 al Gruppo Ditron. Nel 1994 la proprietà dal Gruppo decide di cedere alcuni rami dell’azienda per concentrare l’attività sul marchio Casio. Danilo Faloppa agente per le regioni Marche e Umbria, forte di un risultato 20

Contenuti e storie per favorire il flusso di idee tra Italia e Cina Far crescere ed educare ai valori delle nuove generazioni passando dai libri, da racconti per l’infanzia quali Geronimo Stilton, creando così un flusso di idee. Un obiettivo che ha permesso a Claudia Mazzucco, amministratore delegato di Atlantyca Entertainment di ricevere dalla Fondazione Italia Cina e da Milano Finanza il premio Capital Elite Manager Donna 2010, come riconoscimento per il significativo lavoro svolto nella diff usione della creatività Made in Italy nel mercato cinese. Atlantyca Entertainment è stata fondata nel settembre del 2006 dal famoso editore e imprenditore Pietro Marietti che, insieme a Elisabetta Dami, ha dato vita a uno dei fenomeni editoriali di maggior successo nella letteratura per ragazzi: la famosissima collana di libri per bambini Geronimo Stilton. L’azienda, insieme al partner per la co-produzione Moonscoop, ha prodotto la serie animata “Geronimo Stilton” lanciata in tutta Europa nell’autunno del 2009. Nel gennaio 2010, l’azienda ha aperto un ufficio a Pechino. Al momento Atlantyca ha già sottoscritto più di 300 contratti di traduzione con le case editrici italiane più importanti tra cui Mondadori, Piemme, Edizioni EL. Come ci racconta la stessa Claudia Mazzucco, “Atlantyca ha venduto 45 milioni di libri nel mondo (dati del 2009) e i dati del 2010 lasciano ben sperare”. Con la sua società Atlantyca rappresenta una delle eccellenze della creatività Made in Italy. Quali sono i segreti di un così affermato successo? Siamo stati i primi a sfruttare il modello transmediale nel 2007, utilizzando diversi formati di media. Non solo perché da sempre, per noi, sono molto importanti i contenuti. Prendiamo come esempio Geronimo Stilton: la sua speciale caratteristica è quella di essere un personaggio che è riuscito a coniugare da una parte il lato divertente e dall’altra il valore educativo e pedagogico. I bambini leggono Stilton facilmente, percepiscono le emozione, interiorizzano quelli

Secondo un recente studio del Georgia institute of technology statunitense, entro il prossimo decennio la Cina supererà gli Stati Uniti nella capacità di trasformare la sua ricerca e sviluppo in prodotti e servizi. Cosa rende la Cina così dinamica e innovativa? Sicuramente la programmazione. Il nuovo piano quinquennale varerà per la prima volta politiche mirate a stimolare l’innovazione a livello locale e ulteriori forme di supporto e programmi di incentivi saranno garantiti alle imprese cinesi in modo da stimolare la generazione d’innovazione. L’obiettivo è quello di non continuare a fare affidamento su tecnologie importate, assorbite o sviluppate attraverso joint-ventures ma di puntare su innovazioni puramente locali. Le linee guida nazionali per lo sviluppo scientifico e tecnologico raccomandano una riduzione della dipendenza del Paese dalla

tecnologia importata, dall’attuale 50% al 30% o meno entro il 2020 (la media dei paesi sviluppati è di circa il 10%, secondo l’Accademia Cinese delle Scienze). Non vogliono infatti cadere nella stagnazione che ha colpito il Giappone e per farlo è fondamentale promuovere innovazione e ricerca creativa a partire dalle università. La spesa in R&S in Cina è cresciuta di quasi dieci volte nell’ultimo decennio, toccando il massimo di 543,3 miliardi di RMB nel 2009. L’anno scorso il CeSIF ha evidenziato un incremento sostanziale nel numero di progetti di R&S in Cina che si giustifica principalmente con le attività di imprese e di istituti di ricerca cinesi che intendono generare innovazione per sostenere la futura crescita e competitività. Molte società straniere nei settori ad alto contenuto tecnologico come nanotecnologia, materiali sintetici, biotecnologia,


Guardando a Oriente

che sono i valori. È lo zio ideale dei bambini: timido, ha paura, ha le sue fragilità e le sue forze. Non solo, ogni notizia viene verificata per cui i contenuti sono reali ed educativi. Lo stesso vale per gli altri libri i cui contenuti riescono a coniugare divertimento e insegnamento. Come è stata la sua personale esperienza in Cina? Quando sono sbarcata all’aeroporto cinese per la prima volta ho sentito un’energia particolare. La gente lì è determinata, entusiasta della vita e del lavoro; hanno degli obiettivi e vedono nel futuro una promessa e una speranza. Sono arrivata a Pechino nel 2008, in occasione della Fiera del Libro e l’accoglienza è stata speciale. Il nostro settore dell’editoria è sinonimo di creatività sia per i contenuti che per le illustrazioni e questo deve renderci orgogliosi per quello che facciamo. Il publisher italiano è visto in Cina al pari dei grandi marchi della moda: ci riconoscono una grande creatività e successi che spesso il mondo occidentale stesso non valorizza abbastanza. Posso dire di essermi sentita fiera di essere italiana perché ho visto le nostre qualità attraverso i loro occhi. Forte di quell’entusiasmo nel 2008 abbiamo messo le basi per un primo contratto firmato subito, poco dopo tre mesi dal primo incontro. In quel contratto era prevista la vendita di ben 60 titoli. Una curiosità: in Cina c’è la tradizione per cui ad ogni firma di un contratto segue una cerimonia. Ero andata in

Cina insieme alla mia collega cinese Sara, arrivata in Italia poco prima per realizzare la tesi e diventata poi una mia dipendente. Lei conosceva la lingua e questo ci ha aiutato molto nei rapporti. Da lì sono seguiti una serie di altri appuntamenti con altrettanti editori che ci chiedevano di vendere loro opere intere. Abbiamo capito che le possibilità di business potevano essere interessanti e da lì abbiamo realizzato il nostro sogno: aprire un ufficio a Pechino alla cui direzione abbiamo messo proprio Sara che nel frattempo aveva manifestato la volontà di tornare in Cina. Nel giro di pochi mesi abbiamo avviato rapporti con 40 editori per libri per bambini e abbiamo venduto 320 titoli. Il nostro successo è frutto di una doppia apertura mentale, nostra e loro. Noi avevamo predisposto tutte le energie necessario per fare questo passo e loro ci hanno accolto come speravamo. Cosa può darci la cultura cinese e cosa invece l’Italia può dare alla realtà cinese? Noi dovremmo farci influenzare dal loro ottimismo. Quello stesso ottimismo che in Italia abbiamo vissuto negli anni Sessanta e oggi stiamo perdendo. La Cina ci sta dando una lezione di futuro. Lei ha ricevuto il riconoscimento per l’efficacia con cui è riuscita a creare in breve tempo un “flusso di idee” nei due sensi. Come? Attraverso i nostri libri. I contenuti rappresentano un veicolo per accedere al no-

Thomas Rosenthal Responsabile del CeSIF Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina

Claudia Mazzucco, amministratore delegato di Atlantyca Entertainment

stro modo di pensare e quindi uno strumento per conoscere e condividere valori. E lo stesso può valere nel senso opposto. Quali sono i vostri prossimi obiettivi? Il nostro obiettivo per questo 2011 è quello di stabilizzarci per poi trasferire il nostro modello transmediale anche in Cina e di contro importare i contenuti cinesi in Italia. Crediamo nella trasmissione di valori e contenuti e siamo convinti che i cinesi di oggi, quelli cresciuti nell’era dell’urbanizzazione e della globalizzazione, abbiano qualcosa da dire anche a noi. |

www.atlantyca.com

soft ware e telecomunicazioni guardano ormai alla Cina come potenziale fonte di innovazioni tecnologiche. Il nuovo Piano presenterà obiettivi per lo sviluppo di nuove industrie ad alta intensità di ricerca e sviluppo quali biotecnologia, energie rinnovabili e nuovi materiali. Il volume totale di brevetti depositati in Cina è cresciuto esponenzialmente sin dal 2003 e continuerà a crescere grazie alle politiche di stimolo alla ricerca e sviluppo locale. Dal 2003 il numero di richieste di brevetti locali ha superato il numero di richieste di soggetti esteri con un divario in crescita. Nel 2009 era locale il 75% dei brevetti registrati in Cina. La Cina è uno dei Paesi con il maggior numero di ragazzi che studiano all’estero, esattamente 1,4 milioni. Una risorsa importante... Una risorsa che è in linea con la politica del governo di ridurre la dipendenza tecnologica estera per generare innovazione locale. Gli studenti cinesi che vanno all’estero sono un asset importante soprattutto perchè la percentuale di ritorno è alta sia per un forte senso di patriottismo sia per le possibilità di lavoro offerte dal mercato cinese. I nostri ricercatori invece vanno via e raramente tornano... Esatto. Per ridare ossigeno alla nostra Ricerca, l’Italia dovrebbe stringere degli accordi con i ricercatori e le università cinesi e costruire un gioco di squadra. Legare ad esempio 21


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marzo - maggio 2011

sul campo che incideva sul fatturato nazionale per oltre il 20%, avanza la proposta di rilevare l’intero stock e il marchio World of Cellular (accessori non originali per telefoni cellulari). L’idea non era semplice ma lungimirante: man mano che alcuni articoli finivano iniziò il dialogo con la Cina per nuove commesse. Tutto per corrispondenza. Di li a poco anche gli ex colleghi, agenti delle altre regioni limitrofe vengono coinvolti per allargare la zona e nel 1996 Falappa costituisce la prima società, con un fatturato sempre in continua crescita. Nel 1998 inizia il percorso di diversificazione del business verso l’area di prodotti per il benessere che off re spazi per inserirsi. Il primo settembre 1999 nasce Joycare destinata a diventare un marchio affermato e uno dei leader a livello europeo in pochi anni. “Ad inizio 2002 – spiega Fapalla - fummo i primi ad immettere un MP3 sul territorio italiano: nasceva il marchio T-Logic. Definimmo il marchio come “la Futility Digitale”: una gamma di prodotti digitali portatili ed innovativi. A fine 2005 il marchio era per quote di mercato il III in Italia davanti a marchi importanti come Philips, Panasonic e dietro soltanto a Ipod e Samsung”. A inizio 2004 nasce Joy Electronics: “Osservando che molti grandi gruppi stavano aprendo i loro sourcing office in Cina, per acquistare direttamente dalle fabbriche cinesi, sentimmo l’esigenza di trasformarci da semplici importatori in “produttori Cinesi. In soli 8 mesi costituimmo da zero una WFOE (Wolly Foreign Owned Enterprise) e la nostra fabbrica sfornava bilance elettroniche pesapersona e da cucina”. Un imprenditore italiano in Cina L’esperienza imprenditoriale in Cina ha arricchito Danilo Falappa soprattutto dal punto di vista umano: “I cinesi mi hanno trasmesso la loro filosofia, la loro voglia di fare e soprattutto la loro rapidità. In Italia il benessere ci ha un po’ viziati e questo ha fatto perdere a molti imprenditori la voglia di crescere e adeguarsi al passo”. Dalla sua il tessuto imprenditoriale ed economico cinese avrebbe, a detta di Falappa, “regole chiare e un’operatività intensa e un fisco che funziona”. Una serie di condizioni che non alimentano la voglia di Falappa di tornare in Italia. Il nostro Paese, di contro dovrebbe “evitare di competere con la Cina ma dovrebbe imparare a puntare molto di più sul turismo. I cinesi amano il nostro Paese ma purtroppo noi paghiamo cara la carenza di collegamenti. Grazie ai voli su Monaco e Francoforte la Germania rischia di intercettare i turisti dalla Cina che altrimenti verrebbero molto più volentieri da noi”. Puntare su altri livelli e altri settori quindi, facendosi influenzare, da quella “voglia di fare” e fame di novità che caratterizza l’economia di Pechino. Un consiglio per gli imprenditori che guardano con interesse verso Oriente? “Devono appoggiarsi a società di consulenza operative sul territorio cinese – spiega Falappa -. Personalmente mi sono trovato bene con la Fondazione ItaliaCina che mi ha supportato in questo”. 22

Per il 2011 è prevista una crescita del 9,5 per cento Il mercato cinese oggi conta complessivamente 453mila imprese industriali, con un numero di imprese estere industriali, pari a 41 mila, quadruplicato negli ultimi dieci anni. Tra le opportunità in entrata l’ultimo Rapporto annuale elaborato dal Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina (CeSIF), focalizza l’attenzione sugli acquisti tax free dei turisti di nazionalità cinese in Italia, in collaborazione con Global Blue Italia, leader mondiale nel servizio Tax Free Shopping. Rapporto alla mano, l’economia cinese continuerà a crescere rapidamente per tutto il 2011 a un tasso pari al 9-9.5% nonostante un target di crescita che sarà fissato al 7% dal Governo Cinese. Gli investimenti diretti esteri (IDE) continueranno ad aumentare, dati i crescenti sforzi delle imprese straniere di affermarsi sul mercato locale in continua espansione, e nel 2011 raggiungeranno un nuovo record dal punto di vista del valore.Le esportazioni potranno eccedere i massimi livelli storici del 2008 raggiungendo il tasso di crescita del 10% arrivando al 4-5 % nonostante le politiche monetarie restrittive del Governo Cinese. Da un punto di vista politico si prevede stabilità ed una continua attenzione all’economia con gli obiettivi di stimolare consumi interni e investimenti. Tuttavia, l’inflazione è cresciuta ad un tasso del 3,3% nel 2010 e presumibilmente subirà un ulteriore incremento. Secondo quanto riportato dal rapporto, si prevede un incremento dei salari del 10% nell’anno 2011 poiché l’economia cinese ha fatto un progresso significativo verso la ripresa malgrado la situazione finanziaria globale. Nel 2010 varie municipalità hanno annunciato per il 2011 aumenti dei salari minimi tra il 13% ed il 30%. Ad oggi, la popolazione cinese oltre i sessant’anni rappresenta l’11% del totale, ma aumenterà a circa il 28% nell’arco di due decenni. Entro il 2030, la Cina rappresenterà oltre un quarto della popolazione anziana del mondo. Nel 2010 la Cina, oltre ogni previsione, ha prodotto oltre 18 milioni di vetture con una crescita record del 24,55%. Alla fine del mese di agosto 2010, il volume di esportazioni di veicoli era cresciuto di 260 mila unità, con un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo del 2009. Le vendite di veicoli nel 2010 è di 16.5 milioni di unità, con una previsione per il 2015 di arrivare a 27.5 milioni di unità. Per quanto riguarda i dati della spesa Tax Free del turismo incoming vediamo che ad una marcata flessione del 12% per l’Italia si contrappone una crescita sostenuta del 35 % della spesa dei cinesi, fino ad arrivare ad una crescita del 94% nel 2010. Nel complesso, il 2011 sarà un altro anno positivo. Nonostante ci siano alcuni rischi, il Governo ha l’esperienza, le capacità, i mezzi e la volontà di affrontare qualsiasi problema possa emergere e riflettersi sulla stabilità sociale e politica del Paese.

i capitali cinesi alla ricerca, ergo quello che un tempo si faceva quando si ricercavano partner occidentali. Ricerca a parte, l’Italia cosa dovrebbe imparare dal sistema Cinese? L’Italia deve imparare a fare della democrazia una vera forza e a non bloccarsi davanti alla minoranze. Il Governo cinese ha dimostrato di essere in grado di ascoltare il proprio popolo e l’intera nazione; sta garantendo una crescita costante anche se resta molto da fare sul fronte dell’ambiente. Noi abbiamo molte mancanze: godiamo di un tessuto economico dinamico e avventuroso ma manca la programmazione e la diplomazia economica. Manca un sistema pubblico in grado di investire in maniera sinergica per la creazione di una politica di distribuzione Italia in Cina. Il Governo non interviene mai mentre le nostre agenzie ICE, SACE, SIMEST possono intervenire per migliorare e favorire le attività di internazionalizzazione. Serve in questo senso una maggior comunicazione e informazione.


Guardando a Oriente

Tesmec: l’eccellenza italiana presente in Cina dal 1984 Il loro sistema è stato una delle 265 innovazioni - selezionate tra le oltre 450 proposte - che hanno rappresenteranno l’eccellenza tecnologica italiana in un contesto internazionale di assoluto prestigio quale l’Expo di Shanghai. Stiamo parlando dell’azienda milanese Tesmec che ai recenti China Awards 2010, organizzati dalla Fondazione Italia Cina, ha ottenuto un particolare riconoscimento proprio per la sua innovazione “Electronic Constant Tension Stringing Wagon for Railways electrification cables installation”, ergo la realizzazione della prima linea elettrica ad altissimo voltaggio (1.000 kV) di circa 623 km, nonché la tesatura di linee ferroviarie ad alta velocità quali ad esempio la Zhengzhou–Xi’an e la Pechino-Shanghai, rispettivamente di 505 e di 1.318 km. Un successo che ci racconta Ambrogio Caccia Dominioni, Presidente e Amministratore Delegato di Tesmec S.p.A. Il vostro progetto “Electronic Constant Tension Stringing Wagon for Railways electrification cables installation” è stato riconosciuta a tutti gli effetti quale tecnologia italiana di eccellenza all’Expo di Shanghai. Come siete arrivati a un così importante risultato? In quasi sessant’anni di storia, numerosi sono stati i traguardi che hanno segnato il nostro sviluppo a livello internazionale e l’essere stati tra i protagonisti della mostra “Italia degli innovatori” presso l’Expo Shanghai 2010 con l’“Electronic Constant Tension Stringing Wagon for Railways electrification cables installation” è stato sicuramente uno di questi. La selezione della proposta del nostro Gruppo è stata effettuata da un apposito comitato tecnico e l’aver partecipato a questa iniziativa ha quindi significato per il nostro Gruppo l’opportunità di essere inseriti in un contesto internazionale di particolare visibilità. Tesmec, del resto, è un gruppo da sempre fortemente impegnato nelle attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. Ad oggi, il nostro Gruppo può vantare un portafoglio di circa 25 brevetti per invenzione industriale e al 31 dicembre 2009, il totale dei costi di ricerca e sviluppo di Tesmec è stato pari ad Euro 5,5 milioni (pari a circa il 6,4% rispetto al totale dei ricavi del Gruppo). L’attività di ricerca del Gruppo Tesmec è coordinata e diretta a livello centrale dalle Direzioni Tecniche delle due linee di prodotto e viene sviluppata da team specializzati nella tesatura e nei trencher, in Italia e negli Stati Uniti. Come è stata la vostra personale esperienza in Cina? La presenza in Cina per il nostro Gruppo non è certo una novità: Tesmec ha fatto il suo ingresso nel Paese nel lontano 1984, avviando importanti partnership con le maggiori società cinesi, tra cui State Grid of China Corporation, Ente Nazionale Cinese gestore della rete di trasmissione di energia elettrica. E grazie all’eccellenza tecnologica dei nostri prodotti e all’elevato know-how, nel biglietto da visita del nostro Gruppo figurano prestigiosi progetti internazionali. In Cina, in particolare, abbiamo curato la progettazione e la fornitura di macchine multifunzionali Argani-Freni e accessori per la tesatura della prima linea elettrica da 1000 kV al mondo, oltre che la progettazione e realizzazione di cinque vagoni ferroviari e il supporto tecnico per i macchinari utilizzati per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità Zhengzhou-Xi’an, conclusa ad inizio 2010. Il Gruppo sta inoltre curando la progettazione e la fornitura di cinque vagoni ferroviari per la costruzione della linea ad alta velocità Pechino-Shanghai e altri cinque carri saranno impiegati su altre linee di primaria importanza. Con grande soddisfazione, posso dirle che Tesmec oggi è molto conosciuto nel Paese e si posiziona al pari di grandi gruppi multinazionali del calibro di ABB e Siemens. I clienti cinesi, infatti, da sempre molto attenti alla qualità, apprezzano il know-how e la produzione tutta italiana del nostro Gruppo e proprio per questo motivo abbiamo deciso di aprire, negli scorsi mesi, un ufficio di rappresentanza a Pechino e stiamo ricercando soluzioni per aprire eventualmente anche un sito produttivo dedicato al mercato locale.

Ambrogio Caccia Dominioni, Presidente e Amministatore Delegato Tesmec SpA

Cina, India, SudAfrica...il vostro ingegno ha toccato e continua a viaggiare in molti Paesi del mondo. Cosa vi ha permesso di mantere livelli alti ed eccellenti, nonostante la crisi? Il nostro Gruppo commercializza e distribuisce i propri prodotti attraverso una presenza diretta, costituita da società estere e uffici commerciali, in 5 Paesi e una presenza indiretta, composta da concessionari e agenti, in 57 Paesi e questo ci consente di generare il 95% del nostro fatturato all’estero. Anche nel corso del 2011, intendiamo proseguire nella nostra strategia di espansione geografica nei Paesi emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sud-Africa) e di sviluppo in nuovi mercati ad oggi poco presidiati (Africa del Nord, Europa dell’Est e Penisola Arabica), pur mantenendo il nostro posizionamento nei mercati tradizionali (Nord America e Europa). In particolare, il nostro Gruppo ha registrato una crescita interessante nel segmento della tesatura, principalmente in India, mentre il segmento dei trencher ha visto un importante aumento in Africa. I paesi in via di sviluppo, naturalmente, sono quelli che seguiamo con più attenzione, dal momento che l’energia è un driver importante per lo sviluppo di queste aeree che oggi stanno aff rontando molti investimenti per il miglioramento dell’efficienza nella distribuzione dell’energia. Come si colloca secondo lei il mercato italiano sulla scena mondiale? Tesmec è un gruppo italiano, simbolo dell’eccellenza tecnologica del nostro paese. In particolare, nel settore della tesatura, il nostro Gruppo dispone di una tecnologia completamente italiana (il sistema di tesatura frenata), grazie alla quale lo stendimento dei conduttori sui tralicci avviene senza che questi venga-

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marzo - maggio 2011

La Joint Venture con la Merloni progetti A metà 2005 la necessità di differenziare i marchi tra canale GDO e canale Farmacia, portò alla creazione del marchio Medifit da distribuire in Farmacia. Un altro tassello fondamentale dell’esperienza di Falappa è rappresentato dall’acquisizione di un brevetto per una bilancia per alimenti. Un prodotto molto apprezzato sul mercato e che, alla Joycare di Danilo Falappa, ha aperto le porte per una Joint Venture con la Merloni progetti. Aristide Merloni (figlio di Vittorio) e Danilo Falappa iniziarono questa esperienza nel 2006: nasce Life Tool Technologies Spa, una NEWCO dove convergevano diverse attività. Condizionatori d’aria a marchio Protecno da parte della Merloni progetti e tutti gli assets del gruppo Falappa, Joycare Spa e T-Logic spa. Continua l’espansione: produrre per i maggiori brand nel mondo Dopo alcuni anni Danilo Falappa decide di capitalizzare questa esperienza e fonda una nuova società, la Innofit Srl, che acquista da Life tool Technologies Spa l’unità produttiva in Cina e il marchio Medifit. Una scelta strategica per Danilo Falappa che da esperto conoscitore delle tendenze industriali in atto nel Paese del Sol Levante aveva capito, sin dall’inizio degli anni 2000, che le cose sarebbero sensibilmente cambiate. Sempre più produttori cinesi tendevano a saltare l’anello degli importatori e a rivolgersi direttamente ai grandi clienti del vecchio continente. Osservando questo significativo accorciamento della filiera maturò la scelta di rilevare la fabbrica a Zhuhai per far concorrenza alle fabbriche cinesi. Attualmente l’unità produttiva è focalizzata su un’ampia gamma di prodotti nei settore dell’Health Care, Personal Care, Baby Line e piccolo elettrodomestico in generale. Produce in maniera personalizzata per oltre 30 brand leader in molti paesi del mondo: Russia, Austria, Australia, Brasile, Spagna, Portogallo, Olanda, Germania, USA, Polonia, Romania, Malesia, Corea e Giappone. Naturalmente produciamo anche per i nostri marchi che commercializziamo direttamente: Innofit e Medifit. Premio China Awards 2010 Quest’anno Danilo Falappa è stato insignito del prestigioso premio, “Capital Elite – Piccola impresa in Cina”, in occasione dei China Awards 2010. Il premio è un riconoscimento che la Fondazione Italia Cina, presieduta da Cesare Romiti, riconosce a Danilo Faloppa, per la passione e l’impegno imprenditoriale. |

www.joyelectronics.com.cn

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no mai a contatto con il suolo, con benefici in termini di qualità del lavoro, preservazione dell’integrità del cavo e possibilità di effettuare lavori in zone e territori non agevoli. E proprio grazie alla leadership tecnologica dei nostri prodotti, all’esperienza maturata nei settori di riferimento e alla costante attività di ricerca e sviluppo sviluppata da un team di tecnici e ingegneri specializzati, in Italia e negli USA, il nostro Gruppo può vantare nel settore della tesatura una quota di mercato, al netto dei ricavi provenienti dal business ferroviario, pari al 17%, mentre nel settore dei trencher una quota pari al 16%, considerando solamente i ricavi derivanti dalla vendita di macchine e ricambi. In cosa il sistema Italia deve cambiare rapidamente per riuscire a competere con l’economia cinese, e non solo (vedi Paesi del Bric)? La Cina è oggi un mercato dalle enormi potenzialità dal punto di vista economico e politico. Grazie al suo sviluppo relativamente recente ed una crescita continua dei consumi, previsti in ulteriore aumento nei prossimi decenni, la Cina rappresenta, infatti, oggi un’economia vivace e con grandi margini di espansione. Inoltre, il Governo cinese sta puntando su politiche attive, agevolazioni fiscali e su un alleggerimento generale della burocrazia, che dovrebbero consentire un ulteriore miglioramento della competitività del Paese nel medio-lungo periodo. Il mercato cinese, inoltre, è molto aperto a partnership e collaborazioni e apprezza la grande qualità ed expertise che le aziende italiane ed il Made in Italy riescono a garantire. Proprio per questo, come le dicevo, il nostro Gruppo investe ogni anno oltre il 6% del fatturato in ricerca e sviluppo e può contare su un’unità di circa 40 risorse altamente qualificate, attive nello sviluppo di nuovi prodotti. Tale strategia ha consentito al Gruppo, negli anni, di rispondere al meglio alle specifiche esigenze dei clienti e di operare in mercati diversi ed in contesti complessi, quali ad esempio le economie emergenti, che richiedono soluzioni tecnologicamente avanzate. Quali sono i vostri prossimi obiettivi? Per il 2011 ci sono buoni presupposti per quanto riguarda gli Stati Uniti, che dovrebbero rispondere meglio ai primi segnali di ripresa a cui stiamo assistendo. Contiamo inoltre di poter confermare per tutto il 2010 un trend in linea con quello registrato nel primo semestre, dove abbiamo conseguito ricavi pari a 53,4 milioni di euro, in crescita del 31,6% rispetto ai 40,5 milioni di euro registrati nel primo semestre dell’esercizio 2009, dal momento che l’acquisizione di nuovi ordini sta continuando bene, con una tipologia di contratti diversa dal passato: stiamo infatti off rendo sempre più spesso anche contratti full service, che prevedono oltre all’offerta dei nostri macchinari, anche quella dei servizi ad essi connessi. A breve, inoltre, potremmo acquisire alcune commesse rilevanti nel settore telefonico e dell’oil & gas. Da luglio scorso siamo inoltre operativi anche nei Paesi emergenti e nella Penisola Arabica e contiamo di aprire una sede permanente in Sud Africa. | www.tesmec.com

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marzo - maggio 2011

Amplifon, la volontà di crescere più del mercato L’impresa milanese nata nel 1950, oggi è leader mondiale nella commercializzazione di apparecchi acustici. Qualità, internazionalizzazione, ricerca e rispetto della persona al centro delle strategie aziendali a cura della redazione Un’azienda milanese nata nel 1950 con un unico obiettivo: dare una risposta e una soluzione concreta alla crescente domanda di cura dell’udito. Era il sogno di Charles Holland, fondatore di Amplifon, società specializzata nella commercializzazione di apparecchi acustici. Il sogno si è realizzato e nel corso di più di mezzo secolo si è ingrandito diventando oggi un colosso multinazionale, presente in 18 paesi, il cui fatturato nel 2009 è stato pari a 657 milioni di euro. “La nostra formula vincente? Esportiamo un servizio completamente Made in Italy – spiega l’amministratore delegato Franco Moscetti -. Un servizio fondato sul rispetto delle caratteristiche individuali del cliente e sulla qualità. Dobbiamo la continuità del nostro successo all’impegno delle oltre 8.500 persone che, in tutto il mondo, lavorano con noi”. I pilastri su cui si fonda il successo del Gruppo sono: l’innovazione, dei prodotti e dei servizi, la continua ricerca, l’internazionalizzazione e la qualità. La Ricerca è entrata nella storia di Amplifon fi n dagli inizi quando, nel 1971, venne creato il CRS (Center for Research and Studies), per lo studio e la ricerca legata ai deficit uditivi, punto di riferimento per la classe medica, e Amplaid, Linea Biomedica in grado di off rire allo specialista otorinolaringoiatra una serie di strumenti, sempre all’avanguardia, per la diagnostica e la riabilitazione nel campo audiologico. Dal 1998 la struttura di ricerca è presente anche all’estero, consentendo all’azienda di sviluppare proficue sinergie con Istituti Universitari, enti e società scientifiche nazionali e internazionali. Il CRS è diretto da un Comitato Scientifico indipendente composto da esperti di alto profi lo della comunità scientifica, che forniscono consulenza scientifica e tecnica e identificano, su base annuale, le iniziative da intraprendere. 26


Storia di successo

Franco Moscetti, amministratore delegato dell’azienda

“Il nostro dogma – prosegue Moscetti – è quello di crescere più del mercato e più dei nostri concorrenti e per farlo ricerca e innovazione sono indispensabili. Ogni soluzione viene personalizzata in base alle esigenze del cliente”. Amplifon infatti non produce gli apparecchi acustici ma fornisce soluzioni esclusive e tecnologicamente avanzate che permettono a milioni di persone di migliorare la propria comunicazione uditiva in tutte le situazioni d’ascolto. “Lavoriamo a 360 gradi nel Business to Consumer – prosegue l’amministratore delegato -. Il nostro obiettivo è quello di comunicare con il cliente e con il consumatore fi nale che da sempre rappresenta il centro delle nostre strategie, il core business”. Tra le strategie vincenti del Gruppo, l’internazionalizzazione rappresenta un capitolo fondamentale e fondante, una strategia attuata e adottata a partire dagli anni Novanta che ha permesso ad Amplifon di acquisire una serie di altre società leader

Tra le strategie vincenti del Gruppo, l’internazionalizzazione rappresenta un capitolo fondamentale e fondante, una strategia attuata e adottata a partire dagli anni Novanta che ha permesso ad Amplifon di acquisire una serie di altre società nel mondo, leader nel settore nel settore. “L’internazionalizzazione è importantissima – spiega Franco Moscetti. Da una parte ci permette di crescere e dall’altra ci da l’opportunità di ricercare il meglio che il mondo off re”. Il primo tassello sul mosaico dell’internazionalizzazione è stato posizionato nel 1992 con la costituzione di Amplifon Ibérica, società di distribuzione e applicazione d’apparecchi acustici che si espande in seguito anche in Portogallo. Dal 1998 al 2000 vengono acquisti Micro-eletric (leader del mercato svizzero), Viennatone (3° posizione sul mercato austriaco), CCA Groupe (leader del mercato francese), Surditè Dardy (leader sul mercato francese svizzero), Miracle Ear (leader del mercato americano), Acoudire (leader del mercato olandese). L’espansione sul mercato globale non si ferma e il Gruppo si allarga presto grazie alla joint venture con Bardissi Medical, il gruppo egiziano leader degli apparecchi acustici, e verso i mercati dell’est con l’acquisizione strategica del 100% di Viton, società ungherese che distribuisce apparecchi acustici nel mercato nazionale.

Seguono altre operazioni tra cui: l’acquisizione del 100% di Sonus Corporation seguita da quella del 100% delle attività di National Hearing Centers; l’acquisizione di Beter Horen Nederland con cui il Gruppo consolida la leadership sul mercato olandese. Nel 2005, Amplifon entra nel mercato tedesco tramite l’acquisizione di Axt-Wendton e di Dr. Hähle Hörakustik GmbH (Germania orientale); nel 2006 acquisisce il 100% di Ultravox, operante in Gran Bretagna; nel 2009 Amplifon fa il proprio ingresso nel mercato belga e, in ultimo, nel settembre 2010 Amplifon allarga ulteriormente i suoi orizzonti ed entra nel mercato australiano, acquisendo National Hearing Care Group (NHC), primario operatore attivo nella commercializzazione di soluzioni uditive presente in Australia, Nuova Zelanda ed India con un network complessivo di circa 200 negozi. “Quest’ultima operazione – spiega Moscetti potrà consentire al gruppo Amplifon di porre solide premesse anche per una futura espansione nei mercati asiatici. Forte di una presenza radicata nel mondo e di strategie ben 27


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marzo - maggio 2011

La sede milanese di Amplifon

defi nite, il Gruppo è riuscito a reagire ai colpi della crisi a suon di innovazione e nuovi progetti. Uno tra questi è la rivoluzionaria “store experience”, un nuovo format di negozio nato con l’obiettivo di trasformare l’ingresso in un negozio Amplifon da un passo obbligato per una decisione medico-scientifica in un’esperienza emozionale positiva. “Abbiamo investito in questa nuova idea di negozio – spiega Franco Moscetti – per andare incontro alle sempre nuove esigenze del cliente e ridurre il più possibile gli elementi di ansietà tipicamente associati ai problemi di udito. L’impronta emozionale dei nuovi negozi consente di accogliere il cliente e guidarlo passo dopo passo in un percorso di riscoperta dell’udito”. Dopo 60 anni di conquiste, innovazioni e strategia, Amplifon “non è solo leader di mercato – conclude Moscetti – ma è anche identificativo di una tipologia di prodotto e di una tematica, ovvero l’udito”. | 28

Amplifon

Il segreto del successo risiede nella costanza con cui si persegue uno scopo. Benjamin Disraeli www.amplifon.com

Il Gruppo Amplifon è leader mondiale nella commercializzazione, applicazione e personalizzazione di soluzioni uditive. Le capacità innovative, la presenza capillare sul mercato ed un modello di business unico ed innovativo hanno consentito all’azienda, nata in Italia nel 1950, una crescita continua nel tempo ed il consolidamento della propria leadership in tutti i Paesi in cui è presente. Oggi il Gruppo Amplifon detiene una quota del 9% del mercato globale ed è presente in ben 18 paesi di 5 continenti con circa 3.200 punti vendita e 2.200 centri di servizio, impiegando circa 8.500 persone in tutto il mondo. Il business del Gruppo, il cui fatturato nel 2009 è stato pari a 657 milioni di euro, è focalizzato principalmente sul settore degli apparecchi acustici (87%), seguito da altri prodotti quali pile, materiali di consumo, riparazioni, accessori, parti di ricambio e servizi (12%) e da apparecchiature biomedicali (1%).


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marzo - maggio 2011

Univet l’innovazione “sicura” L’azienda di Rezzato, nel bresciano, è nata come alternativa italiana alle imprese estere che detenevano il monopolio del mercato antinfortunistico. A distanza di quindici anni è diventata una delle prime ad esportare il concetto di occhiale sportivo e di design in campo safety testo di Laura Di Teodoro

La sede di Rezzato di Univet

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Una sfida partita da Rezzato, nel bresciano con il principale obiettivo di proporre un’alternativa completamente italiana alle aziende straniere che ai tempi detenevano la maggioranza del mercato antinfortunistico. Così Armando Portesi, ingegnere e attuale amministratore unico dell’azienda, ha fondato nel 1997 la Univet, specializzata nella progettazione e nella produzione di sistemi ingrandenti e dispositivi ottici di protezione individuale (DPI) per il settore industriale, medicale e laser. Oggi l’impresa bresciana ha vinto la sfida diventando una delle prime ad esportare il concetto di occhiale sportivo e di design in campo safety e affermandosi come “unica azienda al mondo in grado di proporre linee complete per la protezione degli occhi in ambiti così diversificati” come ci racconta Massimo Ortolani, Direttore Commerciale italia per la Univet Srl. L’azienda è presente in tutta Europa e in buona parte di paesi quali Russia, Giappone etc. I progetti futuri puntano alla “conquista” di Paesi quali Brasile, Australia e USA. I buoni risultati raggiunti in Italia infatti, hanno fatto da leva a un processo di internazionalizzazione abbastanza rapido. “Grazie al completamento, nel tempo, della gamma di prodotti – prosegue il Direttore Commerciale -, oggi la nostra azienda ha maturato la forza per proporsi nel settore industriale, ospedaliero, laser, dentale, militare, chirurgico, e dei sistemi ingrandenti.


Azienda di successo

Oggi Univet conta un organico interno di 48 persone suddivise tra: ufficio amministrativo, ufficio commerciale e marketing, magazzino, ufficio acquisti, ufficio tecnico e produzione; una fi liale in Francia (a Morez) e un field office in Germania, entrambi composte da tre unitĂ

Da sinistra: Gianpiero Giuliano, Paolo Portesi (general manager)e Massimo Ortolani(Direttore commerciale)

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marzo - maggio 2011

dettagli della produzione

La storia di univet Univet srl nasce nel 1997 dalla brillante idea dell’ingegner Armando Portesi di proporsi sul mercato quale nuova azienda Italiana alternativa alle allora aziende straniere detentrici del mercato antinfortunistico nel nostro paese. Dopo circa un anno di affiancamento ad una nota azienda milanese produttrice di occhiali da lavoro e da sole, la Univet srl inizia la propria avventura: nel 1998 lancia la prima linea di prodotti specifici per il mondo antinfortunistico a proprio marchio e inizia la scalata nel settore DPI. Dalla sede produttiva di Rezzato, in provincia di Brescia, Univet esporta i propri prodotti in oltre quaranta paesi con una quota export pari al 50% del proprio fatturato: 9 milioni di euro nel 2009. Inoltre il 2010 ha visto la nascita di Univet France e del nuovo Field Office in Germania. Univet sostiene la sua presenza a livello internazionale partecipando attivamente a numerose fiere in tutto il mondo. Univet France prende vita dalla collaborazione dell’azienda bresciana con gli imprenditori francesi Sebastien Fangeat, commerciale proveniente da una passata esperienza come tecnico di prodotto nel settore della protezione medicale e industriale, e Jean-Michel Gaillard, ottico di notevole competenza specializzato nei dispositivi di protezione correttivi. L’espansione internazionale prosegue con la nascita del nuovo Field Office in Germania, secondo mercato Univet subito dopo l’Italia. Con l’obiettivo di espandere la propria presenza sul mercato tedesco, Univet ha allestito un nuovo ufficio commerciale, diretto dal Sig. Ralf Jensen, Country Manager Germania – Austria – Svizzera, e della Sig.ra Daniela Gross, Assistant Country Manager & Customer Service.

Sicuramente il successo è frutto di una serie di componenti che l’azienda ritiene fondamentali per ottenere e mantenere nel tempo i risultati sperati. La qualità dei prodotti proposti, il servizio e l’efficienza nel fornire supporto immediato ai propri clienti, il rispetto dei mercati e del lavoro svolto in abbinata con i propri clienti, hanno permesso a Univet di imporsi, prima sul mercato nazionale e poi su quello Europeo, quale realtà emergente ed alternativa alle aziende storiche leader di settore”. E quando si parla di qualità, “lo stile italiano” diventa il fi l rouge che lega tutti i prodotti: “Sicuramente una delle caratteristiche che accomuna i nostri prodotti sono lo stile italiano e soprattutto la cura dei particolari, il rispetto delle normative vigenti in termini di 32

DPI e la qualità dei materiali utilizzati nella fase produttiva”. Non esiste qualità senza una giusta e adeguata ricerca, settore in cui l’azienda continua a investire sia in termine economici che di risorse umane.“Sicuramente negli anni, gli investimenti in ricerca per generare nuove linee di prodotti e materiali tecnici innovativi, rivestono un carattere di estrema importanza – prosegue Ortolani - Univet è un’azienda particolarmente dinamica e sensibile, sempre rivolta alla ricerca di soluzioni innovative e nuove proposte che possano elevare i contenuti tecnici di una realtà in costante crescita”. Oggi Univet conta un organico interno di 48 persone suddivise tra: ufficio amministrativo, ufficio commerciale e marketing, magazzino, ufficio acquisti, ufficio tecnico e produzione; 11 agenti

sul territorio nazionale per la promozione e vendita dei propri prodotti; una fi liale in Francia (a Morez) e un field office in Germania, entrambi composte da tre unità. Per questo 2011 la parola d’ordine resta la speranza legata alla ripresa: “Sicuramente ci auguriamo, come credo la maggior parte dei nostri competitor - conclude il Direttore Commerciale -, una rapida ripresa del mercato industriale che, purtroppo, ancora oggi stenta a manifestarsi sia in Italia che a livello Europeo”. | Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l’affrontano. Tucidide www.univet.it


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marzo - maggio 2011

Passi felpati Capobianco sdogana la felpa nel guardaroba della high society grazie al prezioso connubio con il cashmere e la ricercatezza di dettagli “made with love”. L’azienda bergamasca ha partecipato all’ultima edizione di Pitti Immagine Uomo

Marco Lorenzi, CEO di Duelle Industria

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Azienda di successo Pitti Immagine Uomo 2011 è solo l’ultima sfida vinta da Capobianco, brand nato nel 2008 dalla creatività di Marco Lorenzi, CEO di Duelle Industria srl, azienda orobica da oltre 25 anni in prima linea nella realizzazione di prodotti in tessuto a maglia. A Firenze il marchio che ha fatto del binomio felpa&cashmere la sua ispirazione e del pay off “made with love” l’espressione della sua fi losofia di stile, ha saputo infatti conquistare grazie alla sua “politica della qualità” l’attenzione dei buyer mondiali, sedotti dai materiali d’eccellenza utilizzati per la realizzazione dei capi, dal loro design, dallo studio dei dettagli e dalla lavorazione sartoriale. Non stupisce così che dalla spiaggia dell’Isola d’Elba a cui lega il suo nome, Capobianco sia volata anche oltreoceano, riuscendo a conquistare vetrine storiche, come quelle della newyorkese Barney’s, vera mecca di stile tra gli amanti del made in Italy. Un riconoscimento questo che è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e di una buona dose di “spregiudicatezza fashionista”, come la definirebbero gli attenti alle mode. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di combinare un tessuto tradizionalmente ritenuto casual ed informale come la felpa, con il cashmere, quint’essenza del lusso e della ricercatezza. Il risultato di questo azzardato melting pot sono capi passepartout, perfetti per i cultori dell’easy to wear e per chi cerca soluzioni in grado di stemperare anche il look più formale. Sarà per questo che il blouson, capo-icona della collezione, è stato adottato anche da Sergio Marchionne? O sarà la scelta tenacemente made in Italy ad aver contribuito al successo del brand? Le leggi della globalizzazione sembra non abbiano scalfito le vostre scelte in termini di realizzazione. Le collezioni Capobianco non solo sono interamente realizzate in Italia, ma recuperano anche quella cultura sartoriale che negli ultimi anni si era persa… La realizzazione di ogni nostro capo è il frutto di una serie di passaggi che, iniziati nella sede dell’azienda, dove si effettuano lo studio e il taglio del modello, proseguono poi in laboratori artigiani distribuiti tra Lombardia e Veneto, in cui avviene invece la produzione. Il risultato di questa specializzazione di competenze sono prodotti curati nei dettagli, evidenti segni di quella artigianalità sartoriale che ha contribuito al successo del made in Italy nel mondo. Le nostre collezioni non fanno che recuperare quei concetti di valore dei capi, di attenzione per i particolari e di unicità delle lavorazioni persisi negli ultimi anni. Un‘operazione revival che si scontra con le regole di immediatezza proposte dai colossi della moda veloce… Negli ultimi anni la moda “fast food”, figlia della dinamicità del mercato e delle esigenze “usa e getta” del consumatore finale, ha portato a modificare le leggi della produzione, anche nella moda. Collezioni veloci, realizzate con materiali poco pregiati e con lavorazioni spesso approssimative, svolte ben oltre i confini del Paese, hanno invaso le nostre vetrine e, complici i prezzi competitivi, i nostri guardaroba. Il loro design ultra modaiolo e la scelta di materiali dalla qualità non eccellente ne determinano però la breve vita.

Life style “made with love” Alla ribalta delle passerelle a partire dal 2008, anno in cui viene presentata la prima collezione primavera/estate declinata al maschile e femminile ed ispirata al mondo del golf, Capobianco ottiene la sua prima ufficiale consacrazione a Pitti Immagine 2011 e a Designer Collectives 2011. In due anni il brand che fa capo alla Duelle Industria srl, azienda nata nel 1985 come laboratorio di confezioni in tessuto a maglia e negli anni evolutasi in partner di primo piano per brand italiani di spicco del comparto moda (Paul & Shark, Cerruti, Ermenegildo Zegna, Alfred Dunhill e Bottega Veneta tra gli altri), ha saputo ritagliarsi una propria nicchia di valore, che ha portato Marco Lorenzi, CEO di Duelle Italia, a mutare il brand, da semplice marchio, a concept di stile. Il “made with love” si è così evoluto in “life style” e la naturale vocazione alla ricercatezza dei dettagli e alla cura nella realizzazione dei prodotti si è trasformata in filosofia di “well dressing e good living”. 35


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marzo - maggio 2011

Capobianco ha scelto di sovvertire le regole, tornando alla tradizione, reinterpretata però in chiave contemporanea, e puntando sulla durata delle sue realizzazioni. Una nostra giacca è ultragenerazionale, perché può passare dall’armadio del padre a quello del figlio senza perdere in appeal e in qualità. I nostri capi, “tradizionalmente moderni”, si propongono come evergreen, fuori dalle mode ma capaci di dettarle e interpretarle, grazie alle contaminazioni del colore e all’utilizzo di piccoli dettagli, anche tecnici, che gli conferiscono una continuità che va oltre la classica stagionalità. Quanto conta il fattore “T”, tecnologia tessile, nella realizzazione finale? Materiali e trattamenti sono due punti nodali nella realizzazione di capi destinati a lasciare un’impronta. A distinguere le collezioni Capobianco ci pensano, oltre alla rifi nitura a mano di alcuni dettagli, come la cucitura delle etichette, l’apposizione di colli e bordature in cashmere, di zip e bottoni a conclusione delle fasi di lavorazione, anche speciali trattamenti brevettati. Penso al “Frosted”, al “Mano cashmere” e al “Trattamento idrorepellente” che contribuiscono a rendere ogni capo non solo unico, ma ancor più pregiato.

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Capobianco ha scelto di sovvertire le regole, tornando alla tradizione, reinterpretata però in chiave contemporanea, e puntando sulla durata delle sue realizzazioni. Per il 2011 l’azienda ipotizza un margine di crescita del brand del 50% a fronte dell’attuale 30% e un ulteriore incremento dell’export, attualmente attestato intorno al 20% La variabile prezzo non sembra essere tenuta in considerazione... Un capo che sceglie cotone egiziano e peruviano, il migliore disponibile sul mercato, punta sul cashmere e affida al lavoro manuale i sui dettagli ha sicuramente un valore commisurato alla qualità dei suoi materiali e della sua realizzazione. Il prezzo del “made with love” corrisponde a quello del “made with quality”. Una politica che sembra aver dato risultati che vanno oltre i confini nazionali... Abbiamo partecipato con ottimi riscontri, oltre che a Pitti Immagine 2011, anche a Designer Collectives, rassegna americana di primo piano per l’universo della moda. Il che ci lascia ben sperare per l’immediato futuro, che vuole la nostra distribuzione allargarsi anche a Francia, Germania, Giappone e agli USA. Per pensare a dei monomarca, invece, ci prendiamo tempo. Credo che i prossimi 5 anni saranno determinanti. Oggi mi sento unicamente di pensare al 2011, per cui ipotizziamo un margine di crescita del brand del 50% a fronte dell’attuale 30% e un ulteriore incremento dell’export , attualmente attestato intorno al 20%. | La moda passa, lo stile resta. Gabrielle Coco Chanel www.capobianco.org


La casa degli imprenditori dĂ piĂš spazio alle imprese e ai servizi...

... flessibili, personalizzati e interdisciplinari per sostenere la competitivitĂ delle imprese.


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marzo - maggio 2011

Gib Italia, la risk intelligence al servizio delle imprese L’azienda comasca è specializzata nella gestione dei crediti e nelle informazioni patrimoniali. Milène Sicca, fondatrice e attualmente alla guida della società, punta sulla professionalità, sull’etica e sulla capacità di anticipare i tempi a cura della redazione Una storia che parla di etica, competitività e professionalità. Un’impresa con un’impronta quasi tutta al femminile, nata dalla passione, dall’entusiasmo e dall’imprenditorialità della sua fondatrice, Milène Sicca, attuale presidente del Gruppo Terziario di Confindustria Como. Si tratta di Gib Italia Service, specializzata nella gestione dei crediti e nelle informazioni commerciali/patrimoniali. L’azienda, con sede a Cavallasca, Como, è nata nel 1990 come ditta individuale e, a distanza di poco più di vent’anni, è diventata una vera e propria impresa forte di un organico complessivo di quasi 80 persone e composto soprattutto da donne. La formula vincente? “La ricerca continua dell’innovazione, la capacità di riuscire ad anticipare i tempi, l’organizzazione del lavoro e molta professionalità – sostiene Milène Sicca -. In questi anni abbiamo attivato servizi nuovi e adeguati alle esigenze dei professionisti e questo ci ha premiato”. Tra i principali committenti di Gib Italia Service ci sono 15 gruppi bancari e finanziari a livello nazionale ed estero, nonché i principali Tribunali della Lombardia, oltre a 140 aziende di tutta Italia. Oggi Gib Italia Service offre servizi di risk management estremamente qua38

lificati quali la due diligence per la valutazione preventiva del rischio di credito nelle forniture di beni e servizi, l’analisi di realizzabilità dei crediti ai fini del recupero dei crediti, della stesura del bilancio, dei margini di trattativa in eventuali soluzioni transattive o, in ambito concorsuale, per i professionisti ai fini della stesura del piano di liquidazione dell’attivo nel fallimento o della domanda di concordato. Inoltre effettua servizi di validazione dei dati conferiti dai richiedenti retail o corporate ai fini dell’accesso al credito per Banche e Finanziarie. La creazione e la realizzazione dei servizi e del know how attuali si sono realizzati attraverso un percorso proattivo di studio, di analisi dei problemi e di soluzione alle necessità di volta in volta affrontate. “A partire dagli anni Novanta – spiega Milène Sicca – abbiamo iniziato recuperando i crediti finanziari di Banche e Società di Leasing. Dopo di che, nel 1996, abbiamo iniziato a gestire i crediti di natura patrimoniale per conto della pubblica amministrazione centrale e degli Enti Locali. Siamo quindi diventati Direzione Regionale di una Società di Riscossione iscritta all’Albo Ministero dell’Economia e delle Finanze per la verifica (liquidazione

e accertamento) e la riscossione dei Tributi”. Forte di una professionalità riconosciuta e competenze maturate in materia di diritto tributario e fallimentare, a partire dal 2000, Milène Sicca ha inserito un servizio assolutamente innovativo a favore delle Procedure Concorsuali occupandosi della ricostruzione anche contabile del monte crediti insoluti per poi curarne il recupero in tempi brevi in Italia e all’Estero. “Abbiamo inizialmente collaborato con i Tri-


Storia di successo

bunali di Como, Monza e Busto Arsizio - prosegue la titolare - ad oggi gestiamo pratiche di recupero e accertamenti patrimoniali di 12 Tribunali. Questo tipo di servizio rappresenta un valore aggiunto per curatori, commissari e liquidatori perchè migliora il risultato di gestione e la liquidità per i creditori, senza dimenticare la riduzione dei tempi e dei costi di gestione” E siccome l’innovazione resta il cavallo di battaglia dell’azienda, la Gib Italia Service non si è fermata, realizzando per le imprese servizi volti a migliorare il ciclo attivo e di conseguenza la liquidità aziendale. “ Oggi fare impresa è più difficile oltre che rischioso, non si può vivere alla giornata, l’imprenditore deve

avere tutte le competenze e conoscenze necessarie per gestire in modo consapevole ed efficiente la propria azienda”, spiega Milène Sicca. La novità più interessante e curiosa riguarda l’acquisizione (di cui sono diventati distributori e partner ufficiali) di una banca dati mondiale di risk intelligence che contiene dati ufficiali relativi a tutti i nominativi di persone giuridiche e fisiche coinvolte in reati quali: il riciclaggio, la criminalità organizzata, i reati contro il patrimonio, il narcotraffico ecc. “Sono venuta a conoscenza di questa banca dati in occasione 39


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Milène Sicca Milène Sicca, fondatrice di Gib Italia Service, ha ricoperto e ricopre inoltre una serie di prestigiosi incarichi istituzionali: Past President Unirec- Confindustria Roma; Responsabile Studi Giuridici Unirec fino al 2010; Vicepresidente OIPA (osservatorio, imprese, pubblica, amministrazione). Dal 2010 è stata nominata Presidente del Gruppo Terziario e Industrie varie di Confindustria Como. E’ laureata in Giurisprudenza con specializzazione post lauream in Gestione della crisi d’impresa e Contrattualistica di impresa.

Milène Sicca, fondatrice di Gib Italia Service

La creazione e la realizzazione dei servizi e del know how attuali si sono realizzati attraverso un percorso proattivo di studio, di analisi dei problemi e di soluzione alle necessità di volta in volta affrontate di una riunione sulla Compliance di una Multinazionale mia cliente e mi sono mossa per collegarlo alla mia attività, prosegue Milène Sicca. I dati prodotti in questa banca dati arrivano da diverse fonti: stampa locale cartacea e web, tribunali, forze dell’ordine, camere di commercio ecc. Il servizio di consultazione di questa banca dati serve alle Banche, ai Professionisti, alle Imprese ai fini della “adeguata verifica della clientela” di cui alla normativa antiriciclaggio nonché in ottemperanza al dettato della normativa sulla responsabilità anche penale delle persone giuridiche che, con questa risorsa, possono dimostrare di aver posto in essere tutte 40

quelle misure di prevenzione necessarie per contrastare eventuali coinvolgimenti in accertamenti della Guardia di Finanza e/o inchieste della Magistratura. Insomma, un’ulteriore conferma della capacità di anticipare i tempi in molte direzioni. “Mi sono sempre concentrata sulla ricerca, la formazione e la professionalità, cercando di precorrere le necessità e i bisogni dei miei clienti. Da una parte il nostro successo è frutto di questa voglia di innovare, dall’altra il merito è del gruppo di lavoro. Siamo un bel gruppo e a tutti cerco di trasferire la mia filosofia aziendale, ovvero non smettere mai di impegnarsi e avere sempre degli obiettivi da raggiungere”. |

I dipendenti dell’azienda comasca Nulla di grande è stato realizzato nel mondo senza la passione. G. Wilhelm Hegel

www.gibitalia.it



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marzo - maggio 2011

Cogliati, il felice connubio tra vetro e innovazione

L’azienda di Lissone, nella Brianza, è specializzata nella lavorazione del vetro nel settore dell’edilizia e dell’arredamento. Per il 2011 punterà sui grandi cantieri e sul vetro fotovoltaico testo di Laura Di Teodoro

Investimenti costanti in macchinari innovativi, diversificazione e qualità di servizio e prodotto. Tre pilastri su cui la Vetraria Cogliati, leader nella lavorazione del vetro nel settore dell’edilizia e dell’arredamento, continua a costruire il proprio successo. Facciate, parapetti, coperture, vetrate, elementi di arredo interno, sono solo alcuni dei prodotti realizzati dall’azienda di Lissone, brianzola Doc, fondata nel 1966 da Giuseppe Cogliati e oggi guidata dalla seconda generazione di famiglia. Azienda che è voluta andare oltre i “classici” utilizzi del vetro per ricercare nuovi sbocchi e crearsi così ulteriori nicchie di mercato. Una missione più che riuscita e che vede oggi l’impresa all’opera con nuovi progetti tra cui, il più importante, il vetro fotovoltaico, realizzato ad esempio, per la nuova sede della Regione Lombardia a Milano. Forte di un organico di 44 dipendenti, la Cogliati, pur mantenendo la storicità e l’attaccamento al territorio, si è internazionalizzata creando un brand di prodotti di lusso per l’arredobagno, grazie a un felice connubbio fatto di qualità nella maestranza della lavorazione del vetro, caratteristica diventata da una parte espressione del Made in Italy e dall’altra di alta industrializzazione. 42


Storia di successo “Il continuo investimento in macchinari aggiornati e prodotti innovativi, è diventato il nostro punto di forza – spiega l’ingegner Maurizio Nava, Direttore Generale dell’azienda -. Un impegno che ci ha permesso di diversificare la nostra offerta sul mercato andando a sopperire così i vari cali fisiologici conseguenti la crisi che, a rotazione, ha colpito i settori in cui operiamo.” Come ci racconta il Direttore Generale, il processo di diversificazione ha preso il via fi n dagli albori e si è sviluppato parallelamente alla crescita dell’azienda. “La Cogliati è nata con 3-4 dipendenti – spiega Nava – e fi n dall’inizio, grazie

all’intraprendenza del fondatore, si è specializzata in lavorazioni speciali per l’edilizia, l’arredamento con la fantasia di proporre sempre qualcosa di speciale”. Iniziano così gli investimenti in macchinari e prodotti nuovi: si parte con il forno per la tempra del vetro in verticale (uno dei primi in Italia) e si prosegue con una delle prime linee di vetrocamera per edilizia della Brianza. Nel 1986 viene installata una linea di taglio vetro con magazzino e movimentazione lastre (6 metri x 3,21 metri) completamente automatizzate e gli impianti per vetrocamera e di molatura vengono sostituiti con altri a processo automatizzato. Nel primo decennio del 2000 il testimone è passato alla seconda generazione, al genero Maurizio Nava e alle tre figlie di Giuseppe Cogliati (Roberta , Paola e Valeria): “Negli ultimi dieci anni – spiega l’ingegner Nava – ci siamo molto industrializzati e abbiamo ottenuto marchi qualità a norme UNI e CE (Comunità Europea). Abbiamo portato a termine investimenti imponenti nell’impiantistica per potere realizzare vetri di grosse dimensioni e per potere lavorare i vetri di nuova generazione con rivestimenti speciali, che consentono elevati risparmi energetici (riscaldamento invernale e condizionamento estivo) e un miglioramento sul fronte dell’estetica. Tut-

La sede di Lissone della Vetraria Cogliati

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I due impianti fotovoltaici installati sulla nuova sede della Regione Lombardia (1) e sulla copertura del Politecnico di Torino (2) e una linea di taglio vetro stratificato di sicurezza (3)

to questo ci ha permesso di realizzare vetri per edifici quali il Centro Meridiana di Lecco, progettato da Renzo Piano”. Con la nuova generazione arrivano ulteriori innovazioni tra cui la nascita, nel 2005, del marchio Cogliati...Cogliati vetro e design, ergo la creazione di una linea propria di prodotto finito per l’arredobagno. “Essendo l’azienda terzista, abbiamo voluto creare un nostro marchio volendo esportare un prodotto di qualità, espressione del Made in Italy, in tutto il mondo, con design di gusto internazionale”. I mercati di riferimento per la Vetraria Cogliati restano la Lombardia e la Svizzera. Con l’introduzione del nuovo marchio l’azienda è approdata in Paesi quali Arabia Saudita, India, Medio Oriente e America. La formula vincente? “In questi anni – prosegue Nava – ci ha premiato la nostra storicità, e lo sforzo per ricercare applicazioni del vetro innovative, affiancando l’alta industrializzazione raggiunta alla nostra professionale maestranza nella lavorazione del vetro. Siamo 44

cresciuti pur mantenendo intatti i nostri valori iniziali”. La crisi degli ultimi due anni ha colpito alternativamente sia l’edilizia che l’arredamento. “Il lavorare molto sul “su misura” ci ha permesso di tenere bene – prosegue Nava -. Facciamo lavori per ville particolari, edilizia residenziale e per interior designer. In questo periodo invece cercheremo di puntare più sull’edilizia dei grossi cantieri perchè l’arredamento e l’edilizia residenziale stanno calando, e soprattutto punteremo sul fotovoltaico che abbiamo già concretizzato con la nuova sede della Regione Lombardia e del Politecnico di Torino. Ora stiamo realizzando parte della copertura della stazione di Porta Susa di Torino”. |

Non si tratta di pensare di più, quanto di pensare diversamente.” Jean Marie Domeneque www.cogliati-cogliati.it www.cogliati.it

GRUPPO COGLIATI Il Gruppo Cogliati nasce nel 1966 come Vetraria Cogliati grazie all’intraprendenza di Giuseppe Cogliati, figlio d’arte. Suo padre infatti era titolare di una vetreria già avviata. Nel 1981 la vecchia fabbrica viene ampliata costruendo a lato, con le più moderne tecniche, nuovi capannoni A metà degli anni Settanta nasce lo showroom di famiglia per l’esposizione di realizzazioni per l’arredo del bagno e della cucina. Nel 1986, a seguito degli investimenti per automatizzare i processi, l’azienda ottiene il Marchio di Qualità per le vetrate isolanti. Dopo quasi quaranta anni di affermazione nei principali campi di utilizzo del vetro, si arriva alla decisione di creare una linea propria di prodotto finito per l’arredobagno la cui materia principale fosse il vetro. La realizzazione di questa nuova collezione, innovativa e di respiro internazionale, si concretizza attraverso una stretta collaborazione con il designer Giuseppe Viganò. Nasce così nel 2005 il marchio Cogliati...Cogliati. Poco meno di due anni fa la Cogliati ha acquisito la Uvet, l’azienda specializzata nella curvatura del vetro fondata dal padre di Giuseppe Cogliati e ai tempi guidata dal figlio Domenico, oggi agente per il Gruppo.

Forte di un fatturato di circa 7 milioni di euro e un organico di 44 dipendenti, la Cogliati, pur mantenendo la storicità e l’attaccamento al territorio, continua a crescere grazie a un felice connubbio fatto di maestranza nella lavorazione del vetro, un prodotto diventato espressione del Made in Italy e alta industrializzazione Il Direttore Generale della Cogliati, l’ingegner Maurizio Nava


Since 1902 La prima organizzazione fra imprenditori sorta in Italia

CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA RIANZA


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ricerca per la qualità della vita in Italia

Puntare sulla

Intervista a Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico di Milano. Con il suoi 49 anni è uno dei più giovani rettori nella storia dell’ateneo. Le sue priorità: ricerca, innovazione, rafforzamento della rete di relazioni internazionali e una formazione di qualità testo di Laura Di Teodoro

Ricerca, valorizzazione dei talenti, formazione di capitale umano di qualità inserito in un contesto internazionale e un ambizioso obiettivo finale: migliorare la qualità della vita dell’Italia. Sono i punti chiave su cui Giovanni Azzone, uno dei più giovani rettori nella storia del Politecnico di Milano, sta puntando dal giorno della sua elezione, nel giugno scorso. Azzone, forte dei suoi 30 anni trascorsi nell’ateneo milanese, prima come studente e successivamente in qualità di professore, è consapevole dell’importanza vitale della ricerca quale valore fondante dell’Università e risorsa imprescindibile per il progresso di un Paese. Professor Giovanni Azzone, uno tra i più giovani Rettori alla guida di una delle maggiori realtà accademiche italiane. Dopo 30 anni trascorsi al Politecnico, quali sono le sue speranze per questo mandato? Beh, credo che solo in Italia gli under 50 possano essere definiti giovani… A parte le battute, è vero che la mia elezione ha rappresentato per il Politecnico un salto generazionale, che è accentuato dalla scelta di una squadra formata da donne e uomini della mia generazione. Le speranze sono tante, prima di tutto quella di contribuire, alla guida di una istituzione come il Politecnico, a migliorare la qualità della vita del nostro Paese. Vorrei riuscirci, insieme ai miei colleghi, puntando sulle “cose” che un’università può fare: attraendo e formando capitale umano di qualità; sviluppando ricerca e innovazione; rafforzando la nostra rete di relazioni internazionali; agendo, in ultima analisi, come un agente di sviluppo e un driver di competitività. Sicuramente, non sarà facile riuscirci in un periodo caratterizzato da una riduzione dei finanziamenti statali, tanto più in un’università come il Politecnico che è da sempre sottofinanziata; sono però un ottimista: credo che se sapremo proporre progetti di qualità alle istituzioni, nazionali e territoriali, riusciremo a trovare le risorse necessarie. Cosa sente di portare all’Università della sua esperienza? Io sono uno degli esempi, spesso vituperati, di docente universitario che ha svolto tutta la sua carriera nell’università dove ha studiato. Credo però che l’essere “politecnico” mi abbia insegnato il rigore, il metodo ma anche la consapevolezza che non posso fare tutto da solo, che ho bisogno della collaborazione di tutti. Penso possa essere importante l’aver unito, in questi anni, all’esperienza accademica la possibilità di metterla in pratica in alcune situazioni interessanti, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e in alcune grandi imprese….insomma, vorrei unire la “speranza” del teorico con la “concretezza” dell’uomo di organizzazione. 46

Il Politecnico di Milano, grazie alla School of Management, è stato inserito dal Financial Times tra le 75 scuole d’Europa più eccellenti ed è stata posizionata tra le 75 scuole d’Europa più eccellenti; unica scuola italiana presente con tre master. Qual è il valore aggiunto che oggi i master qualificati possono dare alle imprese? Oggi il successo professionale è il risultato di diverse capacità: la competenza disciplinare, l’imprenditorialità e l’attitudine all’innovazione, l’apertura all’interazione con persone di altre culture, in particolare provenienti da Paesi diversi. Credo che un master qualificato, a vocazione internazionale, possa consentire di migliorare tutte queste capacità. Uno dei capisaldi del suo programma è la ricerca su cui, nonostante tutto, non vuole mollare... Come intende muoversi a riguardo? Sì, certo che non voglio mollare. La ricerca è un valore fondante dell’Università, è imprescindibile per il progresso di un Paese, senza ricerca non c’è crescita reale. Abbiamo oggi punte di eccellenza in ambiti apparentemente lontani come le scienze naturali applicate e il design, l’energia e i beni culturali, i sistemi di trasporto e il management, il mondo delle co-


Mondo Accademico

Sede della Scuola di Architettura e SocietĂ del Politecnico di Milano

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struzioni e delle infrastrutture e la matematica applicata, l’information technology e le politiche territoriali, per limitarsi ad alcuni esempi. Sono convinto che questa pluralità di interessi sia per noi una fonte di arricchimento reciproco. Mi voglio, quindi, muovere su due fronti, uno interno e uno esterno all’Ateneo. Internamente, voglio rafforzare la capacità di operare secondo un approccio multidisciplinare, creando anche da noi dei Design Center sul modello della Aalto universities, dove ricercatori della diverse discipline possano lavorare insieme su problemi complessi. Dall’altro lato voglio che la ricerca esca dai nostri laboratori ed entri nel mondo della produzione con la creazione di vere e proprie partnership con le imprese. Il mondo produttivo deve vederci sempre più come una risorsa.

Per la ricerca vogliamo rafforzare la capacità di operare secondo un approccio multidisciplinare, creando anche da noi dei Design Center sul modello della Aalto universities. Dall’altro lato voglio che la ricerca esca dai nostri laboratori ed entri nel mondo della produzione con la creazione di vere e proprie partnership con le imprese Come far fronte al sottofinanziamento a cui sono costrette le Università italiane? Dato il sottofinanziamento diventa fondamentale l’autofinanziamento. Nel 2009 abbiamo raccolto 70 milioni di euro, di cui metà da bandi competitivi e metà dal trasferimento tecnologico della ricerca. Se consideriamo anche l’apporto della Fondazione Politecnico, dei consorzi e degli spin off abbiamo finanziamenti annui per 120 milioni. Se però vogliamo continuare a garantire standard elevati, sulla didattica e sulla ricerca, non possiamo accontentarci di quanto

La sede di Milano Bovisa del Poltecnico

fatto sinora. Bisogna programmare a lunga scadenza, dando più spazio a intese di medio-lungo periodo con tutti i nostri partner, pubblici e privati che siano, evitando così collaborazioni occasionali. Il nostro modello è l’intesa firmata nel 2008 con Eni, che ci ha consentito di sviluppare competenze importanti in ambito internazionale. L’ingresso di 100mila giovani sul mercato del lavoro si tradurrebbe in una crescita del Pil di circa 0,2 punti, mentre ogni 100mila donne occupate in più si avrebbe un impatto di circa 0,3 punti sul Pil. Eppure In italia oltre il 20% dei giovani tra i 15 e i 29 anni hanno abbandonato la scuola senza un diploma e non lavorano e 2 milioni di giovani sono senza lavoro. Quale potrebbe essere la chiave di volta? Capire il valore intrinseco della formazione è il primo passo. Oggi scuola e università si parlano sempre di più e parlano sempre di più con il mercato del lavoro. Tante sono le iniziative con il mondo dell’istruzione mediasuperiore e anche la scelta di introdurre il test d’ingresso a ingegneria ci ha permesso di alzare il livello di qualità dei nostri studenti e di orientarli verso una scelta più consapevole riducendo gli abbandoni. L’università dall’altro lato fa molto creando momenti di incontro fra studenti e imprese; a questo scopo organizziamo 4.500 stage in azienda all’anno attraverso il nostro Career Service che conta 1.500 partner aziendali per stage e tirocini. Certamente ciò rappresenta una corsia preferenziale verso il mondo del lavoro. Pensare al futuro dei propri laureati è una delle responsabilità dell’università e noi siamo attenti alle richieste del mercato anche per quanto riguarda la scelta dei nostri percorsi didattici. Dopo la laurea dobbiamo agevolare i percorsi di carriera in sinergia con le aziende attraverso la creazione di corsi professionalizzanti. Cosa è chiamata a fare l’università e cosa il mondo del lavoro? L’università deve formare e innovare. Per questo agli studenti non si insegna solo la teoria, ma anche a lavorare insieme a progetti specifici, imparando oltre alle competenze tecniche a confrontarsi con linguaggi e culture diverse su tavoli multidisciplinari. Formare architetti, designer e ingegneri significa aiutare e sviluppare in loro un senso etico, una responsabilità nel lavoro che andranno a svolgere. Il mondo del lavoro ci vede e deve continuare a vederci come un punto di riferimento sia per la qualità dei nostri laureati che per quella della nostra ricerca. Come detto per muoversi in un ambiente competitivo sempre più globale e dinamico queste partnership non devono essere occasionali, ma di medio-lungo termine, perché senza una programmazione non si può fare vera innovazione per il Sistema Paese. L’impresa deve

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Mondo Accademico

Giovanni Azzone, Rettore del Politecnico

GIOVANNI AZZONE Nato a Milano nel 1962, Giovanni Azzone si è laureato in Ingegneria delle tecnologie industriali ad indirizzo economico-organizzativo presso il Politecnico di Milano. Dal 1997 è professore ordinario di Sistemi di controllo di gestione presso la Facoltà di Ingegneria dei sistemi del Politecnico di Milano. Dal 2002 è Prorettore Vicario del Politecnico di Milano. Ha svolto e svolge attività di ricerca nel campo dell’analisi organizzativa e del controllo di gestione in imprese industriali e Pubbliche Amministrazioni. È inoltre membro dell’editorial board delle riviste “Engineering Design and Automation”, “European Journal of Innovation Management” e “Journal of Engineering Valuation and Cost Analysis”. Ha al suo attivo più di 60 tra libri, articoli e pubblicazioni.

anche saper investire sulle persone e pensare a percorsi di formazione continua in collaborazione con le migliori università. Le Start-up rappresentano il segno concreto dell’innovazione che nasce e cresce nelle nostre università. Come sarà il 2011 del Politecnico su questo fronte? Il ruolo di incubatori e acceleratori di impresa è importante per attuare quella cooperazione con l’impresa indispensabile per creare buone partnership nel tessuto produttivo. Certamente in questo svolge un ruolo importantissimo la Fondazione Politecnico che gestisce il nostro acceleratore d’impresa. Siamo stati tra i primi atenei italiani a comprendere l’importanza del sostegno all’imprenditorialità per promuovere la ricerca all’interno dell’università, creando nel 2000 l’Acceleratore d’Impresa, con il contributo di importanti strutture pubbliche e private. Per il 2011 pensiamo di continuare a investire ancora in questa direzione. Verrà attivato quest’anno anche il Fondo Politecnico per l’Innovazione, messo a punto insieme a Unicredit, per assicurare la presenza di un seed capital importante a start up innovative. Il sistema universitario italiano ha una scarsa capacità di attrattiva nei confronti degli studenti stranieri. In che modo è possibile accrescere l’appeal degli atenei italiani all’estero? La situazione sta molto cambiando in questi anni. Il Politecnico di Milano, in particolare, ha agito secondo tre direzioni: abbiamo introdotto 14 lauree magistrali in lingua inglese; abbiamo rafforzato i servizi residenziali, che arriveranno, una volta ultimati i progetti in corso, a 3000 posti alloggio; abbiamo operato insieme alle istituzioni per consentire una adeguata promozione in ambito internazionale e per diminuire gli ostacoli burocratici che angustiano chi voglia studiare in Italia. I risultati si sono visti: quest’anno, il 22% degli immatricolati ai nostri corsi di laurea magistrale sono

Il Campus Leonardo del Politecnico, sede del Rettorato

stranieri, un livello direi paragonabile alle principali università europee, se escludiamo quelle anglosassoni, “avvantaggiate” dalla lingua. Certamente, non possiamo accontentarci: stiamo lanciando un progetto di attrazione di studenti stranieri in collaborazione con il sistema delle imprese, focalizzandoci su sette mercati interessanti; Brasile, Russia, Cina, India, Cile, Canada e Vietnam. Vogliamo creare degli “ambasciatori” che valorizzeranno il nostro sistema Paese. Verso quale direzione sta andando il sistema universitario italiano? L’Università italiana ultimamente è stata bistrattata e la sua immagine ne ha risentito. Credo invece che ci siano molte realtà di qualità che possano misurarsi con le eccellenze internazionali. E’ essenziale però decidere se, come sta accadendo nei principali Paesi europei, anche l’Italia voglia sviluppare alcune “flagship”, focalizzare cioè le proprie risorse su alcuni centri di eccellenza, in grado di competere a livello internazionale. Altrimenti, credo che anche gli aspetti più positivi della riforma “Gelmini” rischino di avere un impatto modesto sul sistema. Cosa si aspetta da questo 2011 sul fronte del sistema economico nazionale? Purtroppo poco, mi sembra che la competitività non sia al centro del dibattito nel Paese. Speriamo che le imprese e le istituzioni possano trovare al proprio interno la forza di reagire a un clima “stagnante”…da parte nostra, credo sia doveroso cercare di fare la nostra parte! |

Uno stato privo dei mezzi per operare qualche cambiamento è privo dei mezzi per conservarsi. Edmund Burke www.polimi.it

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Sanpellegrino, l’Italian Style che ha fatto il giro del mondo

Intervista con Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino. Un successo che prosegue da 110 anni e ancorato alla storicità di un marchio, alla qualità, alla sostenibilità e al rispetto per l’ambiente testo di Laura Di Teodoro Fotografie di Vincenzo Lombardi Un modello di business costruito sulla storia, la tradizione, sull’amore per lo stile di vita italiano e soprattutto sulla qualità di una risorsa naturale come l’acqua. Stiamo parlando della storia del Gruppo Sanpellegrino, un marchio conosciuto a livello mondiale ed espressione di un Made in Italy che ha saputo coniugare al meglio i valori del gruppo multinazionale Nestlè Waters, a cui appartiene, con una storia che va avanti da 110 anni. Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo racconta i fondamenti di un successo che ha portato la Sanpellegrino a figurare al 178esimo posto tra i maggiori 1.500 gruppi industriali italiani (rapporto Mediobanca 2010). “Il nostro successo è il risultato di 110 anni di un lavoro molto consistente che ha permesso all’azienda di portare all’estero un prodotto di qualità, supportato dal modo di vivere italiano”. Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino da tre anni e in azienda da 21 anni. Oltre ad essere il suo lavoro, cosa rappresenta per lei questa realtà aziendale? Ha rappresentato e continua a rappresentare un’importante crescita personale. Sono entrato in questa realtà molto giovane: ho iniziato all’Acqua S. Bernardo, la prima azienda di acqua minerale acquistata dalla Nestlé in Italia. Dopo una prima esperienza come venditore sono passato a ricoprire l’incarico di responsabile territoriale prima e responsabile Italia del marchio in un secondo tempo. Nel corso di questi 50


Il Made in Italy nel mondo primi anni ho girato molto, seguendo prima la S. Bernardo e successivamente l’Acqua Vera, due realtà che nel 1998 sono entrate in Sanpellegrino. Da quel momento mi sono occupato della riorganizzazione delle quattro divisioni (Levissima, San Bernardo, Acqua Vera e Sanpellegrino) entrate poi in Nestlè nel 1999 e mi sono occupato della direzione dei marchi regionali. Successivamente ho ricoperto l’incarico di direttore commerciale per l’Italia e nel 2004 ho intrapreso la carriera internazionale partendo per l’Inghilterra come Amministratore Delegato della Nestlè Water UK; ho mantenuto questo incarico fino a fine 2007 quando poi sono rientrato in Italia nella veste di Presidente e Amministratore Delegato del Gruppo Sanpellegrino. Sono un manager con alle spalle una forte esperienza nel settore delle acque minerali: ho avuto l’opportunità di crescere e conoscere bene questo settore in Italia e a livello internazionale. L’esperienza in Inghilterra mi è servita molto per approcciarmi con una cultura differente, quella anglosassone, e un modello di business molto diverso da quello italiano.

Quali sono i valori che sono racchiusi nel Gruppo? Il nostro Gruppo è fondato su valori importanti e affascinanti. Ricopro un ruolo che mi da molte soddisfazioni, mi da l’opportunità di gestire un’azienda che fa parte di una realtà come Nestlè con cui condividiamo valori e principi manageriali comuni a tutti paesi in cui operiamo: il rispetto delle persone, del territorio, il rispetto delle differenze culturali. Abbiamo inoltre un approccio molto trasparente, pragmatico e positivo. Per quanto riguarda il Gruppo Sanpellegrino, abbiamo l’impegno di condividere valori legati ai territori d’origine dei nostri marchi sia di acque minerali che bibite. Abbiamo la responsabilità di lavorare quotidianamente per garantire quegli alti standard qualitativi e quel valore aggiunto che i consumatori ci riconoscono sia in Italia che nel mondo. Personalmente mi impegno a comunicare al mio team che dietro ai nostri prodotti c’è prima di tutto la natura, l’acqua, risorsa di cui l’Italia è molto ricca e che per questo non dobbiamo mai dare per scontata. La maggior parte delle nostre sorgenti sono in

Stefano Agostini, amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino

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marzo - maggio 2011

I successi di Sanpellegrino Un 2010 da ricordare per lo stabilimento Sanpellegrino di Ruspino (nel Bergamasco) che oltrepassa il record del miliardo di bottiglie prodotte. Lo storico sito produttivo della Val Brembana ha registrato nel 2010 circa 1,1 miliardo di pezzi prodotti, di cui 700 milioni di bottiglie di acqua minerale S.Pellegrino, 250 milioni di bibite a marchio Sanpellegrino e 115 milioni di aperitivi Sanbittèr. Grazie a una capillare distribuzione in 120 paesi di tutto il mondo, circa il 70% della produzione è stata assorbita dall’export che ha riportato una crescita del 16,8% rispetto al 2009. Nonostante la crisi economica mondiale e il contenimento dei consumi soprattutto nel fuori casa, l’export continua infatti a crescere, in particolare nei mercati cosiddetti maturi come Stati Uniti (+15%, a volume rispetto al 2009), Canada (+10%), Francia (+14%), Germania (+5%), Regno Unito (+10%), Belgio (+16%) e Svizzera (+2%). A questi si affiancano i mercati emergenti verso i quali l’azienda sta rivolgendo la propria attenzione, come testimoniato dalle crescite consistenti di vendite S.Pellegrino in Cina (+183%), Australia (+12%), Brasile (+80%), Russia e CSI (+38%) e Medio Oriente (+37%). Sanpellegrino, che appartiene al gruppo Nestlè, figura al 178esimo posto tra i maggiori 1.500 gruppi industriali italiani (rapporto Mediobanca 2010) e ha chiuso l’ultimo esercizio con 818,6 milioni di ricavi, rispetto agli 843 milioni del bilancio 2008; gli utili ammontano 10,7 milioni, contro i 27,6 milioni di perdite dell’anno prima.

alta montagna e noi ci impegniamo, insieme alle istituzioni locali, affinché queste aree vengano protette, migliorate e tutelate. La nostra missione è “dare all’acqua un futuro di qualità”. L’acqua è un bene prezioso e per offrire qualità dobbiamo mantenerne alti livelli di controllo sul processo di captazione e poi di imbottigliamento. Sul fronte delle attività produttive, come tutte le aziende manifatturiere, siamo responsabilizzate sulle modalità di lavorazione e soprattutto sul risparmio energetico, sull’impatto ambientale e sugli imballi che utilizziamo, temi questi che ci vedono fortemente impegnati in piani di sostenibilità aziendale. Proprio in questo contesto, da un anno avete creato il nuovo Consorzio Nestlè Green Energy, un progetto in favore dell’utilizzo di energia rinnovabile e del rispetto dell’ambiente... Esatto. Si tratta di un esempio importante. Abbiamo la particolarità di avere le nostre attività produttive in zone lontane dai grandi centri; spesso noi siamo l’unica realtà industriale e questo significa avere una responsabilità sociale sia legata al business così da garantire prima di tutto livelli occupazionali, sia legata all’ambiente. Parlando delle fabbri52

che e di energia, nello stabilimento di S.Bernardo ad esempio, la produzione è alimentata dalla fornitura diretta di energia eolica. Questo è avvenuto grazie alla creazione di un parco eolico sul crinale sovrastante lo stabilimento. Mentre a Pejo, nel Parco Nazionale dello Stelvio, produciamo energia da impianto a biomassa ricavata dagli scarti nella potatura del melo e nella pulizia del sottobosco, il tutto avviene nell’area circostante al comune di Pejo. Sul fronte industriale, inoltre, investiamo per utilizzare la minor quantità di acqua nei processi produttivi: per ogni litro di acqua imbottigliata ad esempio utilizziamo meno di 1,8 litri di acqua (dato comprensivo del litro imbottigliato). Per quanto riguarda la distribuzione siamo soci di una società di trasporti che utilizza camion con motori Euro 5; siamo inoltre primi clienti di Trenitalia perché trasportiamo il 10 per cento della merce su rotaia in Italia. In Europa usiamo molto il trasporto intermodale, che prevede l’uso combinato di rotaia e gomma. Nel 2010 siete cresciuti come export del 18% rispetto al 2009. Come siete arrivati a questo risultato in un momento non facile per l’economia? Il modello S.Pellegrino è visto come esempio di successo in tutto il mon-

do e proprio per questo motivo negli anni di crisi dell’economia mondiale non ci siamo tirati indietro. Al contrario, abbiamo investito sul marchio di acqua minerale simbolo dell’Italian Style, sul network di distribuzione e sugli eventi internazionali legati alla gastronomia. Nel 2008 abbiamo registrato una flessione del 5 percento, come conseguenza della crisi nei settori del turismo, del business travel e dell’alta ristorazione dove da sempre siamo presenti. Verso la fine del 2009 la tendenza è cambiata e l’export nel 2010 è tornato a crescere appunto del 18 percento. Resta comunque l’amarezza nel vedere che il business italiano resta comunque stabile e un po’ in affanno.

Siamo un’azienda di marca con prodotti di qualità e soprattutto sostenibili, dove l’origine diventa un valore portante: è bellissimo veder riconosciuta la qualità all’estero perché associata, ad esempio, alle arance di Sicilia Quale potrebbe essere la chiave di volta? Faccio un esempio che parte dalla nostra esperienza: in Italia abbiamo lavorato molto bene sulle bibite. Nel 2010 siamo tornati a crescere, pur non essendo leader nel settore; abbiamo comunque cercato di prendere posizioni forti dando al consumatore un prodotto di qualità migliorandone il contenuto, aumentando la quantità di succo e diminuendo lo zucchero aggiunto. Questo ne ha migliorato l’aspetto qualitativo e salutistico. Inoltre abbiamo rilanciato


Il Made in Italy nel mondo l’ immagine storica del nostro marchio, creando delle special edition con etichette degli anni ’50 e ‘60. Il nostro impegno in Italia è quello di continuare a sostenere i nostri brand, cercando di sopperire alla pressione che continua ad esserci sui prezzi creando efficienze di fi liera. S.Pellegrino rappresenta da anni un traino per il Made in Italy. Come siete arrivati a coprire un mercato così vasto? Oltre al ruolo in azienda, sono orgoglioso di far parte del Consiglio di Alta Gamma, fondazione che rappresenta il meglio del Made in Italy in settori che vanno dal fashion, al design, passando per il food e l’hospitality. Il nostro successo è il risultato di 110 anni di un lavoro molto consistente che ha permesso all’azienda di portare all’estero un prodotto di qualità, emblema del modo di vivere italiano. S.Pellegrino ha sempre avuto una vocazione internazionale, di alta qualità, espressione della cultura italiana, focalizzandosi sempre nella ristorazione. La strategia è sempre la stessa: la bottiglia non è cambiata ma si è evoluta, mantenendo forte il radicamento con l’origine e mantenendo inalterata la qualità. Si tratta, infatti, di un’acqua unica, con un gusto particolare capace di accompagnare al meglio i cibi. Si è inoltre lavorato molto sul posizionamento e sul marketing per arrivare a rappresentare al meglio l’Italia con i suoi tratti fondamentali: la convivialità, l’amore per il cibo, il piacere di stare insieme. Gli italiani credono nell’amicizia, nell’accoglienza e amano il cibo. Attraverso i nostri prodotti noi diamo la possibilità ai consumatori di ricordare questo spirito. La Francia ha dimostrato un grande apprezzamento e si è confermata il mercato di maggior successo per il nostro marchio. Il passo successivo sarà quello di andare oltre all’identificazione del prodotto con l’Italia per arrivare a collegarlo con il luogo d’origine in cui quest’acqua viene prodotta. Per questo motivo entro l’estate 2011 arriveranno sul mercato Usa le prime bottiglie S.Pellegrino con il QRCode, un codice a barre che permetterà di scaricare sul cellulare un filmato su Bergamo. Qual è il valore di questa iniziativa? Per noi questa iniziativa è importante, un gesto concreto nell’ambito del nostro impegno nel sostenere i territori e le comunità nelle quali operiamo. Questo strumento crediamo possa dare un contributo considerevole di visibilità e valorizzazione della zona di San Pellegrino, della Val Brembana e di Bergamo.

Ulteriori progetti per il prossimo futuro? Nello stabilimento di San Pellegrino abbiamo in atto progetti di rafforzamento della capacità produttiva. Guardando al successo del 2010 e in previsione di un’ulteriore crescita per il 2011, abbiamo chiesto una maggior flessibilità ai dipendenti per lavorare anche la domenica. C’è in atto un dialogo costruttivo con i sindacati. Ad oggi si sta già lavorando la domenica, su base volontaria e questo ci sta permettendo di produrre di più quando è necessario e dare un segnale di ottimismo al territorio. Altri progetti riguardano gli ulteriori investimenti sui mercati internazionali, sugli eventi e su importanti partnership. Stiamo innovando sul mercato italiano anche se non sempre è facile. Abbiamo presentato due nuovi prodotti, il primo è un aperitivo parte della gamma San Bittèr ed è un mix tra il tradizionale San Bittèr e succo di pompelmo. Il secondo lancio sarà un tè rosso sotto il marchio Beltè.

Diceva che innovare in Italia non è facile. Come mai secondo lei? Il modello italiano non sempre favorisce i processi di innovazione. Ogni volta che si ha un’idea gli interlocutori sono tantissimi e prima di arrivare al punto vendita trascorrono troppe settimane. È necessario migliorare i processi di lancio in accordo con i distributori. Come produttori siamo chiamati a impegnarci nel fare vera innovazione, nel sostenerla e nel comunicarla con l’obiettivo di aprire nuovi mercati. Di contro i retailers devono richiedere innovazione alle aziende, così come succede nel mondo anglosassone. Dobbiamo migliorare quindi i processi di lancio dei prodotti insieme ai distributori. Ci deve essere una maggiore apertura per non perdere il valore che può dare l’innovazione Quando un prodotto può essere considerato veramente innovativo? Innanzitutto deve avere dei plus rispetto ai prodotti esistenti, il plus può essere un elemento di funzionalità o una caratteristica intrinseca. Una volta trovata l’innovazione bisogna darsi degli obiettivi per allargare il numero di consumatori che si avvicineranno a quella specifica categoria. |

Senza rischi non si fa nulla di grande. André Gide

www.sanpellegrino.it

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marzo - maggio 2011

Roberta Cocco Direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia

Donne e tecnologia, quella marcia in pi첫 Intervista a Roberta Cocco, Direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia. Una mamma manager di successo impegnata nella valorizzazione della tecnologia soprattutto per le donne che lavorano testo di Laura Di Teodoro 54


Lady Economy La sua è una vita professionale ricca di riconoscimenti, traguardi raggiunti e soddisfazioni. Quali qualità le hanno permesso di arrivare così in alto? Lavoro in Microsoft da ormai 20 anni e posso dire di essere cresciuta facendo un passo alla volta, passando dalle sponsorizzazioni all’organizzazione degli eventi fino ad arrivare al ruolo che oggi ricopro. Penso di esserci riuscita principalmente grazie alla grande passione che da sempre mi guida per quello che faccio e dal fatto di mantenermi sempre aggiornata sulle novità. Ho il grande privilegio di vivere in un’azienda che mi ha permesso di arricchire le mie conoscenze attraverso corsi di formazione all’estero e in Italia, sulle principali innovazioni in materia di marketing, soprattutto nella direzione del digital marketing. L’entusiasmo inoltre è alimentato continuamente dalla possibilità di sperimentare nuove modalità di comunicazione attraversoo un sito internet che ci permette di lavorare, anche ossessivamente, per dare grande visibilità alla corporate e al brand dell’azienda. Un secondo ambito, quello di cui sono più orgogliosa, è il fatto di non aver dovuto sacrificare la mia famiglia, mio marito e i miei tre figli, per il lavoro. Posso dire di essere una moglie e una mamma molto contenta, con un lavoro che mi appassiona. La tenacia mi permette di proseguire su questa strada e di progettare sempre qualcosa di nuovo.

arrivare a traghettare questo nuovo modo di utilizzo del software che, sicuramente, ci aiuterà a dare un’accelerata importante al Paese. Lo considero un po’ come il mio quarto figlio e proprio per questo rappresenterà un impegno ricco di passione ed entusiasmo. Lei è da sempre impegnata nella valorizzazione dell’imprenditoria femminile e il progetto futuro@lfemminile ne è la prova. Di cosa si tratta e in che senso la tecnologia può realmente rappresentare un grande alleato delle donne? Si tratta di un progetto di Responsabilità Sociale di Microsoft e Acer in collaborazione con Cluster Reply patrocinato dal Dipartimento delle Pari Opportunità. Futuro@lfemminile è nato nel 2004 dall’idea di alcune dipendenti di Microsoft di voler comunicare il reale e concreto aiuto che la tecnologia può dare alle donne che lavorano. L’obiettivo è quello di sviluppare le condizioni favorevoli affinché le donne, attraverso la tecnologia, possano esprimere il loro potenziale e contribuire così allo sviluppo sociale ed economico del Paese. È un progetto ambizioso che ci sta dando molte soddisfazioni. Partiamo dal presupposto che la tecnologia è un sicuro alleato per tutti. Deve essere conosciuta e utilizzata affinché possa cambiare realmente le modalità di gestione e organizzazione della propria vita. Faccio un esempio: una donna che ha tre figli si rende pre-

Futuro@lfemminile è nato nel 2004 dall’idea di alcune dipendenti di Microsoft di voler comunicare il reale e concreto aiuto che la tecnologia può dare alle donne che lavorano. L’obiettivo è quello di sviluppare le condizioni favorevoli affinché le donne, attraverso la tecnologia, possano esprimere il loro potenziale Un percorso professionale di successo costellato da tanta passione ed entusiasmo, dalla voglia di crescere e imparare e, insieme, dalla forte volontà di costruirsi una famiglia senza dover rinunciare alle gioie dell’essere moglie e mamma. Roberta Cocco, Direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia è riuscita nell’intento e continua a percorrere la sua strada consapevole che la tecnologia e una vera alleanza tra donne possano portare a una svolta. Una consapevolezza che l’ha guidata nel creare, insieme ad altre colleghe, il progetto Futuro@lfemminile, nato con l’obiettivo di sviluppare le condizioni favorevoli affinché le donne, attraverso la tecnologia, possano esprimere il loro potenziale e contribuire così allo sviluppo sociale ed economico del Paese.

e contribuire così allo sviluppo sociale ed economico del Paese Quindi ci sono nuovi progetti in programma? Esatto. Insieme all’azienda stiamo lavorando a un progetto ambizioso di marketing e comunicazione. Si tratta del Cloud Computing, ovvero sia la possibilità di gestire esternamente (online) le applicazioni e le attività, invece che all’interno delle tue quattro mura. La possibilità di accedere ai propri dati “via cloud” porterà a una serie di vantaggi tra cui: abbassamento dei costi, rischi ridotti e un accesso ai servizi in ogni momento e in ogni luogo. Come Microsoft saremo pionieri di questa importante novità tecnologica. Sentiamo la responsabilità e il dovere di portare avanti bene questo progetto, comunicandolo in maniera corretta a tutti gli interlocutori. Sarà necessario un lavoro di 3-5 anni per

sto conto che la vita cambia radicalmente; il tempo non è più suo ma è scandagliato da una serie di impegni da affrontare. Ricordo una frase di Emma Bonino che disse: “Le donne avrebbero tutto se potessero permettersi una donna”. Questo per sottolineare le molteplici capacità e possibilità che una donna possiede e in questo la tecnologia può essere un valido supporto. Esistono dispositivi che permettono di scaricare le mail, scrivere documenti, correggere presentazioni da remoto e questo significa lavorare sempre e ovunque. Certo, deve esistere un limite e questo dipende dalla maturità delle persone e dalla capacità di trovare un limite tra lavoro e vita personale. Le tecnologie di ultima generazione possono 55


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marzo - maggio 2011

Roberta Cocco Laureata in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano, ha completato la sua formazione con un Master in Comunicazione e Relazioni Pubbliche presso ISFOR e seguendo numerosi corsi e aggiornamenti in Italia e negli Stati Uniti nell’ambito del Marketing e della Comunicazione d’Impresa. La sua esperienza nei settori delle relazioni pubbliche e del marketing ha origine negli anni dell’università, sin dal primo lavoro svolto presso il reparto “Indagini di mercato” della Rinascente e, in seguito, come membro del Comitato Organizzatore di Italia 90. Nel 1991 ha iniziato la sua carriera in Microsoft Italia, dove ha rivestito ruoli sempre più strategici, fino a ricoprire l’attuale carica di Direttore Marketing Centrale alla guida di un team di 25 persone. Gli anni trascorsi in Microsoft hanno consentito a Roberta di maturare solide competenze nel campo della responsabilità sociale d’impresa, mettendo il proprio spiccato ingegno manageriale al servizio di iniziative di CSR, anche su scala internazionale. Nel 2004, forte di un background che l’ha portata a interessarsi in prima linea alla questione delle Pari Opportunità in Italia, Roberta ha promosso la creazione di futuro@lfemminile: il progetto di responsabilità sociale di Microsoft di cui è responsabile, volto a valorizzare il potenziale femminile attraverso l’uso delle tecnologie e insignito del Premio Speciale nell’ultima edizione del Sodalitas Social Award. Dal febbraio 2006 è Professore Incaricato del corso di “Brand Management e Comunicazione” presso la Laurea Specialistica in Marketing della Università LIUC di Castellanza (VA). Nel 2006 è stata insignita dell’importante riconoscimento “Premio Donna Marketing 2006” e sempre in quell’anno ha pubblicato il libro “La magia degli eventi”, edito da Sperling & Kupfer Editori. È membro della Commissione Upa per il Rapporto con i Mezzi, del circolo “Aggiornamento Permanente Ambrosetti” e ha preso parte al progetto “European Leadership and Organization Development Training for High Potential” sviluppato da Microsoft Europa. Attualmente è membro del “Consiglio Direttivo dell’Osservatorio Donne PA” coordinato dal Forum PA e partecipa al “Comitato Scientifico della Fondazione per la Diffusione della Responsabilità Sociale delle Imprese”, centro indipendente che vede tra i fondatori promotori il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, INAIL, Unioncamere e Università Bocconi; nell’ambito del programma di attività della Fondazione, presiede il gruppo di lavoro “Conciliazione Vita e Lavoro”. Lo scorso 8 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, Roberta Cocco è stata insignita dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

offrire innumerevoli opportunità di conciliazione tra le diverse dimensioni della vita professionale, sociale e familiare, con l’obiettivo di aiutare le donne a esprimere il proprio potenziale. Il progetto Futuro@lfemminile è stato accolto dal nostro top management come valore importante e noi continuiamo a crederci. Lavoriamo molto con i corsi di formazione che vanno dall’insegnare i primi rudimenti tecnologici, gli strumenti più semplici, fino ad arrivare a conoscere tutto ciò che la rete mette a disposizione. Da una recente indagine di Unioncamere è emerso che in Italia ci sono 1,4 milioni di imprese rosa. Imprese che negli ultimi anni sono cresciute più di quelle maschili, resistendo meglio alla crisi. Un segno di carattere e di reazione da parte del mondo femminile... I dati positivi di oggi devono fare i conti con un passato recente poco piacevole: nel 2009 infatti molte donne hanno perso il posto di lavoro. Come Progetto@lfemminile, siamo state chiamate dal Ministero per aiutarle nel crearsi nuove opportunità professionali. Di fronte a un panorama lavorativo poco confortante, molte donne, soprattutto over 50 anni, si sono mosse e hanno creato microaziende. Le donne sono una risorsa indispensabile: sono multiat56

tive, capaci di gestire la casa, la famiglia e il lavoro contemporaneamente e proprio per questo motivo la tecnologia può rappresentare un valido aiuto, per loro e per le aziende. Attualmente ricopre il ruolo di Direttore Marketing Centrale alla guida di un team di 25 persone. Che tipo di manager è Roberta Cocco? La forza di ogni manager è di costruire un rapporto trasparente con le persone con cui si lavora. Credo fortemente nel ritorno positivo che il buon esempio può portare. Il team va motivato, sempre, mettendo comunque al primo piano valori come l’etica e il rispetto. Tecnologia e web quale impatto stanno avendo sul modo di

promuovere e di comunicare il proprio marchio? Nel giro di pochi anni il Marketing si è evoluto. Come sottolinea Philip Kotler, guru del settore e persona che io stimo profondamente, il marketing deve innanzitutto fondersi con la responsabilità sociale ed etica dell’azienda. Inoltre l’era di internet ha cambiato profondamente il modo di fare marketing e non parlo solo di digital marketing. Esistono una serie di strumenti e attività che, come Microsoft, mettiamo a disposizione dei professionisti e gestiamo attraverso la rete. Parlo ad esempio degli eventi virtuali per cui le persone possono avere l’accesso a un determinato incontro “online” e partecipare in diretta con domande. Si tratta di un qualcosa che va ben oltre la videoconferenza. Come marketing inoltre


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La sede di Microsoft Italia

Con Microsoft stiamo lavorando sul Cloud Computing, ovvero sia la possibilità di gestire esternamente (online) le applicazioni e le attività, invece che all’interno delle tue quattro mura puntiamo molto sul mass marketing mettendo in rete tutte le info sui nostri prodotti cercando di indirizzarli, in maniera diversa, ai diversi target di riferimento. Lavoriamo molto attraverso Messanger e con i 12 milioni di utenti che abbiamo in Italia, trasferendo loro le informazioni di un certo tipo. Abbiamo il nostro sito con cui trasferiamo messaggi e approfondimenti; abbiamo video con interventi dei nostri manager e un sito ad hoc dedicato alle aziende e che sarà aggiornato continuamente per il cloud computing. Cosa si intende, secondo lei, per innovazione? È difficile parlare di innovazione in Italia. E per innovazione intendo, ad esempio computer aggiornati e potenti. Abbiamo una capacità creativa che il mondo intero ci invidia ma l’innovazione tecnologica resta un campo su cui purtroppo siamo ancora indietro. Lavoro molto con le istituzioni e se da una parte trovo delle eccellenze di contro ci sono molti ambiti arretrati. Innovare significa avere la capacità di utilizzare i sistema di base per dare un’accelerata a tutto quello che ha un valore economico per il nostro Paese. Dobbiamo renderci conto che per essere competitivi, in un’economia globale, dobbiamo valorizzare da una parte l’eccellenza ar-

tigiana e creativa che vive e alimenta i nostri distretti e dall’altra dare un’accelerata alla tecnologia quale unico strumento che ci permetterà di essere al passo con i tempi. Chiudiamo con un sogno nel cassetto... Vorrei rendermi conto, tra tre anni, che Futuro@lfemminile non servirà più perché saranno risolte le varie problematiche che ancora oggi condizionano la vita di una donna. |

La competizione internazionale è così forte e i prodotti così simili che devi saperti costruire un’immagine fortissima per sopravvivere sul mercato, altrimenti scompari. Il branding deve colpire la mente, emozionare il consumatore, avere uno ‘spirito’. Come quando guardi una Harley Davidson: ha un potere evocativo enorme”. Philip Kotler

www.microsoft.com

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marzo - maggio 2011 l’amministratore delegato di ITA marco fabbrini

Lo sviluppo dell’International Tobacco Agency, azienda leader in Italia nel mondo del tabacco e degli accessori. L’azienda di Treviso è reduce dalla convention annuale dove sono stati presentati i risultati ottenuti e i nuovi obiettivi. Fiore all’occhiello del gruppo è il marchio Davidoff che continua a crescere nel mercato italiano con una precisa strategia commerciale e di marketing. L’ad Marco Fabbrini ci racconta in un’intervista i tratti distintivi di una realtà che ha fatto della creatività e delle risorse umane i punti cardine del proprio successo testo di Mauro Milesi

ITA una fucina di idee che punta sull’eccellenza l’internazionalizzazione e brand innovativi 58


Sulla cresta dell’onda

Un’azienda che è una vera e propria fucina di idee, dove il mondo del tabacco diventa perno per altre iniziative e nuovi progetti, dove la creatività e lo stile italiano sono il motore per guardare al di là dell’orizzonte, scoprire forme di sviluppo innovative e sempre un passo avanti. Questa è ITA oggi, la sigla che significa International Tobacco Agency, realtà di riferimento nel settore e distributore in Italia di importanti marchi del tabacco come Davidoff, Mood’s, Rizla, Danneman, Pueblo, Portland. A questi si aggiungono anche molti brand ideati proprio da ITA e che riguardano prodotti di consumo per le tabaccherie e le cartolerie: dagli accendini alle penne, dalle carte da gioco ai gadget. L’azienda fondata da Pietro Fabbrini ha sede a Treviso, ma opera su tutto il territorio italiano partendo da uno staff interno che coordina un’importante rete di promoter e agenti. A inizio anno si è celebrata la convention biennale che è un momento cardine per una realtà che punta sul valore delle risorse umane come

elemento fondante del proprio sviluppo e della propria identità. A Marco Fabbrini, amministratore delegato della ITA, abbiamo chiesto di raccontarci questo importante evento e le future prospettive di sviluppo. Partiamo proprio dalla convention ITA che è stata l’appuntamento clou d’inizio anno. Cosa ha rappresentato per voi questo evento? Il motivo di fondo è legato alla volontà di riunire la forza vendita. Finora abbiamo fatto questa operazione ogni due anni, ma l’obiettivo dell’azienda è di trasformarla in evento annuale vista l’importanza che ricopre per noi. La convention è un momento di formazione e di condivisione dei risultati, tutto questo in un clima di aggregazione che fa crescere la motivazione e il senso di appartenenza. I collaboratori esterni possono meglio comprendere il valore dell’azienda in cui lavorano, soprattutto in con59


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marzo - maggio 2011

Siamo un’azienda molto dinamica, che punta su persone giovani, stimolanti e pronte a ricercare nuove opportunità. Da noi si respira un’aria frizzante, di grande motivazione, di coinvolgimento e tutto il personale è colpito da questa atmosfera. In un contesto come questo c’è possibilità di crescere e di avere un continuo confronto siderazione dell’importante crescita che ITA ha avuto in questi anni. Basti pensare che la prima convention ufficiale si è svolta nel 2002 con circa 70 partecipanti, quella di quest’anno ne contava 250.

Abbiamo l’obiettivo di consolidare il fatturato con una crescita intorno al 15%. Cercheremo di incrementare la nostra penetrazione nelle tabaccherie, nel circuito dei grossisti; inoltre lavoreremo per sviluppare i nostri marchi anche nei mercati Gdo e cartolerie, oltre wa puntare all’internazionalizzazione 60

La convention permette anche di fare una “fotografia” dell’azienda. Come è cambiata ITA rispetto a due anni fa? Innanzitutto è cambiato il modo di lavorare sul tabacco, con due tipologie di forze vendita distinte in agenti e promoter. Questi ultimi sono aumentati rispetto al passato: sono collaboratori interni all’azienda che si occupano solo e soltanto di tabacco, ciascuno dedicato a un brand specifico. In questo modo abbiamo potuto concentrare il valore degli agenti nella valorizzazione del proprio territorio, nella vendita dei prodotti commerciali e di alcuni brand particolari di tabacco. E’ cambiata anche la struttura interna che è in continua evoluzione, non soltanto per la crescita dei volumi e delle iniziative, ma anche perché siamo di fatto un’azienda familiare che opera in un contesto internazionale. Quindi stiamo cercando di lavorare al meglio su questo processo di “strutturazione” sia dal punto di vista procedurale, ma anche puntando sulle persone e sullo sviluppo dei nostri brand commerciali come Juego, Egoist, Ciao e molti altri. Di fatto abbiamo una maggiore propensione all’internazionalizzazione rispetto a due anni fa e abbiamo importanti progetti per espandere il nostro mercato e vendere i nostri prodotti all’estero. Sul fronte dei volumi, rispetto al passato abbiamo incrementato notevolmente le vendite dei prodotti a marchio Rizla, abbiamo fatto importanti operazioni di posizionamento di brand a valore aggiunto come Davidoff, abbiamo registrato l’esplosione delle vendite del tabacco “ryo” e “myo” di cui deteniamo quote rilevanti del mercato italiano, ab-


Sulla cresta dell’onda Davidoff, in Italia cresce sempre di più Fiore all’occhiello della ITA è il marchio Davidoff, distribuito in esclusiva in Italia sulla base di un’importante strategia non soltanto commerciale, ma anche di marketing e comunicazione. Il brand, infatti, si colloca nel mercato di fascia medio-alta e richiede un importante lavoro di posizionamento oltre al rispetto di standard qualitativi e d’eccellenza che contraddistinguono la maison svizzera. In un contesto complesso, quale quello del luxury, Davidoff e Ita sono riusciti a migliorare ulteriormente la loro presenza sul mercato di alta gamma. Proprio in tema di bilanci, i prodotti collegati al gruppo Oettinger-Davidoff hanno registrato in Italia un incremento del 17,28% nel 2010. La conferma arriva dal brand manager Davidoff per l’Italia, Enrico Della Pietà che sottolinea l’importante lavoro svolto: “Questo incremento è ancora più importante se si considerano le difficoltà di posizionamento dei prodotti a fascia medio-alta in un periodo congiunturale come questo. Abbiamo registrato nel 2010 un 18% di sviluppo nel new business con un incremento del 20% del numero di pezzi venduti”. I marchi del gruppo svizzero distribuiti in Italia sono 9, 8 di proprietà e produzione diretta più Camacho, con l’acquisizione dell’azienda produttrice in Honduras. “I punti forti dei nostri prodotti sono rappresentati da una grande brand identity - spiega Della Pietà - da una qualità indiscussa e costante, da una continua ricerca e sviluppo di nuove linee e miscele. In Italia abbiamo lavorato per accrescere anche il supporto nei confronti dei nostri clienti diretti oltre che nei confronti del consumatore finale. Per questo investiamo in corsi di formazione, eventi trade e consumer e su partnership a valore aggiunto e di alto livello nel mondo del vino e distillati, della moda, del luxury horeca, dell’editoria. Inoltre stiamo puntando anche a nuove iniziative di comunicazione e sviluppando progetti nel campo dei new media”.

biamo assistito alla importante crescita del nostro brand Juego che è legato al mondo degli accessori per il gioco. Alla luce di tutto ciò, quali sono i vostri obiettivi nel 2011? Ovviamente abbiamo l’obiettivo di consolidare il fatturato con un target di crescita intorno al 15%. Per fare questo cercheremo di incrementare la nostra penetrazione nelle tabaccherie (circa 18000, ndr), nel circuito dei grossisti; inoltre lavoreremo sempre di più per sviluppare i nostri marchi anche nei mercati Gdo e cartolerie, oltre ad accrescere il processo di internazionalizzazione. ITA punta molto sulle risorse umane, ci vuole spiegare le ragioni di questa fi losofia? Siamo un’azienda molto dinamica, che punta su persone giovani, stimolanti e pronte a ricercare nuove opportunità. Da noi si respira un’aria frizzante, di grande motivazione, di coinvolgimento e tutto il personale è colpito da questa atmosfera. Qui non è un ministero chiuso a compartimenti stagni, tutti sono molto liberi, anche di dire quello che si pensa. In un contesto come questo c’è possibilità di crescere e di avere un continuo confronto.

A proposito di dinamicità, quali sono le novità su cui state lavorando? Abbiamo tanti progetti in questo momento, il più grande riguarda il lancio in Italia di una nuova cartina Rizla che è assolutamente innovativa perché è la più leggera sul mercato. Abbiamo altre novità che riguardano Davidoff e tutta una serie di prodotti nuovi per i brand Juego ed Egoist. Inoltre stiamo avviando importanti collaborazioni con aziende e marchi importanti come ad esempio Pokerstars con cui pensiamo di avviare un servizio innovativo rivolto alle tabaccherie. Insomma, qui ogni giorno costruiamo un pezzo importante del nostro futuro. |

in alto: enrico della pietà, brand manager davidoff. sopra: un’immagine della convention Ita di inizio anno Il problema è che se non rischi nulla, rischi ancora di più. Erica Jong

www.itagency.it

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marzo - maggio 2011

Manager a scuola di esperienze e creatività Viaggio alla scoperta dei metodi esperienziali per affi nare le competenze di manager e imprenditori. Il trainer Giampaolo Rossi racconta come è possibile imparare a gestire il cambiamento attraverso il gioco, l’arte e lo sport testo di Laura Di Teodoro Manager e imprenditori alle prese con violini, barche a vela, giochi, laboratori creativi, di pittura e mostra del cinema. Situazioni e contesti che chiamano in gioco la creatività e il lavoro di gruppo e diventano vere e proprie sessioni formative. È il percorso formativo sviluppato e proposto da Giampaolo Rossi, Trainer di Comunicazione per Manager, specializzato nella formazione di Executive Team, 62

con l’obiettivo di affinare competenze manageriali quali leadership, il team working, la gestione dei collaboratori e del cambiamento, il problem solving e il project management. Come? Attraverso le metodologie esperienziali e l’utilizzo delle metafore per affinare le competenze. Dalla pittura alla musica passando per il cinema, il vino, il cibo, i giochi, la montagna e la barca a vela: i manager vengono immer-

si in contesti completamente nuovi e creativi e, attraverso il gioco e la performance arrivano a sviluppare da un lato il valore del contributo individuale dall’altro la capacità di agire nel gruppo e per il gruppo. Come inizia il suo percorso di trainer e consulente della comunicazione aziendale? Ho iniziato dalla gavetta in una piccola società per poi specializzarmi nell’appren-


Formazione manageriale esperenziale che spinge i partecipanti a decontestualizzare la complessità delle dinamiche e delle relazioni interpersonali, delle differenze gerarchiche e dei ruoli che caratterizzano la realtà organizzativa e contemporaneamente a vivere l’esperienza della relazione in un nuovo perimetro comportamentale dove l’apprendimento e il divertimento rappresentano l’obiettivo comune. La metafora è un metodo accattivamente che permette di fare immergere i manager e gli imprenditori in ruoli nuovi.

Momenti di “lezioni” tenute dal trainer Rossi

dimento e nella formazione degli adulti in un ambiente professionale. Gli adulti, diversamente dai ragazzi, hanno bisogno di un riscontro pratico e immediato. Successivamente ho lavorato con i top manager a cui dovevo fornire un certo valore aggiunto per affinare le proprie capacità e ricercare l’eccellenza. Mi sono specializzato così nella consulenza per la formazione della leadership e per la gestione del cambiamento ma ricercando metodi nuovi perchè quelli tradizionali erano sterili e non portavano frutti sufficientemente efficaci. E qui rientra l’innovazione portata con il concetto delle metafore e del team working... Esatto. Con il metodo delle metafore mi sono voluto allontanare dal contesto lavorativo: le persone arrivano in aula in situazioni completamente nuove per loro, trovandosi allo stesso livello, senza esperienza in quel determinato contesto e sono chiamati a mettersi in gioco con le proprie capacità e abilità. Dopo questa fase pratica io analizzo quanto viene fatto e successivamente passo alla teoria fornendo indicazioni e snocciolando i vari modelli. Quando parla di situazioni diverse cosa intende? Parlo di contesti artistici, ludici e sportivi: gioco, arte, pittura, musica, sport, barca a vela, cinema, cibo e vino. L’utilizzo di queste metafore permette di agire su un nuovo piano

Può farci qualche esempio? Il Learningame ha l’obiettivo di recuperare il valore del Gioco come ritorno a una dimensione che, grazie alla sua semplicità e immediatezza, permette di entrare nel vivo delle dinamiche interne del gruppo, sottolineando in modo incisivo gli effetti e i benefici dell’atteggiamento collaborativo e di quello competitivo. Nella metafora della Pittura ai partecipanti vengono messi a disposizione strumenti sia teorici che pratici che permetteranno la realizzazione di un’opera d’arte collettiva come espressione di lavoro di gruppo. Nella metafora della Musica la testimonianza di un Direttore d’Orchestra permette di rappresentare l’Orchestra come esempio di Team Working e utilizzo della Leadership. Nella metafora del Cinema i partecipanti vengono coinvolti in un laboratorio sulle Arti Visive che porterà alla stesura di un soggetto e di una sceneggiatura condivise per la creazione di un Fotoromanzo sul tema Lavorare in Team. Con la metafora del Vino, attraverso la conoscenza e la sperimentazione viene sviluppato il sentimento di coesione e di performance di gruppo. Sul fronte della Cucina, l’organizzazione, il lavoro di squadra e la suddivisione dei ruoli costituiscono le aree di intervento e miglioramento. Con la metafora della Barca a Vela i partecipanti vengono immersi in un contesto inusuale, non familiare, in cui devono imparare a condurre una barca eliminando le differenze di ruoli e di livelli di appartenenza. Questo permette di confrontarsi su un terreno comune sfidante e stimolante, in cui si ricoprono ruoli differenti e si sperimenta la collaborazione volta al raggiungimento di un risultato immediato e tangibile. La presenza di due equipaggi che si sfidano in una mini regata permette di mettere alla prova il team stressando l’organizzazione per il raggiungimento dell’obiettivo comune. I partecipanti hanno la possibilità di sviluppare in maniera efficace le capacità di gestione del proprio ruolo, di problem solving e di una attenta comunicazione inserita nel contesto della performance di gruppo.

Dalla pittura alla musica passando per il cinema, il vino, il cibo, i giochi, la montagna e la barca a vela: i manager vengono immersi in contesti completamente nuovi e creativi e, attraverso il gioco e la performance arrivano a sviluppare da un lato il valore del contributo individuale dall’altro la capacità di agire nel gruppo e per il gruppo In base a cosa viene scelta la tipologia di metafora? In base agli obiettivi, allo stile dell’azienda e alla motivazione che spinge l’imprenditore ad affrontare il corso. Recentemente ho organizzato una sessione nel contesto dell’ultimo Monte Carlo Film Festival della Commedia dove abbiamo alternato la parte didattica con proiezioni di film, conferenze stampa e la partecipazione a iniziative esclusive e cene di Galà. In questo modo abbiamo creato una maggior capacità di leadership nelle persone avendo vissuto comunque un’esperienza unica, divertente. Quali sono i principali riscontri pratici che arrivano da questo genere di sessioni formative? La consapevolezza che ci sono alcune aree di miglioramento nella propria azienda, anche se sono già stati raggiunti livelli di successo. Spesso la solitudine in cui il leader vive non gli permette di avere un riscontro e un confronto per capire dove agire per migliorare. Al termine degli incontri, i manager tornano a casa con una serie di soluzioni per l’organizzazione aziendale, la risoluzione dei problemi e per rafforzare la leadership. Inoltre lavoriamo molto sulla comunicazione interna e 63


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sulla capacità di resistere in momenti difficili, due tematiche centrali nella gestione del cambiamento. E quali invece le motivazioni che avvicinano i manager alla formazione? Oggi la globalizzazione, i cambiamenti dettati dalla non facile situazione economica hanno portato a una richiesta di strumenti diversi, di competenze nuove che vanno ricercate. C’è la forte necessità di leggere e anticipare il cambiamento, adeguando quindi una serie di dinamiche aziendali, dalla gestione delle risorse umane alla consapevolezza della propria leadership. Come giudica i manager di oggi? Hanno grandi capacità di flessibilità che permettono loro di metabolizzare il cambiamento continuo. I manager devono avere le giuste capacità per affrontare tutte queste novità e soprattutto devono essere bravi nella gestione dei collaboratori. Di fronte a questi cambiamenti come si sta adeguando la formazione? La formazione è sempre meno tecnica e più manageriale. Il leader di oggi deve essere un grande capo in grado di far crescere le persone e fornito di una visione aperta, capace di leggere e interpretare i cambiamenti. Inoltre, informazione non irrilevante, corsi del genere non vengono pagati dalle aziende dei manager bensì da fondi per la formazione a disposizione delle imprese. |

Altri momenti di “lezioni” tenute dal trainer Rossi

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Giampaolo Rossi, tranier di Comunicazione per Manager

Nessuno conosce le proprie possibilità finchè non le mette alla prova. Publilio Siro

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marzo - maggio 2011

Il

valore dell’incentive Intervista a Enzo Vitale, Division Director della Divisione Incentive & Congressi di Hotelplan Italia. Una panoramica sull’andamento del settore, sui cambiamenti del mercato e sulle opportunità per le aziende a cura della redazione

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Tengono i viaggi incentive e dopo un 2010 critico per molte aziende, tornano a primeggiare mete quali Bahamas, New York e Sud Africa. Le imprese tornano a credere nell’incentive quale leva per fidelizzare clienti, incrementare le vendite e rafforzare il senso di appartenenza dei dipendenti. L’analisi arriva da Enzo Vitale, Division Director della Divisione Incentive & Congressi di Hotelplan Italia, tour operator italiano operante dal 1947 nel settore turistico e tra i gruppi leader del mercato nazionale. Vitale lavora in Hotelplan da vent’anni e arriva da un’esperienza di quindici anni nella programmazione di viaggi in Jamaica e in Messico. Oggi dirige il ramo Incentive insieme a un team di 30 persone e organizza mediamente 200 eventi all’anno.


In mondo dell’incentive

immagine della campagna di comunicazione hotelplan dedicata all’incentive

Come sta andando il settore Incentive & Congressi? Lavoro nel ramo Incentive e Congressi da quattro anni. I primi due anni, il 2007 e il 2008 sono stati strepitosi, i migliori della storia del settore con una crescita esponenziale. Nel 2009 è iniziata la crisi. Per quanto ci riguarda, lavorando molto con il settore farmaceutico, abbiamo avvertito i primi contraccolpi con un ritardo di sei mesi rispetto al turismo tradizionale. L’anno peggiore è stato sicuramente il 2010: la crisi del mondo del turismo è legata soprattutto al forte ridimensionamento delle tariffe aeree e dei costi degli alberghi. Per quanto riguarda il mio specifico settore, le aziende si sono trovate di fronte alla necessità di ridurre i budget per gli abituali viaggi incentive organizzando, ad esempio, viaggi in Egitto invece che in Jamaica o alle Mauritius. Non solo, per la prima volta in

tanti anni, molte case farmaceutiche che lavorano con noi ci hanno chiesto di utilizzare voli low cost. Dalle nostre analisi abbiamo comunque evidenziato una tenuta del fatturato, nonostante le flessioni. Il motivo? Abbiamo reagito al ribasso dei prezzi con un aumento di persone trasportate. Da questo punto di vista infatti il 2010 è stato un anno record. Come mai questo rapporto particolare con le case farmaceutiche? Il 40% del nostro fatturato arriva proprio da quel settore, ma lavoriamo comunque con molti altri settori. Il motivo di una percentuale così alta è da collegare alla storia di Hotelplan che nasce in Svizzera dove sono molte e numerose la case farmaceutiche. Quali sono le principali destinazioni scelte per gli incentive?

Negli ultimi sei mesi sono ripresi i viaggi soprattutto in Sud Africa, New York e Bahamas ad esempio. Nello specifico il settore farmaceutico ci chiede mete italiane; ultimamente abbiamo organizzato un viaggio per 250 persone a Taormina. Quanto la crisi ha cambiato l’approccio a questo settore? Molti alberghi hanno abbassato drasticamente i prezzi e ora che inizia ad esserci un po’ di ripresa, tornare alle tariffe di qualche anno fa sarà difficile, soprattutto perchè le aziende non saranno più disposte a pagare di più rispetto ad ora. Hotelplan come si è adeguato a questo stravolgimento del mercato? Abbiamo potenziato la squadra dei nostri commerciali per aumentare la quantità di domanda. 67


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Enzo Vitale, Division Director della Divisione Incentive & Congressi di Hotelplan Italia

In base a quali criteri viene scelta una meta (per un viaggio incentive) o una location (per un congresso)? Generalmente le aziende che vogliono organizzare un incentive hanno già una serie di preferenze. Mentre per i congressi la scelta è spesso legata alle esigenze e agli obiettivi che si vogliono raggiungere.

La crisi del mondo del

Qual è il valore aggiunto di un viaggio Incentive per un’azienda? Quali le opportunità? Il viaggio incentive può rappresentare un investimento se viene confenzionato

come prodotto esclusivo. Comprare un pacchetto qualcunque, ergo un viaggio che si potrebbe benissimo fare da soli, non avrebbe senso. Al contrario il viaggio incentive va pensato e deve diventare un prodotto unico e un’opportunità di vivere un’esperienza unica ed emozionante. Quando questo viene fatto i riscontri sono positivi, le vendite per le aziende aumentano e si rafforza il senso di attaccamento all’impresa stessa.

I primi due anni, il 2007 e il 2008 sono stati strepitosi, i migliori della storia del settore con una crescita esponenziale. Nel 2009 è iniziata la crisi e l’anno peggiore è stato sicuramente il 2010 68

turismo è legata soprattutto al forte ridimensionamento delle tariffe aeree

HOTELPLAN ITALIA Fondata nel 1947 quale filiale italiana di Hotelplan Internaionale, Hotelplan Italia opera nel settore del turismo attraverso le sedi di Milano e Roma e con le 4 filiali di Torino, Bologna e MIlano. Dopo aver acquistato Turisanda nel 2000, oggi Hotelplan Italia Spa si posiziona tra i gruppi leader del mercato italiano. Nel 2005 nasce il nuovo brand Tclub che consta 9 resort e 26 hotel nel mondo. Nel 2007 nasce l’esclusivo brand Italian Secrets, con una programmazione dedicata alla scoperta di un’Italia poco conosciuta. Fanno parte di Hotelplan international anche le due italiane Interhome e Solemar società specializzate nella vendita di soggiorni in ville e dimore di prestigio in tutto il mondo. Accanto all’organizzazione di viaggi leisure si affianca una forte specializzazione nelle attività dedicate all’agenzia, come l’organizzazione di viaggi incentive, d’affari e congressi. La divisione Incentive e Congressi si occupa infatti di viaggi incentive, conventions, meetings aziendali e della relativa comunicazione, cercando il giusto equilibrio tra organizzazione e creatività: ogni azienda ha quindi la possibilità di costruire il proprio evento, unico ed eslusivo, con una consulenza specializzata.

ai nostri viaggi, arrivando a confezionarli, comunicarli e presentarli in un certo modo. Sul fronte delle aziende invece si stanno aprendo nuove possibilità: si fanno sempre più convention e road show che permettono di raccogliere un maggior numero di contatti.

e dei costi degli alberghi

Verso quale direzione sta andando questo settore? Abbiamo potenziato la struttura commerciale perché vorremmo essere più presenti a tutti i livelli. Recentemente abbiamo stretto un accordo con un’agenzia di comunicazione per dare un valore aggiunto

Qual è il vostro target di riferimento? Il target è medio alto. Lavoriamo con tutte le tipologie di aziende, dalle piccole alle grandi. Cosa le sta dando questa esperienza professionale? Per 15 anni ho viaggiato in una sola parte del mondo. Da 4 anni invece viaggio in mete che mai avrei considerato, in più ho avuto la possibilità di affrontare aspetti più commerciali che prima ignoravo. La mia crescita professionale è stata notevole. |

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Mark…

A proposito di

Un’analisi sulla nomina di Mark Zuckerberg, creatore di Facebook, a uomo dell’anno 2010. Dall’essere stimolo per rimettere le nuove generazioni al centro dell’attenzione delle nostri classi dirigenti all’aver stravolto l’approccio con il web fi no ad arrivare al ruolo svolto dai social network nelle dinamiche aziendali di Alfonso Fuggetta, ceo di Cefriel centro di Innovazione Ict del Politecnico di Milano Secondo la rivista Time, Mark Zuckerberg, creatore di Facebook, è l’uomo dell’anno 2010. È un prestigioso riconoscimento che certamente va a premiare un giovane che ha rivoluzionato il modo secondo il quale interagiamo e comunichiamo. Facebook non è infatti solo uno dei tanti social network. Secondo una recente indagine di Vincenzo Cosenza, Facebook è di fatto il social network più usato in quasi tutti i paesi del mondo: più di mezzo miliardo di persone lo usano per comunicare, interagire, partecipare alla vita sociale. È indubbio che la storia di Zuckerberg e la nascita di Facebook siano state e tuttora sono accompagnate da polemiche, zone d’ombra e conflitti legali sui quali è stato girato addirittura un film dal titolo “The Social Network” che ha incassato 193,651,734 dollari. Nel film si racconta la storia del ragazzo che allora era uno studente diciannovenne di Harvard. Facebook viene creato con il nome di The Facebook il 4 febbraio del 2004. Nasce per essere una piattaforma sociale in cui gli studenti della famosa università americana si sarebbero potuti scambiare informazioni personali come foto e

Facebook ha chiuso i primi nove mesi del 2010 con un utile netto di 355 milioni di dollari su ricavi per 1,2 milioni di dollari. Con ogni probabilità, la quotazione di Facebook in Borsa è prevista nel 2012 status sentimentale. Per la fine del mese metà degli studenti di Harvard erano iscritti al servizio. In poco tempo i requisiti partecipativi per iscriversi al social network si espandono anche all’Università di Stantford, alla Columbia University e all’Università di Yale, per poi continuare con la Ivy League (le otto più prestigiose università private degli USA), il MIT, la Boston University e il Boston College. In seguito basta un indirizzo di posta elettronica con dominio universitario (per esempio .edu, .ac.uk, etc.) per accedervi da tutto il mondo. Ma è solo dall’11 settembre 2006, che chiunque abbia più di 13 anni, può parteciparvi. Il 21 luglio 2010 Mark Zuckerberg annuncia con entusiasmo sul suo blog che sono in 500 milioni ad avere un profilo su Facebook. Ultimamente si parla della volontà di Zuckerberg di quotare Facebook in Borsa, la società ha infatti già raccolto tramite 70

Mark Zuckerberg, creatore di Facebook

la Goldman Sachs un investimento da 1,5 miliardi di dollari, cosa che è stata resa nota tramite un comunicato stampa. Sul grey market, il mercato non ufficiale dove si fanno le pre-contrattazioni di azioni di società in procinto di essere quotate, il social network poco tempo fa, scambiava a livelli che scontavano una capitalizzazione di 76 miliardi. La

Goldman Sachs fa inoltre sapere, tramite un documento informativo, che Facebook ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un utile netto di 355 milioni di dollari su ricavi per 1,2 milioni di dollari. Per gli acquirenti di titoli del social network è stato creato a Delaware un veicolo d’investimento ad hoc chiamato FBDC Investors. L’investimento di


L’Analisi

Goldman Sachs in Facebook ha suscitato l’attenzione anche nella Sec (l’ente governativo statunitense preposto alla vigilanza della Borsa valori), che aveva già avviato un’indagine sul mercato secondario. Nel momento in cui Facebook supererà la quota di 500 azionisti o investitori avrà 120 giorni a disposizione per regolarizzare la propria posizione con la Consob americana (la legge prevede che una società non quotata possa aver un numero massimo di 499 azionisti o investitori. Una volta raggiunta quota 500 o più, c’è l’obbligo di registrarsi). Con ogni probabilità, la quotazione di Facebook in Borsa è prevista nel 2012. Detto tutto questo, come interpretare il riconoscimento della rivista Time? Ci sono diversi punti di vista e commenti che a questo proposito si possono fare. In primo luogo, è positivo e emblematico che il riconoscimento vada a un giovane che ha saputo creare in pochi anni una realtà che ha cambiato nel profondo usi e costumi della nostra società.

Se pensiamo alla realtà italiana, afflitta da una cronica incapacità di valorizzare e sostenere l’entusiasmo e la voglia di fare dei nostri migliori giovani, un primo messaggio forte che emerge è il bisogno di rimettere le nuove generazioni e le persone più dinamiche e creative del nostro paese al centro dell’attenzione delle nostri classi dirigenti. Peraltro, la storia di Facebook mette in luce anche un secondo problema critico: come gestire l’innovazione, la competizione e il mercato in un mondo dove la primogenitura di una idea o anche solo una semplice intuizione possono fare la differenza? È un tema che continuamente riemerge sia per la progressiva dematerializzazione di molti prodotti e servizi, sia per il momento storico che stiamo vivendo. Le economie occidentali devono fronteggiare la poderosa

e arrembante crescita dei paesi emergenti e della Cina in particolare, paesi che sui temi della protezione della proprietà intellettuale e della concorrenza hanno posizioni e atteggiamenti abbastanza differenti da quelli dei paesi del “primo mondo”. C’è un terzo tema che questo riconoscimento porta in primo piano. L’avvento di sistemi come Facebook sta incidendo profondamente sulle dinamiche delle imprese e di molte attività economiche. Facebook non è semplicemente uno strumento di svago o di divertimento. È una rete e un luogo di incontro che sta diventando anche e soprattutto uno strumento di marketing e di presenza sul mercato. Non si tratta solo di “un gioco”, come alcuni ancora tendono a considerarlo. Questa visione è miope e di retroguardia: il mondo di internet e dei social network sta sempre più diventando lo snodo che determina visibilità e successo delle nostre imprese e quindi è necessario saper guardare in modo nuovo a questi fenomeni. Un quarto aspetto critico collegato allo sviluppo di Facebook è la cosiddetta morte del web. Il rapporto dell’utente nei confronti di internet è evidentemente cambiato. Per molti oggi l’esperienza del web si riassume e chiude in Facebook, che in qualche modo tende a modificare gli equilibri o la natura stessa dell’accesso a internet. Il fatto che il social network stia diventando sempre di più “Il Luogo” della rete (nel 2010 il sito ha addirittura superato, negli Stati Uniti per una settimana, come numeri di accessi, il motore di ricerca Google), porta gli utenti a scaricare sempre più spesso delle applicazioni che permettono di usufruirne senza accedere al web via browser (lo stesso vale per Twitter, RSS feeds reader ecc..) e questo fenomeno potrebbe avere delle implicazioni sul medio e il lungo periodo sulla natura stessa e sullo sviluppo del web. Infine, lo sviluppo e l’affermazione di social network come Facebook stanno incidendo profondamente sul tessuto e sulle dinamiche delle nostre relazioni sociali. Cambia il modo secondo il quale interagiamo. Nascono problemi sempre più complessi e delicati di privacy e di sicurezza delle persone e delle informazioni. Emergono nuove sfide sul fronte dell’educazione e della formazione delle diverse fasce della popolazione. Si tratta di sfide molto delicate che troppo spesso vengono affrontate in modo semplicistico o addirittura snobbate, in quanto questi fenomeni sono considerati transitori ed effimeri. In realtà, stanno incidendo profondamente e permanentemente sullo sviluppo complessivo della nostra società. In generale, il riconoscimento di Time Magazine è emblematico e certamente ci stimola – ci deve stimolare – a riflettere e valutare con grande attenzione quanto sta accadendo in questi anni. Dobbiamo saper guardare a questi fenomeni con lungimiranza e intelligenza, sapendo cogliere tutte le complessità e criticità che essi nascondono, ma anche le straordinarie opportunità e ricchezze che possono offrire a tutte le componenti della nostra società. |

“I nostri più grandi progressi hanno sempre l’unico scopo di mettere gli uomini in contatto”. Tratto da “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupéry

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Innovare, ridurre costi e migliorare i prodotti: simulazione il ruolo strategico della

La tua azienda usa la simulazione in modo innovativo? Ansys permette di collaborare alla survey di Aberdeen Group. Sarà possibile paragonare il modo di progettare e usare la simulazione dell’azienda con le best in class e ricevere un report personalizzato su come migliorare le performance aziendali di Thierry Marchall – Worldwide Industry leader – Ansys Inc. Paolo Colombo – Ansys Italia

Secondo la ricerca di una prestigiosa università americana la crescita aziendale attraverso l’innovazione, che tanto è decantata da imprenditori, politici e teorici, viene poi nei fatti scoraggiata da diversi fattori. Il primo di tutti è il rischio implicito nel fare innovazione: percorrere una strada nuova significa affrontare l’incertezza. Incertezza nei risultati, nei costi. Incertezza nelle decisioni, negli investimenti. In tempi di crisi, pochi possono permettersi errori e sprechi. A ciò si aggiungono nuovi diktat a cui non possiamo non sottostare se vogliamo mantenere la nostra competitività come la riduzione dei tempi di sviluppo e dei budget disponibili, e tendenze fortemente limitanti come i cambiamenti veloci e continui delle condizioni di mercato che portano a focalizzare gli obiettivi aziendali e del management sul breve termine. La somma di questi fattori è evidentemente sfavorevole all’innovazione e crea un contesto competitivo molto complesso, che viene spesso affrontato con strumenti pensati per situazioni molto più stabili e prevedibili. Nella gestione della complessità, la tecnologia gioca un ruolo importante, tanto da non essere più considerata un dominio dei soli tecnici ma una risorsa strategica di cui si deve occupare il management aziendale. Nel ciclo di sviluppo di nuovi prodotti, uno dei processi fondamentali per la crescita aziendale, è la simulazione numerica a giocare un ruolo sempre più fondamentale perché consente di superare molti dei limiti che oggi frenano le aziende nello sviluppo di prodotti innovativi, tanto che è stato coniato il termine 72

“simulation driven product development”. La stessa Aberdeen Group, una delle principali società mondiali che si occupano di indagare su come le nuove tecnologie sono applicate nelle aziende, individua una tendenza importante e dichiara che nel prossimo decennio la simulazione diventerà “pervasiva”: chi non la implementa nei suoi processi di sviluppo è destinato a perdere un importante elemento di competitività. Perché? Oggi la sfida per gli imprenditori e i dirigenti è avere un prodotto innovativo, di quelli che affascinano il mercato, sviluppato in poco tempo e con investimenti ridotti. Inoltre è necessaria una ottimizzazione molto più spinta rispetto al passato. Non possiamo fermarci alla prima soluzione che rientra nelle specifiche tecniche ma dobbiamo davvero trovare l’optimus: questo per garantire ad esempio un consumo energetico che faccia rientrare il prodotto tra quelli “green” per ragioni di marketing o per soddisfare le nuove normative, senza avere impatti sul prezzo di vendita o sulle prestazioni. Tutti vorremmo un’automobile a basso impatto ambientale, ma se costa il 20% in più e ci garantisce solo 150 Km di autonomia a 90 Km/h l’interesse decade presto. Tagliare i costi della sperimentazione poi è una strada troppo pericolosa. Ci sono molti esempi di cosa può succedere e di quali sono i costi di tali operazioni: sostituzione o riparazione in garanzia, rifacimento di attrezzature, riprogettazione di componenti… ma soprattutto perdita di immagine e di fiducia verso la nostra azienda in un momento in cui la competizione globale è così

Il 27 maggio un convegno al kilometro rosso Venerdì 27 maggio presso il Kilometro Rosso di Bergamo si terrà il seminario dal titolo “Innovare con la simulazione”. Con la partecipazione di: Ansys, Mox-Off, Microsoft, Politecnico di Milano, Open University Business School, Affidabilità & Tecnologia. La giornata è dedicata ai manager non tecnici, amministratori delegati e imprenditori e fornisce una visione a tutto tondo su come tecnologie come la simulazione numerica possano davvero essere dei facilitatori nello sviluppo di nuovi prodotti, contribuendo al successo aziendale sul mercato.


Innovazione

Nella gestione della complessità, la tecnologia gioca un ruolo importante, tanto da non essere più considerata un dominio dei soli tecnici ma una risorsa strategica di cui si deve occupare il management aziendale. Oggi la sfida per gli imprenditori e i dirigenti è avere un prodotto innovativo, di quelli che affascinano il mercato, sviluppato in poco tempo e con investimenti ridotti

alta che per il cliente diventa facilissimo ed immediato trovare un sostituto. Pensate alla perdita di immagine di Toyota, considerata l’auto più affidabile del mondo, quando ha dovuto richiamare milioni di vetture. Pensate ad Apple che a causa di un difetto dell’antenna nell’iphone 4 ha perso il 20% di mercato. Pensate all’enorme lavoro fatto dalla BP per darsi un’immagine di azienda attenta all’ecologia, distrutta dal disastro della piattaforma nel golfo del Messico. Ed oltre ad una immagine aziendale compromessa, ci si trova a dover pagare danni e sanzioni che in diversi casi arrivano a cifre di milioni di euro. Storicamente, gli ingegneri hanno gestito il rischio attraverso la loro esperienza. Ma cosa fare quando i sistemi diventano sempre più complessi? Quando si affronta l’ignoto e non si ha il tempo per apprendere? In un sistema costituito da migliaia di componenti, ne basta quasi sempre uno solo non efficiente a causare un disastro. Ricordate l’Apollo 13? Una missione della NASA del costo di centinaia di milioni di dollari che è fallita a causa di un componente da pochi centesimi. E quando parliamo del prodotto delle nostre aziende, si tratti di un’automobile di lusso, un aereo, una macchina per il caff è o un lettore mp3 economico, stiamo parlando del nostro futuro e di quello

dei nostri dipendenti, della promessa che la nostra azienda sta facendo al suo mercato. Non possiamo rischiare. Abbiamo allora bisogno di un metodo che abbassi i rischi che inevitabilmente si corrono nell’affrontare il nuovo in presenza di forti costrizioni economiche e temporali, che garantiscano di generare un prodotto affidabile e che questo sia ottimizzato per rispondere alle esigenze di bassi consumi e basso impatto ambientale. Ecco perché parliamo di uso strategico della simulazione: è uno degli strumenti principali per raggiungere questi obiettivi, prendendo decisioni informate ad ogni passo dello sviluppo di prodotto. Facendo affidamento sulla simulazione multifisica, si apre la possibilità di trattare l’incertezza in un modo sistematico permettendo di comprendere e quantificare i rischi, riducendoli al minimo attraverso la comprensione profonda dei fenomeni che si sviluppano intorno al nostro prodotto. Simulando, si crea in azienda una base di esperienza per poter infine applicare la propria conoscenza senza paura di sbagliare. Per un esempio pratico, prendiamo un oggetto di uso comune come un ventilatore. La sua forma e il concetto su cui è sviluppato sono rimasti pressoché inalterati negli ultimi 100 anni. Poi arriva il Dyson Air Multiplier, un ventilatore senza pale. Il suo sviluppo è stato una sfida proprio perché non esisteva esperienza alcuna nel mondo. L’idea prevedeva di risucchiare l’aria dalla base dell’apparecchio e accelerarla tramite un anello i cui profi li aerodinamici ne incanalano anche la direzione, diffondendo il flusso nell’ambiente senza creare turbolenza. Storicamente Dyson si è sempre basata sulla creazione di prototipi fisici per lo sviluppo di nuovi progetti, ma questa volta l’investimento necessario per valutare tutte le idee e le teorie di ingegneri e designer, in termini sia di denaro che di tempo, non lo avrebbe permesso. Dovendo testare molte idee diverse su come dovesse essere disegnato il modulo circolare, che è il cuore del progetto, non era possibile usare la prototipazione fisica poiché la valutazione di ciascuna delle configurazioni sarebbe costata, solo in termini di tempo, due settimane. Dyson aveva già aff rontato simili sfide in passato, alcune proprio nella gestione di flussi d’aria, e quindi ha deciso 73


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Facendo affidamento sulla simulazione multifisica, si apre la possibilità di trattare l’incertezza in un modo sistematico permettendo di comprendere e quantificare i rischi, riducendoli al minimo attraverso la comprensione profonda dei fenomeni che si sviluppano intorno al nostro prodotto di utilizzare le potenzialità della simulazione numerica per effettuare le analisi senza la necessità di un prototipo fisico. La velocità e la precisione del soft ware ha consentito di simulare circa 200 diverse configurazioni diverse, ovvero 10 volte il numero che sarebbe stato possibile tramite la sola prototipazione fisica che è stata impiegata solo alla fine per confermare i risultati sperimentali. Questo ha permesso agli ingegneri di acquisire velocemente una comprensione di come le modifiche del progetto influivano sul flusso dell’aria e quindi creare know how in azienda, con il risultato di poter prendere, step dopo step, decisioni basate su dati certi e non solo su supposizioni. Una volta arrivati ad una soluzione “buona”, forse quella che in molti avrebbero già validato per la produzione, l’impiego dello stesso soft ware ha consentito una ulteriore ottimizzazione di dettaglio molto rapida. Alla luce delle esperienze fatte nella prima parte dello sviluppo di prodotto e utilizzando l’ottimizzatore del soft ware, Dyson si è dedicata al fine tuning dandosi come obiettivo primario quello di aumentare il rapporto di amplificazione per spostare la massima quantità di aria possibile per una determinata dimensione e consumo di energia. Il lavoro è stato svolto in un solo giorno e i risultati della simulazione sono stati generati durante la notte. Le migliorie introdotte hanno consentito di innalzare il rapporto di amplificazione di 15 a 1, rendendo il ventilatore notevolmente più efficiente di uno tradizionale

con le stesse dimensioni. Questo significa che il Dyson Fan consuma meno dei concorrenti (quindi è più “ecologico”, un altro aspetto oggi importante per vendere il prodotto) e contemporaneamente è più efficiente. Il Dyson Air Multiplier fan è stato un clamoroso successo nel mercato, anche grazie all’ottimizzazione di progetto resa possibile dalla simulazione. Questo caso, nella sua semplicità, è emblematico. Cosa può succedere allora se si studia un prodotto più complesso? La turbina di una centrale che produce 1000 MW e che ha una efficienza media del 50%, per esempio, può venire ottimizzata per ottenere un 1% in più di efficienza il che equivale a ricavare energia per illuminare una piccola città. Una scuderia giovane come la Red Bull può ottimizzare un auto per diventare campione del mondo; Un produttore di elicotteri può rendere il suo prodotto più adatto ad un ambiente ostile come il deserto, in cui la sabbia minaccia le strutture in movimento; Gli architetti possono studiare il flusso dell’aria per climatizzare naturalmente un edificio o valutare la propagazione del fumo in caso di incendio. Le applicazioni sono infinite, in ogni settore. D’altronde si tratta di simulare le leggi fisiche che governano il nostro mondo, e che quindi accompagnano qualsiasi prodotto durante il suo ciclo di vita e, grazie a questa pratica, costruire prodotti più robusti, sicuri ed efficienti realizzando le promesse che la nostra azienda ha fatto al mercato. |

il passato, il presente e il fututro dei ventilatori (archivio dyson) www.ansys.com

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Alcune installazioni pubblicitarie a Venezia

Quando

la pubblicità diventa

controproducente

Gli effetti di una comunicazione pubblicitaria infelice: tempi e location sbagliati, scelta inappropriata dei testimonial e un eccesso di regole da rispettare. L’importanza di saper pianificare con cura e attenzione ogni dettaglio di Leonardo Marabini Direttore Marketing, Pianificazione e Sviluppo del Kilometro Rosso

“Better”, dall’inglese “To bet” (scommettere) ma anche “better” inteso come “meglio”: nome perfetto per un’agenzia di scommesse. Se poi si tratta di farlo conoscere al grande pubblico, di fare un po’ di branding per un marchio ancora poco noto, non c’è niente come far comparire il logo in TV in sovraimpressione mentre va in onda uno degli eventi col più alto indice d’ascolti in Italia, cioè un gran premio motociclistico. Il (nefasto) caso vuole, però, che poco tempo fa sia successo esattamente questo: preceduto da un sonoro “bing!” per destare l’attenzione dello spettatore, il logo di “Better” è effettivamente comparso in TV, ma il tutto soli 3 secondi dopo che il telecronista Guido Meda aveva invitato il pubblico a casa ad osservare un minuto di silenzio per la notizia, appena giunta in diretta, della morte in pista di Shoya Tomizawa, sfortunato motociclista giapponese. Immaginatevi la scena: silenzio di tomba (purtroppo, è il caso di dirlo), sangue ghiacciato, qualcuno che mentalmente recita una preghiera, le immagini di moto che scorrono davanti ad un pubblico atterrito e… (bing!) “BETTER” compare sui nostri schermi. Fossi il direttore marketing di quell’azienda, citerei il regista per danni e chiederei il rimborso all’emittente televisiva. Di cosa stiamo parlando? Di pubblicità controproducente. Ci sono casi anche più famosi: in una recente partita dell’Italia di calcio, il nostro Cassano ha segnato un gol. Peccato che in diretta tv non l’abbia visto nessuno dei milioni di telespettatori, perché pochi istanti prima la regia aveva pensato bene di mandare in onda il fatidico “spot di 5 secondi, e poi torniamo!”. Questo mentre uno dei nostri si accingeva a battere un calcio d’angolo, situazione che normalmente dovrebbe mettere in allerta i regi76

sti perché 1 volta su 3 dopo un “corner” succede qualcosa: un gol, un’occasione da gol, un rigore… Non ricordo lo spot, ma per giorni è echeggiata sulle pagine dei quotidiani sportivi la vibrata lamentela degli appassionati. Ebbene: secondo voi l’azienda che ha pagato quello spot pubblicitario, ne avrà guadagnato in termini d’immagine o no? Quanti insulti dei tifosi saranno virtualmente arrivati all’indirizzo dell’azienda che con la sua pubblicità ha incolpevolmente oscurato la diretta di un gol della Nazionale? Nel rendere potenzialmente controproducente un messaggio, la tempistica fa la sua parte non solo in termini di opportunità (quando mandare in onda il messaggio) ma di ripetitività. A tal proposito, cito testualmente il post di un internauta romano, esasperato dalla ripetitività di


Focus Pubblicità

Quali sono i rimedi per una pubblicità che diventa più un danno che un beneficio? Si parte dell’inserimento della “bad boy clauses” fino alla disponibilità degli imprenditori a metterci la propria faccia. Resta fondamentale il saper pinificare con cura e attenzione ogni dettaglio un messaggio radiofonico evidentemente martellante fino alla nausea: “…Gli stessi che pubblicizzano non si rendono conto che troppa pubblicità è come nessuna pubblicità, e che pubblicità fastidiosa è pubblicità controproducente”. In effetti, c’è gente che per ripicca verso lo spot ossessionante finisce per comprare il prodotto della concorrenza, come scrive un lettore su “Toluna”: “…ho notato che le pubblicità che io reputo più brutte e più noiose sono quelle delle acque e, di conseguenza, ho deciso di non comprare per nessunissima ragione l’acqua Brio Blu, Rocchetta e Uliveto. Le loro pubblicità sono martellanti e veramente brutte”. Ovviamente ci dissociamo da questa opinione… Esempi di pubblicità “boomerang” sono in realtà sotto gli occhi di tutti anche nel nostro vivere quotidiano. Recentemente a Milano sentivo per strada un paio di milanesi di quelli “veri” che in meneghino stretto maledicevano un pannello pubblicitario colpevole di coprire per intero un edificio storico (non parlo milanese, ma ricordo bene che la conversazione finiva con qualcosa di molto simile a “ma va a da’ via….”). La testata “The Art Newspaper” ha persino scritto al Ministero dei Beni Culturali italiani per protestare vibratamente contro una “Venezia deturpata in maniera grottesca” dai pannelli pubblicitari che, a dire delle autorità locali, aiuterebbero in realtà a finanziare il restauro degli edifici interamente coperti dagli stessi pannelli (lettera sottoscritta anche dai direttori del MOMA di New York, dal British Museum di Londra e da intellettuali di mezzo mondo). Sin qui si è parlato di comunicazione infelice per l’inopportunità della tempistica o della location. Altre volte, invece, la pubblicità può essere una zappa sui piedi a causa di altri fattori: la scelta del testimonial sbagliato, per esempio. Dopo che il golfista Tiger Woods si è reso protagonista di avventure extraconiugali riprese dai media di tutto il mondo, esperti di comunicazione hanno stimato in diverse decine di milioni di dollari il danno procurato ai suoi sponsor (Nike, Gillette, ed altri ancora). Che non a caso hanno in gran parte annullato il contratto poco dopo. Storie analoghe per il cestista Kobe Bryant (stella di basket dei Los Angeles Lakers, fedifrago, scaricato dagli sponsor), per la modella Kate Moss (cocainomane, che ha avuto il benservito da H&M e Chanel), ed altri ancora. Per dirla con Ettore Livini di “Repubblica”, Calimero non avrebbe fatto questi scherzi. Casi opposti, stesso risultato: il testimonial nuoce al prodotto perché è (o diviene) più celebre del prodotto stesso. Il consumatore si ricorda della star del cinema, del celebrato sportivo, ma non di cosa fosse testimonial. Per esempio: quanti di voi si ricordano la marca di orologi al polso di Nicole Kidman? E il profumo che inebria Monica Bellucci? (risposte: Omega e Dolce & Gabbana). Persino Belen Rodriguez rischia di creare lo stesso effetto: come scrive Nino Materi su “il Giornale”, i consumatori restano concentrati sulle sue curve (come dare loro

torto…), e alla fine si ricordano l’azienda (TIM) ma non il prodotto, in questo caso la tariffa telefonica promossa: che offerta è? Che vantaggi comporta? Boh! I testimonial, inoltre, possono nuocere al prodotto anche a causa della sovraesposizione mediatica, per cui un testimonial diventa letteralmente insopportabile non per sue specifiche colpe ma a causa di quella che gli inglesi chiamano “overfamiliarity”. Piccola ma facile profezia a tal proposito: secondo me TIM presto si stuferà della già citata Belen Rodriguez (poi verificatasi, ndr), come - citiamola per par condicio - Vodafone s’è stufata a suo tempo di Megan Gale. In certi casi, infine, l’inefficacia del messaggio che si tramuta in danno per l’advertiser è generata non dalle persone, non dai luoghi, non dalla tempistica, ma… dalle regole! Il caso più classico è quello delle pubblicità dei farmaci, che per legge devono sempre avere richiami al “leggere attentamente le avvertenze”, al “tenere fuori dalla portata dei bambini”, e ad altre indicazioni sulla data di scadenza del prodotto, sul parere del medico, etc…. Il problema è che questi “richiami” sono talmente tanti che l’inserzionista paga per 30 secondi di spot, un terzo dei quali si perde in questo bla bla. Così per anni s’è consumata l’abitudine di raddoppiare artificialmente la velocità dello speaker, al punto di rendere impossibile capire cosa stesse dicendo: controproducente per chi paga, ma anche per il consumatore, ovvero il malato, che nel dubbio di non aver ben compreso le avvertenze, ignora lo spot tv/radio e si affida al consiglio del farmacista. Tutto risolto (o quasi) nel Luglio 2007, quando per decreto del Ministero della Salute è stata sancita l’obbligatorietà di pronunciare le avvertenze alla stessa velocità del resto del messaggio. Merita invece una parentesi un caso che è ormai oggetto di studio sui banchi delle scuole di comunicazione, ovvero la collaborazione tra il gruppo Benetton ed il fotografo Oliviero Toscani. Le foto di un prete e una suora che si baciano, del malato terminale di AIDS o della fotomodella anoressica, immagini volutamente choccanti hanno fatto il giro del mondo, associate al marchio Benetton. Per molti, un danno d’immagine. Secondo me, un falso caso di pubblicità controproducente ed anzi la semplice messa in pratica (ancorché opinabile nelle modalità) della celebre frase di Oscar Wilde che suona più o meno così: “Bene o male, l’importante è che se ne parli”. Quali sono i rimedi per una pubblicità che diventa più un danno che un beneficio? Nei casi dei testimonial, gli avvocati sono ormai usi ad inserire le “bad boy clauses”, cioè clausole specifiche che tutelano l’azienda in caso di cattivo comportamento, ma in realtà sono solo dei deterrenti: difficile infatti rimediare ad un danno d’immagine una volta che s’è verificato. Oppure se si vuole evitare rischi legati all’integrità dell’immagine del testimonial, ci sono imprenditori che agiscono all’insegna del vecchio adagio “se vuoi una cosa fatta bene, falla tu”, ed eccoli pronti a mettere la propria faccia, da Ennio Doris (Banca Mediolanum) a Giovanni Rana (tortellini), da Francesco Amadori (polli) ad altri ancora, tutti testimonial di sé stessi. In tutti gli altri casi, una soluzione standard efficace non esiste: in pochi campi come in quello della comunicazione è fondamentale saper pianificare con cura ed attenzione ogni dettaglio, ma una volta che è partita la giostra, non la si può più fermare. | Tutti gli scandali aiutano la pubblicità, perché non c’è migliore pubblicità della cattiva pubblicità. Andy Warhol

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marzo - maggio 2011

arte misurare conta

L’ di ciò che

Per tenere aggiornati i sistemi di misurazione, i manager dovrebbero effettuare revisioni annuali per verificare che vengano monitorate le metriche corrette di Thomas Bertels e Massimo Appiotti

Anche nelle aziende multinazionali meglio gestite, l’incapacità di misurare ciò che conta può produrre conseguenze impreviste. Consideriamo alcuni scenari reali: • L’amministratore di un’azienda di confezionamento di farmaci annuncia con orgoglio un altro mese con livelli di produzione da record. Purtroppo, il lavoro di quel mese ha prodotto anche un’eccedenza di un prodotto che sta per finire fuori brevetto. • Gli indicatori della qualità delle prestazioni di un’azienda di servizi di logistica mostrano miglioramenti notevoli negli ultimi due anni, eppure uno studio sulla fidelizzazione dei clienti mostra che la quota di portafoglio (cioè la quantità di lavoro che l’azienda riceve da ciascun cliente) è diminuita sensibilmente nello stesso arco di tempo. In un mondo ideale, un sistema di misurazione efficiente tiene l’intera organizzazione allineata ai propri obiettivi, aiuta i dirigenti a prendere decisioni efficaci e agevola l’apprendimento da parte di tutti gli appartenenti all’organizzazione. Nel mondo reale, invece, la frequenza dei cambiamenti è sempre più elevata. Le metriche di valutazione approntate sorpassate spesso non sono più in grado di misurare ciò che realmente avviene nell’attività oggi. L’incapacità di misurare le giuste variabili genera conflitti improduttivi, determina lo spreco di risorse già scarse, ostacola la realizzazione della strategia e premia comportamenti errati. Per aiutare le aziende a evitare questi problemi senza disperdere l’investimento nel sistema di misurazione, è necessario coinvolgere esperti di sistemi di misura aziendali in un processo di revisione periodico. Verifica del sistema di misurazione Una verifica annuale dell’intero sistema di misurazione di un’azienda è un metodo adeguato per mantenere l’efficacia del sistema stesso. A seconda della complessità e dell’ampiezza del sistema, la verifica può richiedere da due giorni per un reparto o una funzione a due settimane per una business unit più articolata. La prima cosa da fare è l’elenco di tutte le metriche attualmente in uso e la revisione del piano strategico. Il punto di vista degli utenti e il contesto ambientale possono essere rilevati mediante colloqui con un campione rappresentativo di manager. La verifica deve puntare a: • verificare se le metriche sono in linea con gli obiettivi; • garantire l’equilibrio fra misurazioni di efficienza e di efficacia e fra indicatori leading (predittivi) e lagging (confermativi); • individuare falle nella misurazione, punti ciechi e potenziali conflitti. 78

Per quanto riguarda il livello di misurazione individuale, l’audit deve verificare se la metrica è ancora pertinente, chi la detiene, se può essere convalidata, chi deve avere accesso alle informazioni e come si possano rendere tali informazioni più utili. Il risultato dell’audit è un elenco di rilievi e di raccomandazioni specifiche, che devono essere analizzati con il rispettivo team guida. Idealmente la responsabilità del sistema di misurazione dovrebbe spettare all’ufficio finanziario. Per quanto riguarda le tempistiche, il momento ideale per rivedere le metriche è durante il ciclo annuale di pianificazione e definizione del budget. Aggiornamento delle metriche Un audit dell’attuale struttura di misurazione, sia a livello di sistema sia a livello di metrica individuale, dovrebbe rispondere alle domande seguenti. 1. Che cosa è più importante? Ormai le aziende possono misurare praticamente qualsiasi aspetto della loro attività, ma solo perché è possibile misurare qualcosa, non significa che lo si debba fare. Bisogna individuare quelle poche misure che riflettono le prestazioni dell’intera organizzazione. I leader devono definire e comunicare una chiara gerarchia delle metriche. Altri aspetti da indagare sono: • Allineamento fra metriche locali e obiettivi complessivi; • Comprensione di tutti del loro impatto sull’intera organizzazione; • Le poche misure critiche non finanziarie che il team guida deve gestire bene; • Gli indicatori leading delle prestazioni; loro affidabilità e capacità predittiva; 2. Che cosa è cambiato?Che cosa manca? Se state ancora utilizzando lo stesso insieme di misure non finanziarie che avete definito cinque anni fa, probabilmente state sbagliando. Le metriche vanno costantemente aggiornate. Nel farlo il team guida dovrà porre attenzione a questi aspetti: • Supponendo che la revisione del sistema di misurazione sia annuale, i cambiamenti degli ultimi 12 mesi; • Gli insegnamenti acquisiti in questo periodo; Le bad practices abbandonate; • I cambiamenti a breve e lungo termine ed eventuali cambi di strategia. 3. Che cosa dovremmo smettere di misurare? Per mantenere sano un sistema di misurazione, servono frequenti “potature”. Il principio guida è: “Se non serve, probabilmente è dannoso.” Spesso, richieste isolate dei più alti dirigenti si trasformano in elaborati report mensili che poco contribuiscono al miglioramento dei processi.


Strategie aziendali

L’impegno necessario per raccogliere, visionare, analizzare, illustrare e discutere misure che hanno cessato di avere alcuna utilità dovrebbe essere dedicato ad altri scopi. Per ogni metrica, il team dovrebbe considerare: • Che cosa succede se interrompiamo la misurazione? • Dove abbiamo fatto progressi sufficienti per poter dichiarare vittoria e passare alla prossima sfida? 4. Come risolviamo conflitti e contraddizioni? Spesso, gli indicatori delle prestazioni di funzioni e reparti sono la prima causa di attrito all’interno di un’organizzazione. Il servizio clienti viene misurato sulla frequenza degli ordini e sui tempi di consegna, ma la pressione alla quale viene sottoposta la funzione della supply chain per mantenere bassi i livelli di scorte può causare continui scontri e alimentare tensioni interpersonali. Mappare le metriche dipartimentali rispetto agli obiettivi chiave dell’azienda nel suo complesso è un buon metodo per individuare, comprendere e risolvere conflitti evidenti fra i reparti. Le domande da porre quando si deve valutare come risolvere i conflitti sono le seguenti: • In quale misura l’organizzazione perde slancio a causa di attriti evitabili fra diversi gruppi che cercano solo di “fare i numeri”? • Il vostro sistema di misurazione è in linea con le esigenze e le richieste dei vostri clienti? 5. Che cosa dobbiamo premiare? Il mancato allineamento fra il sistema di premi e ricompense e le metriche su cui si basa la gestione dell’attività è spesso la causa del fallimento delle iniziative. Ad esempio, supponiamo che vi sia un’attività di supply chain finalizzata a ridurre le scorte, ma il consiglio di amministrazione non accetta di cambiare le modalità di retribuzione dei venditori; la conseguenza è che i venditori continuano a rimpinguare il canale retail e la leadership è costretta a staccare la spina al progetto. Garantire l’allineamento fra i compensi ai singoli e le prestazioni dell’azienda è una responsabilità fondamentale del management che non può essere delegata. Chiedete al vostro team: • Come garantite che comportamenti corretti e risultati positivi vengano ricompensati? • Avete valutato possibili conseguenze impreviste? • Come prevenite abusi e manipolazioni? Migliorare la gestione Sviluppare e implementare un nuovo sistema di misurazione richiede normalmente un investimento significativo e un impegno che assorbe molto tempo. I leader devono essere coinvolti in ogni fase del processo. Bisogna stabilire punti di partenza e obiettivi. I sistemi premianti devono essere adeguati. Si devono definire i formati dei report e i template per le presentazioni. Per garantire il massimo ritorno sull’investimento, i team a tutti i livelli (direzione, business unit, funzione, reparto e processo operativo) devono partecipare alla manutenzione del sistema di misurazione attraverso il processo di auditing descritto in questo articolo. Mantenere un sistema di misurazione efficace è una condizione fondamentale per tutti i dirigenti e i manager. Dopo tutto, se non si misura un processo, come lo si può gestire? Con un audit è possibile verificare che il sistema stia misurando ciò che conta. |

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marzo - maggio 2011

Design thinking e neuroscienze,

l’estetica incontra l’esperienza

Il rapporto tra design thinking e neuroscienze rende possibile comprendere come avviene la fruizione degli oggetti da parte del cervello dei consumatori. Idiom una giovane agenzia di design di Bangalore, grazie al caso Mother Earth, adotta un modello di lavoro innovativo che copre tutte le fasi della fi liera, dall’ideazione alla vendita passando per la valorizzazione degli artigiani e la progettazione della shopping experience di Francesco Gallucci – Presidente di 1to1lab, Coordinatore del Dipartimento di Neuromarketing di Aism, Professore di Sociologia della Comunicazione al Politecnico di Torino, esperto di neuromarketing, partner di Umania Idiom è una giovane agenzia di design indiana di Bangalore che ha contribuito a far conoscere al mondo il progetto Mother Earth nato per valorizzazione l’artigianato indiano reinventando lo stile tradizionale in una prospettiva di design thinking. L’agenzia applica il modello e i concetti del design strategico: si parte da un nuovo concept proposto da Mother Earth, tenendo conto delle indicazioni di shopping esperienziale legate alle caratteristiche dei format dei punti di vendita per completare il percorso e si costruisce una nuova immagine coordinata. Ma non finisce qui. Idiom si preoccupa di ridisegnare anche l’intera fi liera arrivando fi no ad un nuovo modello di fornitura per il mondo dell’artigianato. Gli artigiani che contribuiscono al successo di Mother Earth sono coinvolti in programmi di formazione e ottengono incentivi per formare cooperative a livello territoriale per migliorare la gestione produttiva, i processi di approvvigionamento e il livello imprenditoriale dei singoli. Tutto ciò avviene, naturalmente, all’insegna del fair trade e del rispetto della sostenibilità ambientale. L’esempio di Mother Earth e di Idiom è sintomatico di un fenomeno legato al design che sta toccando un pò tutti i settori produttivi e i vari angoli del pianeta, che parte dal design tradizionale per interessare tutti gli aspetti a partire dallo sviluppo dell’idea, passando per il management, fi no alla produzione e al rapporto con il cliente dando vita ad un concetto nuovo, il design thinking. 80

Il caso Mother Earth non è isolato, sempre più progetti negli ultimi anni stanno applicando lo stesso concetto di design che combina l’estetica del prodotto ai processi di management. L’idea che il design debba estendere il proprio campo di azione anche al punto di vendita e all’esperienza è un concetto ormai acquisito in tutte le principali scuole di design, con particolare riferimento a quelle italiane. L’esperienza non riguarda più e solo il prodotto ma il luogo in cui si acquista, viene preso in considerazione dove il consumatore sperimenta vari livelli di interazione con gli oggetti e la comunicazione.

La quota di tempo dedicata all’acquisizione di nuove informazioni sui prodotti durante una normale esperienza di shopping è di circa il 50% negli ipermercati e sale al 70/80% sui flagship store Il sistema punto di vendita svolge una funzione fondamentale che da semplice contenitore di prodotti diventa ambiente di sperimentazione (shopping experience) e di apprendimento (point of learning). Come esperto di neuromarketing, ho

stimato che la quota di tempo dedicata all’acquisizione di nuove informazioni sui prodotti durante una normale esperienza di shopping sia circa il 50% negli ipermercati e sale al 70/80% sui flagship store (“negozi bandiera”, punti vendita monomarca di grande prestigio che hanno soprattutto una funzione istituzionale). In effetti è più che comprensibile che il design si preoccupi di valorizzare le qualità dei prodotti anche negli ambienti di vendita dove essi incontreranno i clienti finali. I risvolti del design thinking applicato all’in store marketing sono notevoli; riguardano la ricerca della migliore soluzione espositiva (corner, shop in shop, isole), lo studio della componente emozionale del lay-out (luci, suoni, colori, aromi) e la findability dei prodotti stessi. Grazie al neuromarketing è possibile simulare i percorsi che un cliente compie dall’ingresso fino ai vari spazi espositivi rilevando, grazie a strumenti quali l’EEG-biofeedback e il videorecording, se l’andamento nel punto vendita avviene in modo semplice e non stressante o se, invece, vi sono difficoltà di orientamento determinate dalla presenza ridondante di informazioni, pubblicità, richiami incoerenti con il percorso mentale e fisico del cliente. Le neurometriche misurano l’attività del cervello in ogni momento dell’esperienza e restituiscono informazioni riguardanti l’attenzione, la capacità evocativa, l’attività di apprendimento, l’ansia e il deconding (vale a dire lo sforzo di calcolo e di orientamento). “Il punto – affermava Picasso nel 1907- è di-


Neuromarketing pingere non solo ciò che si vede, ma anche la parte che si intuisce”, ovvero la quarta dimensione nascosta che solo il cervello riesce a cogliere completando le informazioni fornite dalla percezione. Cosa “vediamo” davvero in un prodotto quando ci muoviamo in un punto di vendita? Vi sono caratteristiche dei prodotti e dei punti di vendita che riusciamo a cogliere fondendo le informazioni fornite dagli stimoli, come la forma o il colore degli oggetti, ad altre che non sono rilevabili ma che sono parte integrante del dna degli oggetti stessi. Le caratteristiche dei prodotti possono essere definite nelle seguenti categorie: comuni, percepibili, non percepibili, autoesplicative e indotte. Le qualità comuni, sono quelle che devono essere considerate generali a tutti i potenziali utenti, le qualità percepibili possono essere sperimentate solo dai nostri sensori esterni (vista, tatto, udito, gusto e olfatto), le qualità non percepibili possono essere nascoste (ad esempio la

capacità termica di un capo di abbigliamento da montagna) o verificabili solo dopo l’uso (una vernice antiossidante), le qualità autoesplicative sono quelle che l’oggetto stesso fornisce sulle modalità del proprio uso attraverso la proria forma (ad esempio, le forbici o il cavatappi), infi ne, le qualità indotte sono quelle proposte come possibili o necessarie dalla pubblicità e dall’apprendimento diretto tramite imitazione. In tutti i casi, il cervello interpreta gli oggetti e i loro utilizzi attivando sia la parte razionale che quella inconscia. Il professor Rizzolatti, tra gli scopritori dei neuroni specchio, ritiene che circa metà dei 10 miliardi dei nostri neuroni sono dedicati all’apprendimento per imitazione, ovvero all’acquisizione di informazioni, modalità d’uso e comportamenti con uno sforzo cognitivo molto limitato. Il neuroscienziato Varela ritiene che lo stimolo visivo rappresenta solo il 20% della natura dell’oggetto comunicato, il restante 80% lo fa il cervello completando il senso dell’oggetto facendo ricorso alle conoscenze presistenti nella memoria di lungo periodo, a forme e prototipi che il cervello attiva per chiudere rapidamente la comprensione del messaggio. Il cervello riesce a comprendere tutto ciò che entra nel proprio spazio esperienziale utilizzando tre semplici espedienti: • utilizza schemi cognitivi già esistenti e sperimentati, • associa più schemi cognitivi per comprendere situazioni complesse, • concatena le informazioni legate da processi stabili (come la sequenza per avviare un’automobile). Il rapporto simbiotico tra design e neuroscienze rappresenta il futuro per il marketing, perchè espande il campo di conoscenze riguardanti i comportamenti e i processi decisionali dei consumatori mettendo in relazione la forma dello stimolo (ovvero ciò di cui si occupa il design) con i meccanismi di percezione, comprensione e di giudizio del cervello (materia delle neuroscienze). Come Mother Earth, anche il nostro lavoro in realtà giovani come Umania, è proporre il tema della relazione tra design e percezione per associare ai prodotti di design numerosi altri valori, quali la sosteniblità, l’identità, l’usabilità, la semplicità dei punti di vendita, la visione orientata al cliente del management e, infine, l’engagement emozionale dei consumatori, che appartiene proprio al sistema di valori che il neuromarketing intende perseguire. | www.umania.it

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marzo - maggio 2011

Criteri legali di scelta di un intermediario all’estero L’impresa esportatrice tende a scegliere il tipo di intermediario più adatto alla tipologia di prodotti o servizi oggetto della propria attività, alle caratteristiche proprie di ciascun mercato e, in definitiva, alle scelte di politica commerciale. Tuttavia, da un punto di vista più strettamente legale, è possibile individuare una serie di criteri che possono aiutare l’operatore a indirizzarsi verso la forma contrattuale più rispondente alle sue esigenze: 1. interesse per il mercato 2. costi dell’intermediario 3. controllo sull’intermediario 1.

Importanza del mercato E’ ovvio che, nel caso in cui si intenda fare solamente un tentativo di saggiare le possibilità commerciali di un Paese straniero, risulta conveniente ricorrere a forme di intermediazione che richiedono un impegno minore: • nel caso in cui i primi tentativi di commercializzazione diano risultati positivi devono poter essere risolte facilmente in modo tale da permettere l’affidamento dell’incarico a una struttura più stabile • viceversa - in caso di risultati negativi - consentono di ritirarsi dal mercato senza dover affrontare costi eccessivi per lo smantellamento del canale distributivo. In tale ottica, la soluzione migliore può essere rappresentata, ad esempio, dal procacciatore d’affari. Un’altra possibilità da considerare consiste nella stipulazione di un contratto con un agente nel quale prevedere, qualora la legge applicabile lo permetta, un periodo di prova durante il quale si possa liberamente recedere dal rapporto.

2.

Costi dell’intermediario Occorre sottolineare i differenti oneri che comporta la nomina di un agente, anziché la nomina di un broker o di un procacciatore: queste due ultime figure, infatti, possono rivendicare esclusivamente il diritto alla provvigione e non anche l’indennità di fine rapporto, tipica (almeno nei paesi europei) del contratto di agenzia. Nei rapporti caratterizzati da un’attività di pura intermediazione, come l’agenzia e il procacciamento d’affari, l’impresa esportatrice - concludendo direttamente i contratti con la clientela - dovrà poi sopportare tutti i costi relativi alla gestione dei rapporti con i clienti e alla consegna delle merci. L’impresa sarà, inoltre, in tale caso direttamente responsabile anche per il servizio di garanzia e assistenza post-vendita. Tutti questi oneri possono essere, invece, più agevolmente attribuiti al distributore nel caso che questi sia un concessionario. Tale figura, infatti, acquista e rivende i prodotti dell’esportatore e si fa carico di tutte le spese relative alla diffusione ed allo smercio dei prodotti. Per contro, sarà possibile esercitare su di esso un controllo di grado molto inferiore.

3.

Controllo sull’intermediario Questa variabile costituisce l’elemento forse più importante del rapporto tra l’impresa e l’intermediario.

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Nell’approccio a un nuovo mercato estero, per scegliere tra i diversi intermediari (procacciatore, agente commerciale o distributore) conviene considerare il rapporto tra possibilità di controllare / indirizzare l’attività dell’intermediario e costi che la legge applicabile riconduce alle varie figure a cura dell’Avv. Diego Comba


Internazionalizzazione •

Un rapporto episodico o occasionale come quello con il broker o con il procacciatore non consente di esercitare un controllo efficace sull’intermediario e, di conseguenza, sul mercato e sulla clientela. All’agente, al contrario, in ragione del rapporto continuativo e fiduciario che lo lega all’impresa, possono essere richieste prestazioni non soltanto quantitative (numero di affari promossi), ma anche prestazioni concernenti l’acquisizione di informazioni sul mercato, una più efficace forma di promozione e di fidelizzazione della clientela.

Al crescere del grado di controllo sull’intermediario da parte dell’impresa corrisponde un aumento dei costi. Mentre il rapporto con il broker non implica, ad esempio, alcun trattamento di fine rapporto, diversamente avviene per la nomina di un agente. Un’ulteriore crescita dei costi, che però consentirebbe un controllo totale, sarebbe naturalmente determinata dalla creazione di una propria filiale di vendita.

Agente commerciale: modalità di controllo La principale esigenza del preponente è rappresentata dal garantirsi, tramite le previsioni contrattuali, un controllo sull’operato dell’agente; ciò principalmente al fine di rendere possibile una valutazione dell’efficacia dell’azione di quest’ultimo quale antenna in grado di: • trasmettere al preponente, con maggior precisione e sensibilità di altri distributori, gli umori della clientela e del mercato • diffondere il nome e il marchio del preponente in modo maggiormente aderente alle sue strategie commerciali. La figura dell’agente, infatti, si presta (per regolamentazione legislativa e per prassi commerciale) a essere vincolata alle indicazioni del preponente in maniera molto più stretta rispetto alle trading companies, ai procacciatori di affari oppure ai concessionari di vendita. Frequentemente, tuttavia, i preponenti dimenticano di precisare (nella trattativa

e nel contratto) quali sono gli obiettivi specifici (e i parametri di valutazione del loro raggiungimento) che l’agente deve raggiungere. Non si tratta sempre soltanto di obiettivi quantitativi (minimi di vendita) ma, a seconda del tipo di prodotto e delle altre circostanze del caso concreto, anche di obiettivi qualitativi (modalità di promozione, assistenza alla clientela, ecc.). L’obiettivo del preponente è quello, in caso di mancato raggiungimento di tali obiettivi, di poter intervenire sul rapporto: • riconducendo l’attività dell’agente nelle linee pattuite originariamente • risolvendo in tronco il rapporto (facendo valere la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto) per violazione di obblighi chiaramente formulati nel contratto (ulteriore dimostrazione dell’opportunità di sottoscrivere un testo scritto) • chiedendo al giudice (qualora non esista una specifica clausola contrattuale) di dichiarare la risoluzione del contratto a causa dell’inadempimento dell’agente. In tutti i casi sopra richiamati è necessario che il preponente sia in grado di provare l’esistenza di parametri condivisi dall’agente; ciò può risultare da: • una pattuizione esplicita (ad esempio una specifica modalità di assistenza ai clienti o di incasso delle fatture prevista in un allegato del contratto) oppure • una corrispondenza intervenuta fra le parti oppure, infine, • una prassi instauratasi tra le parti e/o con i clienti (ipotesi più difficile da provare).

Al fine di esercitare un controllo reale sull’attività dell’agente (e dunque precostituire una via di uscita rapida e legittima dal contratto) non è quindi sufficiente che il contratto di agenzia sia stipulato per iscritto, ma è parimenti necessario prevedere per iscritto gli obiettivi che il preponente si propone nel caso specifico, nonché i paramenti per la valutazione del raggiungimento di tali obiettivi.

È, in ogni caso, opportuno ribadire la mancanza di un rapporto diretto tra preponente e subagenti, la responsabilità dell’operato dei quali ricadrà unicamente sull’agente. Può talvolta sorgere l’esigenza che l’agente commerciale svolga anche l’attività di distributore in parte acquistando e rivendendo i prodotti del preponente in nome e per conto proprio e, in parte (quale agente) limitandosi a promuoverne la vendita. Nei casi in cui si renda opportuna tale commistione fra le due figure di intermediari, essa deve essere prevista nel testo contrattuale, precisandone i limiti e le modalità. |

Elenco obiettivi (e relativi parametri) Di seguito una check list con gli obiettivi e i parametri più ricorrenti nei contratti internazionali di agenzia: • promozione del prodotto (minimo di vendita annuo) • informazioni sul mercato (relazioni scritte periodiche)

• •

assistenza ai clienti (servizio di raccolta e trasmissione al preponente dei reclami) pubblicizzazione del prodotto (specifiche campagne pubblicitarie) informazioni sulla normativa che riguarda il prodotto in vigore nella zona contrattuale (aggiornamenti periodici sulle leggi in materia di composizione del prodotto, etichettatura ecc.) assistenza nel magazzinaggio e nella consegna (incombenze previste per l’agente in materia di sdoganamento, magazzinaggio, stipula di contratti di trasporto per conto del preponente) assistenza del preponente nell’incasso dei suoi crediti nei confronti del clienti (modalità con cui l’agente deve espletare le operazioni di incasso e di trasferimento dei pagamenti) verifica della solvibilità dei clienti (soglia massima annua di clienti insolventi).

Subagenti Al fine di mantenere un adeguato controllo sull’attività dell’agente occorre inoltre verificare la sua organizzazione ponendo eventualmente alcuni limiti alla scelta dei subagenti. A seconda dei casi, le parti possono pattuire che l’agente: • debba svolgere la propria attività direttamente, senza potersi avvalere dell’ausilio di subagenti; • possa svolgere la propria attività anche tramite subagenti di sua scelta; • possa svolgere la propria attività anche tramite subagenti approvati dal preponente.

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marzo - maggio 2011

Business Reengineering Fare la differenza in mercati fluidi competitivi

di Alberto Claudio Tremolada Customer & Supplier Relationship Manager fonderie – Consigliere, socio e responsabile G.a.m. Componentistica in Adaci sez. Lombardia/Liguria. (Ass. It. di Management degli Approvvigionamenti)

Secondo il Centro Studi di Confindustria nel 2011 l’economia crescerà poco, la disoccupazione non si ridurrà e solo dal 2015 si dovrebbe ritornare a livelli pre-crisi. Il P.I.L. nel 2011 crescerà l’1,1%, molto meno rispetto ad altre economie Emea (per esempio la Germania si dovrebbe attestare al 2%) o dei Brics ( 4,5% Brasile, con Cina e India in testa al 9%). La disoccupazione tornerà a scendere solo nel 2012, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010 il numero occupati in Italia è diminuito di 540.000. Un quadro tutt’altro che positivo, con conseguenze derivanti dalla crisi iniziata nel 2008 di: • • • • • • • •

Deflazione – stop produttivi Calo produzione – diminuzione disponibilità beni/servizi Taglio costi e calo profitti – chiusure, ristrutturazioni e delocalizzazioni aziende Calo occupazione – calo consumi Stretta creditizia – difficoltà accesso a fonti finanziamento Sofferenza nei pagamenti – cash flow negativo e mancanza risorse per la produzione Fallimenti – difficoltà approvvigionamenti rischio per fascia A o tecnologie proprietarie Politiche commerciali aggressive – abbassamento prezzo a scapito qualità e servizio

La sfida imprenditoriale si sposta sul terreno delle nuove idee e come trasformarle in business per essere differenti. Per evitare la tentazione di aumentare il capitale di debito, di subire gli eventi, la mass commoditization ed aumentare il valore degli intagibles (risorse rilevanti a disposizione di una azienda per la sua capacità competitiva ed il stakeholders transfert value). La capaticà di mettersi in gioco e una visione d’insieme sulla rotta da seguire, è fondamentale per la continuità del business; molte aziende attualmente leader non esistevano o non erano tali 20 anni fa. Si pensi all’impatto della leadership cannibalization su settori esistenti o nuovi (creati da loro) di Amazon, Apple, Brembo, Diesel, Ebay, Facebook, Foxconn, Geox, Google, Mediaset, Rya84

nair, Starbucks, Tata, Tesla, Virgin, Zara. O agli antipodi micro realtà radicate sul territorio, ma poco conosciute, come Vietnamonamour a Milano (attivo nella ristorazione etnica). Tutte con in comune la capacità imprenditoriale di trasformare bisogni latenti, idee e sogni in solide realtà imprenditoriali (e in Italia avendo superato il terzo anno di attività, acquisendo un maggior Kpi rating di valutazione solvibilità e solidità aziendale in ambito creditizio). Ma come ogni start-up o azienda avviata per poter contare sulla “disponibilità sociale” da parte degli stakeholders, evitare modelli di business insostenibili e il fallimento (esempi noti a diverso titolo sono Enron, Freedomland, Giacomelli, Lehman Brothers, Parmalat, Worldcom) sono importanti i fondamentali (anche secondo le teorie manageriali di Peter Ferdinand Drucker e Michael Eugene Porter). Un business plan dei fondamentali come rappresentazione credibile, perseguibile e reale del modello aziendale. Non basato su dati, informazioni, numeri gonfiati e

presunti come successe per molte dot.com/aziende, al solo scopo di raccogliere capitale di ventura o nascondere l’insostenibilità del business alla comunità fi nanziaria. Ci sono però eventi isolati, inaspettati definibili “Cigno nero” (come afferma Nassim Nicholas Taleb docente americano di Scienze dell’incertezza) che possono avere un impatto enorme e solo a posteriori spiegati. Eventi disastrosi come lo tsunami del Pacifico nel 2004 o tecnologici come la diff usione di internet (secondo la logica del Cigno nero), evidenziano quanto lo sconosciuto è molto più importante del noto. Soprattutto per gli eventi che provocano a catena (nota anche la relazione del fisico Edward Lorenz “butterfly effect”). Taleb afferma che il futuro sarà sempre meno prevedibile e che sia necessaria molta più immaginazione in un mercato liquido. Mercato liquido che si trasforma velocemente con rischio di mass


Strategie aziendali

commoditization standartization. Nel suo libro “Commodity Trap - Sconfiggere le insidie della banalizzazione dei prodotti” Richard A. D’Aveni (professore di management strategico presso la Tuck School of Business e autore di numerosi articoli pubblicati su Harvard Business Review, The Financial Times, Wall Street Journal) avverte sul rischio che la commoditization ormai non si limita esclusivamente alle commodities. Molte aziende rischiano di cadere nelle trappole create da una forma di ipercompeti-

Di fronte al quadro ancora negativo dell’economia nazionale, la sfida imprenditoriale si sposta sul terreno delle nuove idee e come trasformarle in business per essere differenti zione (sui prezzi, prodotti allargati ecc. defi nite commodity trap), che hanno il potenziale per distruggere interi mercati, settori industriali e portare al fallimento anche imprese affermate. Non sempre è tutto dovuto a fattori esterni l’azienda; la commoditization è strettamente collegata anche al modello di business aziendale poco sostenibile. Anche Youngme Moon (professoressa di Business Administration all’Har-

vard Business School) nel suo libro “Differente - Il conformismo regna ma l’eccezione domina”, conferma che il paradigma comune in molte aziende è l’importanza di ipercompetere per differenziarsi. Ma competere con i concorrenti esclusivamente sugli aspetti e funzionalità di prodotti/servizi, ha l’effetto di rendere indifferenziati per gli utilizzatori finali. Utilizzatori finali consapevoli del loro potere, che con gli strumenti a disposizione su internet (motori di ricerca, siti di comparazione, social network ecc.), possono fare comparazioni in tempo reale e ricevere feedback sulla vostra azienda tramite il word of mouth. E sappiamo come il potere virale del word of mouth può influenzare le decisioni di acquisto (rimando alla piramide di Manslow). Bisogna uscire dal meccanismo dell’indifferenziazione proponendo qualcosa di significativamente differente, fondamentale, esauriente e nuovo (come fatto da Apple con l’Iphone o Ryanair con i voli low cost zero frills). Da aziende follower a brand capovolti che off rono meno quanto tutti “allargano i prodotti/servizi in bundle”, ma sorprendono con qualcosa che non ci aspettava e che nessun’altro propone. Oppure brand che rendono più esclusiva, più inaccessibile, più anticonformista la loro presenza sul mercato. Una Strategia Oceano Blu per vincere senza competere (libro di Kim W. Chuan e Mauborgne Renée edizione 2005) dove la pressione competitiva sia meno condizionante e prevalga la value proposition, la profit proposition (che non si coniuga con prezzi vantaggiosi) e la people proposition dell’azienda. |

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marzo - maggio 2011

Chiedere una

promozione? ecco i mesi ideali

LinkedIn mostra uno studio sull’analisi dei profi li dei propri utenti in cui emergono i periodi dell’anno più favorevoli per ottenere un avanzamento di carriera a cura della redazione

Non tutti i mesi dell’anno hanno lo stesso valore quando si vuole ottenere un avanzamento di carriera. Secondo una recente ricerca svolta da LinkedIn, il più grande network di professionisti al mondo, ci sono dei mesi dell’anno più vantaggiosi per ottenere una promozione. La ricerca in questione si basa sull’analisi delle informazioni aggregate tratte dai profi li degli oltre 90 milioni di utenti in tutto il mondo, e ha rilevato quali sono i periodi in cui si è verificato un maggiore numero di promozione all’interno della stessa realtà aziendale.

I risultati così ottenuti, una volta rielaborati, hanno delineato con chiarezza che, rispetto al passato si è verificato un cambiamento dei cicli di promozione dei professionisti: se negli anni Novanta, gennaio era solitamente il mese migliore per fare un passo avanti sul posto di lavoro, negli ultimi anni sono aumentati i momenti propizi che possono favorire l’ascesa dei dipendenti. I periodi migliori per provare a ottenere un avanzamento di carriera, secondo la ricerca del famoso social network, risultano essere gennaio, 86

luglio e settembre. Se restringiamo la ricerca al nostro Paese, a farla da padrone sono gennaio, aprile e settembre. Se si desidera un avanzamento di carriera conoscere quale possa essere il momento migliore per proporsi al proprio superiore è necessario ma non è sufficiente: una scalata al successo, per essere efficace, deve essere scrupolosamente pianificata e nulla deve essere lasciato al caso. Secondo Valeria Toia, esperta di carriera e lavoro e Human Resources Management & Executive Search della società Talanton, che si occupa di ricerca e gestione di risorse umane, uno dei modi migliori per ottenere un avanzamento all’interno del posto di lavoro è promuovere se stessi. Valorizzare il proprio percorso professionale in modo chiaro, incisivo e distintivo, evidenziando i progetti ai quali si ha lavorato e per i traguardi che si sono raggiunti con l’obiettivo ultimo di colpire positivamente colleghi, clienti e possibili futuri datori di lavoro. In un mondo sempre più connesso e interattivo il modo migliore di promuovere se stessi è sfruttare la rete e i network di relazione quali luoghi privilegiati per permettere al professionista di farsi notare in modo rapido ed efficace. Quindi, se l’obiettivo per il 2011 è proprio quello di avere una promozione nel lavoro il primo consiglio è proprio quello di cercare di sfruttare al meglio il network di relazioni. Mettere in mostra le proprie abilità senza remore e stupire il capo sviluppando nuove abilità che vadano


Il mondo del lavoro

Se negli anni Novanta, gennaio era solitamente il mese migliore per fare un passo avanti sul posto di lavoro, negli ultimi anni sono aumentati i momenti propizi che possono favorire l’ascesa dei dipendenti. In Italia a farla da padrone sono gennaio, aprile e settembre oltre la posizione attualmente occupata potrebbero essere una soluzione che i superiori sapranno apprezzare perchè dimostrano la volontà di ampliare gli orizzonti pur lavorando a tempo pieno. Nel caso in cui l’azienda proponesse dei corsi, sarebbe consigliabile cogliere l’occasione. Se si posseggono qualifiche professionali o si sono frequentati in passato corsi di aggiornamento e specializzazione è buona cosa

citarli sempre nel curriculum e quando ci si presenta. Creare un buon rapporto con chi già svolge la posizione che interessa può essere inoltre un modo per entrare in contatto con potenziali colleghi e sarà così più facile preparare il terreno per l’agognata promozione. Una volta ottenuto l’avanzamento di carriera, i colleghi di pari grado con cui si aveva in precedenza instaurato un ottimo rapporto potrebbero essere d’aiuto ed essere buoni consiglieri nel momento del bisogno. Infi ne sarebbe utile fare in modo che le persone con cui si ha lavorato e con le quali si è instaurato un buon rapporto, scrivano delle segnalazioni. I complimenti di clienti soddisfatti, i ringraziamenti dei colleghi supportati nel superamento di un problema, gli eloghi e le dimostrazioni di stima del capo possono, se trasferite su carta, fornire quella marcia in più rispetto ai rivali. | Molte mete importanti si raggiungono a tappe, un obiettivo temporaneo dopo l’altro. Laurence J. Peter

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marzo - maggio 2011

futuro del Fotovoltaico Il

Il mercato fotovoltaico italiano continuerà a crescere anche nei prossimi anni, contribuendo alla ripresa economica del Paese e alla sua sicurezza energetica, ma dovranno essere garantite adeguate condizioni legislative, normative e tecnologiche di Dario Fiorina, Energy Manager Abenergie Rinnovabili

Già da qualche mese è in discussione il Decreto Legge di recepimento delle direttive comunitarie per la promozione delle fonti rinnovabili, il cosìddetto decreto Romani. Venerdì 25 Febbraio è stata resa pubblica una bozza che prevede a sorpresa il seguente testo all’articolo 23 comma 11 lettera d: “a decorrere dal 1 gennaio 2014 viene abrogato il conto energia. Nel caso di raggiungimento anticipato dell’obiettivo specifico per il solare fotovoltaico, fissato a 8.000 MW per il 2020 è sospesa l’assegnazione di incentivi per ulteriori produzioni da solare fotovoltaico fi no alla determinazione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del mare, sentita la Conferenza unificata, di nuovi obiettivi programmatici e delle modalità di perseguimento.” Perché il tetto degli 8.000 MWp spaventa gli addetti ai lavori e tutti i futuri investitori del fotovoltaico così tanto da mobili88

tare l’intero settore? La risposta è semplice: il raggiungimento degli 8.000 MWp è previsto già entro l’estate (tra impianti collegati e in via di collegamento siamo infatti già a circa 7 GWp) . Qualora un simile provvedimento venisse approvato porterebbe a: • un blocco immediato da parte delle banche dei fi nanziamenti di nuovi impianti perché i tempi di connessione sono sempre lunghi e incerti e pertanto non si può essere sicuri di rientrare negli ultimi 1.000 MWp disponibili;


Mercato dell’energia •

un conseguente stop del mercato e una inevitabile crisi delle aziende del settore a partire dal produttore all’installatore finale.

È di questi giorni la notizia di un passo indietro da parte del governo sul decreto rinnovabili, contestato da tutto il settore e dalle associazioni. A venire incontro alle richieste del comparto è stato il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, facendo chiarezza su quanto previsto all’interno del decreto legislativo, il quale confermerà l’impegno dell’Esecutivo nel settore e, soprattutto, non conterrà alcun discusso ‘tetto’ alla produzione incentivata da fotovoltaico:

voltaico italiano: i dati Gse evidenziano a fi ne 2010 una potenza cumulata a circa 3 GW, mentre nel 2011 la crescita dovrebbe essere di ulteriori 5 GW per effetto del Decreto Salva Alcoa. Negli anni successivi i livelli di installazione dovrebbero essere in linea con l’andamento degli ultimi due anni, tanto che Gifi-Anie stima che il solare fotovoltaico possa garantire entro il 2020 una quota di soddisfacimento dei fabbisogni elettrici italiani per una percentuale compresa fra il 5% e il 10%. Ma perché si possa arrivare a questi numeri Gifi-Anie ritiene occorra mettere in campo a livello nazionale una serie integrata di azioni, esposte nelle Linee guida.

Qualora venisse approvato il blocco

«Sono ancora in corso gli incontri tra i tecnici del ministero dell’Economia e quelli dell’Ambiente per arrivare ad un testo condiviso. Quanto ho letto sulla stampa supera le reali intenzioni del ministro Romani e del Governo - ha puntualizzato il ministro - Stante l’impegno al sostegno del settore, è ovvio che bisognerà rivedere la strategia in funzione dei progressi tecnologici, vista la forte crescita nell’ultimo anno della produzione da fotovoltaico e i ritardi di altre fonti rinnovabili».

degli incentivi a 8mila Mwp, ci sarebbe

«Sulle fonti rinnovabili abbiamo assunto un impegno a livello Ue e lo manterremo, come del resto confermato dal decreto legislativo di recepimento della direttiva Ue in materia - ha aggiunto la Prestigiacomo - E va chiarito che la bolletta energetica degli italiani non è più elevata che altrove per gli incentivi alle rinnovabili. Gli incentivi per il solare pesano sulla bolletta meno che il Cip 6 e il decomissioning nucleare. In Germania gli incentivi per le rinnovabili arrivano ad incidere sulla bolletta fi no al 10% da noi fra il 3 e il 5%. Le rinnovabili e tutta la fi liera che ruota attorno allo sviluppo sostenibile sono già oggi una realtà produttiva e occupazionale che da lavoro a decine di migliaia di addetti, ma sono soprattutto la scommessa sul futuro che l’Italia non può perdere. Andremo avanti con le rinnovabili e andremo avanti col nucleare. Non c’è contrapposizione: l’Italia ha bisogno di entrambe queste fonti di energia se vuole un futuro di sviluppo sostenibile».

rientrare negli ultimi 1.000 MWp disponibili

Le parole del Ministro sono state accolte con parziale soddisfazione dall’associazione ambientalista Legambiente: «Bene che il Ministro Prestigiacomo tolga il tetto di 8mila MWp per la produzione di energia fotovoltaica, ma non basta a salvare centinaia di posti di lavoro e lo sviluppo dell’imprenditoria legata alle energie pulite - ha commentato Edoardo Zanchini, responsabile Energia e infrastrutture di Legambiente -.Il Decreto Romani, in totale incoerenza con il proclami federalisti del Governo, costituisce infatti una norma assolutamente centralista che non consente ai territori alcuna libertà di crescita e scelta di sviluppo di fonti rinnovabili in edilizia. È per questo che Legambiente chiederà alle Regioni di fare ricorso alla Corte Costituzionale per continuare a far sì che i territori interessati possano invece accrescere lo sviluppo delle energie pulite come ritengono più opportuno». Il decreto legislativo per le rinnovabili sarà esaminato dal Consiglio dei Ministri i primi giorni di Marzo. Quale destino attende quindi il fotovoltaico italiano? Secondo l’associazione Gifi-Anie il mercato fotovoltaico italiano continuerà a crescere anche nei prossimi anni, contribuendo alla ripresa economica del nostro paese e alla sua sicurezza energetica, ma dovranno essere garantite adeguate condizioni legislative, normative e tecnologiche. L’associazione stessa ha defi nito e pubblicato le Linee Guida Programmatiche, un documento che farà da guida alle prossime azioni della compagine associativa. Innanzitutto l’associazione degli imprenditori del solare prova a fare un po’ di chiarezza sui numeri del foto-

un blocco immediato da parte delle banche dei finanziamenti di nuovi impianti perché i tempi di connessione sono sempre lunghi e incerti e pertanto non si può essere sicuri di

Nel documento l’associazione ammette come, a dispetto dei tanti proclami sulla raggiunta grid parity, il solare fotovoltaico abbia ancora bisogno di adeguati meccanismi incentivanti per poter raggiungere la piena competitività con le altre fonti energetiche. Lo stato di piena competitività sarà infatti raggiunto in un arco di tempo compreso fra i 5 e i 10 anni e differenziato per taglia d’impianto e tipologia di applicazione. Gli imprenditori del solare difendono anche i meccanismi basati sulla remunerazione dell’energia prodotta (anche detti “feed in tariff ” o “in conto energia”), perché proporzionati all’effettiva produzione dell’impianto e dunque in grado di favorire lo sviluppo di tecnologie al miglior rapporto prestazioni/costi. Ovviamente ai meccanismi incentivanti, - insiste Gifi-Anie - dovranno essere abbinate politiche nazionali e locali di semplificazione di tutte le pratiche amministrative connesse alla autorizzazione, realizzazione, connessione alla rete, esercizio e dismissione a fi ne vita degli impianti. In futuro al solare fotovoltaico dovrà anche essere concessa la priorità di dispacciamento sulla rete elettrica. Per quanto riguarda le diverse tipologie di solare, le Linee guida spingono sulle realizzazioni fi nalizzate all’autoconsumo dell’energia prodotta e poste sulle coperture e sulle facciate degli edifici, defi nite “le applicazioni ideali del fotovoltaico”. Sono comunque ritenuti accettabili impianti di generazione posti sul terreno, purché realizzati a valle di un attento studio di inserimento dell’impianto nel paesaggio esistente, privilegiando le aree a vocazione industriale e commerciale e i territori già compromessi da altre attività umane. Tra le novità, infi ne, c’è l’aperta richiesta di sostegno all’intera industria nazionale del solare, che dovrebbe essere adeguatamente supportata per far sì che almeno il 50% degli incentivi erogati si trasformino in proventi per le aziende operanti sul territorio nazionale. | B&G n.12 pag.70 Impianti di energia fotovoltaica una selta etica e razionale B&G n. 14 pag 70 Impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile B&G N.16 pag. 76 Il futuro dell’energia in Italia: dove stiamo andando?

www.abenergie.it

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marzo - maggio 2011

La

pianificazione strategica, chiave di successo

Strategic Planning Antonello Bove 252 pagine Editore: Hoepli (ottobre 2010) Collana: Marketing e management

per le imprese

Nel suo ultimo libro, Strategic Planning, Antonello Bove traccia un percorso per aiutare manager e imprenditori ad analizzare cosa si vuole fare e perchè, guidandoli nella pianificazione e nella realizzazione testo di Laura Di Teodoro Off rire “uno sbocco di successo” a un’idea. Partire da una visione, analizzarne la fattibilità, pianificarla per poi eseguirla. Stiamo parlando del processo strategico, meglio conosciuto come strategic planning, ergo “dove arte e scienza si uniscono e creano un percorso di riferimento per mettere in pratica una strategia comuna e per una nuova iniziativa o un’attività di crescita”, come afferma Antonello Bove esperto di business internazionale, project management e attività di corporate strategy e autore dell’ultimo successo edito da Hoepli, dal titolo “Strategic Planning”. Un libro che, secondo Gloria Jacobovitz, vice Presiden Enterprice Hopkins Biotech Network John Hopkins University, autrice della prefazione, ha saputo trattare l’argomento “integrando definizione, pianificazione ed esecuzione, dando un quadro completo di come avviare un business, un’organizzazione o ampliare un’attività già esistente”. Così Antonello Bove ha voluto mettere nero su bianco la sua esperienza, riportando casi aziendali, dati, esempi reali, per arrivare a guidare manager e imprenditori alla comprensione di ciò che si vuole fare e perchè, aiutandoli a capire come fare attraverso la pianificazione e, soprattutto, con successo. L’autore parte dalla constatazione di un mondo pervaso da cambiamenti e dalla conseguente necessità di migliorarsi e adeguarsi attraverso nuove idee. Come? Conoscendo e intraprendendo processi nuovi, individuando tecniche e strumenti di pianificazione adeguati. Il libro, suddiviso in tre parti, segue il tragitto percorso da una strategia, da quando viene concepita, definita, pianificata a quando viene eseguita, per arrivare a definire i passaggi chiave del “strategic planning”: visione, missione, definizione e analisi strategica, pianificazione strategica (business plan) ed esecuzione e tattica di azione. “Una formula – scrive Bove – alla quale, oggi con un’economia così frenetica, nessuno può sottrarsi, un segno di buon management per ogni tipo di organizzazione profit e non”. Nella prima parte viene spiegato il concetto di strategia e vengono snocciolate le componenti principali del processo strategico: visione, missione, definizione, pianificazione strategica e tattica di azione. L’autore si focalizza sull’analisi Swot, indispensabile nella fase di determinazione dello scopo, del “che cosa si intende fare”. Il modello Swot aiuta infatti a valutare in prima battuta la validità della strategia, aiutando a decidere sulla validità della stessa per essere più o meno implementata. Il secondo capitolo del libro è dedicato alla pianificazione del piano di business attraverso la “metodologia dei 7 step”. Il business plan oggi è considerato il documento cruciale di una qualsiasi organizzazione e viene creato attraverso 7 step che hanno come obiettivo di aiutare le organizzazioni a costruire, crescere, espandere e migliorare le proprie attività di business e convincere investitori e istituzioni fi nanziarie a 90

Antonello Bove Antonello Bove vive da quindici anni negli Stati Uniti ed è esperto di business internazionale, project management e attività di corporate strategy, nonchè attento conoscitore della realtà statunitense e dell’America Latina. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Roma “la Sapienza”, si è poi specializzato nell’area management: in Executive Management presso l’Università del Michigan di Ann Arbor, in International Business Management presso la Georgetown University e in Project Management presso l’Indiana e la Purdue University (IUPUI). È membro del PMI (Project management Institute) e dell’AMA (American Management Association). Ha iniziato la sua professione lavorando nel mondo della consulenza aziendale e finanziaria, successivamente nel settore industriale come CEO per una azienda nel Midwest degli USA e in progetti con il governo statunitense. Oggi è consulente e advisor per una banca di investimenti e sviluppo in Washington DC per programmi di sviluppo internazionale. Ha insegnato presso la Business School dell’Università di Evansville in Indiana, attualmente è lecturer in diverse università e conferenze in Usa, America Latina e Europa in materia di Project Management e International Business e visiting professor presso l’Università degli Studi di Firenze. E’ corrispondente di PM Forum.org, tra le più importanti vetrine internazionali di project management. Per Hoepli ha pubblicato “Project Management: la metologia dei 12 step”.

supportare nuovi percorsi fi nalizzati a questo scopo. I passi da percorrere per confezionare un business plan vincente sono: executive summary; descrizione dell’azienda; prodotto e servizi; analisi del mercato e piano di marketing; posizione competitiva, milestones e analisi dei rischi; management e organizzazione; parte finanziaria. Bove esplora ogni singolo “step” illustrando concetti, processi, modalità di analisi del mercato e dei rischi e tutte le azioni da prendere in considerazione per non lasciare nulla al caso. Nella terza parte del libro si passa dalla teoria alla pratica attraverso l’esecuzione vera e propria e la trasformazione del piano in azione. Vengono analizzate le tecniche di controllo e di monitoraggio per mantenere la strategia in linea rispetto al piano. In questa parte dell’opera l’autore si focaliz-

za sull’esecutività e monitoraggio del piano prendendo in considerazione alcuni fattoi chiave, quali l’abilità di saper preparare e presentare il piano agli stakeholder interessati, l’attività di monitoraggio, e proponendo alcune considerazioni generali con alcuni esempi di aziende che hanno sviluppato un percorso strategico di successo: tre americane (Starbucks, Amazon, Google) e una italiana (Luxottica). Si chiude così una tra le migliori ed eccellenti guide verso la pianificazione strategica. Quel giusto mix tra teoria e pratica che Antonello Bove è riuscito a trasferire nelle 252 pagine del libro per consegnare a manger e imprenditori un concreto aiuto sulla strada dell’eccellenza e del successo. |

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Hatteras 50

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Un usato da capolavoro Ocean Yachts 48 Anno: 1991 Motorizzazione: 2x485 Detroit Diesel Lunghezza: 14,60 m Cabine: 3 cabine, 2 bagni Velocità massima: 29 kts Velocità crociera: 23 kts Optionals: Refitting appena completato, interni spaziosi, rifiniture di lusso Visibile a: Loano

Hatteras 50 Anno: 1992 Motorizzazione: 2x820 MAN Lunghezza: 15,40 m Cabine: 3 cabine + marinaio, 3 bagni Velocità massima: 28 kts Velocità crociera: 23 kts Optionals: Attrezzatura pesca, gru tender, elettronica completa, interni perfetti Visibile a: Genova

Ocean 37 Billfish Anno: 2009 Motorizzazione: 2x480 Cummins Lunghezza: 11,50 m Cabine: 1 cabina, 1 bagno Velocità massima: 34 kts Velocità crociera: 29 kts Optionals: Barca nuova, full optionals Visibile a: Lavagna

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marzo - maggio 2011

un modello grand banks

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Nautica Story

Trawler ile futuro Lobster delle barche da pesca La storia delle due imbarcazioni nate come barche da pesca e adattate a imbarcazioni da diporto a cura di Roberto Magri

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marzo - maggio 2011

sopra: un altro modello grand banks sotto: un modello Krogen

Vi è una solida correlazione tra pesca e diporto nautico come già si è potuto sottolineare trattando di quel fenomeno estremamente importante che è rappresentato dai “fisherman”, imbarcazioni nate sulla struttura di barche da lavoro sormontate da un “ponte volante” che favorisse l’avvistamento delle “mangianze” e quindi della presenza di branchi di pesce da insidiare e garantisse una maggiore visibilità d’insieme durante il “combattimento” con la preda. Modello di imbarcazione che ha rappresentato e tutt’ora rappresenta un fenomeno diportistico che è andato ben oltre la ristretta cerchia degli appassionati di pesca d’altura o “big game” per interessare, più genericamente, gli appassionati della navigazione. Ma questa correlazione si è manifestata anche, e per così dire, in senso contrario ove è accaduto che barche da pesca abbiano dato origine ad un fecondo fi lone di imbarcazioni da diporto, caratterizzate da una decisa ed accattivante immagine. Ovviamente è sempre l’America la culla dove, con equa ripartizione, tanto la costa occidentale quanto quella orientale hanno visto nascere, nel corso del Ventesimo secolo, due importanti rivisitazioni navali che, nascendo dall’adattamento di barche da pesca in imbarcazioni da diporto, 94

hanno dato vita, a due scuole di pensiero diportistico che hanno visto affermarsi sull’oceano Pacifico i “ Trawlers” e sull’Atlantico le “Lobster-boats”.

si, in condizioni di tempo buono, anche di una postazione di manovra in controplancia che semplifica ulteriormente la conduzione dell’imbarcazione.

Il Trawler, testualmente peschereccio a strascico, barca nata, e soprattutto pensata, per il duro lavoro del pescatore dell’Oceano Pacifico, mare insidioso a dispetto del

L’insieme è, comunque, di una barca solida, molto protetta e conseguentemente molto abitabile internamente che ne faceva elettivamente la struttura utile alla quale ispirarsi, ovviamente con adattamenti e licenze, per creare una imbarcazione da diporto solida e quindi adatta alla navigazione impegnativa, ampia e quindi destinata ad una vita di bordo prolungata, dai bassi consumi e quindi adatta alla lunga crociera.

nome che porta e dove, specie in prossimità delle coste dell’Oregon, si scatenano delle tempeste impressionanti, doveva avere delle caratteristiche strutturali che le consentissero di svolgere il proprio servizio nella maniera più soddisfacente. Ecco quindi che nasce una barca maneggevole con prora alta e dritto di prua verticale, munita di una plancia ben protetta con accesso ai passavanti per rendere agevole il compito del timoniere il quale può valer-

Nascono così le prime interpretazioni diportistiche, e siamo agli inizi degli Anni Sessanta quando, fra le altre, va affermandosi la American Marine, costruttrice dei famosi “Grand Banks” i cui primi modelli, in stretta aderenza con le origini, erano costruiti in legno, spinti da un solo motore e capaci di una velocità di crociera veramente modesta. Ben presto, tuttavia, American Marine, in linea con le tendenze ormai generalizzate, passò alla costruzione in vetroresina favorendo così la diff usione, su scala mondiale, del Trawler e di cui il “Grand Banks”, nelle varie dimensioni e tipi, ne divenne il testimone più significativo.


Nautica Story

Molti cantieri seguirono le orme dell’American Marine ma, significativamente, quasi tutti vissero e prosperarono negli Stati Uniti di America e particolarmente sulla costa occidentale, più aspra e selvaggia di quella orientale dove, specie al sud, complice un clima tropicale, il trawler stentò a diffondersi. Anche nel Mediterraneo il Trawler non ebbe vita semplice pur essendo molto apprezzato dagli intenditori. La scarsa vivibilità all’esterno rappresentò sempre un limite invalicabile tant’è che, molto significativamente, quando Grand Banks mise in produzione una linea di imbarcazioni caratterizzata dalla eliminazione della cabina di poppa a tutto vantaggio di un ampio pozzetto, la serie venne chiamata “Europa”. Comunque sia, salvo un recentissimo ed ammirevole sforzo compiuto dal cantiere francese Beneteau, non vi fu mai molto interesse da parte dell’Europa ad imitare tale tipo di imbarcazione la cui diffusione è stata quindi affidata esclusivamente all’importazione. Diversa sorte ebbe invece la utilizzazione in diporto di un altro tipo di imbarcazione da pesca: la “Lobster-boat”, letteralmente battello per la pesca delle aragoste, famose quelle del Maine. Ed è proprio nel New England che nasce e si diffonde, questa volta nel mondo intero, uno stile di imbarcazione che, partendo dai piani costruttivi di un piccolo peschereccio, adatto alla pesca, appunto delle aragoste, diviene un’icona del diporto nautico. La fortuna di una simile imbarcazione risiede principalmente nel suo ampio pozzetto, destinato al salpaggio delle ingombranti nasse, che valorizza il “ pic nic” e gli sports marini permettendo di godere appieno di una vacanza sull’acqua. Il primo, il più famoso, in una parola il più blasonato can-

Un modello rose island

Un modello gozzo aprea

un altro modello grand banks

Il trawler, testualmente peschereccio a strascico, è nata per il duro lavoro del pescatore dell’Oceano Pacifico. Il “lobsterboat”, letteralmente battello per la pesca delle aragoste, famose quelle del Maine, nasce nel New England e si diffonde nel mondo intero tiere al mondo nella costruzione di aragostiere rimane Hinkley che fu seguito, negli anni, da molti altri cantieri come Sabre e, non ultimi, alcuni produttori di Trawlers che decisero di differenziare la produzione. Contrariamente a quanto avvenne per i Trawlers, la realizzazione di imbarcazioni da diporto aventi le caratteristiche sopra descritte interessò anche cantieri al di fuori degli Stati Uniti d’America ed in particolare cantieri italiani che, a dispetto del nome, sovente americanizzante, sono profondamente nostrani e, a dispetto altresì dei detrattori, producono imbarcazioni di ottima qualità. Fra questi merita menzione il cantiere Rose Island che annovera, nella sua produzione, una gamma di imbarcazioni di grande successo. La caratterizzazione più emblematica delle Lobster-boats, oltre all’ampio pozzetto a poppa, la linea slanciata e, nella tipizzazione classica, l’assenza di fly-bridge, consiste nel generoso uso del legno nelle sue varie essenze, sovente trattato a coppale, che impreziosisce

questo tipo di imbarcazioni di rango superiore. Il legno è stato, e sarà sempre un grande protagonista nella nautica da diporto come emblema delle origini alle quali non potrà mai abdicare. E non ha abdicato ai ricordi ancestrali quella nutrita, e forse per certi versi eccessiva, schiera di cantieri che, in Italia, sull’onda, come si è visto universale, di adattare lo stile e le forme delle imbarcazioni da pesca ad uso diportistico, ha dato i natali alla felice stagione dei gozzi, liguri piuttosto che sorrentini, creando un modello di “barca” dalle linee assolutamente classiche, impreziosita dal legno a testimonianza delle origini ma sovente esageratamente motorizzata così da apparire più un veloce motoscafo camuffato da imbarcazione da lavoro che non l’evoluzione intelligente di un oggetto antico adattato ai nuovi orizzonti della nautica. |

B&G n.16 pag. 94 I Fischerman tra mito e storia Spesso le grandi imprese nascono da piccole opportunità. Demostene www.marboats.it

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marzo - maggio 2011

Torna il golf con Travel Cup 2011 Ha preso il via il 13 marzo la sesta edizione di uno dei tornei amatoriali pi첫 prestigiosi, targato e.20, Roncalli Viaggi ed Ego

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Mondo Golf

Golf Resort La Estancia, situato nella zona di Bayahibe (Santo Domingo)

E’ partita ufficialmente il 13 marzo scorso al Parco dei Colli di Bergamo, la sesta edizione della Travel Golf Cup 2011, uno dei tornei amatoriali più prestigiosi e attesi del settore, organizzato da e.20, Roncalli Viaggi ed Ego. Un’edizione che parte a poco più di due mesi dalle fi nali del torneo 2010 che ha chiuso i battenti dal 4 all’11 gennaio 2011 nel bellissimo Golf Resort La Estancia, situato nella zona di Bayahibe (Santo

Domingo), a circa 20 minuti dall’aeroporto internazionale La Romana, che vanta oltre al campo da golf, terminato e già aperto da 8 mesi, una Club House meravigliosa, dotata di tutti i comfort, pro shop e ristoranti, golf cottage per i giocatori, maneggio e convenzioni con i villaggi della zona. La struttura si trova in una posizione privilegiata, su una delle coste più belle dell’isola ed è immersa in un incantevole giardino tropicale, in 97


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marzo - maggio 2011

E’ partita il 13 marzo scorso al Parco dei Colli di Bergamo, la sesta edizione della Travel Golf Cup 2011, uno dei tornei amatoriali più prestigiosi e attesi del settore, organizzato da e.20, Roncalli Viaggi ed Ego perfetta armonia con la natura circostante. La quinta edizione della Travel Cup 2010, circuito composto da 10 gare in formula Stableford, si è svolta da marzo ad ottobre 2010 in 8 prestigiosi circoli del Nord Italia e l’accesso all’ultima gara estera è stato riservato a tutti coloro che sono stati estratti durante le premiazioni delle gare nazionali. La fi nale si è disputata, dopo una pausa di qualche mese dal termine delle gare, nel mese di gennaio 2011. Il periodo migliore per visitare, vivere e godere dello spettacolo della natura della Repubblica Domenicana. Dal 4 all’11 gennaio 2011 si sono svolte quindi le ultime tre gare della fi nale del tour che hanno visto la partecipazione di giocatori e appassionati in un contesto climatico ideale nei tre giorni di venerdì 7, sabato 8 e lunedì 10 gennaio, il tutto sotto l’accurata direzione sportiva di Claudia Orlandini. I risultati della gara sono stati: 1° classificato prima categoria, Alessandra Ramorino; 1° classificato seconda categoria, Giovanni Locatelli; 1° classificato lordo, Simona Angelini; 2° classificato prima categoria, Arturo Roncalli; 2° classificato seconda categoria, Francesco Cafiero; 2° classificata lordo, Hong Zhu. Tutti i partecipanti alla gara, hanno potuto trascorrere una settimana di vacanza in questa località da sogno dei Caraibi, godendo anche del sole e del mare del posto e svolgendo visite ed escursioni individuali in completo relax. |

www.travelgolfcup.it

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marzo - maggio 2011


Turismo a cinque stelle

Stati Uniti da scoprire: dai grandi parchi alla frenetica New

Viaggio attraverso i luoghi più caratteristici e belli degli States. Da San Francisco, la città più bella della California fi no ad arrivare alla Grande Mela, passando per il Nevada, per i parchi del Nord e il Grand Canyon

San Francisco Las Vegas

York New York

Grand Canyon

in collaborazione con Hotelplan Italia

Il Golden Gate Bridge, il ponte sospeso che sovrasta lo stretto che collega l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco

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marzo - maggio 2011

La Monument Valley

Gli Stati Uniti sono terra di grandi distanze: migliaia di chilometri di strade, alcune veramente mitiche, che attraversano deserti, pianure, canyon e montagne. C’è chi ama scoprirne i territori, mettendosi al volante magari percorrendo il mitico coast to coast ma con tempi lunghi, quasi infi niti! Hotelplan off re agli amanti degli States la possibilità di conoscere gli spazi immensi dell’Ovest, e i suoi prodigi naturali, combinando anche l’imperdibile frenetica follia di New York in un tour di 15 giorni/13 notti che prevede anche la presenza di una guida in italiano. L’itinerario parte da San Francisco, da molti considerata la città più bella della California: la fresca nebbia estiva, le ripide colline, la vivacità culturale e l’eclettismo architettonico ne fanno la più europea tra le metropoli statunitensi; due giorni interi per visitare la città: dalle bancarelle e gli spettacoli di strada del Fisherman’s Wharf, fino all’escursione sull’isola di Alcatraz, per quello che ieri era un sinistro penitenziario ed oggi è Parco Nazionale. Il giorno seguente lasciamo la baia californiana per approdare in Nevada: Las Vegas è la capitale del divertimento, dello shopping e del gioco d’azzardo, la città che vive di notte, o come viene soprannominata, “la città

del peccato”. Ci spostiamo poi in direzione nord, allo Zion National Park, con le sue imponenti formazioni rocciose, e quindi verso lo stupefacente Bryce Canyon National Park, un susseguirsi di pinnacoli multicolore in tutte le tonalità del rosso. Dal Bryce Canyon a Moab nello Utah: lungo il percorso visita dell’Arches National Park, dove si concentrano più di duecento sculture a forma di archi giganteschi e finestre nella roccia formatesi in più di cento milioni di anni. L’ottavo giorno è prevista una breve escursione in jetboat lungo il fiume Colorado; segue la visita del parco di Canyonlands, una delle aree più selvagge di tutto l’ovest americano, per finire con la mitica Monument Valley, scenario mozzafiato, e set di indimenticabili pellicole cinematografiche. E poi ancora, la fermata del nostro viaggio americano ci presenta un altro prodigio della natura: formatosi tra i venticinque e cinque milioni

Hotelplan offre agli amanti degli States la possibilità di conoscere gli spazi immensi dell’Ovest, e i suoi prodigi naturali, combinando anche l’imperdibile frenetica follia di New York in un tour di 15 giorni/13 notti che prevede anche la presenza Il Lake Powell, è uno dei più grandi laghi artificiali degli Stati Uniti.

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di una guida in italiano


Turismo a cinque stelle

Suggestiva immagine notturna di Times Square a New York

INFO UTILI SUGLI STATI UNITI Capitale: Washington Stagionalità: Per evitare le folle le stagioni più indicate sono la primavera e l’autunno, ma se volete evitare anche gli stessi Americani il periodo migliore è luglio\agosto, infatti gli statunitensi amano viaggiare in questo periodo. Il periodo migliore per recarsi nel New England e nella zona settentrionale dei Grandi Laghi è la nostra estate. Sulla costa meridionale della California il tempo è bello tutto l’anno, ma la vita da spiaggia si svolge da giugno a settembre. Documenti: L’Italia fa parte di quei paesi inseriti in quel programma di esenzione dal visto per l’ingresso o il transito negli Stati Uniti. Tutti i passeggeri dovranno essere in possesso del seguente documento in corso di validità (inclusi i bambini e i neonati): • Passaporto a lettura ottica se emesso o rinnovato sino al 25 ottobre 2005; • Passaporto a lettura ottica, munito di fotografia digitale, se emesso dal 26 ottobre 2005; • Passaporto elettronico o biometrico, se emesso dal 26 ottobre 2006. In tutti gli altri casi è obbligatorio richiedere il visto d’ingresso presso l’Ambasciata o il Consolato americano competente di zona. Per ulteriori informazioni sulle normative degli Stati Uniti in materia di visti, consultare i siti http:// italy.usembassy.gov oppure http://milan.usconsulate.gov Norme sanitarie: Non è richiesta nessuna vaccinazione. Tuttavia vi suggeriamo di sottoscrivere la polizza integrativa che prevede una copertura illimitata. Tasse: A qualsiasi prezzo esposto vanno aggiunte le tasse locali che variano secondo lo Stato. Fuso orario: Avendo gli Stati Uniti un’espansione quasi continentale, possiamo trovare ben sei diversi fusi orari rispetto all’Italia che vanno dalle -6 ore della East Coast alle -11 ore delle Hawaii.

L’arches National Park nello Utah

di anni fa, il Grand Canyon è un’immensa gola creata dal fiume Colorado nell’Arizona settentrionale; lungo 446 chilometri circa, profondo fino a 1.600 metri, ha una larghezza variabile tra i 500 metri e i 27 chilometri. Infine, l’ incantevole cittadina di Sedona, circondata dalle rocce rosse dell’Oak Creek Canyon, è l’ultima tappa prima del trasferimento a New York. Punto di arrivo per il mondo intero, la “città che non dorme mai”, la Grande Mela, non ha certo bisogno di presentazioni. Il suo impatto sul mondo coinvolge

- e talvolta sconvolge - ogni settore: arte, moda, ricerca, intrattenimento, politica, finanza, media. Sempre avanti, sempre alla rincorsa di qualche cosa che non c’è. Impossibile resistere al suo fascino unico e introvabile in nessuna altra parte del mondo. La quota di partecipazione per questo tour tra i grandi parchi americani, è di 3.680 euro a persona in camera doppia, e comprende tutti i passaggi aerei e gli spostamenti in pullman, tutte le visite, gli ingressi e le escursioni come da programma. |

L’America non è soltanto una parte del mondo. L’America è uno stato d’animo, una passione. E qualunque europeo può, da un momento all’altro, ammalarsi d’America. o Sold dati Mario www.hotelplan.it

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marzo - maggio 2011

Promotion Expo Dal 9 all’11 Marzo 2011 Sede: Fiera Milano City

Promotion Expo è la grande fiera italiana che da 18 anni mette in contatto d’affari gli operatori del settore promozionale, dell’in-store e dei servizi con oltre 8.400 manager che ricercano idee e prodotti per le proprie esigenze di marketing e di comunicazione. Promotion Expo è la fiera che off re tutte le soluzioni per il mondo: delle loyalty, del direct, degli eventi, dell’incentive, dell’in-store marketing, della comunicazione sul punto di vendita, dei premi, dei gadget, dei regali aziendali, del licensing e del merchandising.

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Made in Steel Dal 23 al 25 marzo 2011 Sede: Brixia Expo - Fiera di Brescia

Dopo tre edizioni di successo, la leadership raggiunta all’interno della fi liera dell’acciaio fa di Made in Steel il partner ideale per promuovere con successo la propria attività dentro e fuori i confi ni nazionali. Made in Steel sposa una concezione ben distante dallo stereotipo di fiera tradizionale, nella convinzione che le opportunità di business non si limitino alla sola esposizione di prodotti. Generare flussi commerciali ed occasioni di crescita economica e culturale è frutto anche di un intenso interscambio di opinioni ed idee.

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EDIL 2011 Dal 24 al 27 marzo 2011 Sede: Nuova Fiera di Bergamo

L’appuntamento 2011 con la fiera delle costruzioni di Bergamo – uno dei territori più importanti d’Europa per il settore – vuole rappresentare l’occasione per gli operatori e per chi, come noi, crede che lo sviluppo del nostro mondo passerà attraverso elementi di maggiore qualità e innovazione. Elementi che sono già presenti sul mercato e nelle vostre aziende e per i quali moltiplicheremo i nostri sforzi al fi ne di renderli visibili al mercato.

Cosmit - Salone internazionale del complemento d’arredo Dal 12 al 17 aprile 2011 Sede: Fiera Milano

MIART Dall’8 all’11 aprile 2011 Sede: Fieramilanocity

MIART è la mostra internazionale d’arte moderna e contemporanea giunta alla sua sedicesima edizione. La mostra è suddivisa in due aree principali: Moderno e Contemporaneo. Miart coinvolge tutte le componenti del mercato: gli artisti, i galleristi, i collezionisti, i curatori, i critici, i direttori di museo, gli enti istituzionali, le testate di settore, le librerie specializzate.

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Il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, alla sua 25a edizione, è come d’abitudine distribuito all’interno della maglia espositiva del Salone Internazionale del Mobile e presenta tutte le tipologie di elementi complementari, oggettistica, elementi di decoro, tessili per la casa e stili - dal classico al design al moderno - oltre a ciò che detterà le tendenze di domani.


I prossimi appuntamenti

DIVA - Salone internazionale auto classiche e sportive

L’agenda delle Fiere

07-08 maggio 2011 Sede: Brixia Expo - Fiera di Brescia

DIVA è il Salone Internazionale di Auto Classiche e Sportive nato con l’obiettivo di off rire uno spazio esclusivo ad un target selezionato di appassionati ed estimatori. Evento prestigioso dedicato al business appositamente organizzato nella città che ospita la “corsa più bella del mondo”. Nel weekend prima della Mille Miglia nel moderno padiglione Brixia Expo, si terrà un salone di auto d’epoca, classiche e sportive, unico nel suo genere, di respiro internazionale.

SHOW WAY Dal 15 al 17 maggio 2011 Sede: Nuova Fiera di Bergamo

Dopo un anno di stand-by che ha consentito alle Imprese del settore di concentrare tutti gli sforzi necessari per ottimizzare al meglio le proprie attività in presenza del picco più alto di una crisi globale ormai alle spalle, è arrivato il tempo della ripresa. Show Way 2011, l’unica manifestazione fieristica professionale di settore in Italia, mostra le opportunità per un investimento redditizio nel periodo più opportuno.

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BtoBIO Expo - World Organic Trade Dall’8 all’11 maggio 2011 Sede: Fiera Milano

Alimentazione biologica certificata a 360°, prodotti salutistici, cosmetici ed erboristici, tutto esclusivamente biologico certificato, un’ampia gamma di servizi per il settore e un mirato programma di incontri, convegni, eventi e approfondimenti: sono queste le tessere che vanno a comporre il grande mosaico merceologico e attrattivo di BtoBIO expo.

IMART Dal 20 al 22 maggio 2011 Sede: Nuova Fiera di Bergamo

Il progetto Artigiana pone al centro dell’attenzione l’imprenditore, l’impresa artigiana e i giovani aspiranti imprenditori presentando momenti di confronto sugli scenari futuri dell’artigianato e di dibattito sul riposizionamento delle imprese e sulle opportunità di sviluppo del settore.

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B&G - Business&Gentlemen Pubblicazione trimestrale www.businessgentlemen.it Anno IV – numero 17 marzo - maggio 2011

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Direttore responsabile Mauro Milesi mauro.milesi@cobalto.it

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Redazione Coordinamento, redazione e contenuti web: Laura Di Teodoro laura.diteodoro@cobalto.it Segreteria: redazione@businessgentlemen.it

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Impaginazione Stefania Bugada, Sara Fratus , Enrico Benedetti Equipe tecnico-scientifica Andrea Bonalumi, Paolo Colombo, Ivan Consoli, Enrico Della Pietà, Roberto Magri, Leonardo Marabini, Thierry Marchal, Ivan Mazzoleni, Cristina Moro, Alberto Claudio Tremolada

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Hanno collaborato Massimo Appiotti, Thomas Bertels, Silvia Cappia, Elisabetta Casarin, Fabiano Cattaneo, Fabiano Cattaneo, Diego Comba, Sebastiano De Lorenzo, Dario Fiorina, Alfonso Fuggetta, Francesco Gallucci, Renzo Maria Morresi, Alice Sofia Neri, Elena Sottocornola Fotografie B&G Vincenzo Lombardi

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Quando i sogni diventano idee che volano davvero... “Innovare con la simulazione” Prototipi virtuali e simulazione numerica sono oggi strumenti fondamentali nei processi d’innovazione, nella riduzione dei costi, nell’incremento di efficienza e di profitto

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Innovation Executive Conference*

Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso - Bergamo

Venerdì 27 maggio 2011 ore 9,00 per saperne di più: www.kilometrorosso.it www.ansys-italia.com italyinfo@ansys.com

* La conferenza è dedicata a imprenditori e manager che vogliono conoscere le visioni future di Università e aziende leader mondiali, attraverso la voce di docenti ed esperti internazionali nelle tecnologie di simulazione.


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