anno V - numero 21 | marzo - maggio 2012 | € 5,00
Protagonisti
Riccardo Blumer Rosario Castellano Andrea Cumini Sydney Finkelstein Mariacristina Galgano Roberta Garibaldi Veronica Hope Hailey Pietro Scott Jovine Giuliano Noce
Leadership
Se il mercato diventa una “guerra” i manager devono combattere
Virtual communication Nuovi strumenti per comunicare nel mare dei mercati fluidi
Fedeltà in azienda Gestire i collaboratori tra motivazione e talento
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 45% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB BERGAMO - COBALTO SRL In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di BERGAMO per la restituzione al mittente che si impegna al pagamento dei resi. www.businessgentlemen.it
Black list
Le scelte sbagliate dei manager di oggi
L’innovazione tra sfide e promesse Innovare per competere: parola di Carlo Gomarasca numero uno in Italia di Ansys, leader mondiale nelle soluzioni per la simulazione numerica. L’arma vincente per creare i prodotti del futuro e affrontare le complesse sfide del mercato
CARLO GOMARASCA FOTOGRAFATO DA MARCO RIVA
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Editoriale di Mauro Milesi Due pilastri per la stabilità Legenda delle icone di lettura Business & Gentlemen ha studiato dei richiami grafici per aiutare la “navigazione” dei servizi e offrire informazioni aggiuntive. Innanzitutto ogni articolo presenta un’icona che ne identifica la tipologia di contenuto: Giornalistico: servizi, approfondimenti, interviste realizzate dai nostri giornalisti e dai collaboratori B&G. Tecnico-scientifico: studi e ricerche che hanno una connotazione tecnico-
Famiglie e imprese sono il nucleo portante del Paese. C’è chi storcerà il naso, lo sappiamo, pensando che ci siamo dimenticati qualcuno. Eppure la famiglia e l’azienda sono gli spazi in cui c’è ancora la possibilità di trovare riparo, conservare le forze e continuare a lottare in questi tempi difficili. C’è ancora amore, c’è ancora passione, c’è ancora voglia di fare e costruire dentro questi due piccoli, ma grandiosi mondi pieni di valori autentici che resistono all’oblio di un Paese in declino.
scientifica e che sono realizzati da esperti, docenti o studiosi. Divulgativo: notizie, curiosità, anteprime, focus di carattere divulgativo sui temi d’interesse generale: dalla moda ai motori, dall’arte al design. Inoltre la lettura può riservare informazioni aggiuntive con le seguenti icone Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico Url: la segnalazione di siti e portali sul tema trattato Argomenti correlati: segnalazione di servizi B&G che trattano argomenti simili Citazione: un ipse dixit che impreziosisce il discorso trattato Bibliografia: la segnalazione bibliografica collegata all’argomento
L’Italia che vuole risollevarsi si appoggia su questi due pilastri per trovare la stabilità necessaria. Ma il terreno di fondo è viscido e la melma si fa largo tra le crepe, insieme a scarafaggi e parassiti. La famiglia è il cuscinetto sociale che tutto assorbe, tutto ammortizza, tutto aggiusta. Finché può. Lo sanno i nostri giovani disoccupati che sono costretti costantemente ad aggrapparsi alle radici domestiche, lo sanno milioni di padri e madri che combattono ogni giorno senza alcun sostegno sociale, lo sanno gli anziani che ritrovano nella famiglia il calore negato da un Paese senza memoria. Ma il cerchio si stringe, le casse si prosciugano e l’energia del focolare non durerà per sempre. L’articolo 1 della Costituzione va riscritto: l’Italia è una repubblica democratica fondata sulla famiglia.
Chi è scandalizzato può anche cambiare pagina. Però c’è un’altra “ famiglia” che continua a fare la sua parte: è la piccola e media impresa italiana. Decine di migliaia di aziende che restano sul campo ogni giorno, sfidando la complessità con la forza dell’innovazione, il coraggio di scelte difficili e la pazzia di chi non guarda solo al bilancio. Conosco personalmente decine di imprenditori che in questo momento non hanno alcuna intenzione di mollare pur di fronte a perdite e passività. Nel mondo della speculazione e della finanza virtuale, l’economia reale è fatta da tanti piccoli “capitani d’impresa” che restano aperti nonostante tutto, che non vogliono mollare lasciando a casa i loro collaboratori e le loro famiglie. Forse non c’è il grande business nelle vene di chi non si vuole arrendere di fronte alla realtà di un mercato sempre più aggressivo e complesso (l’oceano rosso), ma c’è il sentimento sociale del danno che deriverebbe dalla chiusura di un’azienda. E’ una visione romantica e anacronistica, ma ci ricorda che c’è qualcuno in questo Paese che non può permettersi di stare seduto nella comodità delle poltrone del palazzo. Qualcuno si deve ancora sporcare le mani e guardare in faccia la realtà. Come fanno ogni giorno famiglie e imprese.
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Sommario numero 21 | marzo - maggio 2012
6.
Editoriale
48.
Due pilastri per la stabilità
10.
Abstract
Cosa significa essere un giovane imprenditore oggi
52.
Pillole di B&G dedicate al pubblico estero
12.
Rubrica Libri
Speciale Innovazione 1
56.
Speciale Innovazione 2
60.
Speciale Innovazione 3
64.
Conoscenze integrate
66.
Speciale Leadership 1
70.
Speciale Leadership 2
Veronica Hope Hailey
74.
Roberta Garibaldi Turismo e cultura: intervista all’esperta docente universitaria
78.
Black list dei peggiori manager. Ecco come restarne fuori
Internazionalizzazione Italia - Germania. Manager uniti per la comunicazione
96.
Fra.mar
Più motivati non vuol dire più produttivi
Quando il mercato diventa una “guerra” i manager devono combattere
44.
94.
“Quarto Potere”
I diritti degli agenti nell’UE Nonostante le direttive comunitarie la legislazione dipende dallo Stato
La sfida di un uomo per un’azienda fatta di persone
La virtualizzazione per competere vincendo nei mercati fluidi
38.
92.
Metra
Infrabuild Dalle reti d’impresa un progetto per Expo 2015
Come i mezzi di comunicazione di massa influenzano la società
Intervista esclusiva a Carlo Gomarasca, numero uno di Ansys Italia
32.
88.
Promuovere la “cultura dell’alluminio” per avere successo
Successo di idee per la quarta edizione di K-Idea
24.
La non-crescita dei salari
Riccardo Blumer Intervista all’architetto e designer vincitore del compasso d’oro
Produttività, investimenti, e “confidence fairy”
Lombardia ai primi posti in Europa per innovazione
18.
84.
Grohe
Tecnologie Per la banda larga serve un cambio di passo
Tecnologia, design e qualità per proteggere il pianeta
Angolo dedicato a volumi sul mondo delle imprese
14.
80.
Andrea Cumini
Gestione d’impresa Logiche di pricing innovative per essere competitivi
98.
Turismo a cinque stelle Un tour attraverso la Namibia, un angolo di Africa vera
104. Fiere Tutti gli appuntamenti più importanti dei prossimi mesi
Hotelplan La divisione incentive rinnova la sua veste
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marzo - maggio 2012
Nuggets of B&G
We dedicate the English abstracts of some of the most interesting articles published on this issue to the foreign business public happening to leaf through B&G
Special issue on innovation. Interview with Carlo Gomarasca, Managing Director of Ansys Italia Today, innovation is the key to overcoming the global economic crisis. This special issue is dedicated entirely to this theme. From the situation in Lombardy, which in 2011 once again confirmed itself leader on this front with over 15 thousand patents according to the news reports of two events that have made innovation their leitmotif: the “K-Idea Award”, sponsored annually by the “Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso” (Red Kilometre Scientific and Technological Park) and “Innovare per Competere”, the Innovation Executive Conference , an event organised by Ansys and Federmanager to provide managers and businessmen with information on concrete tools for facilitating innovation. The main feature is an exclusive interview with Carlo Gomarasca, Managing Director in Italy of Ansys (US multinational developer of simulation soft ware), who emphasises how companies should be given concrete tools to advance and facilitate innovation.
English version
Collaborative business tools. Competing in fluid markets The company as a system of integrated knowledge is increasingly focusing on ICT, Information Technology. Social networks, virtual communities, cloud communities, new technologies have made it easier and more cost-efficient for stakeholders to collaborate. This is the key to business development. These relationships form the basis of the exchange of knowledge and experiences, which if shared/ managed become part of a company’s intangible key assets. Double interview with Fabrizio Caprara (President of Saatchi & Saatchi Italia) and Luigi Paganetto (Dean of the Faculty of Economics at the Tor Vergata University of Rome). Fabrizio Caprara believes that a brand becomes what consumers perceive, i.e. what the brand conveys to them. While Luigi Paganetto argues that SMEs operating online are growing much faster than other enterprises.
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Abstracts
If the market becomes a “war”, then managers will need to adapt
Today’s young entrepreneurs: “humility and the ability to get involved”. The words of Andrea Cumini Great uncertainty, risks at every step and consequently constant stress. Extreme situations that normally only exist in specific contexts, primarily the military one. However, with the progress of the global economy in recent years these situations have become a daily occurrence, even for businesses. In this environment of constant emergency in which managers have to work, it is essential and at the same time much more difficult to have good leadership skills. How can managers guide their employees, motivate them and encourage them to do even better when the future is so uncertain and the tables may turn at any moment? We asked Rosario Castellano, Manager of the Acqui Division, whose extensive experience in the field has provided invaluable insights on what qualities a good leader should have, in the army as well as in business.
We are in times of crisis: times when it is difficult to keep one’s business afloat, almost impossible to start one from scratch; times when the State or the banks cannot commit to supporting innovation and new projects. Basically, times when it is very difficult being an entrepreneur, being a young entrepreneur even more so. We heard the views of Andrea Cumini winner of Confcommercio’s 2011 Young Entrepreneur
Award. Many topics were discussed during the interview, the role of young entrepreneurs today, and all the complexities and problems that they face, but also the enormous potential offered by new technologies. We then discussed the reasons for the “entry barriers” in companies, which according to the 36year-old manager are partly due to the particular characteristics of today’s youth.
Those who believe that having motivated and loyal employees is the best choice should think again. A new international research has shown that there are four different domains of employee engagement and that more enthusiast and loyal employees are the least proactive. The study by Veronica Hope Hailey, Elaine Farndale, Marc van Veldhoven and Clare Kelliher was conducted between 2009 and 2011. Four multinational corporations were studied, including GKN, AkzoNobel and Tesco HSC in the UK, the Netherlands, India and China. We interviewed Veronica Hope Hailey who explains how the research was conducted and why the results of this study may be useful to managers. Is it better to have more motivated employees or more productive employees? The choice is a matter of priority.
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English version
More motivated employees do not necessarily mean better employees
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marzo - maggio 2012
Strategie per
valorizzare persone, prodotti e processi
“Innovazione lean”, pubblicato da Hoepli fa parte della collana dedicata al management. Una guida pratica per innovare a basso costo e con successo Il tema dell’innovazione è oggi di grande attualità per le aziende di qualsiasi dimensione, uno dei punti chiave per il successo in questa difficilissima fase di congiuntura economica. Chi non sa adattarsi alle mutevoli condizioni che sempre più vivremo è destinato a fallire. Luciano Attolico, nel suo libro “Innovazione Lean” parte proprio dal tema dell’innovazione per snocciolare metodi e strategie utili per il successo. Si tratta del primo libro in Italia che spiega i legami tra Lean Thinking, innovazione e strategia aziendale di successo, attraverso una riflessione approfondita su questa materia, con oltre 100 pagine di casi di studio. Spesso si sottovaluta l’impatto che l’innovazione gioca nella prosperità sul lungo periodo. La focalizzazione di aziende e professionisti sul loro cuore pulsante, cioè l’insieme dei prodotti e dei servizi offerti sul mercato, permette di recuperare risorse preziose e dedicarle a ciò che può davvero fare la differenza nel tempo.
Riuscire ad applicare i principi del Lean Thinking, ossia la cultura del massimo risultato con il minor sforzo, nei processi dove si gioca l’innovazione in azienda può diventare
RUBRICA - Consigli di lettura business
oggi l’arma più potente al costo più basso “Se vogliamo far crescere le nostre aziende, dobbiamo far crescere le persone all’interno delle stesse – spiega Luciano Attolico – E occorre farlo coniugando produttività con benessere degli individui. Sono, infatti, convinto che il patrimonio intangibile del know-how custodito nelle persone, quello non depositato in processi scritti e formalizzati, spesso determina o meno il successo di un’impresa e di coloro che in essa operano”. Riuscire ad applicare i principi del Lean Thinking, ossia la cultura del massimo risultato con il minor sforzo, nei processi dove si gioca l’innovazione in azienda può diventare oggi l’arma più potente al costo più basso. In questo libro, teorie, metodi e casi di studio, spiegati da Luciano Attolico, partner italiano di Optiprise, la società di consulenza di Jeff rey Liker e John Drogosz, svelano i segreti del Lean Thinking applicati all’innovazione e allo sviluppo dei nuovi prodotti: la chiave del successo che accomuna le migliori aziende al mondo. Il libro si prefigge di trasferire una metodologia strutturata che lega prodotti, processi, persone e strumenti attraverso un sistema applicabile in qualsiasi contesto aziendale e avvalendosi di numerosi casi aziendali di successo 12
“Innovazione Lean” Luciano Attolico 300 pagine c.a. Editore Hoepli (2012) Collana: Management L’AUTORE Luciano Attolico è esperto riconosciuto a livello internazionale di Lean Thinking applicato all’innovazione e allo sviluppo di nuovi prodotti, nonché attento conoscitore della realtà Italiana, statunitense ed europea. Dopo la laurea in Ingegneria Meccanica, ha da subito cominciato a occuparsi di Lean Production e Industrializzazione nuovi prodotti in Magneti Marelli, dove ha integrato le sue conoscenze Lean insieme ad un importante mentore giapponese, Masaaki Yutani, ex Operations Manager Toyota. Dal 1995 a oggi ha alternato l’attività di consulente e formatore a quella di manager in importanti aziende multinazionali. In azienda, tra il 2003 e il 2007 in SIEMENS Automotive, è stato responsabile del lancio in produzione di prodotti innovativi ad alto contenuto tecnologico. Dalla fine del 2007 Luciano Attolico è tornato alla consulenza e alla formazione, fondando Lenovys, società di cui è attualmente Presidente e Master Trainer. Lenovys è specializzata nella trasformazione in chiave lean delle aziende clienti: produzione snella, uffici snelli, sviluppo snello di prodotti e processi. Più produzione con meno risorse. Più valore per i clienti, con meno costi. Prodotti nuovi sul mercato in meno tempo e a minor costi. Maggiore integrazione con i fornitori, a costi minori e qualità maggiore.
tra cui Lamborghini, PeugeotCitroen, Telecom, Laika, Continental, Ethos e Sacmi. L’introduzione è affidata a Jeffrey Liker, autore del best seller internazionale “The Toyota Way” e “guru” riconosciuto a livello mondiale. La prefazione è di Franco Bernabè, attuale presidente del gruppo Telecom Italia. Si rivolge a: imprenditori; top e middle management; impiegati; consulenti d’azienda; docenti di Università e Business School tecnico-economiche; liberi professionisti. Lo stesso Jeffrey Liker nel parlare di questo libro sottolinea: “I principi descritti in questo
libro consentono di capire a fondo come creare un sistema di persone, processi e tecnologie che possa proiettare l’azienda nel futuro, con prodotti che risolvano davvero i problemi del cliente. E’ questa la via per diventare leader del mercato ed eccellere come azienda. Il percorso e l’esperienza di Luciano rappresentano una preziosa opportunità per imparare ad applicare il “potere” del Lean Thinking all’innovazione e allo sviluppo dei nuovi prodotti”. | www.hoepli.it
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marzo - maggio 2012
Lombardia ai primi posti in Europa per innovazione Secondo i dati emersi da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano, la Lombardia si conferma tra i principali leader sul fronte dell’innovazione. In particolare, il capoluogo lombardo ha raccolto nel 2011, piÚ di 15mila brevetti
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Lombardia in primo piano
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Business&Gentlemen
marzo - maggio 2012
La Lombardia resta tra i centri più forti in Europa per innovazione. In particolar modo Milano si assesta sulla settima posizione per brevetti depositati, dopo Monaco, Parigi, Isèere e Hauts de Seine, Berlino e l’olandese Brabant. Per quanto riguarda il territorio nazionale, quasi un brevetto su quattro proviene dal bacino milanese. È quanto emerge da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano su dati Eurostat pubblicati nel 2011 sui brevetti totali. Sul fronte dei brevetti tecnologici - ICT (information communication technology), hightech, biotecnologici – Milano resta tra
le prime, al 12° posto e anche la regione Lombardia si tiene in 17° posizione per gli stessi indicatori. In Italia, su quasi 70mila domande di brevetto depositate nel 2011 (in calo dell’ 1,2% rispetto al 2010), il 22,5 percento arriva da Milano (15.500, di cui 2.423 per invenzioni), seguita da Roma (12,6%) e Torino (7,9%). Forte di questi dati Diana Bracco, vice presidente della Camera di commercio di Milano, ha lanciato la proposta di istituire a Milano il Tribunale di prima istanza in materia brevettuale. Si tratta di creare un sistema giurisdizionale europeo che con-
sentirebbe una riduzione dei costi che le imprese devono sostenere (in Europa il costo è 13 volte più alto che negli Stati Uniti). Milano, tra i primi centri di brevettazione in Europa, può lanciare la propria candidatura, che si affiancherebbe a quella di Monaco, Parigi e Londra. “Facciamo appello alle istituzioni milanesi e nazionali – ha dichiarato Diana Bracco - per essere unite nella candidatura di Milano, confrontarci con le concorrenti europee e dare una chance a Milano per acquistare un nuovo ruolo internazionale nella mediazione delle controversie in campo brevettuale. Un ruolo per cui la nostra città
150 Anni di invenzioni italiane Centocinquanta anni di storia italiana raccontati attraverso altrettanti brevetti rilasciati dal Patent Office degli Stati Uniti d’America: dalla Vespa di Corradino d’Ascanio alla celebre Delorean di “Ritorno al futuro” progettata da Giugiaro, Alessandro Cruto che condivise con Thomas Edison l’invenzione della lampadina a incandescenza fino ad arrivare a Renzo Piano e Dante Giacosa, il
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padre della 500, la Olivetti e la Beretta. Ergo l’eccellenza del mercato italiano raccontata dallo storico Vittorio Marchis del Politecnico di Torino nel suo originale libro “150 (anni) di invenzioni italiane”, edito da Feltrinelli. Un libro in cui ogni brevetto viene raccontato attraverso il disegno al tratto depositato e una scheda che ne spiega i dettagli più curiosi. Si parte dalla locomotiva mossa dagli animali, il cui brevetto è stato depositato il 7 ottobre 1851 da Clemente Masserano fino ad arrivare alla pianta di lampone Erika di Antonio Pititto, Luigi Gadler, Flavio Roberto De Salvador per il Centro di Ricerca per la Frutticultura di Roma, del 2010. Come spiega lo stesso autore, con questo brevetto “si apre al lettore tutto un nuovo mondo di trovati che non appartengono più al mondo degli artefatti, delle cose, ma a un altro genere i cui sviluppi futuri non interessano più la meccanica ma le scienze della vita”. Nel mezzo degli anni passati in rassegna nel libro, c’è la storia dell’Italia e il cambiamento nei modi, costumi e soprattutto nelle invenzioni e degli inventori perchè passando dall’Ottocento al Novecento piano piano gli inventori scompaiono all’ombra di un sistema in cui il “brand” si impone. Per cui al nome degli inventori presto si sosituiranno i nomi e cognomi di direttori tecnici e amministratori delegati quali Vittorio Ghidella, alla guida della Fiat negli anni Ottanta del Novecento. Non solo, perchè negli anni all’uomo si affiancano le macchine e gli schemi elettrici che presto diventano elettronici. Per cui le descrizioni grafiche dei brevetti stessi si semplificano e si fanno più essenziali e più comprensibili agli occhi di una platea più ampia. La struttura del libro è organizzata intorno: a un apparato iconografico legato al documento originale depositato presso il Patent Office degli Stati Uniti; un breve estratto in lingua originale della descrizione del brevetto; una nota di inquadramento storico. Come ha sottolineato lo stesso autore nell’introduzione, dal libro sono stati esclusi i brevetti più strettamente legati alle discipline teoriche, di difficile rappresentazione grafica. |
Lombardia in primo piano
Aumentano gli investimenti in vista di Expo 2015 Non solo turismo per Expo 2015. Le imprese lombarde aspettano il grande evento internazionale investendo in innovazione ed alta tecnologia. L’84,4% ha già investito nel 2011 in macchinari e il 52,9% in informatica. E le imprese innovative ad alto contenuto tecnologico sono quelle che investiranno di più (il 67,9% sul totale del settore), e nel 2011 hanno già investito mediamente circa il 5% del proprio giro d’affari. E quelle di Monza e Brianza hanno investito di più, con un quota del proprio giro d’affari del 6%. È quanto emerge da stime e da elaborazioni dell’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza, su dati Registro Imprese, Istat, Sistema Informativo Excelsior, Unioncamere Lombardia, Ufficio Italiano Brevetti e marchi. Tecnologia e innovazione disegnano così l’immagine e la prima impressione che i visitatori previsti per l’Esposizione Universale avranno di Milano e della Lombardia, un flusso turistico che darà ossigeno anche al comparto: solo l’indotto legato ai settori di ricettività, cultura e turismo vale 35 mila posti di lavoro in più in Lombardia, Milano esclusa. “L’Expo è un’opportunità – ha dichiarato Carlo Edoardo Valli, Presidente della Camera di commercio di Monza e Brianza – per Milano, la Brianza e l’intero Paese, sia in termini di indotto sia per l’Expo che resta, vale a dire per quelle ricadute economiche e di valore aggiunto che un grande evento globale produce. E l’iniziativa di Cisco rappresenta un esempio concreto di come un’eccellenza possa apportare a Expo un plus d’innovazione che resterà in eredità al sistema economico e produttivo da utilizzare per lo sviluppo strategico e la crescita comune.” |
Per brevetti, Milano arriva subito dopo Monaco, Berlino e Parigi. Quasi un brevetto su quattro in Italia è depositato nel capoluogo lombardo; sono circa 15mila e 500 le domande e più di 2mila scelgono Milano per le loro invenzioni ha una vocazione spontanea, data la capacità innovativa e brevettale, non solo come fulcro in Italia, ma raggiungendo i primi posti delle classifiche europee. Un compito che potrebbe portare nuovi benefici per favorire ancor più il
Rendering del progetto Expo 2015
processo innovativo, riducendo i costi per le imprese e facendo di Milano un punto di passaggio, confronto e riferimento internazionale sull’innovazione con ricadute e benefici duraturi per il territorio”. La Corte europea dei brevetti é il nuovo organismo giurisdizionale che avrà competenza sui brevetti che inventori e imprese italiani vorranno tutelare in Europa. L’Italia partecipa a pieno titolo, come parte contraente, ai negoziati per la defi nizione del trattato costitutivo del tribunale internazionale da cui verranno giudicate le controversie sui brevetti registrati in base all’attuale convenzione di Monaco e su quelli futuri. |
L’innovazione è ciò che distingue un leader da un follower Steve Jobs
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Business&Gentlemen
marzo - maggio 2012
Successo di idee per la quarta edizione di K-idea Le tre idee sono state scelte tra un ventaglio di 85 proposte arrivate, sintomo di una forte volontà di innovare soprattutto in un contesto di crisi. Proposte giunte da tutta Italia che hanno visto come leit motiv dominanti il tema dell’Ambiente (per il 22 percento), del Design (per il 20 percento), dell’I.C.T. (per il 18 percento) e dell’Energia (per il 16 percento). Gli “inventori” che hanno partecipato a K-idea non sono stati 18
solo ricercatori e centri di ricerca (11 percento) ma soprattutto liberi professionisti (38 percento); rispetto all’anno precedente è raddoppiata la percentuale di idee proposte da donne, a conferma che “l’innovazione e la tecnologia abitano anche in luoghi non convenzionali”, come ha sottolineato Mirano Sancin, ideatore della manifestazione e direttore di Kilometro Rosso: “K-Idea, avviato in via sperimentale quattro anni fa, si inserisce
K-idea
La piazza delle idee in Kilometro Rosso nel corso dell’evento
Una borsa per biciclette trasformabile in giubbotto, un dispositivo per la cucitura rapida dei bottoni e un sistema per la produzione microeolica di energia in edifici residenziali. Sono questi i tre progetti, di cui due presentati da donne, vincitori della quarta edizione di K-idea, evento organizzato da Kilometro Rosso in collaborazione con Brembo, Jacobacci&Partners, MPXLab, Whirlpool e Umania. La manifestazione, diventata ormai un appuntamento fisso nell’agenda di chi si occupa di innovazione, si è tenuta lo scorso 15 marzo al Kilometro Rosso alla presenza degli inventori, aziende e un folto pubblico
oggi in un percorso consolidato di Kilometro Rosso nella diffusione dell’innovazione. Infatti accanto ai recenti accordi con prestigiose istituzioni scientifiche come il Laboratorio di luce di Sincrotrone Elettra di Trieste e l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, K-idea con proposte provenienti da ambienti originali e non convenzionali cerca di intercettare tutte le potenzialità creative e tecnologiche utili allo sviluppo di processi e prodot-
ti ad alto contenuto innovativo. Queste sono particolarmente preziose in un momento di crisi e difficoltà come quello attuale, dove la propensione ad innovare tende a crescere in quanto, in una situazione di restrizione delle opportunità di mercato e di estrema concorrenza, l’impresa è alla ricerca di nuovi margini di profitto, e quindi è più aperta e disponibile al cambiamento e all’innovazione”. 19
Business&Gentlemen
marzo - maggio 2012
Statistiche Un’innovazione che per questa edizione di K-idea ha visto protagonisti inventori, donne e uomini di un’età compresa tra i 35 e i 50 anni (per il 54 percento) e provenienti per il 45 percento dalla Lombardia e il 55 percento dal resto d’Italia. I progetti vincitori sono stati selezionati da un apposito Comitato di Selezione composto anche da rappresentanti delle realtà sostenitrici dell’iniziativa ( Brembo, Jacobacci&Partners, MPXLab, Whirpool e Umania) e sono: la Bik&Coat di Arianna Picerni e Mariangela Orsetti; I.R.W.E.S. - Integrated Roof Wind Energy System di Rossella Ferraro e il Cucibottone a spillo di Fulvio Buonavoglia. È inoltre stato segnalato dal Comitato per la particolare originalità e creatività l’inventore Ivan Lanzoni per i suoi progetti Green shadow, Smart Cities Garden ed Eco-Coffee system. Sono state inoltre segnalate 38 idee ritenute meritevoli ed originali. “Quest’anno – ha continuato Sancin - la qualità delle idee è stata
Gli “inventori” che hanno partecipato a K-idea non sono stati solo ricercatori e centri di ricerca (11 percento) ma soprattutto liberi professionisti (38 percento); rispetto all’anno precedente è raddoppiata la percentuale di idee proposte da donne decisamente superiore alla media delle passate edizioni. Un dato da rimarcare che dimostra il valore di questa manifestazione in relazione alla situazione congiunturale: come diceva Einstein, è nella crisi che sorge l’inventiva”. |
Bik&Coat di Arianna Picerni e Mariangela Orsetti Bik&Coat è un progetto completamente femminile, nato da un’idea di Arianna Picerni e Mariangela Orsetti. Si tratta di una borsa per biciclette trasformabile in giubbotto multiuso la cui ispirazione arriva dalla volontà di riciclare l’airbag delle automobili. “E’ una borsa versatile e di moda che può essere realizzata in diversi modi – ha spiegato Arianna Picerni -. Rappresenta sicuramente un nuovo modo di andare in bicicletta, completamente antiscippo con ben due strutture di ancoraggio”. L’invenzione, diventata un brevetto, si presenta come una sacca contenitore posizionabile su biciclette e motocicli e all’occorrenza può trasformarsi in una giacca da indossare. Il tutto grazie a delle aperture posizionate lungo il perimetro del cerchio da cui escono maniche e cappuccio di un impermeabile o giacca, cucito nella sacca o a se stante, ripiegato al suo interno. La borsa può essere staccata una volta parcheggiato il mezzo e la bicicletta, di per sé, resta quindi priva di bagagliaio. Le potenzialità di questa invenzione hanno determinato che il Bik&Coat potesse legarsi non esclusivamente alla forma iniziale e ai materiali di riciclo, ma a un universo e un mercato molto vari. La filosofia di questa invenzione è quella di
coniugare in modo semplice, una funzione a una tendenza per interpretare le scelte del mercato, soddisfarne i bisogni e interpretarli in modo originale e accattivante. |
da sinistra: Mirano Sancin, Arianna Picerni, Mariangela Orsetti, Enrica Monticelli
Cucibottone a Spillo, di Fulvio Buonavoglia Il dispositivo per la cucitura rapida dei bottoni ideato da Fulvio Buonavoglia permette di cucire un bottone senza particolari difficoltà, velocemente e ovunque, senza la necessità di particolari capacità manuali e senza dispendio di tempo e denaro. Si tratta fondamentalmente di un ago e un fi lo di nylon trasparente, con una scanalatura, associati a un piattino, con una linguetta per il bloccaggio del fi lo per mezzo della scanalatura presente. L’installazione avviene per le fascette di cablaggio in nylon, nel fissaggio dei fi li elettrici. La differenza sostanziale è caratterizzata dal fatto che vi è una punta costituita da un ago, che la cinghia di fissaggio è costituita da un fi lo tondo e che questo filo penetra attraverso l’ordito del tessuto. Il Cucibottone a spillo è realizzato in materiale plastico trasparente e per questo può essere prodotto al minimo costo. | 20
da sinistra: Fulvio Buonavoglia, Michele Bellani
K-idea
L’innovazione per Whirlpool Leader a livello mondiale nella produzione e commercializzazione di elettrodomestici Whirlpool è un Gruppo che da sempre ha puntato sull’innovazione. Unicità, vantaggio competitivo e valore per il cliente, un’invenzione per l’azienda deve avere tutte queste qualità
testo di Mauro Piloni, Vice Presidente Ricerca e Sviluppo Whirlpool corporation
Cos’è un’invenzione o, in termini più aziendali, l’innovazione tecnologica? Per noi di Whirlpool, significa tre cose: l’unicità, il vantaggio competitivo e il valore per gli stakeholder, ossia, appunto, per i nostri clienti. In assenza di uno di questi tre requisiti non è corretto parlare di innovazione: non lo è se non c’è un passo avanti sotto il profilo tecnico; non lo è se la novità non si traduce in plus per l’azienda che l’ha concepita e commercializzata; non lo è se non è stata pensata e realizzata per facilitare la vita di chi ne farà uso. E questo perché la tecnologia per noi non è mai fine a se stessa, ma deve andare incontro ai bisogni delle persone. È tanto importante questo aspetto per noi che quest’anno Whirpool si è aggiudicata uno dei più prestigiosi riconoscimenti mondiali nel design, l’IF Gold Award, per un piano di cottura, l’iXelium, concepito grazie ai consigli dei consumatori stessi. Con il team di Consumer design guidato dall’architetto Alessandro Finetto noi conduciamo degli studi di usabilità; un campione di consumatori utilizMauro Piloni, Vice Presidente Ricerca e Sviluppo Whirlpool corporation
Piano di cottura iXelium
za i nostri elettrodomestici e dandoci indicazioni che i nostri ingegneri traducono in soluzione tecnologica. Nel caso del piano di cottura gli utenti chiedevano tempi più rapidi per l’operazione, diminuzione dei consumi e maggior facilità di pulizia. I nostri tecnici hanno ridisegnato il bruciatore: a oggi la fiamma dei fornello fuoriesce a 30 gradi rispetto al fondo della pentola, quella del piano di cottura iXelium impatta perpendicolarmente, abbreviando i tempi e riducendo del 30% i consumi. Per la pulizia su iXelium, invece, è sufficiente il passaggio di un panno inumidito grazie alle nanotecnologie applicate all’acciaio che garantiscono lucentezza e protezione dai graffi; il tutto si presenta con un design piatto e perfettamente integrato al piano che ci ha fatto meritare il prestigioso If Gold. Partire dal basso, dai bisogni espressi da chi utilizzerà quella tecnologia ogni giorno: anche questa è innovazione. | www.whirlpool.it
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Integrated Roof Wind Energy System di Rossella Ferraro L’invenzione IRWES nasce dalla necessità di ridurre inquinamento e costo dell’energia utilizzando luoghi e oggetti dove si consuma quotidianamente energia. Si tratta di un sistema per la produzione microeolica di energia in edifici residenziali che, sfruttando il vento che circonda un edificio e l’edificio stesso, produce un quantitativo di energia notevolmente superiore a qualsiasi sistema presente oggi sul mercato. La sua inventrice, Rossella Ferraro, è una ricercatrice e l’idea, come lei stessa ha spiegato, è stata realizzata grazie alla collaborazione con una collega olandese. Il sistema di basa su una serie di feritoie che permettono l’ingresso del flusso d’aria all’interno del tenno. Al di là delle feritoie una serie di canali a sezione variabile garantisce una consistente accelerazione del flusso per messo dell’effetto Venturi. Il flusso viene accelerato e guidato verso il centro della struttura dove è posta una micro-turbina ad asse verticale. Il flusso d’aria che non riesce a penetrare all’interno della struttura, trova strada lateralmente o al di sopra dell’edificio. Quest’ultima porzione di flusso raggiunta la facciata opposta dell’edificio, genera una depressione che favorisce la fuoriuscita dell’aria che attraversa l’interno del tetto. L’energia prodotta da una turbina eolica è proporzionale al cubo della velocità del vento e grazie a IRWES può raggiungere valori molto elevati anche in aeree urbane. Confrontato con qualsiasi altro sistema microeolico presente sul mercato, IRWES produce un quantitativo maggiore di energia elettrica e può funzionare sia a basse che ad alte velocità del vento, può essere completamente isolato dall’edificio evitando problemi di vibrazioni e rumore, può essere adattato all’edi-
ficio senza intaccarne l’estetica e ha un ritorno d’investimento superiore ai sistemi micro-eolici oggi sul mercato. Come ha spiegato la stessa Ferraro, la sperimentazione in Italia è aperta “soprattutto nella parte costiera dove il vento è maggiormente presente”. Sul fronte del mercato si lavorerà soprattutto sugli edifici alti e residenziali. |
Rossella Ferraro
Ivan Lanzoni e il design per le tecnologie green Tre invenzioni accomunate da un unico fi lo conduttore: il design per le tecnologie green. Tre invenzioni che hanno permesso all’architetto Ivan Lanzoni di aggiudicarsi una segnalazione particolare da parte del Comitato di K-idea. Le tre idee sono: Green shadow, Smart Cities Garden ed Eco-Coffee system. La Green Shadow altro non è che un pannello solare di ultima generazione, un pannello flessibile, un sistema modulare che può essere applicato e incorporato nel tessuto di un ombrellone da spiaggia per potenziare le qualità di cose e oggetti che ci circondano. La Smart Cities Garden, nasce dall’idea di sfruttare una turbina eolica veticale in grado di produrre energia in modo silenzioso, senza avere elementi in mo-
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vimento potenzialmente pericolosi come le pale delle turbine eoliche tradizionali. E quando il vento non c’è ci sono pannelli solari. Questa tecnologia potrebbe essere utilizzata per realizzare stazioni elettriche all’interno dei parchi urbani, lungo le strade o nei giardini delle abitazioni. Eco-Coffee system nasce dall’idea di realizzare una capsula di caff è riutilizzabile abbinata a un sistema di ricarica che eviti sprechi di caff è. Posizionata la cialda, con un sistema a molla che la tiene pressata sulla bocca del dosatore, e questa viene caricata agendo sulla leva di carico. Un sistema apri e chiudi a caduta. Inoltre, per agire anche sull’acqua, la vaschetta dell’acqua è pensata per contenere sali addolcitori e purificatori. |
Ivan Lanzoni
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marzo - maggio 2012
“Ogni prodotto è una
promessa. La simulazione permette di mantenerla”
Fare innovazione oggi è la chiave per uscire dalla crisi e ricerche come quella effettuata da istituti autorevoli come Aberdeen Group indicano la simulazione numerica come uno strumento indispensabile per chi sviluppa nuovi prodotti. Intervista in esclusiva a Carlo Gomarasca, numero uno in Italia di Ansys, l’azienda leader a livello mondiale nello sviluppo e commercializzazione di software per la simulazione numerica
Fare innovazione non è più una scelta. Oggi come oggi è una necessità. Ma quali sono gli strumenti concreti per realizzare prodotti innovativi? In che modo le aziende possono ridurre i rischi legati all’innovazione? Abbiamo chiesto l’opinione di Carlo Gomarasca, Managing Director di Ansys Italia. Multinazionale da 40 anni leader a livello mondiale nello sviluppo e commercializzazione di soft ware per la simulazione numerica, Ansys vanta 40.000 clienti nel mondo tra grandi e piccole aziende che hanno come denominatore comune la volontà di essere eccellenze nel loro settore attraverso una innovazione costante, e che trovano in Ansys un vero e proprio partner. “Guardare 10 anni avanti” questa è la fi losofia di Ansys. Lavorare in tutto il mondo con le aziende che creano i prodotti del futuro permette di avere un osservatorio privilegiato per poter vedere i cambiamenti in atto a livello globale, e naturalmente anche su mercati locali come l’Italia. E proprio in Italia il team di Ansys, guidato da Gomarasca, aiuta le aziende ad implementare le tecnologie di simulazione numerica perchè si integrino nel processo di sviluppo prodotto comprimendolo, rendendolo più efficace ed efficiente, permettendo di disegnare i prodotti del futuro. Domanda di rito: quanto conta l’innovazione oggi? Le giro la domanda: chi può permettersi di non innovare se vuole dare un futuro alla propria azienda? Di recente ho letto i report della World Intellectual Property Organization, l’ente delle Nazioni Unite che promuove la protezione della proprietà intellettuale. Negli ultimi anni si è registrata un’impennata del numero di invenzioni in tutto il mondo, con una predominanza dei Paesi asiatici, di fatto i nuovi player del mercato, ma con numeri im24
portanti anche in Europa. Questo significa un numero elevato di nuovi prodotti che arrivano sul mercato, la necessità di accorciare i tempi di sviluppo e di creare ogni volta qualcosa di veramente nuovo: è sempre più difficile tenere il passo. Questo vale sia per la grande multinazionale che per la piccola azienda. E’ per questo che oggi sono necessari strumenti che le aiutino. Secondo lei da cosa dipende questa spinta all’innovazione? Certamente per le aziende dalla necessità di essere competitivi, ma è l’unico motivo? Questo è un punto interessante. A mio avviso no. Da una parte penso ad aziende come Apple, Facebook e anche Google la cui innovazione è nata in modo spontaneo da uomini che seguivano un sogno, che avevano una visione e volevano realizzarla ad ogni costo. Queste aziende hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere, creando nuovi mercati e rompendo i vecchi paradigmi. Dall’altra parte ci sono necessità oggettive: se per esempio è un dato di fatto che le fonti energetiche tradizionali si vanno esaurendo e che la richiesta energetica del pianeta cresce, allora è indispensabile creare sistemi che consumino meno, che usino energie alternative, costruiti con nuovi materiali. Siamo costretti ad innovare. Attenzione: si è sempre innovato, da quando è nato il mondo. La grossa novità è nel ritmo con cui oggi dobbiamo farlo, sempre più veloce, e nel fatto che l’innovazione incrementale, quella fatta di piccoli miglioramenti, riduce la sua importanza nei confronti dell’innovazione radicale, quella fatta di balzi rivoluzionari. Per sua natura, questa è più rischiosa perchè ha insita una componente maggiore di sconosciuto da esplorare. Questi trend creano problemi non da poco agli imprenditori e ai dirigenti d’azienda.
Protagonisti
Carlo Gomarasca, Managing Director di Ansys Italia
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Quanto conta la collaborazione tra impresa e istituzioni come le università e i centri di ricerca per valorizzare l’innovazione e il trasferimento tecnologico? Sono fondamentali. La capacità creativa, che è la base dell’innovazione, deve essere libera, e l’ambiente accademico è il luogo per eccellenza dove può esserlo. Gli atenei sono una fucina di idee che può essere molto positiva per le aziende. Il trasferimento tecnologico tra questi due soggetti è necessario per fare innovazione. Le università hanno sulle imprese e sul mercato un’influenza fresca, sono ricche di menti giovani e brillanti che ricevono continui stimoli dall’ambiente che le circonda. Oggi poi è possibile comunicare in un modo che fino a pochi anni fa era impensabile. Questo permette una condivisione continua, la creazione di una rete globale per confrontarsi e unire le proprie competenze. Questa collaborazione è un bisogno reciproco. Le aziende possono prendere molto dagli ambienti universitari e allo stesso tempo sono le aziende stesse che stimolano la creatività degli studenti. Concorsi, finanziamenti di progetti specifici, sono tutti modi per favorire l’innovazione. Ansys stessa ha dei programmi di collaborazione attivi con università di tutto il mondo, molti anche in Italia, dedicati a ricerca-
tori, professori e studenti, sia nelle facoltà di ingegneria che nelle business school, dove si formano i manager del futuro. Se dovesse spiegare in poche parole a un profano che cos’è la simulazione virtuale, cosa gli direbbe? Direi che la simulazione è quello che sta dietro ad ogni prodotto. Dietro le auto, dietro i cellulari... dietro la progettazione e realizzazione di buona parte degli oggetti, da quelli più complessi a quelli di uso quotidiano. Con la simulazione ho a disposizione un laboratorio virtuale per testare tutte le idee che mi vengono, capire se sono realizzabili e scegliere quelle vincenti, risolvere i problemi del prodotto prima ancora che esista, verificare come si comporterà durante il suo intero ciclo di vita. La simulazione ci assicura che gli oggetti si comporteranno come ha deciso chi li ha pensati e come si aspetta chi li usa. Ogni prodotto è una promessa che un’azienda fa ai suoi clienti e la simulazione permette alle aziende di mantenerla. Potrei fare molti esempi per spiegare cosa intendo. Un’automobile promette, tra le altre cose, la sicurezza dei suoi occupanti. Durante un incidente le strutture si deformano, per assorbire gli urti, gli airbag entrano in funzione, il piantone dello sterzo collassa...
questo è stato pensato dagli ingegneri che lo hanno verificato in decine di migliaia di ipotesi con sistemi virtuali, in modo che se dovesse accadere davvero, questo sistema di protezione manterrà la promessa di farvi uscire incolumi. Non è un esempio preso casualmente ma viene dalle riflessioni di un collega che ha avuto un incidente terribile qualche mese fa.
La simulazione deve fare in modo che gli oggetti si comportino come ha deciso chi li ha pensati e come si aspetta chi li usa La simulazione permette di rispondere a domande del tipo “Fammi vedere come si comporterà se …?”. E’ una domanda fondamentale perché i prodotti oggi sono sempre più complessi, vengono impiegati in contesti molto variabili, integrano diverse tecnologie e funzioni in un ingombro sempre più ridotto. Oggi parliamo spesso di smart products: sono i prodotti intelligenti, che di solito vincono la sfida del mercato. Chi realizza un prodotto come questo non può
la simulazione si applica negli ambiti più disparati, ed è alla base della maggior parte dei prodotti che ci circondano. Dalla messa a punto di una lavatrice, allo studio delle possibili difettosità in un telaio in materiale composito, alla prevenzione della rumorosità dei freni fino alla messa a punto di attrezzature sportive. La simulazione permette di realizzare prodotti mai immaginati prima, come l’aereo di terrafugia che può trasformarsi in auto.
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Protagonisti
commettere errori: il prodotto deve funzionare perfettamente, e il fatto che sia estremamente innovativo e molto complicato da realizzare non è una scusa accettata dai clienti se qualcosa non funziona. Questi prodotti, senza la simulazione numerica, semplicemente non si possono realizzare. Ma anche altri aspetti sono interessanti: forse non facciamo più caso al fatto che certi oggetti sono cambiati e migliorati in modo importante nel corso degli anni. Pensiamo solo alle interferenze tra radio e cellulari, a quel rumore fastidioso che ora si sente sempre meno o al problema della ricezione del telefonino in alcune zone rispetto ad altre. Questi miglioramenti sono possibili anche grazie all’impiego della simulazione. Ci può fare qualche esempio di progetti del futuro che saranno realizzati attraverso la simulazione virtuale? Quali sono i settori maggiormente interessati? Come si può parlare di progetti del futuro? Riguardano un tempo che è lontano dal comune modo di pensare e quindi troppo difficili da intuire oggi. Gli oggetti che oggi consideriamo di uso comune, solo pochi anni fa erano impensabili e il cambiamento è sempre più rapido e incalzante. Ci sono progetti di cui abbiamo già parlato, il biberon che si scalda da solo, le macchine volanti che possono sembrare del futuro ma che in realtà sono oggetti del presente... ma senza andare su prodotti particolari, direi che la simulazione è un po’ dietro ad ogni prodotto: dall’aereo alla lavatrice, dal bruciatore del riscaldamento alla climatizzazione degli edifici, al motore elettrico. Questo vale anche per i settori di applicazione, dai più intuitivi come l’aerospaziale, ai meno facili da individuare come l’edilizia o gli articoli sportivi. Quelli più significativi? Direi che l’elettronica domina tantissimi prodotti e c’è una crescita importante di utilizzo della simulazione, trasversale sui settori industriali. Un’automobile negli anni ’60 aveva come unico elemento elettronico: la radio. Oggi la situazione è completamente cambiata. Ma il grosso salto tecnologico oggi è nella possibilità di analizzare l’interazione tra più fenomeni fisici. Riprendendo l’esempio dell’auto, molti componenti elettronici sono normalmente posti all’interno del motore e quindi devono funzionare ad alte temperature e resistere alle forti e continue vibrazioni. La simulazione ha permesso che questi elementi potessero funzionare ed essere affidabili anche in queste difficili condizioni. Se vogliamo invece individuare i grandi trend dello sviluppo prodotto, direi il controllo dei costi dell’ingegneria attraverso una ottimizzazione spinta di prodotto e processo, il “robust design”, ovvero il progettare sistemi a prova di errore e di guasto, e il green design, quindi l’attenzione all’impatto ambientale, consumi energetici, emissioni, riciclabilità. E fino a che punto può spingersi la simulazione? Arriveremo a simulare l’essere umano? Lo facciamo già. Sono molti gli ospedali che impiegano i nostri software per simulare alcune operazioni chirurgiche particolarmente complesse come quelle sul cuore dei neonati. Le aziende farmaceutiche studiano come il corpo assorbe i medicinali per aumentarne l’efficacia
Innovare per competere 2012: gli strumenti che aiutano dirigenti ed imprenditori a combattere la crisi Federmanager e Ansys ancora insieme per promuovere l’innovazione e gli strumenti per realizzarla. La crisi non accenna a passare e non è più possibile restare indietro. Investire in innovazione oggi non è più una scelta ma una necessità per essere competitivi e il management italiano deve prenderne atto
L’evento Innovare per competere
Costruire una nuova “cultura dell’innovazione” che passa attraverso gli strumenti concreti, tecnologici e non, che ci sono per realizzarla. Solo in questo modo si potranno superare le difficoltà dell’economia attuale e tornare ad essere competitivi in un mercato globale. Questo è quanto emerso dall’Innovation Executive Conference “Innovare per competere” 2012. L’evento organizzato da Ansys e Federmanager, arrivato ormai alla sua seconda edizione, è stato l’occasione per manager e imprenditori di ritrovarsi in un contesto comune per capire quanto l’innovazione sia importante oggi e quali siano gli strumenti migliori e più concreti per realizzarla. La conferenza svoltasi il 23 febbraio scorso presso il parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso ha visto la partecipazione di aziende e università attive da anni e a diversi livelli nel campo dell’innovazione tecnologica che con le loro esperienze hanno contribuito al successo di questa iniziativa. Un successo inaspettato con oltre 200 iscritti, segno indiscutibile che l’aria sta cambiando, che, anche in Italia, si stia prendendo coscienza dell’importanza dei temi trattati e della consapevolezza che l’innovazione e gli strumenti per metterla in pratica non possano più restare ai piani bassi. Investire in strumenti per innovare è diventata una scelta di business che può determinare la crescita o il fallimento di un’impresa per questo sono decisioni che vanno prese ai vertici. “L’affluenza di pubblico – ha dichiarato Carlo Gomarasca, Managing Director di Ansys Italia – è stata di molto superiore alle nostre aspettative tanto da 27
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aver dovuto chiudere le iscrizioni. È un segnale forte che dimostra da parte dei manager la necessità di conoscere quali opzioni hanno oggi per aumentare la competitività delle loro aziende e di quanto l’innovazione tecnologica sia determinante”. Una presentazione completa che parte dalla ricerca per arrivare fino ai mezzi per tutelare e proteggere l’idea. Alma Graduate School - Università di Bologna, Elextrolux, Warrant Group e Jacobacci and Partner, queste le aziende che insieme agli organizzatori, con 6 speech dedicati, hanno spiegato come oggi sia possibile accedere a strumenti efficaci per supportare l’innovazione, e di come sia responsabilità del management conoscerli per implementarli in azienda. “Oggi come oggi – ha sostenuto Mirano Sancin, Direttore Generale del parco scientifico tecnologico nel corso dei saluti di apertura - è diventato chiaro che aumentare l’efficienza riducendo i costi non è la soluzione per uscire dalla crisi. L’innovazione è la chiave, in molti se ne stanno rendendo conto, finalmente anche in Italia, ma per farla è necessario creare una “cultura dell’innovazione” ed eventi come questo lo fanno davvero”. E sulla “cultura dell’innovazione” si è soffermato molto anche Mauro Giovanelli, membro del Coordinamento Nazionale Gruppo Giovani di Federmanager sottolineando anche quanto e perché i Giovani di Federmanager credano in questo rinnovamento . “Le aziende che più di altre hanno scelto di investire in innovazione – ha spiegato Giovannelli - sono quelle che, in periodi come questi si sono dimostrate più resistenti. Ma per fare innovazione di prodotto e di processo, è necessario prima cambiare la cultura aziendale, creare una nuova filosofia. Noi Giovani di Federmanager ci stiamo impegnando con azioni concrete come questo evento a promuovere e diffondere questo messaggio”. Giovannelli si è spostato poi sugli
diminuendo le dosi, quelle diagnostiche come curare i tumori o fare esami in modo meno invasivo... ma anche la semplice (si fa per dire) interazione uomo – macchina che cambia il comportamento di un sistema e quindi va capita prima di rilasciare un prodotto.
strumenti per fare innovazione, primo tra tutti la simulazione numerica, tema di cui ha parlato più diff usamente Carlo Gomarasca. “Oggi come oggi – ha spiegato Gomarasca - chi non fa simulazione numerica resta indietro. Grazie a questo strumento non solo si riducono i tempi di realizzazione di un progetto ma la possibilità di fare test diventa potenzialmente infinita. In questo modo si hanno prodotti migliori con un minor spreco di tempo e risorse”. Il CEO di Ansys Italia ha contestualizzato poi la simulazione nel mercato italiano spiegando che oggi la paura del cambiamento è ancora molto diff usa ma che, diversamente da quello che si potrebbe pensare, sono le PMI ad investire maggiormente in simulazione. Questo tema è stato l’argomento centrale dell’intervento di Rosa Grimaldi, Direttore Scientifico Executive Master in Technology 28
La crisi economica ha reso più aspra e complessa la competizione fra le imprese per vincere la sfida del mercato. Secondo lei un’azienda innovativa su cosa deve necessariamente puntare? Non sono un imprenditore, non voglio dire cosa fare a chi ha il coraggio di investire tutto nella sua azienda. Certo Ansys rappresenta un osservatorio privilegiato che permette di sapere con un certo anticipo quali saranno le nuove tecnologie e quindi su cosa si indirizzerà il mercato. E’ anche per questo che siamo promotori di iniziative come la conferenza “Innovare per competere”, che nel 2012 ha visto accanto a noi Federmanager Bergamo, Confindustria Giovani e 12 partner industriali. Sono venuti ad ascoltarci circa 200 imprenditori e dirigenti d’azienda: mi sembra che ci sia fame di sapere come fare innovazione. La mia opinione è che bisogna guardarsi in giro, dove la crisi non è arrivata o almeno a chi l’ha sofferta meno, capirne i motivi e comportarsi di conseguenza. Un primo punto di partenza per questa esplorazione è nelle nostre tasche: parlo della rubrica del cellulare. Vi troverete certamente decine di numeri di clienti e fornitori di cui vi fidate e da cui potete avere molti spunti interessanti. Per quanto ci riguarda, Ansys punta sulle persone, sulle collaborazioni e sulle tecnologie, seguendo una visione ben definita. Oggi un terzo del nostro personale si occupa dello sviluppo dei nostri prodotti e creiamo legami forti con i clienti, dove il cliente ne ha piacere, e questo ci ha consentito di crescere in modo esponenziale, anche durante la crisi.
Protagonisti
Qual è il ruolo di Ansys nei processi innovativi per l’impresa? Ansys ha un duplice ruolo. Da un lato fornisce i soft ware di simulazione, insieme ai servizi di assistenza e formazione, e dall’altro aiuta ad integrarli nel processo di sviluppo del prodotto. Questo secondo aspetto è molto importante perchè a seconda di come il software viene implementato possono moltiplicarsi o meno i vantaggi competitivi. Ciò implica un dialogo aperto con il cliente che così trae beneficio dalla nostra esperienza, e aiuta noi a crescere ulteriormente permettendoci di recepire il mutamento dei bisogni dell’industria. Non siamo un fornitore ma un partner. Noi guardiamo avanti insieme alle aziende. Qual è il ritorno che una azienda può aspettarsi dall’ impiego della simulazione e come Ansys può aiutare ad ottenere i massimi benefici dall’investimento? Grazie alla simulazione numerica le aziende hanno diminuito drasticamente i tempi di sviluppo, ma non solo. L’incredibile oggi è che si possono testare migliaia di idee in tempi brevissimi, il che significa che si può scegliere qual è la strada giusta da percorrere, prendere decisioni informate sulla base di test attendibili. La simulazione allarga esponenzialmente l’universo delle scelte e permette di vedere fenomeni che senza non si sarebbero visti. Grazie ai nuovi software di simulazione si possono recuperare idee e progetti scartati perché troppo difficili da realizzare o apparentemente impossibili. Quindi la simulazione è uno strumento indispensabile per le aziende oggi: diminuiscono i tempi di progettazione, si hanno maggiori garanzie di funzionamento grazie ai moltissimi test possibili e si riduce il time-to-market. E si può capire se un sogno può diventare un prodotto fattibile oppure no. Lei è al vertice della filiale italiana, quali sono le strategie specifiche che state portando avanti sul mercato italiano? La strategia principale in Italia è cercare di far capire l’importanza dell’innovazione, trasmetterne la cultura anche attraverso eventi come l’Innovation Executive Conference di cui ho già parlato. Gli italiani sono bravissimi innovatori, ma non lo fanno sistematicamente: in molte aziende dove andiamo ci rendiamo conto di un potenziale inespresso perchè innovare non è un processo aziendale. Da leader di mercato sentiamo il dovere di aiutare a creare una cultura più forte sull’argomento, portando la nostra esperienza internazionale. Con noi collaborano a questo progetto università,
and Innovation Management di Alma Graduate School dell’Università di Bologna. La docente ha esordito dando la definizione di innovazione e spiegando in che modo aziende e centri di ricerca dovrebbero collaborare per realizzarla. “La domanda che molti si fanno – ha sostenuto Rosa Grimaldi - è: imprenditori si nasce? I dati mettono in luce che non è così altrimenti i corsi sarebbero inutili. Per essere un buon imprenditore sono importanti sia i fattori cognitivi che quelli motivazionali, per questo la formazione è determinante”. Formazione e conoscenza non possono però fermarsi al singolo individuo o alla singola azienda e lo ha espresso con forza Lucia Chierchia, Open Innovation Manager di Electrolux. “Solo attraverso la condivisione delle conoscenze – ha spiegato – le aziende potranno migliorarsi e fare davvero innovazione. Bisogna creare momenti d’incontro e piattaforme comuni di discussione. È il concetto di open innovation”. Puntare sull’open innovation però non vuol dire non tutelare la propria idea anzi. Molti sono gli strumenti che in un mercato globale come è quello di oggi permettono di proteggere la propria creatività, non nascondendola ma semplicemente tutelandola.
“L’affluenza di pubblico è stata di molto superiore alle nostre aspettative. È un segnale forte che dimostra da parte dei manager una maggiore consapevolezza di quanto l’innovazione tecnologica sia determinante” Ne ha parlato Paolo Ernesto Crippa, European Patent Attorney di Jacobacci & Partners S.p.a. “Non dobbiamo dimenticarci – ha spiegato – che lo scopo di un’azienda in ultima analisi è pur sempre fare profitto. Per questo è bene si comunicare ma con certi accorgimenti”. Nel corso del suo intervento Crippa ha spiegato quali siano i mezzi per tutelare la proprietà intellettuale e come il brevetto, una forma di protezione apparentemente in contrasto con il concetto di open innovation, possa dimostrarsi non solo un modo per comunicare l’idea ma anche un’importante merce di negoziazione. La paura del cambiamento non è il solo 29
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aziende e professionisti che completano la visione sugli strumenti indispensabili per competere attraverso l’innovazione. Non è un caso che una azienda che si è sempre rivolta ai tecnici ora sia divenuta un interlocutore del management aziendale. Si è diffusa secondo me la consapevolezza che la conoscenza dei nuovi mezzi per fare innovazione non debba essere relegata ai team tecnici, ma debba diffondersi tra chi si assume il rischio di impresa e deve prendere decisioni. È un ruolo strano per un software usato tipicamente da ingegneri, ma il nostro è uno strumento che serve sempre più anche per la pianificazione dello sviluppo prodotti, attività che è parte integrante della strategia dell’azienda e quindi di competenza dirigenziale. Dal suo punto di vista, il mercato italiano è più o meno sensibile rispetto al resto d’Europa agli investimenti necessari per l’innovazione di prodotto? Se guardo la crescita e il fatturato di Ansys in Italia e negli altri Paesi mi verrebbe da dire che non ci sono differenze perché sono indicativamente gli stessi. Ma una differenza c’è ed è che noi abbiamo dovuto profondere un impegno molto più intenso rispetto agli altri Paesi.
Non siamo un fornitore ma un partner. Noi guardiamo avanti insieme alle aziende Penso alla Germania o alla Francia, alla Russia e nell’ultimo periodo ai Paesi asiatici. Da italiano mi sembra così strano che una nazione come la nostra, culla del Rinascimento, delle idee, riconosciuta da tutti come una terra di eccellenze e creatività, faccia ancora fatica ad aprirsi a strumenti tecnologici avanzati. Oggi sono in molti a non voler cambiare fino a quando non è strettamente necessario,
limite all’innovazione. In tempi come questi investire in strumenti per innovare è visto più come un rischio che come un’opportunità. In quest’ottica va inserito l’intervento conclusivo della conferenza. Francesco Lazzarotto, Responsabile Gestione Finanziamenti Agevolati di Warrant Group ha approfondito il tema del finanziamento alle imprese per l’innovazione e ha spiegato concretamente in che modo
temono il cambiamento invece di vederlo come un fattore positivo. Spesso si crede che ad investire in simulazione siano solo le grandi aziende con enormi capitali a disposizione. In realtà non è così. Nel nostro Paese sono le PMI ad investire maggiormente in simulazione. Siamo arrivati a lavorare per aziende con solo 3 dipendenti. Questo perché le aziende più piccole hanno maggiore capacità di reagire, sono più dinamiche e beneficiano velocemente dei nuovi strumenti che acquisiscono. Quindi, l’innovazione è un fattore culturale che non riguarda solo i tecnici, gli “espertoni” dei centri di ricerca e sviluppo, ma tocca nel vivo la mentalità del nuovo management e degli imprenditori… Quali sono i rischi di questo mancato cambio di mentalità? Il rischio è semplicemente quello di restare indietro e senza neanche sapere perché. Il panorama generale non è certamente dei migliori, qual è il suo augurio agli imprenditori italiani … Domanda difficile … Il mio augurio è che i manager e gli imprenditori italiani ritrovino l’entusiasmo, la curiosità, la forza per non fermarsi. Mi auguro che trovino un punto di osservazione che sia il più avanti possibile, per guardare il futuro e poter immaginare oggi come competere domani. |
Il problema non è mai come farsi venire in mente qualcosa di nuovo e innovativo ma come eliminare le convinzioni vecchie Hock www.ansys.com
si possa accedere a questo tipo di credito a livello europeo, nazionale e persino regionale. Innovare per competere ha fatto quindi una panoramica generale di cosa rappresenti l’innovazione oggi e di come non solo si possa ma si debba fare; una visione d’insieme che ha suscitato grande interesse e apprezzamento da parte dei numerosi partecipanti. E l’Innovation executive conference non si ferma qui. Come abbiamo anticipato Innovare per competere è un momento di incontro e di confronto tra le realtà manageriali di tutta Italia, perché come hanno sottolineato molti relatori nel corso dei loro interventi, la condivisione è la base per fare innovazione. Scopo non secondario dell’evento infatti è quello di creare e promuovere uno spazio comune di interscambio di conoscenze che è partito con la manifestazione del 23 febbraio ma che punta ad andare oltre, sfruttando i nuovi mezzi di comunicazione di massa. In quest’ottica è nato il sito Innovare per competere e le pagine sui principali social network quali Twitter e Linkedin. Azioni concrete per dare il via ad un vero e proprio network di conoscenze. | Ogni giorno ci chiediamo - Come possiamo rendere felice questo cliente? Come possiamo farlo proseguendo lungo la strada dell’innovazione? - Ce lo domandiamo perché, altrimenti, lo farà qualcun altro Bill Gates
www.scenarieconomici.com
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DON’T STOP WINNING.
RED BULL E SEBASTIAN VETTEL CAMPIONI DEL MONDO 2011 FORMULA 1
HONDA E CASEY STONER CAMPIONI DEL MONDO 2011 MOTO GP
BREMBO, FIERA DI AVER CONTRIBUITO CON I PROPRI SISTEMI FRENANTI, SI UNISCE AI FESTEGGIAMENTI PER QUESTE DUE GRANDI VITTORIE.
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Strumenti
collaborativi aziendali. La virtualizzazione per competere vincendo nei mercati uidi
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Il valore reale dell’azienda
L’azienda come sistema di conoscenze integrate è destinata ad indirizzarsi sempre di più verso l’ICT, Information Technology. Social network, virtual community, cloud community, grazie alle nuove tecnologie collaborare per gli stakeholder è diventato più semplice ed economico, la chiave per lo sviluppo aziendale testo di Alberto Claudio Tremolada. Manager di Metatech Group Consigliere e socio Adaci sez. Lombardia/Liguria (Ass. It. di Management degli Approvvigionamenti)
L’Azienda è un macro-sistema evoluto, fondamentali per la sua esistenza sono gli stakeholders e le tecnologie. La teoria generale dei sistemi elaborata da Ludwig Von Bertalanff y, biologo ed epistemologo austriaco, ricorre al concetto matematico di interdipendenza tra variabili diverse, sulla base del quale esamina i rapporti che vengono a stabilirsi tra elementi diversi del sistema. Sistema i cui elementi interagiscono reciprocamente, ogni elemento condiziona l’altro ed a sua volta è condizionato, ogni singolo elemento non va pertanto ricercato nell’elemento stesso quanto nel sistema di relazioni in cui esso è inserito. La visione sistemica apre le porte a un
nuovo modo di concepire l’azienda, in cui la qualità delle relazioni a tutti i livelli è l’elemento vincente per il successo dell’azienda. Relazioni che sono alla base dello scambio di conoscenze ed esperienze, che se condivise/gestite, fanno parte degli asset intangibili patrimonio fondamentale per l’azienda. La gestione della conoscenza, o knowledge management, costituisce una delle principali sfide, che è possibile portare avanti virtualizzando con il supporto dell’Ict. Crm, Erp, Scm sono ormai solo una parte di quel più vasto eco-sistema virtuale dove i social network o community virtuali hanno assunto un ruolo strategico per le aziende, per informa33
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re, proporre, fidelizzare, coinvolgere e co-creare prodotti/servizi. Per Fabrizio Caprara (Presidente Saatchi & Saatchi Italia) diventa brand quello che i consumatori percepiscono, ossia quanto del marchio comunicano tra loro. Luigi Paganetto (Preside della Facoltà di Economia Università di Roma Tor Vergata) sostiene che le PMI attive online crescono molto più in fretta rispetto alle altre. Il Cloud Computing, degli strumenti/sistemi collaborativi, è uno di quelli che consente a molte aziende manifatturiere che lo stanno utilizzando, di avere vantaggi. Per esempio nella progettazione lo dimostra un’indagine presso gli utenti che hanno partecipato agli
Il punto di vista accademico: intervista a Giuliano Noci, professore ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano
La gestione della conoscenza o knowledge management costituisce una delle principali sfide, che è possibile portare avanti virtualizzando con il supporto dell’Ict eventi Digital Prototyping Forum di Autodesk in tutta Europa. Il 44% del campione intervistato ha concordato sul fatto che utilizzare il cloud facilita lo scambio dati e la collaborazione all’interno
tunità per ottenere dei benefici fiscali quanto come la logica conseguenza di un progetto strategico condiviso tra più aziende che, in questo modo, intendono: • affrontare i mercati internazionali – in molti casi emergenti – con una maggiore efficacia sul fronte commerciale, • sfruttare economie di scala rispetto al sistema degli approvvigionamenti, • sviluppare progetti di innovazione tecnologica difficilmente realizzabili autonomamente: per gli investimenti necessari e/o il profilo delle competenze richiesto. In questo quadro, la rete di impresa appare una soluzione molto utile per superare i limiti strutturali di molte delle imprese italiane: in possesso di buone competenze tecniche ma spesso di limitate risorse finanziarie e manageriali. Strategia multicanale per interagire, condividere, progettare con gli stakeholders e competere in mercati globalizzati, interconnessi e liquidi? Le ricerche condotte negli ultimi anni dalla School of Management del Politecnico di Milano (in collaborazione con Nielsen Group e Connexia) hanno evidenziato come ormai larga parte dei consumatori adottino una modalità di interazione multicanale con il sistema dell’offerta: sono ormai più del 40% della popolazione, gli italiani che hanno assunto questa prospettiva di relazione con il sistema delle marche. Tale fenomeno è ancora più sviluppato nei Paesi scandinavi, negli Stati Uniti e in Asia (in Cina vi sono ormai quasi 600 milioni di internauti). In questo quadro, l’adozione di strategie multicanali diventa un elemento cruciale per la credibilità e la sostenibilità del piano marketing di un’azienda. Questo vuol dire che un’impresa è chiamata a progettare un nuovo sistema di relazioni, perfettamente integrato in cui canale fisico e canali digitali coesistono per la generazione di un’esperienza multicanale attrattiva per la target audience. Alcune recenti ricerche hanno, in particolare, evidenziato che le imprese multicanali ottengono risultati (economici) migliori rispetto a quelle che ancora vantano un modello relazionale di tipo tradizionale.
Il Politecnico di Milano è un’università a carattere scientificotecnologico fondata il 29 novembre 1863 a Milano, polo di ricerca tecnologica di assoluta rilevanza a livello mondiale. I vantaggi delle reti d’impresa come soggetto unico abilitante della filiera produttiva? Le reti di impresa sono uno strumento fondamentale nell’attuale crisi. Devono essere concepite non tanto come un’oppor34
Quali sono gli strumenti tecnologici abilitanti disponibili e implementabili facilmente per una PMI? La tecnologia è ormai ampiamente disponile, alla portata di tutte le imprese: di qualsiasi dimensione e settore. Il tema vero è di carattere culturale e organizzativo. In particolare, occorre che il sistema delle PMI italiane – solitamente refrattarie alle tecnologie informatiche – si rendano conto della portata e dell’ineluttabilità del cambiamento. Il mercato, come sopra evidenziato, sta del resto procedendo a passi molto spediti. È indispensabile, in secondo luogo, che l’organizzazione aziendale diventi veramente customer centric: ovvero metta al
Il valore reale dell’azienda
dell’azienda e verso i partner. La ricerca ha inoltre evidenziato un futuro positivo per due tecnologie di progettazione in ambito manifatturiero che acquisteranno sempre maggiore importanza: la simulazione e la visualizzazione. La crisi economica, i mercati sempre più fluidi costringono le aziende a focalizzarsi sui costi, sull’efficienza, sugli asset intangibili ed il time-to-market come fattori cruciali per rimanere competitivi. E’ dimostrato che la collaborazione e condivisione fra gli stakeholders consente di poter
Il punto di vista delle aziende: intervista a Pietro Scott Jovane, AD di Microsoft Italia Spa
centro dei processi aziendali il cliente e superi pertanto i classici silos organizzativi, che vedono le differenti funzioni aziendali competere l’una con le altre per il conseguimento di obiettivi locali a discapito della relazione impresa-mercato. Stanno emergendo gli “omnichannel consumer”, consumatori evoluti che utilizzano simultaneamente tutti i canali front-end (negozio, catalogo, call center, web e mobile), realtà futura anche nel B2B? Non vi è dubbio che il tema della multicanalità sia rilevante anche nei contesti di tipo B2B, ove la relazione fornitore-cliente è da sempre più strutturata e complessa. In particolare, le tecnologie digitali del mondo del web possono rappresentare un formidabile strumento per migliorare sia l’efficienza che l’efficacia della relazione di fornitura. Attraverso l’implementazione di servizi web (su pc, tablet e mobile) è, ad esempio, possibile stabilire una relazione continuativa con il cliente, offrendo al momento e nel posto giusto, un servizio coerente con il fabbisogno del momento. Le tecnologie digitali permettono inoltre di supportare l’attività commerciale di un’azienda grazie alla possibilità di implementare in ambienti virtuali anche sofisticatissime rappresentazioni della funzionalità di componenti/prodotti oggetto dell’interesse di un prospect. Integrazione dei canali front-end con i nuovi canali di interazione, social network, RSS/Feeds, Youtube ecc. come CRM virtuale esteso? L’avvento dei social network e la grande diffusione degli smartphone rappresenta, da un lato, una grande opportunità per l’individuo, che ha ormai a disposizione uno spazio di interazione integrato e, dall’altro, apre nuove opportunità per le imprese nella prospettiva della progettazione di un’esperienza di marca sempre più personalizzata. In questo quadro, i progetti CRM devono cambiare natura; non possono più basarsi semplicemente su carte fedeltà, servizi esclusivi per i clienti migliori ma devono tenere conto dei molteplici punti
Microsoft è una delle più importanti aziende informatiche del Mondo, in Italia la sua fondazione risale all’ottobre 1983. Microsoft da piccola software house nel 1975 a leader mondiale dell’Ict, le dimensioni sono importanti o anche se piccoli ma agili, snelli e innovatori, si riesce a reagire ai cambiamenti repentini dei mercati e cavalcare la crisi? E’ indubbio che il tessuto economico italiano, composto in prevalenza da piccole imprese, abbia sofferto e stia soffrendo le turbolenze della crisi economica più delle medie e delle grandi aziende. Tuttavia, l’insufficienza dimensionale non credo sia tra le cause primarie della scarsa competitività delle aziende nostrane e tutti gli analisti individuano tra le cause dell’insufficiente ritmo di incremento della produttività del sistema economico italiano l’insufficiente ricorso alle nuove tecnologie, insieme agli squilibri tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. La competitività dipende tuttavia anche dalla qualità dei servizi alle imprese, a partire da quelli offerti dalle pubbliche amministrazioni, e dalla qualità della regolazione, a partire dal contenimento dei costi regolatori e burocratici che gravano sull’attività economica. Le nuove tecnologie possono dare un contributo straordinario tanto al miglioramento della produttività delle imprese, quanto al miglioramento della qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni e alla riduzione dei relativi costi per le imprese e per la collettività. Ma l’adozione di nuove tecnologie non consiste esclusivamente nell’acquisto di computer e server, ma in una riorganizzazione delle imprese 35
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sostenere la competizione a livello globale, creando una rete virtuale dove i singoli nodi interconnessi diventano massa critica flessibile/veloce per rispondere ai cambiamenti repentini dei mercati. Su come competere vincendo nei mercati fluidi ho chiesto il contributo al Dr. Pietro Scott Jovane, Amministratore delegato della Microsoft Italia Spa e al Prof. Giuliano Noci, professore ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano, componente del Consiglio Amministrazione MIP e opinionista di TG1, TG2, SkyTg24 e Radio24, “player leader globali” che hanno chiaro quali siano i fattori differenzianti e le strategie vincenti. | B&G n.18 pag. 20 “Più efficienza e risparmio con la comunicazione integrata” Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno Enrico Berlinguer
e delle pubbliche amministrazioni, che ne modifichi radicalmente l’organizzazione e i processi. Il Cloud Computing ne rappresenta una componente essenziale, soprattutto per un Paese caratterizzato come dicevo da imprese di piccola dimensione e da un sistema di reti di impresa che si sta rafforzando negli ultimi tempi come evoluzione del distretto tradizionalmente inteso. Io credo sia necessario tutelare, preservare e anche promuovere questo patrimonio di piccole e medie imprese e quello che un’azienda come Microsoft può e vuole fare è mettere a disposizione la propria tecnologia insieme al know how ed alla consulenza dell’intero ecosistema di partner per identificare le priorità di ciascun business e le strategie da seguire. In questo contesto, la tecnologia del Cloud Computing può veramente fare la differenza, per permettere in particolare alle aziende piccole e medie di poter accedere in maniera semplice e con costi ridotti a tecnologie avanzatissime e fino a poco tempo fa accessibili solo alle grandi organizzazioni. Solo cogliendo la grande opportunità offerta dall’abbattimento delle barriere di accesso alla tecnologia, le realtà di piccole e medie dimensioni possono affrontare la complessità e le sfide del mercato, disporre di una maggiore efficienza organizzativa, aumentare la propria produttività e competere su scenari globali. In questo contesto competitivo, in breve non è più tanto la dimensione dell’azienda l’elemento principale per crescere e produrre valore, anche a fronte di una situazione di crisi, quanto la capacità di sapersi innovare, promuovere nuove idee e produrre crescita per l’intero ecosistema. Dalla stampa di Gutenberg alla virtualizzazione dell’Azienda con il cloud computing oltre 500 anni di storia, la tecnologia sarà sempre più strumento abilitante per competere in mercati globalizzati, interconnessi e liquidi? La tecnologia è stata e sempre sarà uno strumento imprescindibile per consentire ad imprese di ogni settore e dimensione di vincere le sfide sempre nuove che il mercato ha posto loro dinanzi. In un 36
contesto difficile come quello attuale in particolare, crediamo che la tecnologia permetta alle aziende di operare in un mercato senza vincoli geografici e di beneficiare delle enormi opportunità offerte da Internet. Non è infatti casuale che le start up che fanno del web 2.0 il proprio motore di competitività riusciranno a emergere rispetto a modelli più tradizionali e rigidi. Uno studio McKinsey pubblicato lo scorso maggio ha messo in evidenza come ogni due posti di lavoro persi, Internet ne crei 5 nuovi. Non solo, le piccole e medie aziende che hanno creduto nel web hanno visto raddoppiare negli ultimi anni la loro crescita. La convergenza di vari ambiti, la capacità di lavorare in maniera trasversale su più livelli e utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, la voglia di rispondere a sfide che sembrano impossibili, il superamento di barriere concettuali e reali: questa la strategia per diventare sempre più competitivi.
La tecnologia è stata e sempre sarà uno strumento imprescindibile per consentire ad imprese di ogni settore e dimensione di vincere le sfide che il mercato ha posto loro dinanzi I vantaggi di affittare pagando l’uso (come il Software-as-a-Service) invece dell’acquisto, un modello replicabile in tutti i settori anche per altri prodotti/servizi? In Microsoft osserviamo da tempo come il cosiddetto Cloud Computing stia offrendo ad aziende grandi e piccole di ogni settore e ad enti della Pubblica Amministrazione gli strumenti per mettere in pratica istantaneamente nuove idee, processi organizzativi, offerte di prodotti e servizi. Sono così superate le tradizionali barriere alla realizzazione dei sistemi informativi, quali i tempi, i costi e la complessità e le aziende che utilizzano i sistemi informatici possono meglio concentrarsi sulla propria missione strategica. In particola-
Il valore reale dell’azienda
di contatto tra azienda e mercato. Nel concreto, questo significa che il management aziendale deve essere in grado, in ogni interazione, di veicolare informazioni e servizi rilevanti: tarati su misura sul profilo dello specifico individuo e coerenti con il contesto dell’interazione. Si può davvero affermare che il CRM deve ora tenere conto della vita digitale di ciascuno di noi: una vita che è multicanale, multi-device e dove i confini tra mondo fisico e mondo virtuale sono sempre più sfumati. Wired Up ( http://www.wired-up.it ) è stata la prima fiera virtuale 3D a livello mondiale accessibile via internet, in partenariato con il Politecnico-Polo Territoriale di Lecco, virtualizzazione delle relazioni per abbattere i costi, aumentare la produttività a tutto vantaggio della competitività e dell’immagine green d’impresa? Si tratta di un’esperienza certamente molto interessante, che si colloca sulla fron-
re, l’evoluzione dei modelli di erogazione e fruizione delle tecnologie in ottica Cloud sta rendendo finalmente più facile l’accesso alle tecnologie più avanzate, soprattutto a beneficio delle piccole e micro-imprese che in Italia sono così numerose e così in ritardo rispetto alle aziende europee in termini di adozione delle tecnologie e produttività. A questo proposito, Microsoft ha pubblicato i risultati dello studio “SMB Cloud Adoption Study 2011” che approfondisce l’impatto del Cloud Computing sulle PMI nel corso dei prossimi 3 anni a livello mondiale e dalla ricerca emerge che il numero di servizi cloud acquistati dalle PMI di ogni settore nei prossimi tre anni è destinato a raddoppiare nella maggior parte dei Paesi di tutto il mondo. In futuro un’azienda dovrà virtualizzare le attività, essere interconnessa e condividere per competere, come Microsoft cosa state progettando per il futuro? In un mondo costantemente in evoluzione, dove sembrano non esistere più confini e l’esigenza primaria è quella di essere sempre connessi – anche in mobilità, senza che questo impatti la produttività – la sfida di Microsoft è di cambiare ancora una volta l’approccio alla tecnologia, per offrire agli utenti servizi e soluzioni in grado di garantire la migliore esperienza di fruizione di qualsiasi dispositivo. Windows 8 rappresenta la nuova risposta a questa esigenza:
un’unica piattaforma ottimizzata per i principali device al centro della vita degli utenti – PC, notebook, smartphone, tablet e console di gioco e intrattenimento – ancora più intuitivo e user-friendly, in grado di raccogliere ogni aspetto della nostra vita e facilitare gli utenti nel passaggio da un dispositivo all’altro. Grazie anche alla nuova interfaccia grafica studiata per i display touchscreen (Metro) sarà possibile una vera e propria rivoluzione dell’uso dei dispositivi digitali, che riconosceranno e individueranno le nostre preferenze. Inoltre, il continuo affermarsi di servizi cloud sul fronte consumer favorirà la diff usione di molteplici device dai quali gli utenti potranno accedere in qualsiasi luogo al loro mondo digitale. Prodotto come commodities erogato a costo zero e service a pagamento, il trionfo del “fremium” e del “gratis” di Chris Anderson? Sono convinto che saranno il mercato e gli utenti a scegliere il modello vincente nel mercato dei servizi e dei contenuti online e che molto dipenderà anche dalla capacità di fornitori di offrire tecnologie e contenuti ad alto valore per i loro target di riferimento, con un possibile bilanciamento tra gratuito e a pagamento. Vedremo sempre di più sorgere modelli ibridi, in grado di soddisfare le diverse esigenze degli utenti, che grazie alla componente a pagamento potranno sicura-
tiera della tecnologia. I vantaggi sono evidenti: espositori e visitatori possono vivere un’esperienza simile a quella in presenza risparmiando costi e tempo. Certamente si adatta bene a situazioni in cui i prodotti oggetto degli scambi sono semplici e il contesto di fornitura relativamente stabile, ovvero gli attori della filiera rimangono più o meno gli stessi nel tempo e, quindi, vi è una certa consuetudine relazionale. Ritengo invece non sia ancora possibile sostituire in toto gli incontri in presenza nel caso di contesti industriali più turbolenti, caratterizzati da una significativa dinamica tecnologica e da un quadro competitivo in forte evoluzione. In questi casi, la possibilità/opportunità di realizzare attività di networking e scouting di alternative di fornitura/vendita in presenza è ancora insostituibile. Il ruolo delle tecnologie digitali, in queste situazioni, è quello di abilitare forme avanzate di gestione della relazione tra attori a diversi livelli della filiera nel pre e post fiera. |
mente offrire maggiore valore e generare il necessario circolo virtuoso di investimenti in ricerca e innovazione che ci aprirà le porte del futuro. Dal core business al multi business diversificato, per esempio software, device e servizi integrati, progettati assieme ai prosumer, cannibalizzazione dei mercati o vantaggio avere un soggetto unico abilitante per i servizi a cui rivolgersi? Microsoft opera da sempre su diversi fronti, offrendo a consumatori e aziende la possibilità, attraverso il software e i servizi, di lavorare, essere produttivi, comunicare, collaborare, condividere, divertirsi in ogni luogo e attraverso qualsiasi dispositivo il tutto in maniera semplice e famigliare. Uno dei punti di forza risiede proprio nella strategia dell’azienda multi core, che ci vede impegnati su diverse aree di focalizzazione con l’obiettivo di fornire ai nostri clienti, siano essi utenti finali, aziende o amministrazioni pubbliche, piattaforme sempre più integrate e accessibili in maniera flessibile, dall’acquisto alla fruizione a consumo attraverso la cloud. E’ solo attraverso questa offerta completa end to end, unita a una grande libertà di scelta che siamo in grado di offrire esperienze uniche e integrate ai milioni di utenti che ogni giorno ci scelgono per gestire la loro vita digitale, sia personale che professionale. | 37
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Strategie d’impresa
“guerra” combattere
Se il mercato diventa una i manager devono
Essere un buon leader oggi è determinante per il successo della propria azienda. Come è possibile guidare i propri dipendenti, motivarli e spingerli a fare sempre meglio quando il futuro è così incerto e le carte in tavola possono cambiare da un momento all’altro? Lo abbiamo chiesto a Rosario Castellano Generale della Divisione Acqui
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Grande incertezza, rischi ad ogni passo e di conseguenza uno stress continuo. Situazioni estreme che normalmente si vivono solo in particolari contesti, primo tra tutti quello militare ma che negli ultimi anni, visto l’andamento dell’economia globale, sono diventate la quotidianità anche a livello aziendale. In questo contesto di costante emergenza in cui i manager si trovano ad operare, avere buone capacità di leadership è fondamentale e allo stesso tempo molto più difficile. Vista l’importanza del tema, nell’ambito della Campagna Nazionale Qualità e Innovazione organizzata ogni anno da Gruppo Galgano, si è tenuto l’incontro “Change Management in conflict situation. Guidare le persone in contesti di grande incertezza” che ha visto la partecipazione di Rosario Castellano, generale al comando della Divisione Acqui, entrata ormai a far parte delle forze della NATO. In questa intervista il generale approfondisce l’argomento spiegando quali sono i punti di contatto e quali le differenze tra la leadership militare e quella aziendale. Un generale dell’esercito e un dirigente d’azienda sono due figure all’apparenza distanti ma sotto certi aspetti invece mol-
In generale, spesso mi baso sull’intuito, accettando la possibilità di sbagliare. Se non hai mai sbagliato significa che non hai fatto mai sul serio! Non accettare lo “status quo” delle cose ma la sfida. Reputo indispensabile che il comandante, come il dirigente d’azienda, non solo veda il bicchiere mezzo pieno ma riesca anche a scorgere il cristallo di cui esso è fatto to vicine soprattutto per quello che riguarda la parte strategico tattica e di gestione del team. Forte della sua lunga esperienza sul campo in Afghanistan, Libano, Iraq, Kossovo, Kurdistan e Bosnia Erzegovina, Castellano ha dato degli importanti spunti di riflessione su quelle che dovrebbero essere le qualità di un buon leader, nell’esercito così come in azienda. Cosa significa comandare una realtà come la Divisione “Acqui”? Comandare l’Acqui significa essere a capo di una struttura fatta di risorse, umane, materiali ed economiche capace di essere prontamente impiegabile per la soluzione di crisi che prevedano l’utilizzo di un contingente militare. Essere pronti ad intervenire al comando dell’Acqui in qualunque area del mondo per concorrere, con eventuali altre Nazioni, alla soluzione di crisi internazionali, rappresenta per me il principale obiettivo. L’Acqui è infatti un Comando di Divisione atipico, direi unico nell’ambito del comparto Difesa in quanto in grado di svolgere operazioni militari, gestendo unità ed assetti non solo nazionali ma appartenenti anche ad altri Paesi europei e/o NATO. Il principale problema è chiaramente mantenere alto il livello di preparazione del personale. Per questo è necessario effettuare addestramenti ed aggiornamenti continui sia per migliorare le tecniche di pianificazione in vigore (sempre in continua evoluzione) sia per mantenerne 40
Rosario Castellano Generale della Divisione Acqui
alti i profili professionali, anche per essere competitivi nell’ambito del confronto con le altre Nazioni. Cosa differenzia e cosa accomuna secondo lei la leadership di un’azienda da quella di una divisione delle forze armate? Ci sono molti punti in comune tra leadership militare e aziendale, per il semplice motivo che lo stesso Esercito Italiano è un’azienda. Nello specifico, tre sono gli elementi che potrebbero accomunare la leadership delle due aziende: la vision, la passione ed il coraggio. Il leader militare ha le basi e le conoscenze per poter comprendere il futuro e quindi definire gli obiettivi da raggiungere a lungo termine. Tutto ciò lo realizza attraverso la sua propria “vision” che si concretizza nell’individuare le risorse necessarie per poter assolvere le differenti e variegate missioni. Il secondo elemento è la passione che si ha per ciò che si fa. Infine il leader militare è coraggioso. Lui accetta i rischi delle decisioni prese e tiene conto che l’insuccesso potrebbe essere dietro l’angolo. Accetta gli errori perché è portato ad imparare da essi. Per questo guida e non frena. Un elemento invece che differenzia la leadership militare da quella aziendale riguarda l’estremo sacrificio. Il militare accetta i rischi, in particolare durante le operazioni, che potrebbero derivare da un’azione ad elevato rischio, nel rispetto degli impegni presi con il giuramento prestato e nella consapevolezza piena e totale delle proprie azioni. Nel suo precedente intervento ha sottolineato l’importanza della resilienza. Come si concretizza per lei questo concetto? Due esempi. Il primo fa riferimento a quando in Kosovo, nel 2004, comandavo il 186° reggimento paracadutista della Brigata Folgore. Durante un calmo e tranquillo pomeriggio del mese di marzo, i monasteri ortodossi che i miei presidiavano, furono circondati da locali, armati di bottiglie molotov, sassi, qualche pistola e fucili AK 47 kalasnikov, per costringerci all’abbandono dei siti. Ci trovammo, in quel frangente, a difendere i monumenti anche ricorrendo all’uso delle armi, in un rapporto di forze di uno a quaranta. Il tutto senza aver ricevuto nessun preavviso. Da quel momento in poi capimmo che era necessario potenziare gli assetti intelligence piuttosto che quelli fucilieri, per poter disporre del maggior numero di informazioni possibili, allo scopo di prevenire piuttosto che reagire. Ciò realizzato, non si verificarono più episodi analoghi. Un secondo episodio invece fa riferimento alla missione svolta in Afghanistan, nel 2009. Durante il movimento su strada e via elicottero eravamo spesso sottoposti a fuoco diretto ed indiretto da parte dei Talebani. Dopo un primo iniziale impatto, abbiamo cambiato i percorsi dei veicoli e le rotte degli elicotteri in maniera tale da “spiazzare” costantemente l’avversario. Da quel momento, è calato notevolmente il numero degli incidenti e degli
Strategie d’impresa
attacchi. In generale, spesso mi baso sull’intuito, accettando la possibilità di sbagliare. Tra l’altro, se non hai mai sbagliato significa che non hai fatto mai sul serio! Non accettare lo “status quo” delle cose ma la sfida. Reputo indispensabile che il comandante, come il dirigente d’azienda, non solo veda il bicchiere mezzo pieno ma riesca anche a scorgerne il cristallo cui esso è fatto. In un periodo ricco di complessità e incertezze come è quello attuale cosa avvicina il ruolo di un generale delle forze armate a quello un dirigente d’azienda? Affrontare il cambiamento e cercare di portare la propria organizzazione al conseguimento di determinati obiettivi è la sfida principale non solo per un generale ma anche per un dirigente d’azienda. Affrontare il cambiamento, rifiutando la stabilità e basare le proprie azioni sull’esperienza piuttosto che sull’abitudine porta di sicuro al successo o almeno al raggiungimento di risultati di primissimo piano. In un ambiente complesso ed incerto come quello che stiamo vivendo è necessario che il leader sappia ottimizzare tutto ciò che ha a disposizione, dalle risorse umane e materiali a quelle finanziarie. Una scarsa flessibilità può rappresentare l’incudine sulla quale l’avversario potrebbe battere e sferrare martellate per trarne propri utili vantaggi. Qui bisogna fare attenzione a non scoprire il fianco alla controparte! Per questo il leader vive nel presente per agire in anticipo e più veloce degli altri, muovendosi nell’ambiguità e nell’incertezza senza soffrirne ma traendone addirittura ispirazione. In sintesi, il leader si avvale del passato, vive il presente e sempre con un occhio all’avversario e con l’altro al futuro. Vorrei a questo punto menzionare un passaggio significativo del teologo americano Reinhold Niebuhr della sua “Serenity praier” che dice: “Signore dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso e la saggezza di capirne la differenza”. Qui ogni commento appare superfluo. Parlando di leadership, quali sono le qualità che un leader dovrebbe avere rispetto ad un manager? Le qualità di un leader in senso lato sono semplici e non si apprendono né dai manuali né dai libri. Notevole è la differenza tra il leader e il manager. In definitiva, il manager pensa alla struttura; il leader si concentra invece sulle persone. Il manager basa la sua azione sul controllo. Il leader ispira fiducia. Il manager si chiede “come “ e “quando”. Il leader si chiede “cosa” e “perché”. Alla base di tutto, però vi è senza dubbio il carisma. Qui la cosa è ancora semplice perché il carisma o si ha o non si ha. Il leader ispira ai propri subordinati fiducia e lealtà senza fatica. Gli viene naturale! E’ questa la chiave di lettura del cambiamento, perché bisogna essere carismatici per tirare il gruppo dalla propria parte. Nel caos e nel trambusto il leader militare rimane calmo per riflettere e prendere decisioni nel più breve tempo possibile, senza mai perdere di vista l’obiettivo finale, cercando di trasmettere la propria serenità al suo entourage, pensando a come colpire l’avversario limitando al massimo i danni collaterali. Come si dovrebbe reagire al particolare momento economico finanziario in corso? La pianificazione e la programmazione finanziaria sono alla base del problema. Mai e poi mai il leader si barrica dietro la
Campagna Nazionale Qualità e innovazione. La leadership è il tema della 23esima edizione
Mariacristina Galgano, amministratore delegato di Galgano Group
“Change Management in conflict situation. Guidare le persone in contesti di grande incertezza”. Questo è stato il tema portante dell’evento organizzato come ogni anno dal Gruppo Galgano. La conferenza è stata l’occasione per sviluppare una serie di riflessioni sulla leadership e su cosa significhi gestire un’azienda in un periodo come quello attuale. Dopo la testimonianza del generale Castellano sentiamo da Mariacristina Galgano, amministratore delegato del Gruppo, perché la leadership oggi è così importante, soprattutto in relazione alla qualità e in che modo un manager può prepararsi per diventare un vero capo. Per la 23esima edizione della Campagna Nazionale Qualità e Innovazione (anno 2011) avete concentrato l’attenzione sulla Leadership. Perché questa scelta? Perché un leader è un manager “in trincea”: deve essere capace di decidere, guidare, pianificare verso obiettivi sfidanti. Quando lo scenario può cambiare da un momento all’altro e tutto è incerto, il leader guida le persone ed è per loro un riferimento. Solo così può chiedere alle persone di fare uno sforzo in più per migliorare continuamente. L’elemento competitivo della Qualità più difficile è proprio quello che dipende dalle persone e dal valore della formazione che permette loro crescita e sviluppo. Per fare Qualità ci vuole Leadership anche se non è facile guidare le persone gestendo lo stress proprio e degli altri. La leadership non si acquisisce per doti innate, ma la si guadagna giorno per giorno, conquistandosi il rispetto delle persone. Sono molti, infatti, i manager e i direttori di azienda che si trovano a fare i conti con il bisogno di generare motivazione e passione. Come Galgano portiamo avanti e applichiamo nelle aziende la Lean Organization. Questo è un Sistema che mette la persona al centro rendendola protagonista del progetto di cambiamento e capace di mettersi in gioco. Per arrivare a questo risultato, occorre modificare routine cognitive consolidate, modi di fare e di lavorare collaudati negli anni. Solo la persona coinvolta è esperta di se stessa e del proprio approccio; è dalla persona che bisogna partire per costruire una realtà nuova. L’approccio Lean - che facciamo sperimentare alla aziende - anche con la Settimana Kaizen che porta in azienda risultati tangibili in soli 5 giorni - è un 41
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scusante “non ci sono soldi” e “non si può fare”. Se mancano le risorse bisogna allora individuare accuratamente le priorità avvalendosi di esperti nei vari settori, in considerazione del fatto che il leader non è un tecnico. La mancanza di priorità porta alla naturale dispersione delle energie e quindi alla costante e lenta implosione della struttura su sé stessa. Nel particolare momento finanziario in cui viviamo appare quindi necessario pensare agli obiettivi da raggiungere a lungo termine, a discapito del profitto più visibile e più veloce a breve. In tale complesso contesto, è altresì necessario che il leader militare incoraggi l’innovazione, la sperimentazione e l’assunzione di rischi, anticipando l’avversario e lo stesso futuro, attraverso una attenta ed oculata lettura del presente. In che modo è possibile “prepararsi” per essere leader? Essere leader è una peculiarità innata in alcune persone. Chi ne è in possesso, deve coltivare, stimolare e perfezionare tale naturale dono. Sarà cura dell’organizzazione trovarlo. La nostra struttura, di tipo gerar-
nuovo modo di vedere le cose che per essere realmente efficace deve diventare patrimonio del modo spontaneo di agire di ciascuno. È l’attitudine a focalizzarsi sul risultato e ad essere plastici nel proprio approccio alle azioni. Inoltre si concretizza nel valore del gioco di squadra, in cui ogni membro del team e dell’organizzazione coopera nell’ottenimento dell’obiettivo globale, trovando soddisfazione e benessere nel farlo. Ci deve essere la capacità del singolo di riconoscere e impiegare al meglio le proprie risorse, come anche ci deve essere dall’esterno il riconoscimento percepibile di tale valore. Il tutto crea un circolo virtuoso che porta al conseguimento di obiettivi sempre più sfidanti. Le 42
chico funzionale, procede ad una continua e costante selezione del personale dal momento in cui lo stesso entra in accademia. E’ tramite dunque gli istituti di formazione scolastici e le costanti valutazioni scritte (almeno annuali) che la piramide a mano a mano si stringe, lasciando emergere i più bravi. Immagino che pericolo e stress per lei siano la normalità. Quale strategia gestionale ha scelto di attuare perché non diventino un problema? Sarebbe applicabile o comunque utile anche in azienda in tempi come questi? Per quanto riguarda lo stress, bisogna essere consapevoli che esso esiste e che se sottovalutato provoca danni enormi, a volte irreparabili. Riconoscerne l’esistenza dunque è già di per sé un successo. L’Esercito, al riguardo si è dotato di un gruppo di esperti militari nel settore sia per supportare i militari che le loro stesse famiglie. E’ chiaro che saper convivere con il pericolo e con lo stress è un “must” imprescindibile per chi vive la condizione militare. In particolare, durante le mie missioni
persone diventano così realmente il cuore effettivo del processo di cambiamento. Nelle aziende che credono nel valore strategico delle risorse umane, ciascun manager viene addestrato a diventare prima di tutto un maestro. Il compito fondamentale di un capo è, infatti, quello di far crescere costantemente le capacità dei propri collaboratori. Insegnare è, quindi, ritenuto il compito fondamentale di un manager. Ciò che egli deve trasferire costantemente ai propri collaboratori è il metodo scientifico per affrontare i problemi e la capacità di definirli con precisione, per poterli risolvere in modo incisivo. Il ruolo di un capo è anche quello di insegnare la passione per il miglioramento continuo e la ricerca della perfezione. Sia lei che il generale Castellano nel suo intervento vi siete rifatti alla “Tecnica dei cinque perché”. Può spiegarmi in cosa consiste? La tecnica dei “Cinque Perché” è uno strumento del Sistema Toyota ed è un metodo di indagine. Spesso in azienda quando vi è un problema ci si ferma ai primi perché senza andare alla radice del problema stesso. Con il processo dei Cinque Perché, con
all’estero opero in modo da far si che il gruppo sia il più monolitico possibile e che tutti si sentano partecipi ed artefici di
In base al tempo e alla tipologia del problema da risolvere, si adotta un processo di pianificazione oppure un altro. Tali processi hanno però in comune l’analisi del problema e le risposte da dare ai cinque stranoti quesiti di “Chi, Cosa, Quando, Come e Perché” quello che accade nel proprio settore di responsabilità. Tutti si devono sentire importanti! Dal cuoco al soldato in prima
un susseguirsi di domande-risposte/causaeffetto, si può raggiungere la radice vera del problema. Tornando alla leadership. Secondo lei quali sono le qualità di un buon leader, soprattutto in periodi di grande incertezza come oggi? Le aziende italiane hanno sempre più la necessità di contare su leader in grado di creare contesti fertili per far “fiorire” Qualità e Innovazione, frutti indispensabili per la sopravvivenza delle Imprese. Cambiare profondamente la mentalità di tutto il management – dalla direzione fino ai supervisori o team leader – è strategico affinché i dipendenti siano motivati a evidenziare i problemi e a generare miglioramento continuo. Ma facciamo prima chiarezza sul significato di Leadership e su quali differenze intercorrono con il concetto di dirigere. Dirigere è un’attività razionale che si manifesta attraverso l’uso di strumenti logici e sistematici. Con il termine Leadership s’intende, invece, il creare e l’esprimere in modo articolato una visione futura sfidante, ma allo stesso tempo chiara. La visione deve essere il mezzo attraverso il quale guidare e ispirare i propri collaboratori ed
Strategie d’impresa
tutta onestà che il leader aziendale, con forme analoghe, adotti strategie similari. Sarebbe interessante anche per me capire quali.
Da sinistra: il generale Rosario Castellano con Mariacristina Galgano
linea, dal meccanico al responsabile del fuoco, dal caporale al generale comandante. Tutti devono avere e sviluppare un senso comune di appartenenza. La strategia da me scelta in tali contesti si impernia su quattro particolari aspetti. In primis la curiosità. Non mi accontento mai delle prime informazioni ricevute ma, dove possibile, ne cerco altre o almeno di capire la “ratio” di determinate scelte rispetto ad altre. L’entusiasmo poi per quello che faccio. Fondamentale è inoltre la fiducia che ho nei miei collaboratori e sottoposti. Per ultimo, la volontà di rischiare. Ribaltando tale strategia dal militare al civile, ritengo in
La velocità di reazione unita alla capacità di decision making sono fondamentali per un ruolo come il suo. In che modo pianifica e prende le sue decisioni? L’intuito, le esperienze personali e il processo di pianificazione acquisito nel tempo rappresentano i tre pilastri fondamentali per prendere le decisioni. Qui il nemico è il tempo. A volte si deve essere tempestivi a discapito della precisione, se il tempo è poco. Altre volte si può essere precisi e dettagliati nell’emanazione di ordini e direttive, se il tempo è sufficiente. In base al tempo quindi e alla tipologia del problema da risolvere, si adotta un processo di pianificazione oppure un altro. Tali processi hanno però in comune l’analisi del problema e le risposte da dare ai cinque stranoti quesiti di “Chi, Cosa, Quando, Come e Perché”. Il comandante sicuramente deve rispondere al Cosa e Perché. La valutazione poi dei vantaggi e degli svantaggi per ognuna delle opzione individuate è devoluta al suo staff. Di nuovo: una squadra amalgamata, preparata e motivata porta di sicuro al successo. | Ci si chiede qual è la differenza tra un leader e un capo: il leader guida, il capo conduce Theodore Roosevelt
è importante che sia condivisa da tutta l’organizzazione. Ma per poter guidare in modo efficace il “Movimento della Qualità” in azienda, il leader deve avere alcuni requisiti essenziali. Il tema della leadership e della motivazione in un contesto di risorse scarse acquista, per esempio oggi, una nuova luce. Sono molti i manager e i direttori di azienda che si trovano a fare i conti con il bisogno di generare motivazione, avendo a disposizione risorse molto limitate. Questa situazione richiede loro di rafforzare le proprie doti di leadership e fare leva sulla propria capacità di generare motivazione, senso di appartenenza, passione all’interno del proprio team, creatività e impegno per superare i numerosi ostacoli che si incontrano in una normale realtà lavorativa. Per generare tutto ciò il leader deve possedere sette caratteristiche chiave: avere consapevolezza che la Qualità è fatta di dettagli, essere “innamorato” dei propri collaboratori, avere profondo rispetto per le persone, perseguire il miglioramento continuo anche a piccoli passi, andare a gemba” (che significa avere l’umiltà di mantenere contatti con l’operatività), “fare hansei” (che significa cercare le cause e non i colpevoli), porre al centro le persone e non le tecnologie.
Le aziende italiane hanno sempre più la necessità di contare su leader in grado di creare contesti fertili per far “fiorire” Qualità e Innovazione, frutti indispensabili per la sopravvivenza delle Imprese A livello formativo, su cosa dovrebbe concentrarsi un manager per diventare un buon leader? Il manager deve essere in grado di guidare il cambiamento attraverso strategie di Change Management e deve comprendere quanto la propria cultura aziendale sia pronta a un programma di coinvolgimento delle risorse umane. Deve, poi, imparare a utilizzare strumenti di coinvolgimento dei collaboratori per motivarli e valorizzarli. Ma anche la capacità di gestione e valutazione delle persone è una competenza da sviluppare con-
tinuamente per un leader capace di migliorare la performance dei collaboratori riuscendo anche a mobilitare soprattutto le loro energie intellettuali, trasformando i loro sforzi in risultati. Il leader è come un direttore d’orchestra: pur non avendo competenze specifiche su tutto, deve essere in grado di svolgere plurime competenze diverse verso il raggiungimento di un unico obiettivo. L’ingrediente essenziale è la capacità di condividere la passione. La crisi ma anche i New media hanno profondamente cambiato la figura del dirigente. Come crede che si evolverà nei prossimi anni? Cosa caratterizzerà il manager del futuro? Il manager del futuro deve essere un Manager Realizzatore, sempre più risolutore di problemi e innovatore. Non potrà inoltre esimersi dalla valutazione e dall’uso delle nuove tecnologie che stanno caratterizzando anche il mondo dei media perché l’intelligenza di un’impresa si misura anche dalla sua capacità di comunicare sia al suo interno, sia all’esterno della sua organizzazione. | www.galganogroup.it
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black list restarne fuori
La dei peggiori manager. Ecco come Essere un leader non è mai stato semplice e in tempi come questi lo è ancora di meno. Stare al passo con le nuove tecnologie, gestire e motivare un team, restare con i piedi per terra nonostante il successo e soprattutto, in caso di errore, reagire prontamente, sono secondo Sydney Finkelstein, professore di Management alla Tuck School of Business e autore della lista nera dei peggiori CEO del 2011 le qualità che deve avere un buon amministratore delegato Anche i manager più brillanti falliscono! È un dato di fatto. E più si sale in alto più gli errori diventano gravi e in certi casi “stupidi”. Quali sono allora i passi falsi da evitare? Quali le qualità fondamentali per essere un buon leader? Come è possibile motivare il proprio team e fare i conti con le complessità del mercato di oggi? Per cercare di dare una risposta a queste domande ci siamo confrontati con Sydney Fin-
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kelstein professore di Management alla Tuck School of Business di Dartmouth, già noto come autore del libro “Why Smart Executives Fail” (Perchè anche i dirigenti brillanti falliscono) che forte della sua esperienza ha stilato una black list dei peggiori CEO del 2011 spiegandone gli errori più comuni e le debolezze. Partendo dall’esempio negativo di alcuni dei peggiori manager mette in luce in che modo, amministratori delegati anche molto dotati, sbaglino le strategie e
portino le loro aziende, in alcuni casi leader di settore, a perdere importanti quote di mercato. Dall’arroganza all’incapacità di reagire prontamente agli errori, molti sono i motivi che portano un manager a fallire nel suo ruolo di leader. In un contesto di grande complessità come è quello attuale, quali sono gli errori più comuni per un CEO? Direi l’arroganza. Nella maggior parte dei
Gestione aziendale
casi, il CEO permette all’arroganza e alla compiacenza di prendere il sopravvento e nuocere all’azienda. Ad esempio, cosa fare quando il prodotto target di un’azienda è minacciato da nuove e più attraenti innovazioni? Gli ex-CEO di una delle maggiori aziende operanti nel settore tecnologia per la telefonia hanno insistito e investito tutto su un solo e unico prodotto anche quando le orde di iPhone e Android di Google sottraevano quote di mercato. Non hanno voluto lanciarsi su nient’altro. Questa è arroganza.
Sydney Finkelstein, professore di Management della Tuck School of Business
Quali invece quelli più gravi? I fallimenti aziendali hanno molte origini, ma le più critiche provengono dalla percezione della realtà aziendale, ovvero il modo in cui i dirigenti percepiscono la realtà della propria azienda e il modo in cui le persone all’interno dell’organizzazione fanno fronte a quella realtà. Spesso, a causa di ciò, i sistemi di informazione e controllo sono mal gestiti, e anche organizzazioni leader hanno adottato abitudini completamente fallimentari. Ricollegandomi ad una sua precedente pubblicazione, “Perché anche i dirigenti brillanti falliscono”? Durante la mia ricerca, ho immediatamente constatato che i dirigenti, indipendentemente da quanto intelligenti possano essere, commettono stupidissimi errori. Anche se i responsabili hanno quasi sempre delle carriere e delle esperienze formidabili alle spalle, quando fanno gravi errori, non sanno come aff rontare in modo rapido la situazione e correggerli. Spesso ingrandiscono il danno ignorando il problema. Le cause di un fallimento non sono quasi mai dovute ad eventi imprevedibili, di solito i dirigenti sanno cosa sta succedendo, ma scelgono di non reagire. Le cause di un fallimento non sono errori esecutivi; gli errori esecutivi sono semplici sintomi che nascondono una spiegazione più profonda del perché le cose vanno male.
Ci sono sempre stati errori manageriali, e ce ne saranno sempre di più. L’importante è quello che i leader fanno una volta che l’errore è stato commesso, per cercare di risolverlo il più velocemente possibile Le cause di un fallimento non sono nessuna delle semplici questioni che mettono in dubbio la motivazione, o la capacità di leadership, o l’onestà, o l’abbondanza di risorse. Si tratta di qualcosa di più complesso di una qualsiasi di queste spiegazioni, e molto più affascinante. Come ho descritto nel mio libro “Why Smart Executives Fail”, i dirigenti sono in primo luogo delle persone. E le persone a volte fanno cose che non dovrebbero fare. A volte, nascondiamo la testa sotto la sabbia per non ascoltare. A volte permettiamo ai nostri pregiudizi personali di influenzare le decisioni che prendiamo. A volte ignoriamo i feedback, non vogliamo cambiare, sottovalutiamo le reali difficoltà, ci creiamo una propria realtà sulle nostre azioni, senza ascoltare i clienti. E tutte queste debolezze molto personali, proiettate in cima alle organizzazioni, portano al fallimento. Il margine di errore nelle alte sfere manageriali delle imprese complesse è molto piccolo, e il livello di competizione è molto elevato. Ed è per questo che anche i dirigenti apparentemente più brillanti e intelligenti, che non sono in grado di gestire e controllare le tante debolezze umane che possono affliggere tutti noi, falliscono.
Secondo lei questi passi falsi da cosa dipendono? formazione, mentalità? Non penso esista una sola risposta giusta per questa domanda. Nel mio libro “Why Smart Executives Fail”, spiego che gli errori sono fatti per i seguenti motivi: le mentalità, i meccanismi di protezione e gli atteggiamenti deliranti, breakdowns nei processi comunicativi, ecc; e riassumo il tutto in sette abitudini che portano all’insuccesso. La mentalità è un fattore importante – a causa della propria mentalità, i dirigenti spesso spingono la loro società in una direzione completamente sbagliata o non riescono a ristrutturarla come si dovrebbe, perché commettono un errore fondamentale nel modo in cui stanno valutando le opportunità e i problemi del proprio business. Inoltre, percepiamo che gli amministratori delegati sono sulla buona strada del fallimento quando iniziano a ignorare i problemi, e non osano porsi le domande più difficili. In che modo è possibile evitarli? Nella mia ricerca, ho individuato cinque segnali di pericolo da tenere sott’occhio. In primo luogo, le aziende con un successo uniforme e costante, che ad un tratto mostrano una serie di atteggiamenti deliranti, sono pronte per il possibile fallimento. In secondo luogo, le aziende che hanno avuto successo sul loro mercato e servono da pubblicità per coloro che vogliono immettersi nello stesso settore d’attività: in mancanza di potenti barriere all’ingresso, le nuove aziende andranno un pò più lontano che gli operatori storici. In terzo luogo, il successo genera l’arroganza, quindi le società devono sforzarsi di rimanere pensatori critici continuando a porsi domande difficili. In quarto luogo, è facile abbassare la guardia quando tutto va bene e il business è al suo 45
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massimo, ma i profitti non impediscono ad una società di navigare direttamente nell’occhio del ciclone. Infine, il successo ha un suo apice che è molto difficile da mantenere. L’amministratore delegato non può riposarsi sul momento di gloria, e deve costantemente ri-valutare e ri-pensare i propri business plan. Come è cambiata, secondo lei, la figura del dirigente in questo particolare periodo economico finanziario? I managers sono più sensibili all’errore durante una grossa crisi? Ci sono sempre stati errori manageriali, e ce ne saranno sempre di più. L’importante è quello che i leader fanno una volta che l’errore è stato commesso, per cercare di risolverlo il più velocemente possibile. Per quanto riguarda la crisi, gli errori sono stati più grandi - più denaro in gioco, e l’importanza nell’economia - ed erano multipli - dagli istituti di credito che vendevano mutui ad acquirenti che non avrebbero mai potuto rimborsare i prestiti, alle autorità di regolamentazione inefficaci, alle agenzie
“Il meglio che un leader può fare è capire che il cambiamento non è solo parte della realtà, ma è una necessità. Adattabilità a fronte di eventi imprevisti, questo è il segno distintivo dei più grandi manager” di rating particolarmente incompetenti, e naturalmente da molte banche di tutto il mondo che o non hanno capito il rischio che stavano prendendo con i mutui subprime o hanno semplicemente scelto di farlo perché ci guadagnavano. Internet e i New media hanno condizionato e condizionano tuttora molto la società. Come hanno influito questi nuovi mezzi sul ruolo del CEO? In virtù del suo status elevato, ciò che prima era un metodo di comunicazione per gli studenti e le università, ora è un fenomeno che richiede attenzione. I Social media hanno un forte valore aggiunto, ma rappresentano anche un rischio se le informazioni diff use non sono accurate o non riflettono la vocazione e la missione di un’azienda. Questo è particolarmente vero quando si tratta di clienti, che hanno 46
molti più modi per esprimere il loro parere su come una società li ha trattati. Per gli amministratori delegati, che non appartengono alla generazione cresciuta nell’era di Facebook, questo rappresenta una grande sfida, e so che molti di loro sono seriamente preoccupati per la gestione di questa sfida in modo efficace. I due gradini più alti del podio di questa lista nera sono occupati dai dirigenti di due aziende che si occupano di tecnologie, un settore che forse più di altri deve fare i conti con l’obsolescenza. Quanto secondo lei ha influito la velocità dell’innovazione tecnologica sui “fallimenti” dei manager in lista? Le principali aziende IT a livello mondiale sono tra le aziende in più rapida crescita e più importanti del mondo, e questa accelerazione è avvenuta solo negli ultimi 5 anni. E’ naturale considerare questo settore per il peggio, ma anche per il meglio. Siccome l’industria IT è così dinamica, con l’evoluzione tecnologica legata fortemente a ciò che accade quotidianamente, questa richiede CEO più dinamici e flessibili. La posta in gioco è più elevata nell’IT proprio a causa di ciò. Inoltre, la tecnologia non è una piccola componente dell’economia, ma uno dei due o tre settori piloti più importanti della crescita economica (insieme con il settore dell’energia e della salute). Ci sono quindi settori dove è “più facile” essere un dirigente? No - la gestione è la gestione, indipendentemente dal settore. E questo è vero sia che si parli di profit o non-profit, governativo o aziendale, in Europa o in Asia. Non è facile essere un buon manager, perché la sfida di motivare e smuovere un gruppo di persone per lavorare al fine di ottenere un obiettivo comune è sempre difficile, e sempre importante. Quali saranno secondo lei le qualità del manager del futuro? I quadri superiori oggi sono spesso, anche se non sempre, più qualificati rispetto al passato. La ragione principale di ciò è la globalizzazione del mercato per quanto riguarda i talenti professionali. Abbiamo già visto amministratori delegati inglesi e americani in aziende giapponesi, indiani CEO di aziende americane, ecc. Con un pool di talenti più ampio, che continuerà ad espandersi con l’apertura sempre più importante della Cina, è logico che la qualità dei manager ai vertici saranno sempre migliori. Detto questo, credo veramente che la caratteristica individuale più importante dei grandi manager sia la capacità di adattarsi in tempo reale al cambiamento. Ci sono tanti motivi per cui i manager e le aziende da essi condotte considerano importante lo status quo, ma il meglio che un leader puo’ fare è capire che il cambiamento non è solo parte della realtà, ma è una necessità. Adattabilità a fronte di eventi imprevisti, questo è il segno distintivo dei più grandi manager. |
Una delle grandi verità sulla leadership consiste nel fatto che un leader è capace di riconoscere un problema prima che diventi un’emergenza Arnold Glasgow
w w w. j a c o b a c c i . c o m
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Umiltà, capacità di mettersi in gioco e grande entusiasmo:
giovane imprenditore oggi è essere un
Imporsi nel mondo del lavoro e crescere in un periodo ricco di complessità, soprattutto in un Paese come l’Italia dove manca il sostegno delle banche e dove tradizionalmente si investe poco nell’innovazione. Su questi e altri temi abbiamo sentito l’opinione di Andrea Cumini, vincitore del premio nazionale Giovane imprenditore 2011 di Confcommercio “Siamo in tempi di crisi: tempi in cui è difficile tenere in piedi la propria attività, quasi impossibile iniziarne una da zero; tempi in cui ne lo Stato ne le banche si impegnano a sostenere l’innovazione e i nuovi progetti. Insomma tempi in cui se essere un imprenditore può risultare davvero arduo, essere un giovane imprenditore lo è ancora di più.” Argomenti importanti, che oggi come oggi sono all’ordine del giorno perché l’innovazione è la chiave per uscire da questo particolare momento economico e in cui nonostante le difficoltà ci vogliono investimenti, nuove vision e un rinnovato approccio al mercato che, bisogna accettarlo, non tornerà più quello di prima. In questo contesto sono proprio i giovani imprenditori che possono fare la differenza, dare quello lancio che serve al sistema italiano in primis.
Sotto: Andrea Cumini, marketing manager del Gruppo Cumini A fianco: la premiazione di Confcommercio per il premio nazionale Giovane imprenditore 2011
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Per questo motivo, alla luce della sua recente premiazione come Giovane imprenditore 2011 di Confcommercio a livello nazionale abbiamo parlato con Andrea Cumini, marketing manager del Gruppo Cumini, di queste tematiche di primario interesse. Una nomina, questa, che arriva a breve distanza da quella della Camera di Commercio di Udine come miglior Giovane Imprenditore.
“L’umiltà, o meglio la sua mancanza” è per Cumini il problema che hanno i ragazzi oggi, la pretesa di arrivare subito, senza mettersi in gioco Molti i temi trattati nel corso dell’intervista, dal ruolo del giovane imprenditore oggi, con tutte le complessità e le problematiche che questo comporta ma anche con le enormi potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, per passare poi ai motivi delle “barriere all’entrata” nelle aziende che secondo il manager 36enne in parte vanno ricercate nelle peculiarità dei giovani di oggi. “L’umiltà, o meglio la sua mancanza” è per Cumini il problema che hanno i ragazzi oggi, la pretesa
Personaggio
In anni in cui molto si discute di cambiamenti e di rinnovati contesti, il Giovane imprenditore dell’anno si concentra sulla necessità, difficilmente percepita soprattutto nel nostro Paese, di un cambio generazionale ai vertici delle imprese e di come il “vento” si possa migliorare
di arrivare subito, senza mettersi in gioco. La capacità di sapersi adattare è una qualità che permette non solo di entrare nel mondo del lavoro ma anche di crescere a livello personale e di carriera. Per questo, forse un po’ contro corrente rispetto ai dati occupazionali, Cumini sostiene che spesso le materie umanistiche sono maggiormente valorizzate rispetto a quelle prettamente tecniche. In anni in cui molto si discute di cambiamenti e di rinnovati contesti, il Giovane imprenditore dell’anno si concentra sulla necessità, difficilmente percepita soprattutto nel nostro Paese, di un cambio generazionale ai vertici delle imprese e di come il “vento” si possa migliorare.
In un periodo di grande complessità come è quello attuale cosa significa essere un giovane imprenditore? Siamo in un momento economico particolarmente impegnativo. Oggi come oggi è difficile avere una prospettiva ma bisogna crearla. Per essere un imprenditore in tempi come questi è necessario pensare a lungo termine, non concentrarsi sul breve periodo. Questo significa innovare e quindi investire. È una scelta rischiosa soprattutto alla luce del fatto che non ci sono aiuti. Sono passati i tempi in cui lo Stato e gli istituti bancari sostenevano economicamente nuovi progetti o imprese, adesso non ci sono supporti.
Questo vale sia per aziende consolidate come può essere la nostra sia per un giovane che vuole iniziare una nuova attività imprenditoriale. Ora come ora è difficile se non si hanno mezzi propri. È una scelta importante e sottolineo ad alto rischio ma che ora come ora è necessaria. In riferimento al sostegno alle imprese, secondo lei è un problema generalizzato? È una situazione che si presenta prevalentemente in Italia. All’estero, soprattutto negli Stati Uniti ma anche nel resto d’Europa le banche concedono maggiori fi nanziamenti a nuove realtà e all’innovazione in generale. Il nostro Paese è tradizional49
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Gruppo Cumini. Lo stile unico del total living
Store Cumini a Gemona
mente restio ad investire, ora vista la crisi lo è ancora di più. Le è stato conferito il premio 2011 di Giovane Imprenditore di Confcommercio e la sua è forse una prospettiva privilegiata. Qual è la sua opinione sui giovani e il mondo del lavoro. Secondo lei quali sono le qualità che bisogna avere per entrare nel mondo del lavoro? E quali quelle per emergere? Bisognerebbe tornare un po’ all’antico. Le università, a mio parere, danno una buona formazione ma i ragazzi pretendono di
“Oggi come oggi è difficile avere una prospettiva ma bisogna crearla. Per essere un imprenditore in tempi come questi è necessario pensare a lungo termine, non concentrarsi sul breve periodo. Questo significa innovare e quindi investire” entrare in azienda e da subito occupare posizioni dirigenziali. Ci vorrebbe una buona dose di umiltà in più e la capacità di adattarsi, soprattutto i primi tempi ma anche in seguito. Non si può cercare 50
Andrea Cumini è il marketing manager del Gruppo Cumini, azienda storica del Nordest, nata nel 1950 in Friuli Venezia Giulia. Sei punti vendita in Italia per un nome conosciuto anche all’estero come sinonimo di stile: Cumini Moda, Cumini City e Cumini City Accessories per il mondo dell’abbigliamento e degli accessori; Cumini Casa, Cumini Store e Cumini Emporio per tutto ciò che riguarda l’abitare. Cumini ha sempre potuto vantare una clientela altamente fidelizzata ma negli ultimi anni la strategia dell’azienda, e del suo marketing manager in testa, è stata quella di puntare sul brand e sulla sua identità. Attraverso l’uso attento dei nuovi media, soprattutto dei social network, Andrea Cumini ha trasmesso un messaggio di stile e design ed è riuscito a dare al marchio quella riconoscibilità che prima non aveva e che negli ultimi anni ha assunto sempre più importanza. “Total living”, uno stile unico che coinvolge moda e design, questa è l’idea del gruppo che da oltre 60 anni ricerca e seleziona le nuove tendenze, anticipando i trend. In quest’ottica è nata Cumini Gallery, dedicata all’interno del punto vendita Cumini di Gemona. Uno spazio espositivo dove ospitare mostre, presentazioni e rassegne d’arte e design. |
il lavoro a cinque minuti da casa. La flessibilità è la qualità che i giovani dovrebbero avere, accompagnata dall’attitudine a rimettersi in gioco. Ci vuole maggiore mobilità internazionale. Con questo non intendo dire che per avere successo sia necessario trasferirsi all’estero ma la predisposizione a viaggiare e a spostarsi anche in diverse città è sicuramente un valore aggiunto per chi cerca lavoro. Alla luce di quanto appena detto mi sembra che lei non condivida l’idea del posto fisso? Direi di no. È una peculiarità solo italiana quella di cercare, di ambire, a un lavoro per tutta la vita. All’estero non c’è la volontà di restare sempre nello stesso posto, di fare sempre lo stesso lavoro anzi … c’è voglia di cambiare, di crescere, di provare realtà lavorative nuove per migliorare. Questa necessità di rimettersi in gioco è sinonimo di maggiore apertura mentale e quindi tendenzialmente di una maggiore predisposizione alle materie umanistiche più che a quelle prettamente tecniche? Dipende da persona a persona ma in generale si può dire che è così. Negli ultimi anni si è assistito ad una maggiore valorizzazione dei soggetti indirizzati verso discipline umanistiche. Non solo ingegneria quindi ma anche lettere, psicologia, sono materie che più di altre in-
fluiscono sulla versatilità di una persona, sulla capacità di adattarsi e di apprendere da ogni situazione senza paura di rimettersi in gioco. La sua è un’azienda dalla lunga tradizione. Come si sta svolgendo e cosa comporta secondo lei il cambio generazionale in Cumini? Il passaggio generazionale per noi è costante e continuo. È un processo perenne che avviene in modo naturale e che deve passare attraverso la condivisione delle competenze. Non è sufficiente entrare nel consiglio di amministrazione. I giovani devono ricoprire cariche operative e di responsabilità in modo che portino del nuovo in azienda. In Cumini sono passate ormai 3 generazioni e ognuna ha contribuito a rendere l’azienda quello che è oggi. È un modo di operare che non sempre viene condiviso dalle aziende in Italia. Chi sta in alto deve adeguarsi, i giovani, chiaramente se vogliono crescere (perché c’è chi è ben felice di non avere alcuna responsabilità) devono stare nel cuore dell’attività. |
Un giovane che non lotta e non vince sperpera il meglio della sua giovinezza Carl Gustav Jung
www.cumini.it
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Water care:
tecnologia, design e qualità per proteggere il
pianeta
In anni in cui il risparmio energetico e la tutela dell’ambiente sono fattori determinanti, Grohe, azienda leader a livello mondiale nel settore idrotermosanitario, si pone come esempio di ecostenibilità di prodotto e di processo produttivo senza dimenticare il design e i suoi elevati standard qualitativi
La responsabilità ambientale è la loro fi losofia aziendale. Tecnologia, design e qualità sono i loro punti di forza. Stiamo parlando di Grohe, multinazionale operante nel settore idrotermosanitario, un campo ad alta competitività, ma dove l’esperienza e gli elevati standard tecnici e qualitativi sono valsi a questa azienda la posizione di leadership in Italia così come nel resto del mondo. Water care è la formula che riassume la concezione che sta alla base del lavoro di Grohe. Prodotti non solo esteticamente curati, di qualità e tecnologicamente all’avanguardia ma anche a basso impatto ambientale. In quest’ottica sono state lanciate diverse linee di prodotto, dai termostatici, ai sistemi di sciacquo Dual Flush ai rubinetti elettronici, dotate del sistema Grohe Ecojoy e da giugno anche di Power&Soul. “Queste tecnologie inno52
vative – ha dichiarato Roberto Cassanelli direttore marketing dell’azienda - permettono un considerevole risparmio d’acqua. Ecojoy, una tecnologia brevettata da noi, arriva a ridurne il consumo fino al 40% e Power&Soul, una nuova manopola doccia, che incorpora al suo interno il sistema GROHE Rain O2 che miscelando acqua e aria diminuisce il quantitativo d’acqua impiegata mantenendo il flusso perfetto e abbondante”. Consumare meno acqua significa anche diminuire l’impiego di risorse per riscaldarla quindi il risparmio si estende anche a livello energetico.
Azienda di successo
Fasi di produzione
Negli ultimi anni, in parte a causa della situazione economico finanziaria, si è assistito ad una sempre maggiore attenzione, da parte del consumatore, dei prodotti a risparmio energetico. Per questo a livello europeo è stato creato un sistema di etichettatura per permettere al cliente di orientarsi tra i tanti prodotti disponibili. Nel settore idrotermosanitario la certificazione è denominata WELL (Water Efficiency Label) e ben sette delle linee di miscelatori GROHE l’hanno meritata raggiungendo la classe A**, la migliore della categoria. “Oggi come oggi – ha continuato Cassanelli - gli acquisti d’impulso stanno via via scomparendo. Le persone valutano sempre più attentamente i prodotti da comprare e il risparmio energetico è sicuramente uno degli aspetti tenuto in maggiore considerazione”. Per Grohe la tutela dell’ambiente non si ferma a livello di prodotto fi nale. È un elemento cardine della cultura aziendale e per questo incide su tutto il processo produttivo. L’azienda è impegnata nella trasmissione di un messaggio positivo e virtuoso verso tutti i player del settore, in primo luogo interni all’azienda come management e impiegati, in secondo luogo all’esterno verso clienti e rivenditori. L’impiego di materiali riciclati, la raccolta differenziata e, con l’avvento delle nuove tecnologie, la scelta di limitare l’uso di comunicazioni cartacee a favore di quelle digitali, sono solo alcune delle procedure che Grohe ha scelto di impiegare a livello gestionale e che dimostrano la volontà
concreta dell’azienda di proteggere la natura. Altri esempi importanti ci vengono da un progetto, partito in via sperimentale nel 2007 in Germania ed esteso poi nel resto del mondo, volto a calcolare le emissioni di gas a effetto serra e l’impiego di tecnologie di ultima generazione per monitorare costantemente l’impatto che il proprio processo produttivo genera a livel-
ambientale non è l’unico punto forte dei prodotti Grohe. Il design delle sue collezioni è sicuramente un fattore importante per quest’azienda che dal 1970 ha seguito l’evolversi della concezione dello “spazio bagno”. Dai grandi bagni di epoca romana, luoghi di socializzazione oltre che di relax si è passati, negli Anni ’50 – ’60, ad una concezione puramente funzionalista. “Fino agli
Water care è la formula che riassume la concezione che sta alla base del lavoro di Grohe. Prodotti non solo esteticamente curati, di qualità e tecnologicamente all’avanguardia ma anche a basso impatto ambientale lo d’inquinamento delle falde acquifere. Grazie a questo molti dei prodotti Grohe rispondono ai requisiti LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), standard applicato in oltre 100 paesi nel mondo, per la costruzione di edifici sostenibili, sia dal punto di vista energetico che dal punto di vista del consumo di tutte le risorse ambientali coinvolte nel processo di realizzazione. Come anticipato la sostenibilità 53
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marzo - maggio 2012
Dettaglio di prodotto
Anni ’60 – ha spiegato Roberto Cassanelli - la stanza da bagno è stata poco considerata. Oggi invece sta acquistando sempre più quote di mercato, sta tornando ad essere un luogo di relax ed è curata fin nei minimi dettagli. Per questo, negli ultimi anni, stiamo puntando molto sul design dei nostri prodotti. Stiamo lavorando perché nella percezione che i nostri clienti hanno di noi ci sia uno spostamento, dalla tecnologia all’emozione”.
L’impiego di materiali riciclati, la raccolta differenziata e, con l’avvento delle nuove tecnologie, la scelta di limitare l’uso di comunicazioni cartacee a favore di quelle digitali sono solo alcune delle procedure che Grohe ha scelto di impiegare a livello gestionale e che dimostrano la volontà concreta dell’azienda di proteggere la natura In quest’ottica la società ha in programma un’importante collaborazione, voluta proprio da Cassanelli, con lo IED per la progettazione del nuovo showroom di Milano. “Chi meglio degli studenti dello IED – ha detto Cassanelli – può sviluppare idee dal design all’avanguardia. Coloro che presenteranno i progetti migliori avranno anche la possibilità di fare un’esperienza diretta in azienda”. Legata a questa volontà di emozionare il consumatore finale, che per il 2012 può essere considerata il pay off per questa azienda, è l’inaugurazione, in occasione del Fuorisalone 2012, del nuovo showroom in centro a Milano. Un investimento importante, soprattutto oggi, ma che testimonia la volontà di Grohe di indirizzarsi sempre di più verso un mercato consumer, non più solo legato a distributori e installatori come era in passato. “Un po’ controcorrente rispetto alle altre aziende – ha dichiarato Cassanelli – soprattutto in tempi di grande difficoltà come quelli attuali, la nostra azienda ha scelto di trasferirsi in città. Abbiamo fatto un investimento importante, giustificato dal fatto che il nostro obiettivo è 54
avvicinarci al cliente finale. Per questo, nello showroom saranno esposti rubinetti e miscelatori funzionanti, per dare modo ai visitatori di toccare con mano l’elevata qualità dei nostri prodotti.” |
In tutte le cose della natura esiste qualcosa di meraviglioso Aristotele www.grohe.it
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non-crescita “confidence fairy” La dei salari: produttività, investimenti, e
La produttività del lavoro in Italia è diminuita dal 2000 ad oggi e i salari restano relativamente bassi rispetto a quelli di altri Paesi europei. I motivi sono legati a una mancanza atavica di investimenti e innovazione. Per uscire dalla crisi è indispensabile incentivare la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese testo di Luca Macedoni e Andrea Rongone, con introduzione di Fabio Sdogati, docente di Economia Internazionale al Politecnico di Milano Le discussioni tra governo e parti sociali sulle tematiche del mercato del lavoro italiano si stanno trascinando da mesi, ed è difficile vederne una conclusione operativa. Secondo noi, infatti, i problemi in discussione non sono quelli veri dell’economia italiana. Mi verrebbe da dire che siamo grosso modo in questa situazione: il serbatoio dell’auto è vuoto, e per tornare a viaggiare ci si sta ostinando ad aggiungere olio al motore - magari ne manca un poco, ma forse il problema principale non è il carburante?! Il problema del mercato del lavoro italiano è l’assenza di domanda di lavoro da parte delle imprese. Il Paese è in recessione e le imprese vogliono liberarsi di forza lavoro, e liberarsene a basso costo: ecco di che cosa si parla. Mentre si dovrebbe parlare
di rilancio dell’economia, della creazione di posti di lavoro altamente qualificato mediante investimenti produttivi nei settori cutting edge della tecnologia, delle comunicazioni, della connettività, dei trasporti, e via ripetendo. La nostra non è una posizione ideologica, ma drammaticamente radicata nei fatti. Che vengono ben presentati e ben discussi nello studio che riportiamo qui di seguito. (F.S.) Lo stipendio medio annuo di un lavoratore dipendente impiegato in un’impresa italiana è pari a 23.406 euro. A dircelo è Eurostat, che il 24 febbraio ha pubblicato le statistiche relative all’anno 2009 di tutti i Paesi dell’Unione Europea. Meno dell’Irlanda, meno della Spagna, meno di Cipro, poco più del poverissimo Portogallo. Ma noi non ne siamo stupiti.
E allora qual è il problema dell’Italia, o meglio, delle imprese che operano nel nostro Paese? Secondo il ministro Fornero, i lavoratori dipendenti sono così tutelati, così protetti e coccolati dall’articolo 18, al punto che le imprese non possono licenziare i dipendenti poco volenterosi, e la produttività delle imprese diminuisce. Il merito del neo-ministro, se ve n’è uno rispetto ai governi precedenti, è quello di avere un’opinione sul tema, dopo anni di falsi proclami, strizzate d’occhio a Confidustria e sindacati, e continui “nulla di fatto”. Che l’Italia abbia un problema di produttività è palese. Il nostro Paese, unico tra quelli ad alto reddito pro-capite, ha visto la produttività del lavoro diminuire dal 2000 ad oggi. La teoria economica ci insegna che un dipendente che produce dieci unità di pro-
Tabella 1 - Produttività del lavoro (prodotti finali all’ora per unità di lavoro, 2002= =100) Year
1980
1990
2000
2003
2007
2008
2009
United States
31,9
41,7
58,1
88,8
108,2
135,2
135,7
146,2
France
29,0
42,9
63,6
94,0
104,5
116,2
115,1
106,8 111,0
Germany
36,7
54,5
69,8
96,5
103,6
122,7
122,4
Italy
30,0
56,8
78,1
100,9
97,9
103,1
99,4
93,5
Japan
28,4
47,9
70,9
98,5
106,8
127,6
127,9
113,3
Korea
NA
NA
33,3
90,8
106,8
156,1
157,2
160,1
Spain
NA
57,9
80,0
97,4
102,5
110,9
109,3
108,4
Taiwan
NA
28,6
52,5
85,6
107,2
143,2
145,5
152,4
United Kingdom
35,5
44,7
70,1
93,5
104,3
123,8
124,0
119,8
Fonte: Beaureau of Labor Statistics
56
1970
Salari e produttività
dotto guadagnerà, all’incirca, il doppio di chi ne produce cinque. Se la produttività del lavoro aumenta, a parità di tutto il resto, i salari medi possono aumentare. Quindi non ci stupisce affatto che l’Italia sia un Paese il cui salario medio è relativamente basso rispetto a quello di altri Paesi europei. Piuttosto, ci stupisce la reazione del Ministro, e la non-reazione di Confidustria, e delle parti sociali. In Germania, che ha una struttura produttiva e una dimensione comparabile al nostro Paese, il valore dello stipendio medio annuo è di 41.100 euro. È possibile spiegare una differenza di 18.000 euro nel salario medio con un’inefficienza di mercato? Davvero gli operai tedeschi guadagnano quasi il doppio degli italiani perché hanno più voglia di lavorare? O perché sono minacciati dalla possibilità di essere licenziati in caso di inefficienza? Noi ci sentiamo di rispondere “no, no, e ancora no” a tutte queste domande. Il problema delle imprese italiane non è quello di trovare il modo
di licenziare le mele marce. Anzi, quegli strumenti esistono già, e sono anche ben normati. Noi crediamo che la produttività del lavoro diminuisca per la mancanza di investimenti, ed in particolare per la mancanza di investimenti in capitale fisico ed umano.
Lo stipendio medio annuo di un lavoratore dipendente in un’impresa italiana è di 23.406 Euro, meno dell’Irlanda e di Cipro. In Germania il valore dello stipendio medio annuo è di 41.100 euro Torniamo all’esempio precedente, e ammettiamo che al lavoratore che produceva cinque pezzi all’ora sia data una macchina che gli permette di produrne trenta. Ammettiamo pure che non abbia troppa voglia di lavorare, e che invece di trenta pezzi ne pro57
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Tabella 2 - Salario medio pro-capite (€)), 2005 - 2009 Paese//Anno
2005
€
Totale
Belgio
2009
Uomini
Donne
Totale
Uomini
Donne
36673
37822
32715
40698
41471
37350
Bulgaria
1978
2199
1697
4085
4475
3540
Repubblica Ceca
7405
8285
5925
10663
11939
8576
Danimarca
47529
50676
40884
56044
59608
48891
Germania
38700
41200
31500
41100
43400
33900
Irlanda
40462
43478
33726
39858
42965
32768
29160
31233
25291
Grecia Spagna
20333
21772
17187
26316
28059
22761
Francia
30521
32316
26586
33574
35501
29456
Italia
22657
Cipro
20549
23726
15887
24773
29283
20049
Lettonia
4246
4700
3674
8727
9653
7648
Lituania
4770
5176
4205
7406
8130
6504
23406
Fonte: Eurostat
duca venti. Il suo stipendio sarà comunque il doppio del lavoratore che produceva dieci pezzi! Quindi in Italia abbiamo una mancanza atavica di investimenti, non dipendenti poco volenterosi. Perché non investiamo, perché non innoviamo? Perché, prima di tutto, le nostre imprese non crescono. Un tessuto produttivo cresciuto auspicando di rimanere piccoli, occupando le nicchie di mercato, basato su distretti industriali di micro-imprese si è rivelato dannoso nel lungo periodo. Il nanismo
“Sarebbe meglio, forse, incentivare la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese per vedere i nostri salari e i nostri redditi crescere, e, per uscire da questa crisi, stimolare l’investimento privato aumentando la domanda del settore pubblico” industriale italiano ha origini lontane: Marcello de Cecco individua nello sciopero degli investimenti degli anni ’60 il primo fattore che ha modificato la struttura produttiva del Bel Paese, rendendola enormemente diversa da quella delle altre potenze industriali europee e dal Giappone. L’assenza di investimenti nel decennio 1963-1973 ha portato l’Italia a soff rire di una cronica assenza di competitività, 58
all’alba degli shock petroliferi. La via italiana alla competitività è quella delle svalutazioni competitive, che diventano, per vent’anni, il principale strumento di politica economica. Le svalutazioni della lira, le tutele ai lavoratori garantite solo alle imprese di grandi dimensioni, e un “decentramento produttivo” che trasformava medie e grandi imprese in microaziende invisibili al fisco, non generano certo gli incentivi necessari agli investimenti e alla produttività. E al tempo stesso, generano una domanda strutturale di lavoro a bassa qualificazione tecnologica: gli imprenditori non hanno bisogno né di nuovi macchinari, né di dipendenti qualificati, formati, o laureati1. Una recente analisi dell’Economist ha mostrato la correlazione negativa tra dimensione delle imprese e crescita della produttività. Come ci aspettavamo, più un Paese impiega i suoi lavoratori in microimprese e più la produttività rimane bassa. Non è un caso che più del 90% dei lavoratori tedeschi sia impiegato in medie e grandi imprese, mentre la più grande diff usione di piccole imprese si registri in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. (http://www.economist.com/blogs/ freeexchange/2012/03/productivity) Con la fine delle svalutazioni competitive negli anni ’90, i nodi vengono al pettine. Quindi la fuga dei cervelli, la produttività calante, e i salari bloccati. La crisi del 2007 non ha fatto altro che esacerbare i problemi: il crollo della domanda mondiale accelera le pressioni competitive tra imprese e le prime a soccombere sono quelle che non hanno investito negli ultimi anni. Come risolviamo il problema? C’è chi
auspica di modificare il mercato del lavoro in uscita. Tocchiamo l’articolo 18 e le imprese verranno a investire in Italia – dicono – perché troveranno condizioni di investimento migliori. Non regolamentate, appunto, quasi “cinesi”. Come se ci fosse una “confidence fairy”2 che spinga le imprese a investire laddove il costo del lavoro è più basso, laddove il mercato è liberalizzato, laddove il sindacato diminuisce le proprie richieste. Ma potremo mai competere con la Cina, con il Vietnam, con il Bangladesh se percorriamo questa strada? Insomma, davvero si può pensare che togliere tutele al lavoro genererà investimenti e produttività? Sarebbe meglio, forse, incentivare la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese per vedere i nostri salari e i nostri redditi crescere, e, per uscire da questa crisi, stimolare l’investimento privato aumentando la domanda del settore pubblico. Domanda che potrebbe essere rivolta verso quel lavoro qualificato raramente richiesto dalle imprese italiane e che cerca fortuna e salari migliori all’estero. Ma, anche stanotte, aspetteremo la nostra fatina. |
1.
2.
Marcello de Cecco, L’Italia grande potenza: la realtà del mito; Storia Economica d’Italia, Banca Intesa Laterza – 2004. De Cecco, Le privatizzazioni nell’ industria manifatturiera italiana, Donzelli Editore, 2000. L’espressione, coniata dal premio Nobel per l’economia Paul Krugman in The Conscience of a Liberal, 2009, è utilizzata per spiegare inesistenti prospettive d’ investimento. Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare Winston Churchill www.polimi.it
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marzo - maggio 2012
L’alluminio
“made in Metra” L’azienda bresciana è tra le prime a livello nazionale e internazionale per l’estrusione dell’alluminio. Il presidente Bruno Bertoli racconta i traguardi e i successi di un Gruppo che anche in tempi di crisi investe una media di 15 milioni di euro l’anno in innovazione
Bruno Bertoli, presidente di Metra
Vista aerea della sede di Metra
60
Formazione, investimenti continui in innovazione e tanta passione. Il risultato sono cinquant’anni di storia segnati da traguardi, primati e molte soddisfazioni. È la storia del Gruppo Metra, di Rodengo Saiano, nel bresciano, specialista nell’estrusione delle leghe d’alluminio e nel completo controllo di tutte le fasi del processo produttivo, dalla materia prima al prodotto finito (fonderia, estrusione, finiture superficiali e lavorazioni), per la produzione di profi lati per l’industria, trasporti ed edilizia. Metra ha lasciato il segno su luoghi simbolo a livello internazionale quali la piramide del Louvre, la conchiglia del quartier generale di Al Dar ad Abu Dabi, il grattacielo Pirelli di Milano e le due sedi dell’Europarlamento a Bruxelles e a Strasburgo. Ad oggi il Gruppo, di proprietà delle famiglie bresciane Bertoli, Giacomelli, Marinelli e Zanetti, è forte di un fatturato di circa 260 milioni di euro e di un organico di circa 1200 persone. Numeri importanti che resistono ai colpi della crisi grazie, soprattutto, a una media di 15 milioni di euro che annualmente vengono investiti in innovazione, anche se si è registrata una lieve flessione di fatturato dovuta al contesto internazionale. “Nei momenti di crisi è importantissimo non abbassare la testa – ci spiega Bruno Bertoli, Presidente di Metra -. E’ necessario invece continuare a investire e guardare al futuro”. Il libro dei ricordi del Gruppo Metra si apre nel 1962, anno della sua fondazione.
Storia d’impresa
Fasi della lavorazione dell’alluminio
“Cinquant’anni fa – prosegue Bertoli – siamo entrati in un settore dove si facevano cose banali, prodotti standard. Con il tempo ci siamo resi conti che in questo tipo di lavorazione dell’alluminio poteva esserci un valore aggiunto che andava diff uso presso i progettisti, ergo la possibilità di passare da un tondo pieno e un trafi lato che può assumere forme diversissime, di varie dimensioni. In questo modo siamo andati a creare spazi nuovi per i progettisti dell’edilizia, della meccanica, dell’automobile e di tutti quei settori che utilizzano l’alluminio”. Il Gruppo la chiama “cultura dell’alluminio” e in quanto tale va diff usa e promossa, soprattutto tra chi decide, affiancando quando possibile le scuole e le università. “Nel corso degli anni abbiamo cercato di colmare le lacune culturali che spesso ci sono per questo settore attraverso una serie di iniziative di sensibilizzazione sull’utilizzo dell’alluminio – spiega il Presidente -. Tra i vari progetti di cui siamo promotori ricordo i corsi di formazione, le borse di studio, gli stage con le scuole tecniche superiori, premi per corsi o laboratori presso le facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e di Milano, il Concorso Internazionale Sistema d’Autore, il premio per la Miglior Tesi di Laurea sull’alluminio e i corsi di formazione per progettisti e costruttori”. Ed è stata proprio la continua ricerca e la volontà di innovare a portare Metra ai primi
“Il meglio che un leader può fare è capire che il cambiamento non è solo parte della realtà, ma è una necessità. Adattabilità a fronte di eventi imprevisti, questo è il segno distintivo dei più grandi manager” posti in Italia e in Europa per l’estrusione dell’alluminio per l’architettura e l’industria. Il motto coniato da Bertoli stesso “Fare cose difficili in modo semplice” è diventato il cuore di quel “Made in Metra” che firma ogni lavoro che esce dagli stabilimenti del Gruppo. “Ogni profi lato realizzato – spiega il Presidente – è frutto di anni di studi su leghe, resistenze meccaniche e resistenze alla fatica ma alla fi ne riusciamo a realizzare prodotti di grandi dimensioni e dalle forme complesse, impiegati nei settori più svariati, edifici, grattacieli, treni e tram, navi da crociera e da trasporto”. Ed è così che Metra è passata, nel giro di cinquant’anni da una pressa con una potenza massima di 1000 tonnellate alle nove presse di oggi, una delle quali sei volte più potente (6050 t) che le ha permesso di raggiungere primati importanti a livello internazionale e di assestarsi tra i primi tre produttori mondiali nel settore dei trasporti dei treni. Ad oggi il mercato estero copre una fetta fondamentale per il bilancio del Gruppo: “L’esportazione diretta che facciamo sui mercati esteri supera il 40 percento, quella indiretta il
60 percento – spiega Bruno Bertoli -. Tutta l’esportazione indiretta è di prodotti di gamma medio-alta e si tratta naturalmente di prodotti completamente Made in Italy”. Tra i clienti di Metra ci sono piccole, medie e grandi imprese del nostro Paese e non solo. Un mercato diversificato a cui l’azienda continua a fare fronte grazie a due servizi differenziati: per le grandi imprese è stata costituta la società Metra Componenti che si occupa delle lavorazioni meccaniche su profi lati a disegno per l’industria e lavorazioni meccaniche su grandi estrusi in barre fi no a 25 metri per il settore ferroviario. “Con l’impresa Bombardier ad esempio lavoriamo settimanalmente barre fino a 25 metri che vanno direttamente nei loro stabilimenti per preparare le carrozze dei treni”. L’efficienza del servizio è assicurata anche ai serramentisti grazie ai due poli logistici, a Rodengo Saiano e in Sicilia e un altro polo di distribuzione in Puglia che garantiscono tempi di consegna per i prodotti grezzi al massimo di tre giorni. Un’altra direttrice su cui Metra costruisce il proprio successo è quella dell’ecosostenibilità, sia sul fronte dei processi produttivi sia della vita aziendale stessa. Infatti l’azienda nel corso degli anni ha messo a punto una strategia finalizzata all’adozione di nuove lavorazioni, proce61
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marzo - maggio 2012
Panoramica della zona produttiva
I numeri di Metra Le aree di mercato nelle quali METRA opera sono rappresentate dai comparti delle applicazioni in architettura-edilizia e delle realizzazioni di profilati per l’industria. In quest’ultimo comparto gli ambiti maggiormente significativi si trovano nei settori dei trasporti, delle costruzioni meccaniche, della pneumatica, dell’automazione, dell’arredamento e delle attrezzature domestiche, elettrodomestiche, elettrotecnica, imballaggio, impiantistica, delle attrezzature sportive, solo per citarne alcuni. Recente l’ingresso anche nel settore navale con la costituzione di una specifica divisione: METRA Marine, la cui attività è mirata alla realizzazione di estrusi e profilati speciali per la realizzazione di yacht e navi da crociera. Con una capacità produttiva annua di oltre 90.000 tonnellate di profilati di alluminio, una capacità di verniciatura di oltre 40.000 t/anno e di anodizzazione di oltre 8.000 t/ anno, 9 presse installate (con potenze da 1.800 t a 6.050 t), oltre 1.000 dipendenti, 7 stabilimenti in Italia, 1 in Canada e 1 in Polonia, il Gruppo METRA conta oggi – oltre a una capillare copertura del territorio italiano con 3 grandi poli logistici (Brescia, Trani e Ragusa) – su una solida presenza all’estero con 30 punti vendita dislocati nei maggiori Paesi europei, confermandosi leader in Italia e grande protagonista in Europa e nel mondo. | 62
Alcune opere realizzate con l’alluminio Metra
dure e impianti in grado di ottimizzare il processo produttivo quali il recupero delle acque e dei fumi, il riciclo dell’alluminio e il contenimento del consumo energetico. “I nostri serramenti sono tutti a basso impatto ambientale – spiega Bertoli – e risponde a quelle che sono le normative in vigore nella Comunità Europea. Inoltre facciamo parte come Metra di un consorzio creato dall’Associazione Industriali Bresciani insieme ad altre aziende simili e ci siamo organizzati per anticipare le normative europee in fatto di prelievi per la verifica dei fumi”. L’azienda sta portando avanti la sua battaglia ecosostenibile anche sul fronte interno attraverso la realizzazione di un sistema di teleriscaldamento che sfrutta il calore ricavato dalla fonderia”. Questo 2012 segna il traguardo dei primi 50 anni di vita del Gruppo Metra. Un traguardo raggiunto prima di tutto con la passione. “Quando l’azienda è nata – racconta il Presidente – io portavo ancora i calzoni corti ma vivevo già questa realtà e già allora mi ero innamorato del profumo di questi ambienti. Di quegli anni è rimasto la fedeltà a certi valori,
al lavoro e la passione. È rimasto l’orgoglio e l’attaccamento all’azienda. Oggi questi valori li stiamo trasmettendo ai nostri figli, alla terza generazione”. Per il suo anniversario, Metra ha in programma, nel corso del 2012, una serie di iniziative che vanno dall’Open Day per le famiglie dei dipendenti, un concorso fotografico per i dipendenti fino ad arrivare a incontri-workshop, sui progetti o i temi caldi portati avanti in questi anni quali logistica, formazione e cultura, certificazioni, finiture, nuovi prodotti, tecnologia, mercato, comunicazione, ecosostenibilità. Nel futuro di Metra ci sono i giovani e la volontà di guardare al nuovo: “Difficilmente usciremo dalla crisi facendo gli stessi prodotti, con gli stessi clienti e negli stessi mercati – conclude Bruno Bertoli -. Abbiamo bisogno di prodotti nuovi con clienti nuovi e mercati nuovi ed è per questo motivo che la spinta dei giovani è fondamentale”. | Non si tratta di pensare di più, quanto di pensare diversamente. Jean Marie Domeneque www.metra.it
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marzo - maggio 2012
Nuovi scenari del
“Quarto Potere” La storia ci ha insegnato che l’informazione ha sempre avuto un ruolo determinante nello sviluppo della società, ruolo che negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente insieme allo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione. Vediamo in che modo e fi no a che punto questo potere viene esercitato
testo di Leonardo Marabini Esperto di comunicazione e marketing Direttore commerciale e marketing di Kilometro Rosso
Che l’informazione sia un incredibile strumento di potere lo spiegava già 70 anni fa Orson Welles col suo magistrale “Quarto Potere”, il titolo diceva già tutto. Ciò che invece sfugge a molti sono due aspetti, che talvolta contano più della notizia stessa: il “come” questa viene data, e …perchè altre notizie non siano state date. Partiamo da quest’ultimo. Quando lavoravo nel dipartimento marketing di un grosso quotidiano nazionale, i colleghi giornalisti mi spiegavano come solo il 7% delle informazioni che ogni giorno arrivavano in redazione veniva poi tradotto in articolo. Estremizzando, e con tutti i limiti che le semplificazioni comportano, potremmo dire che veniamo a conoscenza di solo 1 informazione su 10 disponibili. La stragrande maggioranza delle note d’agenzia o dei comunicati stampa non hanno quindi un seguito sull’edizione del giorno dopo. Au reverse, non è una novità che l’italiano medio è da anni nauseato dalla politica, eppure le prime pagine dei quotidiani e dei tele-radiogiornali sono spesso monopolizzate dalle dichiarazioni dei vari leader di partito. Cosa spiega queste presunte anomalie? Anzitutto, spesso l’informazione fornita in realtà non è affatto interessante. Chi la invia ai media è convinto che si tratti di qualcosa cui valga la pena dare la massima evidenza, mentre di fatto incuriosirebbe solo qualche suo parente. Ne scrivo con cognizione di causa, essendo io il primo a trasmettere ogni tanto dei comunicati il cui contenuto non credo cambierebbe le sorti dell’umanità, per usare un eufemismo. In secondo luogo, la selezione delle notizie pervenute viene operata anche per motivi di spazio: tutto non ci sta. Se pen64
siamo ai giornali del 12 settembre 2001, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, quella sola notizia ha monopolizzato tutti gli spazi dei media, rimandando al giorno successivo (in alcuni casi, le settimane successive) ogni altra informazione, ancorché degna di nota. Alcune fra quelle escluse sono persino cadute nel dimenticatoio perché nel frattempo divenute stantie, col che citiamo un altro criterio chiave di selezione: la tempistica. Tutte le testate, inoltre, hanno una propria linea editoriale, per rimanere fedeli alla quale è giusto che decidano in piena autonomia se e in che termini un’informazione debba essere trattata, e questo naturalmente contribuisce in maniera determinante all’ulteriore selezione del “divulgabile”. Infine, e saltando altri aspetti come la veridicità di presunte
Si potrebbe ora aprire un’ampia parentesi sul potere eccessivo di certi media (inferiore solo a quello delle agenzie di rating… e purtroppo non è una battuta), i quali sono in grado di creare dal nulla vere e proprie mode, nuove espressioni, nuove manie, ma anche di generare false psicosi, allarmismi spesso ingiustificati notizie – tutta da verificare -, le maglie della rete s’infittiscono quando si mette in pratica la più antica legge del giornalismo: “Una buona notizia, non è una notizia”. Certo vi sono delle eccezioni: un’emittente televisiva privata pochi anni fa ha ideato il “Tg Rosa”, fatto di sole buone notizie. Chi legge “Focus”, noto mensile italiano di scienza per non addetti ai lavori, sa che ogni edizione si apre con una rubrica intitolata “Le buone notizie”. Ed è seguitissima. Ma si tratta, appunto, di eccezioni. Passiamo ora all’importanza del “come” si trasmette una notizia. Pensiamo ai telegiornali nostrani più noti, quelli a diff usione nazionale. Fermo restando che ognuno ha i propri gusti, spesso dettati dall’orientamento politico, in effetti molti (è il mio caso) scelgono il TG sulla base di come ci ha abituato a dare le notizie. C’è chi ama lo stile Mentana del primissimo TG5, per il quale una notizia era tale solo se urlata, e chi come me preferisce il tono persino soporifero dei TG diretti da Mimum (rimpiango molto il suo TG2). Fosse solo una questione di voce poi: da qualche parte in Russia si sono inventati le telegiornaliste (…) che si denudano mentre leggono il notiziario. Al di là di questo caso limite, è fuori discussione che oramai tutti i media offrono le stesse notizie, a quel punto il lettore, l’ascoltatore o il telespettatore scelgono sulla base di criteri che esulano dal contenuto e si concentrano piuttosto sulla forma. Nel caso dei TG la questione è addirittura drammatica: i contenuti sono freschi come la frutta di fine stagione. L’italiano medio, categoria cui fieramente appartengo, è drogato d’informazione. Già alle 7 di mattina ascolta le notizie alla radio oppure si “sfoglia”
Comunicazione
Televideo o Mediavideo. Poi si mette in macchina ascoltando il tg-radio, arrivato in ufficio accende il PC ed ecco Internet: tutti nel corso della giornata diamo un’occhiata al sito di Corriere, Repubblica, Sole24Ore o del giornale locale, anche perché per molti la professione necessita l’essere aggiornati. Infine, magari in pausa pranzo si dà pure una lettura veloce al quotidiano “cartaceo”. Morale della favola: è matematicamente impossibile che il TG delle 13.00 e ancor più quello della sera ci raccontino qualcosa che già non sappiamo o che comunque sia realmente interessante. Così dobbiamo ammettere che programmi come Striscia la Notizia o Le Iene e simili sono fra i pochi che seguiamo in maniera meno distratta: perché fanno giornalismo d’inchiesta, di approfondimento, di denuncia, e ci raccontano finalmente qualcosa di nuovo e di diverso. In forma umoristica, certo, in forma di satira, magari con inviati travestiti come se fosse sempre carnevale. Ma ci raccontano le cose che veramente c’interessano: quan-
to ci stanno fregando quando facciamo il pieno di benzina, quanto è più economico il latte in polvere in Germania, quanto
La selezione delle notizie pervenute viene operata anche per motivi di spazio: tutto non ci sta. Se pensiamo ai giornali del 12 settembre 2001, all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, quella sola notizia ha monopolizzato tutti gli spazi dei media spreco di denaro viene fatto per strutture ospedaliere inutilizzate o quali manigoldi bussano alla nostra porta per fregarci soldi con vari stratagemmi. Ed ecco che
il contenuto, la notizia in sé, finalmente torna ad avere un peso maggiore. Che a darcela sia stato un tizio in tutina gialla e con una ventosa incollata in testa, poco importa. Si potrebbe ora aprire un’ampia parentesi sul potere eccessivo di certi media (inferiore solo a quello delle agenzie di rating… e purtroppo non è una battuta), i quali sono in grado di creare dal nulla vere e proprie mode, nuove espressioni, nuove manie, ma anche di generare false psicosi, allarmismi spesso ingiustificati. Giù la maschera: dietro le notizie ci sono spesso forti interessi, di politici, di aziende, di persone influenti in tutti i settori e ambiti decisionali. Ma non mi spingo oltre perché non è questa la sede più opportuna. E poi perché su B&G non facciamo eccezione: anche qui ci sono problemi di spazio! |
La galleria in cui siedono i reporter è diventata il quarto stato del regno Thomas Babington Macaulay
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Fra.mar “l’industria del pulito” guarda al futuro L’azienda bergamasca da sempre punta sulla qualità del servizio, sull’innovazione e sulla valorizzazione delle risorse umane. Aperto un Centro Polifunzionale al Kilometro Rosso dove verranno svolti studi per anticipare le esigenze del cliente 66
Azienda di successo
Francesco Maffeis presidente e fondatore di Fra.mar
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Innovare pur restando ben saldi ai pilastri della tradizione, dei valori familiari e al ruolo sociale ricoperto dall’azienda, perseguendo sempre la qualità nel servizio e nella gestione delle risorse umane. Un’innovazione raggiunta senza aver dovuto mai cedere a compromessi ma solo credendo e investendo nelle persone, in un patrimonio fatto di uomini e donne quotidianamente impegnate nel lavoro. Così, in oltre quarant’anni di vita, Francesco Maffeis è riuscito a costruire e a far crescere nel tempo la sua azienda, la Fra.mar di Costa di Mezzate, nel Bergamasco, leader lombarda nell’Industria del pulito. Un’azienda in cui la valorizzazione del personale, la formazione e la ricerca continua restano i capisaldi su cui continuare a investire. L’impegno di Maffeis, oggi aiutato in azienda dai suoi quattro figli, ha guidato l’impresa verso i suoi più importanti successi fatti di numeri (700 dipendenti, più di 600 clienti e un fatturato di 16 milioni di euro) ma soprattutto di valori veri e tangibili. “In questi quarant’anni – ha dichiarato Francesco Maffeis - la 68
nostra azienda è cresciuta e si è sviluppata ma il nostro maggior successo, nonché la mia più grande soddisfazione è che i valori su cui ho fondato Fra.mar sono rimasti gli stessi. Giorno dopo giorno lavoriamo con la stessa volontà, passione e determinazione a non rimandare mai. I nostri clienti sanno che, in qualunque caso possono affidarsi a noi ed essere certi della qualità del risultato finale”. La Fra.mar nasce nel 1970 dalla volontà e dall’intraprendenza del suo titolare nel creare un’azienda artigiana dedicata al settore delle pulizie. Maffeis, dodicesimo di quattordici figli, fin da giovanissimo aveva lavorato nel settore dell’edilizia, un campo che gli aveva permesso di imparare quanto siano delicati e importanti le attività di finitura. All’età di 24 anni apre la sua “Industria del pulito”, raccogliendo in quel “pulito” la passione, il mestiere e il valore stesso. L’azienda per Maffeis infatti non punta esclusivamente a fare numeri ma prima di tutto deve avere a cuore il proprio ruolo sociale, ergo le ricadute su chi vi lavora e nell’ambiente
circostante. Nasce da questa consapevolezza la forte attenzione che da sempre la Fra.mar rivolge ai 700 dipendenti, operatori che provengono da 37 paesi nel mondo e un’ampia fetta, circa l’85 percento, di donne lavoratrici tra cui molte mamme. Da qui l’idea di aprire un asilo nido interaziendale con l’obiettivo
Grande attenzione all’ambiente Da sempre Fra.mar ha un occhio di riguardo alla tutela dell’ambiente. L’impresa di Maffeis infatti è attivamente impegnata in una politica aziendale di prevenzione e salvaguardia ambientale, che si concretizza nella sensibile riduzione dell’utilizzo di materie plastiche, con un abbattimento di emissioni di anidride carbonica in ambiente pari a 33.600 chilogrammi all’anno e nella scelta di prodotti detergenti non dannosi, garantiti dal marchio Ecolabel. Una cultura del pulito che si declina quindi in tutte le funzioni di processo nel rispetto dei più elevati standard qualitativi, di tutte le normative di riferimento e della piena ecosostenibilità. La forte attenzione all’ambiente ha portato l’azienda allo studio e alla ricerca di prodotti per la pulizia dei pannelli fotovoltaici, con l’obiettivo di renderli ancora più efficienti. |
Azienda di successo
Fra. mar conta un organico di circa 700 persone, provenienti da 37 Paesi differenti. La componente femminile è pari all’85 percento
di off rire un importante servizio nella creazione di valore che va oltre il semplice rapporto tra impresa e lavoratori. “La nostra azienda – ha continuato il Commendatore Maffeis – è fatta di persone. Per noi non ci sono dipendenti ma collaboratori. È fondamentale che chi lavora in Fra.mar sia motivato, che ami il
Nel giro di più di quarant’anni quella piccola azienda artigiana di Costa di Mezzata è diventata leader a livello locale e tra le principali realtà a livello lombardo nel settore del cleaning. Il merito, tra le altre cose, va alla politica sui prezzi portata avanti, alla qualità del servizio e agli investimenti in innovazione e ricerca suo lavoro perché pulisca ogni luogo come fosse casa sua. Per questo abbiamo creato l’asilo interaziendale, perché le nostre collaboratrici aff rontino il lavoro con serenità sapendo che i figli sono in una struttura formato famiglia”. Nel giro di più di quarant’anni quella piccola azienda artigiana di Costa di Mezzata è diventata
leader a livello locale e tra le principali realtà a livello lombardo nel settore del cleaning. Il merito, tra le altre cose, va alla politica sui prezzi portata avanti, alla qualità del servizio e agli investimenti in innovazione e ricerca. Il Centro Polifunzionale voluto e realizzato da Fra.mar al Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso è la prova della volontà del suo titolare di non perdere il treno dell’innovazione e della formazione. La prima azione concreta della partnership Fra.mar - Kilometro Rosso infatti è stata il lancio di un Centro Formazione Permanente destinato, nell’ottica dell’eccellenza, ad integrare il percorso di specializzazione delle risorse umane dal punto di vista delle competenze tecniche e della relazione con il cliente. “La scelta di aprire un centro in Kilometro Rosso – ha spiegato il presidente di Fra.mar - rispecchia la nostra volontà di proiettarci verso il futuro. Qui verranno svolti degli studi per anticipare le esigenze del cliente”. Sono principalmente cinque i settori di intervento su cui Fra.mar opera e precisamente: industriale, ospedaliero-sanitario, grande distribuzione-commerciale, uffici-banche, amministrazioni pubbliche, civile-condominiale. Da più di vent’anni inoltre l’azienda ha introdotto una propria divisione interna, la Maf.Fra, specializzata negli interventi a ciclo completo di sanificazione e disinfestazione, oltre che nell’assistenza per tutte le problematiche di bonifica e risanamento ambientale legate ad esempio al trasporto e allo smaltimento di sostanze biologiche. “Ė difficile fare progetti oggi viste le complessità del periodo – ha concluso Maffeis – . Di idee ne abbiamo molte ma il contesto cambia ogni giorno. Posso dire che è nostra intenzione proseguire sulla strada dell’innovazione verso il cliente, continuando a seguirlo con cura e attenzione e migliorando l’intercomunicabilità, il dialogo, che in Fra.mar è sempre stato molto importante, in modo da garantire quella continuità che per noi rappresenta il bene comune.” |
Prima di produrre dei prodotti dobbiamo produrre degli uomini Konosuke Matsushita www.framar.it
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motivati migliori
Dipendenti più vuol dire dipendenti
non
Secondo uno ricerca di portata internazionale, fedeltà nei confronti della propria società e proattività non vanno di pari passo. Lo studio condotto dal 2009 al 2011 ha messo in luce quattro tipi di coinvolgimento lavorativo, più o meno utili a seconda del mercato di riferimento. Abbiamo chiesto a Veronica Hope Hailey, uno dei ricercatori responsabili della ricerca, di spiegarci di cosa si tratta
Chi credeva che avere dipendenti fedeli e motivati fosse la scelta migliore deve ricredersi. Una nuova ricerca di portata internazionale ha dimostrato che esistono quattro diversi tipi di coinvolgimento lavorativo e che i dipendenti più entusiasti e legati all’azienda sono quelli meno proattivi. Lo studio, svoltosi tra il 2009 e il 2011, è stato condotto da Veronica Hope Hailey della Cass Business School, City University di Londra insieme a Elaine Farndale e Marc van Veldhoven della Tilburg University e Clare Kelliher della Cranfield School of Management e ha esaminato 70
quattro multinazionali, tra cui GKN, AkzoNobel e Tesco HSC in Gran Bretagna, Olanda, India e Cina. Nel corso dell’intervista Veronica Hope Haley spiega in che modo è stata condotta la ricerca e perché i risultati di questo studio possono essere utili ai manager, soprattutto in un periodo ricco di complessità come quello in cui operano le aziende oggi. In base al mercato in cui si lavora è meglio avere dipendenti con diversi tipi di coinvolgimento e i manager dovrebbero essere maggiormente coinvolti nella selezione del personale, momento importante delle strategie aziendali. Meglio avere
dipendenti più motivati o più produttivi? La scelta è una questione di priorità. Prima di aff rontare i risultati parliamo della ricerca. Come si è svolta concretamente? Volevamo verificare se i driver e le definizioni di coinvolgimento dei dipendenti sono influenzati da fattori cross-culturali o se sono applicabili universalmente. Per questo motivo abbiamo esaminato le multinazionali che operano in un certo numero di paesi diversi. In particolare, abbiamo voluto esaminare l’impegno dei dipendenti in India e in Cina in conside-
Human resources
razione del fatto che stanno emergendo come potenti economie. Il legame tra impegno dei lavoratori e gestione delle prestazioni è importante perché le ricerche svolte prima, avevano molto poco studiato il legame tra le pratiche delle risorse umane e come queste possano influenzare l’impegno dei dipendenti. In base a quali criteri sono state scelte le 4 aziende partecipanti? Abbiamo voluto scegliere aziende appartenenti a settori industriali e commerciali diversi, ed anche multinazionali europee che operassero nei mercati emergenti (in India e Cina). La ricerca ha messo in luce quattro tipi di coinvolgimento sul posto di lavoro. Può spiegarmeli brevemente? Se ami il tuo lavoro e balzi fuori dal letto ogni mattina, pieno di entusiasmo all’idea di andare al lavoro e eseguire i tuoi compiti
quotidiani, disponi di un elevato livello di coinvolgimento lavorativo. Ma amare il proprio lavoro non incide necessariamente sul modo in cui lo si svolge o sulla sua organizzazione. Se la tua passione è invece la società per cui lavori, rischi di esse-
Amare il proprio lavoro non incide necessariamente sul modo in cui lo si svolge o sulla sua organizzazione re un esempio di persona ad alto coinvolgimento organizzativo. Sei un perfetto ambasciatore che sostiene il marchio aziendale. Questi due tipi di impegno riguardano il tuo modo di sentirti. Le altre due dimensioni del coinvolgimento riguardano invece il comportamento, ovvero la tua propensione ad andare al di là 71
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settore delle vendite e del marketing al contrario, il coinvolgimento emotivo verso la società può essere di vitale importanza perchè i dipendenti devono essere in grado di vendere i prodotti dell’azienda e di rappresentarla sul mercato. Inoltre, alcuni dipendenti possono essere enormemente legati al datore di lavoro / organizzazione, ma cio’ non si traduce necessariamente in una maggiore assiduità. Potrebbero parlare del loro posto di lavoro come un ottimo posto, ma lavorarando improduttivamente. Allo stesso modo, alcuni dipendenti potrebbero lavorare molto duramente, ma non essere particolarmente uniti e fedeli al proprio datore di lavoro. Come valuta i risultati della ricerca alla luce delle complessità dell’economia attuale? Considerando il particolare momento economico fi nanziario che stiamo attraversando quale può essere l’utilità di una ricerca come quella appena svolta? Nei diversi paesi del mondo, i datori di lavoro devono scegliere il tipo di impegno che stanno cercando da parte della loro forza lavoro. Per esempio, in Cina e in India in questo momento c’è una grande mobilità di manodopera qualificata perchè le persone di talento sono facilmente sedotte da un datore di lavoro che offre salari più alti per fare lo stesso lavoro altrove. Alcune delle società che abbiamo studiato cerca di contrastare questa tendenza
Veronica Hope Hailey della Cass Business School, City University di Londra
dei tuoi compiti e compiere ulteriori sforzi per completare il lavoro. Il coinvolgimento comportamentale consiste nel prendere l’iniziativa e cercare l’opportunità di sviluppo, nell’essere proattivi e suggerire costantemente nuove piste per il miglioramento del lavoro. Probabilmente, l’impegno comportamentale può essere benefico per le imprese dal punto di vista della produttività, anche se, quando l’impegno si basa solamente sul lavoro e non sull’azienda, c’è il rischio di essere attratti da altre società. Il coinvolgimento comportamentale non dovrebbe essere sottovalutato e risolto con la mera creazione di un ambiente di lavoro piacevole per le persone: tutte le organizzazioni hanno bisogno di cheerleaders che siano buoni ambasciatori internamente ed esternamente. Difficile credere che i tipi di coinvolgimento siano compartimenti stagni. Qual è secondo lei la soglia di tolleranza? Penso che sia abbastanza semplice pensare a queste diverse forme di impegno soprattutto se pensiamo ai diversi tipi di occupazione. Alcune persone sono motivate dal loro lavoro o dalla loro carriera, ma il loro datore di lavoro o la società che li ha assunti sono meno importanti per loro. Un esempio concreto: spesso per i medici la pratica della medicina, della ricerca e i loro pazienti sono molto importanti - questi costituiscono i componenti chiave del loro lavoro. Per molti medici quindi, l’ospedale o l’organizzazione che li assume può essere meno importante che il lavoro in sè, che amano. Allo stesso modo, gli scienziati impegnati in ricerca e lo sviluppo, sono spesso molto spinti dal lavoro che fanno, ma l’organizzazione in quanto datore di lavoro è secondaria fintanto che sono liberi di fare il loro lavoro. Per il 72
Nei diversi paesi del mondo, i datori di lavoro devono scegliere il tipo di impegno che stanno cercando da parte della loro forza lavoro. Per esempio, in Cina e in India in questo momento c’è una grande mobilità di manodopera qualificata perchè le persone di talento sono facilmente sedotte da un datore di lavoro che offre salari più alti per fare lo stesso lavoro altrove con il rafforzamento del coinvolgimento organizzativo e della fidelizzazione della loro forza lavoro. Di conseguenza, le loro attività di gestione delle prestazioni sono orientate verso l’attrazione del personale con offerte di ulteriori formazioni professionali o bonus a lungo termine basati su incentivi. Quindi, tutto sommato, cio’ consente alle aziende di personalizzare le proprie strategie di coinvolgimento dei dipendenti all’interno delle diverse divisioni geografiche. Secondo lei come deve svolgersi l’attività di gestione delle performance per rendere le aziende sempre più competitive? Il performance management non deve essere visto come qualcosa che accade una volta all’anno, al momento della valutazione ufficiale delle prestazioni. I Manager e le imprese dovrebbero essere molto più coinvolti tutto l’anno nella discussione e progettazione del sistema vero e proprio, in collaborazione con le Risorse Umane. La nostra ricerca ha anche rivelato che la gestione delle performance può guidare l’impegno dei dipendenti in modo positivo ma solo se i risultati di gestione delle prestazioni sono i risultati che gli stessi dipendenti hanno la possibilità di valutare. Il tipo di coinvolgimento migliore per un’azienda viene valutato su quali fattori? Viene valutato esaminando quello che l’azienda sta cercando di ottenere in termini di strategia - qual è lo scopo dell’impegno nella loro attività? E ‘di trattenere le persone? E’di ottenere una maggiore produttività? Qual’ è la priorità? |
Grandi cose si compiono da persone di talento che credono le realizzeranno Warren Bennis
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Turismo, una sfida da vincere insieme
Ha fatto del viaggio e del turismo non solo la sua passione ma prima di tutto il suo lavoro. Dall’Università ai libri passando per tavoli di lavoro di enti privati e pubblici, sono molteplici i campi di azione che vedono Roberta Garibaldi, tra le principali esperte di turismo in Lombardia, in primo piano. Il suo motto è “fare rete”, in tutti i campi, dal turismo al sociale, ergo l’unico modo per essere vincenti in un periodo non facile come quello che l’Italia intera sta attraversando.
sionali diff use sono ancora troppo basse. Deve essere maggiore il confronto per crescere insieme. Questa sarà la mia priorità in questo primo anno di attività.
Roberta Garibaldi, docente, ricercatrice, autrice di decine di pubblicazioni e libri, consulente e donna impegnata nel sociale e soprattutto una delle principali esperte di turismo. Dal suo curriculum emerge che è una donna molto intraprendente. Come nasce la passione verso questo lavoro? Nasce dalla passione per i viaggi. Ho sempre viaggiato molto e appena ho un attimo di tempo lo dedico a conoscere posti nuovi. Mi piace scoprire i bellissimi angoli del nostro Paese e le località più lontane e diverse come cultura, tradizioni e modelli di gestione, dal Cameroun al Mali, dalla Cambogia al Sud Africa. In ogni luogo è interessante capire e cogliere come vengono valorizzate al meglio le risorse, nel rispetto della cultura di riferimento.
Come sta andando il turismo? A livello mondiale il 2009 è stato un anno critico. Dal 2010 al 2011 invece si è registrato un incremento del 3-4 percento e presto arriveremo a un miliardo di turisti nel mondo. Per quanto riguarda l’Europa, dopo il calo del 2008-2009, i dati sono saliti del 2,7 percento nel 2011 tornando ai livelli precrisi. Questo andamento però non si riflette in Italia dove i dati restano negativi. I dati provvisori raccolti dall’Istat per l’Italia, confermano nei primi nove mesi del 2011 una riduzione delle presenze. Da gennaio a settembre 2011 il calo dei pernottamenti è stato dell’0,8 percento rispetto allo stesso periodo del 2010. I flussi domestici sono calati del 4,4 percento mentre le presenze dei visitatori stranieri sono aumentate del 3,9 percento. Le presenze negli esercizi alberghieri sono scese dello 0,4 percento e dell’1,5 percento nella ricettività extralberghiera. In termini di arrivi l’Italia ha chiuso i primi tre trimestri 2011 guadagnando lo 0,04 percento, per un totale di 82 milioni di arrivi.
Lei è delegata per la Lombardia della Sistur (Società Italiana di Scienze del Turismo). Per quanto riguarda la Lombardia quali sono i principali argomenti e le priorità che affronterà e che porterà all’attenzione nazionale? La Sistur riunisce docenti universitari ed esperti del turismo con lo scopo di favorire l’approfondimento e la diff usione degli studi sulle tematiche di Scienze del Turismo sia sul piano nazionale che internazionale, stimolando la ricerca e la formazione. I delegati sono una novità recente e sono stati introdotti per leggere più da vicino gli sviluppi territoriali e per rinsaldare anche a livello regionale le relazioni tra mondo del lavoro e formazione. Instaurare dei dialoghi più forti tra università e mondo professionale è fondamentale per lo sviluppo del settore; se l’Italia ha perso competitività nel turismo è anche perché le competenze profes-
Recentemente il Vicepresidente della Commissione europea e commissario per l’Industria e l’Imprenditoria, Antonio Tajani, ha dichiarato che “i viaggi e il turismo sono fattori economici trainanti per la ripresa in Europa”. Dove bisogna puntare affinchè il turismo possa diventare una vera occasione occupazionale e di sviluppo nel nostro Paese? Il turismo oggi rappresenta il 10% del Pil. Con azioni adeguate di sinergia sul territorio si può pensare di arrivare tranquillamente al 15% ma per raggiungere un obiettivo così ambizioso è necessario costruire una visione comune, un nuovo modello di governance per promuovere l’Italia. Dovrebbe essere dato più potere al Ministero per arrivare a gestire tutta la promozione del nostro Paese all’estero. Non ha senso che singole delegazioni regionali o addirittura provinciali si muovano in autonomia; si tratta di azioni
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Roberta Garibaldi, docente ed esperta di turismo racconta la sua passione per il lavoro, per la cultura e per i viaggi. Il suo impegno per valorizzare le risorse del territorio e le speranze di vedere l’Italia tornare agli antichi splendori testo di Laura Di Teodoro
Roberta Garibaldi, docente ed esperta di turismo. Sullo sfondo una veduta di Bergamo alta
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inefficaci e di uno spreco di denaro. La stessa Emma Marcegaglia all’inaugurazione della Bit di Milano ha sottolineato “che non sia tutto demandato alle Regioni e che i budget delle promozioni non vengano spezzettati”. Negli anni Settanta l’Italia era il primo Paese al mondo nel turismo. Purtroppo ha perso competitività arrivando ad essere il quinto Paese e, cosa ancora più grave, si sta allargando il gap tra noi e i primi competitor. Bisogna prendere in mano la situazione con forza, riorganizzando le attività e muovendosi in modo più efficace. Il turismo è una risorsa e l’Italia non può permettersi di stare ferma su un tema così importante.
“Nel turismo non si può essere vincenti se ognuno segue la propria strada. Solo sviluppando sinergie è possibile riconquistare le posizioni perdute. Il turista legge l’offerta turistica come un unicum, un prodotto globale: non ha soddisfazione nel suo soggiorno
Roberta Garibaldi Roberta Garibaldi, nata a Bergamo è mamma e docente esperta di turismo. È ricercatore confermato in Economia e gestione delle imprese e professore aggregato di Marketing e Marketing turistico all’Università degli Studi di Bergamo. È segretario scientifico del CeSTIT (Centro di Studi sul turismo e interpretazione del territorio) dell’Università degli Studi di Bergamo. A partire dal 2012 è delegata regionale per la Sistur (Società Italiana di Sciente del Turismo), associazione nata per favorire l’approfondimento e la diffusione degli studi sulle tematiche delle scienze del turismo, sia sul piano nazionale che sul piano internazionale. Ha inoltre maturato molteplici esperienze di consulenza e di formazione per enti, istituzioni e imprese, occupandosi direttamente di oltre 200 corsi. È autrice di numerosi saggi pubblicati in riviste italiane e straniere e di alcuni libri tra cui i più recenti:“Facebook in tourism” Franco Angeli (2011), “Professioni del turismo tra tendenze e mutamenti” Franco Angeli (2008) ed “Economia e gestione delle imprese turistiche” Hoepli (2008). |
se l’albergo è perfetto ma i servizi collaterali sono scarsi o non centrati sulle sue esigenze ma su altri target” Quali passi in avanti sono chiamati a fare gli operatori del turismo da una parte e il sistema pubblico dall’altra? Sarebbe necessario e fondamentale lavorare in rete. Nel turismo non si può essere vincenti se ognuno segue la propria strada. Solo sviluppando sinergie è possibile riconquistare le posizioni perdute. Il turista legge l’offerta turistica come un unicum, un prodotto globale: non ha soddisfazione nel suo soggiorno se l’albergo è perfetto ma i servizi collaterali sono scarsi o non centrati sulle sue esigenze ma su altri target. Ricordiamoci della grande occasione Expo. Il Certet della Bocconi ha calcolato un impatto sul turismo italiano di 11 miliardi euro. Se l’occasione sarà ben sfruttata questi benefici non si perderanno, Torino insegna. Nella capitale piemontese i flussi turistici del 2010 sono stati uguali a quelli del 2006, anno delle Olimpiadi, dove si era registrato un aumento di oltre il 60% di arrivi e presenze. Se si organizza un buon prodotto e lo si promuove nel modo più opportuno i risultati e i benefici dureranno nel tempo. Bisogna però lavorare sodo fin da adesso. Nel suo libro “Le professioni del turismo tra tendenze e mutamenti” diversi studiosi si erano confrontati per studiare il mercato del lavoro e le evoluzioni delle professioni turistiche, in bilico tra tradizione e innovazione. A distanza di quattro anni come è cambiato il mercato del lavoro in questo settore? Il settore turistico esercita un grande impatto sull’economia nazionale, incidendo sull’occupazione diretta per il 7,05 percento nel 2011, con l’occupazione indiretta arriviamo al 13 percento. Il 2010 ha visto una flessione del 2,2 percento rispetto all’anno precedente mentre i primi dati sul 2011 danno il fenomeno in controtendenza. Le proiezioni fino al 2010 indicano un trend in crescita con una progressiva qualificazione del settore, incremento degli occupati laureati e diplomati e cali dei titoli di studio modesti. Le università di turismo, fiorite in questi anni, hanno dato il loro contributo nel qualificare il settore. Molti degli occupati inseriti sono giovani sotto i 30 anni e l’80 percento delle assunzioni riguarda professioni commerciali e servizi.
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Lei è molto attenta soprattutto alle nuove tendenze tra cui i social network e proprio a questo argomento ha dedicato un libro “Facebook in tourism”. Quanto conta oggi il Web 2.0 per il turismo? Quali gli strumenti da sfruttare? È importantissimo. Oggi il mondo turistico deve utilizzare la rete. La ricerca di informazioni sul web è diventata la prassi quotidiana, il 35 percento degli italiani acquista su internet, molti sono i siti che raccolgono i commenti e le recensioni di viaggio, da quelli dedicati come Trip Advisor, a quelli in cui si acquistano soggiorni
Lei è molto impegnata anche nel sociale; fino a giugno infatti ricopre l’incarico di Presidente del Lions Club Bergamo S.Alessandro. In questi due anni alla guida del Club quali sono i più importanti progetti che è riuscita a realizzare? Siamo intervenuti a sostegno dei giovani con attività dedicate nelle scuole, con incontri sui temi della droga e del disagio giovanile. Quest’anno è stato avviato il Progetto Martina, service Lions nazionale del 2012. Verranno organizzati in diverse scuole dei corsi in cui presentare ai giovani quegli accorgimenti necessari
tivo potremmo investire almeno 5 milioni di euro in un unico progetto e fare veramente qualche cosa di importante per il nostro Paese. Fare rete è vincente nell’associazionismo e nel volontariato come nel turismo o nella cultura. Sul fronte del turismo invece il sogno è quello che l’Italia torni ad essere leader nel mondo. Quali sono i progetti in cantiere per il futuro prossimo? Vi è un nuovo libro sulle professioni turistiche in uscita tra poco, che affronta le evoluzioni nel settore accomodation e in-
“Nel turismo non si può essere vincenti se ognuno segue la propria strada. Solo sviluppando sinergie è possibile riconquistare le posizioni perdute. Il turista legge l’offerta turistica come un unicum, un prodotto globale: non ha soddisfazione nel suo soggiorno se l’albergo è perfetto ma i servizi collaterali sono scarsi o non centrati sulle sue esigenze ma su altri target” o pacchetti di viaggio. Le aziende devono cogliere queste opportunità, imparando a gestire certi fenomeni e non a subirli. I siti internet devono essere di qualità, è necessario occuparsi dei social network e seguire le recensioni. Da una parte possono essere input importanti di miglioramento, la critica va colta per migliorare il servizio. Dall’altra è necessario intervenire qualora le informazioni scritte, magari da non turisti, non siano corrette.
per prevenire o identificare precocemente i tumori. Alcune malattie purtroppo non sono una realtà cosi lontana dal mondo dei ragazzi. Un sogno che le è rimasto nel cassetto e che vorrebbe vedere concretizzato? Per quanto riguarda il mio lavoro nei Lions, il sogno è quello che venga portato avanti un progetto di service congiunto. Se ogni club lavorasse per un unico obiet-
termediazione. Anche nei settori tradizionali gli ultimi anni sono stati scenario di importanti cambiamenti. Dal comunity al revenue management, molteplici sono le nuove competenze da acquisire per essere competitivi. | Il mondo è un libro, e chi non viaggia legge solo una pagina. Sant’Agostino www.unibg.it
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Hotelplan Incentive cambia volto. Nasce
H-Events
L’esperienza e l’affidabilità di sempre unite alla capacità di stare al passo con i tempi. La business unit di Hotelplan dedicata ai viaggi aziendali, forte di una tradizione lunga trent’anni, si rinnova lanciando H-Events e lo fa con una serata esclusiva nel cuore di Milano Un logo inedito, un maggior numeri di servizi, un team giovane e dinamico affiancato da persone di grande esperienza; Hotelplan presenta la nuova veste della sua sezione incentive, la business unit specializzata nei viaggi aziendali. Il cuore di Milano, piazza Missori, è la location scelta per lanciare H-Events, un nome semplice che racchiude in se tutto il lavoro e l’impegno di una squadra che ha fatto della flessibilità, della fantasia, della capacità di muoversi e della spiccata tendenza al problem solving i suoi punti di forza. Hotelplan è un brand che da sempre è sinonimo di eccellenza, un partner perfetto per l’organizzazione di viaggi aziendali e non solo. La serata organizzata a Milano è stata organizzata per dare l’occasione a chi da anni conosce e apprezza la sezione Incentive, di scoprire le novità che il tour operator ha in serbo per i suoi clienti. Con le complessità dell’economia attuale il valore di un viaggio incentive è cresciuto moltissimo e non è più possibile sbagliare. È sempre stato un investimento importante e negli ultimi anni lo è ancora di più. Proprio per questo deve essere accuratamente pianificato, deve soddisfare le aspettative del management aziendale, ma soprattutto dei clienti e dei collaboratori. Non è solo una bella vacanza ma uno strumento comunicativo potentissimo, in grado non solo di rilassare ma di fare team building, di rafforzare il senso di appartenenza all’azienda 78
e insieme di dare nuovi stimoli per il raggiungimento degli obiettivi. Un viaggio incentive deve restare impresso nella memoria, è un fattore di prestigio non solo per chi vi partecipa ma anche per l’azienda stessa, per questo deve essere affidato ad un brand di fiducia.
Analisi scrupolose, attente valutazioni, confronti continui, in un viaggio H-event nulla è lasciato al caso. Le migliori strutture ed una pianificazione fin nei minimi dettagli trasformano una semplice vacanza in un progetto incentivante H-event ha la capacità di rendere tutto questo possibile: analisi scrupolose, attente valutazioni, confronti continui, in un viaggio H-event nulla è lasciato al caso. Le migliori strutture e una pianificazione fin nei minimi dettagli trasformano una semplice vacanza in un progetto incentivante. E i servizi di H-event non si fermano qui. Convention, eventi, congressi l’offerta è davvero vasta e sempre di livello eccellente, come dal 1947 è nel DNA di Hotelplan. |
Per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi oppure non lo troveremo Ralph Waldo Emerson www.hotelplan.it
Eventi
Photogallery dell’evento:
MARIA LUPE LUCASEVICH
MARCO CISINI
ROBERTA PIROVANO
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Per la
banda larga serve un cambio di passo
Sfruttare appieno i nuovi mezzi tecnologici messi a disposizione è fondamentale per crescere nel mercato. In questo contesto la banda larga diventa di primaria importanza. Scopriamone i motivi e il modo migliore per gestirla testo di Alfonso Fuggetta, amministratore delegato di Cefriel Centro di Innovazione Ict del Politecnico di Milano
La prima e sostanziale questione, la “madre di tutte le domande”, è se la banda larga serva veramente per lo sviluppo del paese. A livello internazionale, tutti i paesi stanno investendo nello sviluppo della banda larga. Non si tratta di scelte basate puramente su valutazioni di carattere politico o ideologico, esistono ormai molteplici studi che hanno valutato l’effetto della banda larga, e dell’ICT, sulla crescita dell’economia di un Paese. Quelli di Tranos e Gillespie, per esempio, hanno evidenziato l’esistenza di un Internet diamond costituito da Londra, Parigi, Francoforte e Amsterdam, quattro aree leader in Europa, che si caratterizzano non solo per lo sviluppo della banda larga, ma anche per la presenza degli snodi di interconnessione delle principali dorsali internazionali e intercontinentali, cioè i luoghi dove si allacciano tra loro le reti 80
dei diversi operatori di telecomunicazione e le aziende e gli utenti, che risiedono in quel territorio, possono godere di accessi più veloci, economicamente convenienti.
e hanno quindi un bit-rate di alcuni megabit al secondo in modalità asimmetrica (la trasmissione delle informazioni è più lenta della ricezione).
Cosa si intende per banda larga? Normalmente, per le connessioni wireline (doppino telefonico e fibra) con banda larga si intende una rete che off ra un bitrate di alcuni megabit al secondo. Le reti di nuova generazione (Next Generation Network) off rono invece bit-rate dell’ordine delle centinaia di megabit al secondo. Nel caso del mobile, i bit-rate sono in generale inferiori e comunque devono essere valutati tenendo conto delle caratteristiche della trasmissione via etere. In Italia, al momento esistono parti della popolazione e del territorio che non riescono ad avere neanche una connessione ADSL (banda larga su doppino telefonico)
Serve tutta questa capacità trasmissiva? Gli utenti tendono a utilizzare la rete tramite una molteplicità di applicazioni che nel loro complesso, più che individualmente, richiedono più banda. Capita sempre più spesso che l’utente invii un fi le multimediale (per esempio foto o un fi lmato), e al tempo stesso avvii una videochiamata con strumenti come Skype, magari per commentare con un collega un fi lmato che sta guardando in streaming. Nessuna di queste operazioni richiede di per se stessa una capacità di banda come quella offerta dalle NGN, ma ciò è invece vero per la combinazione di tali applicazioni. Anche nel caso di un utente do-
Tecnologie
mestico, è sempre più frequente il caso di più dispositivi (computer, smartphone o tablet) utilizzati da persone diverse per accedere in contemporanea alla rete. Inoltre, dl punto di vista business, la disponibilità di banda abilita lo sviluppo dell’offerta di nuovi servizi: come potrebbe un operatore off rire servizi di videopresenza in assenza di capacità di banda adeguata?
A livello internazionale, tutti i paesi stanno investendo
Viene prima la domanda o l’offerta? Secondo molti, è inutile investire in reti (l’offerta) visto che mancano servizi in grado di utilizzarle pienamente e la domanda dell’utenza è comunque debole. È invece necessario stimolare la domanda così da giustificare gli investimenti in nuove reti e in nuova capacità trasmissiva. In realtà, le reti di telecomunicazione possono essere accostate agli aeroporti. Entrambe queste infrastrutture costituiscono elementi essenziali per le comunicazioni e il rapporto tra territori e nazioni. Entrambe richiedono forti investi-
crescita dell’economia di un Paese
nello sviluppo della banda larga. Non si tratta di scelte basate puramente su valutazioni di carattere politico o ideologico, esistono ormai molteplici studi che hanno valutato l’effetto della banda larga, e dell’ICT, sulla
menti. Entrambe sono necessarie perché la domanda si possa concretizzare. In mancanza o carenza di piste, slot e gate, come possono le compagnie aeree localizzarsi in uno specifico aeroporto? Ovviamente, deve esistere un domanda latente da far maturare in parallelo allo sviluppo delle infrastrutture, ma è indubbio che non è possibile rallentare investimenti chiave in attesa di uno sviluppo compiuto della domanda. È possibile una competizione infrastrutturale tra operatori? Un’infrastruttura di rete wireline, nella parte di accesso, ha costi nell’ordine delle decine di miliardi di euro. Nel caso di reti wireless, il costo è per ovvi motivi 81
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inferiore in quanto l’infrastruttura non deve fisicamente raggiungere il dispositivo dell’utente. Non è quindi un caso che nel corso degli anni ciascun operatore mobile abbia sviluppato la propria rete mentre, nella sostanza, esiste un’unica rete wireline (a parte la rete in fibra sviluppata da Fastweb). Con la diminuzione delle tariffe e l’incremento degli investimenti necessari per garantire le prestazioni richieste dall’utenza, anche nel campo delle reti mobili diviene sempre più difficile sostenere una competizione basata su una replica delle infrastrutture fisiche. Nella sostanza, sia nel wireline che nel wireless si prospetta una crescente condivisione delle infrastrutture di rete che può variare dalla condivisione di siti e manufatti civili, alla condivisione di infrastrutture passive, a quella di apparati attivi e alla conseguente definizione di servizi di virtualizzazione del-
È quindi evidente che le infrastrutture di telecomunicazioni sono sempre più assimilabili a monopoli naturali (specialmente nel caso della rete wireline di accesso) e come tali necessitino di meccanismi e regole adeguate a garantire parità di accesso e concorrenza le infrastrutture stesse. Come nel caso dell’energia elettrica, della rete gas, delle reti ferroviarie e autostradali. È quindi evidente che le infrastrutture di telecomunicazioni sono sempre più assimilabili a monopoli naturali (specialmente nel caso della rete wireline di accesso) e come tali necessitino di meccanismi e regole adeguate a garantire parità di accesso e concorrenza. Quale ruolo per il pubblico? Con la privatizzazione di quasi di tutti gli operatori telefonici storici, negli anni novanta il mondo delle telecomunicazioni è sostanzialmente uscito dalla sfera del controllo pubblico. Ma questo non significa che il pubblico non abbia un ruolo essenziale da giocare. In primo luogo, se 82
è vero che le infrastrutture di rete sono monopoli naturali, è allora evidente che il pubblico ha il compito di definire regole e meccanismi di controllo che garantiscano lo sviluppo armonico della competizione e la tutela dei consumatori. In secondo luogo, qualora i privati non fossero in grado di garantire lo sviluppo delle nuove reti di telecomunicazione, allora il pubblico deve trovare meccanismi di intervento che, garantendo non discriminazione, piena apertura del mercato e competizione, promuovano e sostengano il loro sviluppo. Ciò può avvenire secondo diversi meccanismi come, ad esempio, la creazione di società a capitale pubblico o misto che realizzino le infrastrutture fisiche e le rendano disponibili in modo aperto e competitivo agli operatori telefonici. Non conviene aspettare le tecnologie di nuova generazione? Le tecnologie evolvono continuamente. Peraltro, tutte le evoluzioni tecnologiche hanno alcuni elementi di fondo in comune. Le dorsali richiedono la fibra. Le reti di accesso fisse in fibra sono futureproof e hanno costi operativi inferiori alle reti in rame, anche in presenza di ulteriori evoluzioni delle tecnologie di trasmissione sul doppino come VDSL (soluzione caratterizzata da consumi di corrente molto superiori a quanto richiesto dalle reti in fibra). Le reti mobili comunque richiedono che le antenne siano interconnesse alle dorsali con linee ad alta capacità. Quindi appare ragionevole prevedere uno sviluppo massiccio della fibra, sia per le connessioni fisse che a supporto delle reti wireless. Non bastano le nuove reti mobili? Le reti wireless (e in particolare quelle mobili) non possono sostituire le reti wireline (fibra e rame) o viceversa. In primo luogo, la capacità complessiva di trasporto di una rete wireline è molto superiore a quella delle reti wireless per oggettivi limiti della trasmissione in etere. In secondo luogo, la rete fissa non può sostituire la rete mobile per gli utenti in mobilità o nomadici. In terzo luogo, se è vero che una rete wireless può soddisfare anche i bisogni di alcune tipologie di utenti stanziali, è altrettanto vero che
un vero sviluppo nell’accesso a Internet non può prescindere da una capillare diff usione di accessi fissi nelle abitazioni, nella scuole, negli uffici, fosse anche solo per abilitare l’uso di reti locali wireless WiFi. Quali azioni mettere in campo a breve? Indubbiamente, a breve termine è necessario garantire almeno una connessione in larga banda con una ADSL di qualità (o tecnologia equivalente) a tutte le imprese e famiglie. È necessario definire e promuovere una strategia convincente di sviluppo delle reti di nuova generazione, sia wireline che wireless. Ed è necessario promuovere l’utilizzo della rete e dei relativi servizi per sviluppare non solo le interazioni B2C (Business-to-Consumer), ma anche quelle B2B (Business-to-Business). La banda larga è uno strumento vitale per lo sviluppo del paese. Per troppo tempo, il dibattito su questo tema si è bloccato, prima ancora che per carenze di risorse economiche, per una mancanza di visione e di convinzione. È ora il momento di imprimere un cambio di passo, se vogliamo veramente promuovere e rilanciare crescita e sviluppo socioeconomico. Lo sviluppo delle reti, e della società digitale che su di esse si fonda, è un passaggio ineludibile per permettere al nostro Paese di incamminarsi speditamente e senza incertezze sul percorso di modernizzazione già avviato dalle altre nazioni con le quali l’Italia si trova a competere. |
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creativi ci vuole “allenamento”
Per essere
La creatività è una scintilla divina ma per concretizzarla ci vuole “allenamento” e molta conoscenza. Riccardo Blumer, architetto svizzero di origini italiane e autore, tra le tante, della sedia “LaLeggera”, ci racconta la sua visione del mondo dell’architettura e del design testo di Daniela Lussana “Tutto quello che ci circonda è il risultato di una reazione chimica”. Riccardo Blumer, architetto svizzero ma italiano di nascita riassume così la sua visone del mondo. In natura tutto, da un tramonto ad una sedia fino ad arrivare alle emozioni, dipende dai fenomeni che lo provocano e lo rendono quello che è. Questo è il punto di partenza per capire l’opera dell’artista e il suo modo di intendere l’architettura e il design, di oggi come di ieri. Un’ottica “scientifica” che vede nella natura la massima fonte di ispirazione e nella comprensione delle leggi che regolano l’universo la base per fare arte. L’architetto e designer sostiene che per essere creativi bisogna “andare in palestra” ovvero studiare, studiare e ancora studiare, essere curiosi di tutto e non stancarsi mai di accrescere il proprio sapere.
la leggera, la sedia vincitrice del compasso d’oro
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Da qui l’apertura ad ambienti diversi da quelli dove normalmente orbitano l’architettura e il design, la volontà di “sporcare” un settore con un altro per scoprire e imparare da ogni situazione, non ultima la recente mostra allestita dal 17 dicembre al 20 gennaio negli studi
dell’agenzia di comunicazione bergamasca Multiconsult, un’occasione per entrare in contatto con un mondo del tutto distante dal suo e proprio per questo di grande interesse. Riccardo Blumer, architetto poliedrico con una visione incantata del mondo della creatività. Che cosa rappresenta l’architettura nella nostra società? L’architettura oggi ha perso quel rapporto con la natura che invece secondo me dovrebbe essere la sua massima fonte di ispirazione. Negli ultimi anni si è assistito ad un’ubriacatura di funzionalismo mentre bisognerebbe ritrovare quel legame che nel mondo hanno forma, dimensione, materia e efficienza. Spesso si dice che un tramonto è bello ma non si pensa che di fatto è il ri-
Personaggio sultato di una serie di processi che danno origine a quel particolare colore. La luce del sole calante in relazione agli elementi chimici presenti nell’atmosfera crea quell’immagine splendida che vediamo sul far della sera, immagine che oltre che essere bella è anche efficiente. Ecco l’architettura dovrebbe rifarsi a questo concetto. La forma deve essere legata all’efficienza come è in natura. E con efficienza non intendo quella ecologica che negli ultimi anni corrisponde spesso a quella economica. In passato l’architettura era vista come una forma di protezione verso la natura, che con la sua forza poteva distruggerci. Oggi spesso si pensa il contrario, è la natura ad essere in pericolo. E allora perché, nonostante questo cambiamento per cui non è più necessario unirsi per difendersi, la gente sceglie di concentrarsi in queste enormi città? in queste megalopoli? la città va rivista, ci vuole un progetto più territoriale.
Nel suo libro “Esperienze di Architettura e design” scrive: “Con orgoglio, ambizione e tenacia, cerco sempre di tenere aperta la domanda: dov’è la sfida? La creatività è la nostra scintilla divina”. Ci può raccontare il suo modo di vivere e far vivere la creatività? Per me la creatività è un potere divino. È la capacità di trasformare la materia in processi, capacità che non arriva però da sola. La scintilla divina può far pensare all’idea romantica che ai veri creativi l’idea venga così. In realtà ci vuole tantissimo studio e formazione. Per essere creativi bisogna allenarsi, non è una dote innata, bisogna accrescere la propria conoscenza del mondo e delle leggi che lo governano.
Cosa significa fare design oggi? Il design, come l’architettura deve recuperare il suo rapporto con la natura. Bisogna prendere coscienza che tutto quello che ci circonda è il risultato di processi. Nulla è lasciato al caso, sono le leggi dell’universo a determinare tutto quello che nel mondo esiste e si evolve. Dobbiamo avere il coraggio di andare a vedere questi fenomeni che, lo accettiamo o no, ci portano ad essere qui e ora. Nel design il rapporto tra forma e efficienza poi è ancora più evidente e maggiore è anche la possibilità di sperimentare. Il tema fondamentale è quello della conoscenza. Per creare oggetti di design, così come elementi architettonici, bisogna conoscere e capire i processi che regolano l’universo e progettare di conseguenza. Prendiamo l’esempio di una sedia. Questo oggetto è un’insieme di molecole, tenute insieme da una forza enorme. La sedia diventa allora energia nello spazio. Bisognerebbe riuscire a raccontare il rapporto tra l’oggetto e l’energia e per questo ci vogliono approfondimenti nella scienza e nella fi losofia.
di relazioni fisiche. La forma finale dipende
Tutte le fasi che attraversi fanno parte del processo costruttivo che è un insieme da questo processo Come nasce un progetto, un’opera di Blumer? Studi un progetto e quando inizi a realizzarlo ti rendi conto dei limiti. Quindi lo rivedi fino ad arrivare alla forma finale. Tutte le fasi che attraversi fanno parte del processo costruttivo che è un insieme di relazioni fisiche. La forma finale dipende da questo processo. Nel design è più semplice perché le dimensioni sono più ridotte. Dove si gioca il futuro dell’architettura in Italia secondo lei? L’architettura, come la società in generale, si gioca ormai a livello globale. Certo in Italia, rispetto ad altri Paesi è più difficile sperimentare perché si è ancora troppo legati ad una concezione della città ormai sorpassata. Ci sono poi maggiori difficoltà a livello burocratico ma la sfida è sempre aperta. Dobbiamo diventare sempre più bravi.
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presentazione della mostra di Blumer nella sede di Multiconsult
Il design, come l’architettura deve recuperare il suo rapporto con la natura. Bisogna prendere coscienza che tutto quello che ci circonda è il risultato di processi. Nulla è lasciato al caso, sono le leggi dell’universo a determinare tutto quello che nel mondo esiste e si evolve scenza. Inoltre in ambiente accademico si può sperimentare e quindi anche per me aumenta il sapere. Più capisco più faccio atti creativi più mi sento completo e felice.
dettagli della mostra
Nel suo lavoro si è trovato a parlare di fronte a platee anche di imprenditori e operatori di marketing. In cosa il design può offrire strumenti utili e insegnamenti a questi settori? Mi piace “sporcare” mondi diversi, avere un pubblico più eterogeneo, in questo modo si può imparare molto. In quest’ottica va inserita la mostra in Multiconsult. Ci conoscevamo già e quando mi hanno 86
chiesto se ero interessato ho accettato volentieri. Il mondo della comunicazione è molto interessante. Sa creare momenti di relazione dove l’osservazione è protagonista. È molto raro perché spesso il fine commerciale annebbia il mezzo. Nel corso di questi anni qual è stata la più grande soddisfazione professionale che ha raccolto? Per me è l’insegnamento, la meraviglia dello scoprire. Certo vedere un edificio che sorge da uno scavo da grandi soddisfazioni ma attraverso l’insegnamento ho avuto l’occasione di fare cono-
In un momento non facile per l’economia italiana e internazionale la ricerca del nuovo, per lei fondamentale, rappresenta un’opportunità importante. Come dobbiamo porci come società da questo punto di vista? Come ho già detto è necessario fare “palestra” ovvero prepararsi e aumentare il proprio sapere perché solo così, con il sapere fine a sé stesso, si può migliorare. |
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Progetto Infrabuild per Expo 2015: Eco-village
reti d’impresa Expo 2015
Dalle un progetto per
Far parte di una rete d’impresa oggi è la scelta vincente per essere competitivi in tempi di globalizzazione e di mercato mondiale e i fondatori di Infrabuild lo sanno bene. Dieci aziende, dieci PMI lombarde insieme per diventare grandi pur mantenendo intatto il loro DNA aziendale Mantenere la propria identità aziendale ma crescendo a livello quantitativo e soprattutto qualitativo. Questo è il concetto che sta alla base delle reti d’impresa, un nuovo modello di business che negli ultimi anni ha preso sempre più piede nel nostro Pa88
ese. Il numero delle reti d’impresa infatti è aumentato esponenzialmente dal 2010, questo perché in un mercato globale come è quello attuale le aziende hanno dovuto trovare un modo per restare competitive e la rete d’impresa si è dimostrata la scelta
vincente. Ne è una testimonianza concreta Infrabuild, il primo network d’imprese di Confindustria Giovani Imprenditori a livello nazionale. “Infrabuild – ha dichiarato Marco Brivio, CEO di BMS srl, socio e fondatore di In-
Aziende di successo
frabuild - è nata come risposta ad una semplice esigenza: creare nuove idee per essere competitivi anche a livello internazionale. Restando separate le PMI hanno poche possibilità di emergere, unendosi invece possono condividere risorse, conoscenze ed esperienze e off rire un servizio migliore e più completo, dall’inizio alla fine del lavoro”. La rete infatti permette la verticalizzazione del lavoro; non solo una fase della commessa quindi ma tutte, dall’ideazione alla realizzazione. Le aziende che compongono Infrabuild, tutte leader nel loro settore, sono specializzate nella fornitura di prodotti e servizi per le infrastrutture e la mobilità sostenibile e spaziano dall’ingegneria alla produzione di materiali per l’edilizia. Sei delle aziende che fanno parte del network provengono dalla provincia di Monza e Brianza, le altre sono dislocate in quelle di Varese e Bergamo. Una realtà fortemente localizzata che forte delle esperienze delle singole imprese è in grado di operare a livello mondiale e di presentare progetti innovativi, realizzabili attraverso la convergenza delle esperienze, punto cardine di questa nuova cultura che in molto si distanzia da quella tradizionale, ancora fortemente radicata. “Nella aziende italiane – ha continuato ancora Brivio - si tende a non condividere il proprio know how. I manager preferiscono tenere per sé le proprie idee, hanno paura e in questo modo non fanno crescere il proprio business. Bisogna superare il nanismo dell’economia italiana. La condivisione è un elemento fondamentale per noi.” Condivisione che va al di là dei confi ni della rete, che si estende ad altre aziende e a centri di ricerca a livello nazionale.
Marco Brivio, CEO di BMS srl, socio e fondatore di Infrabuild
Assolari, Cava dell’Isola, Betoncablo, STV Castiglioni, BMS, BMS IMPIANTI, Resin Glass Lissone, Partecipazioni industriali, Sering e JPS engeneering, sono questi i soggetti che compongo il network lombardo, che ormai un anno fa hanno dato vita a questa nuova formula di impresa, che prima di allora non aveva neanche una normativa cui fare riferimento. L’idea infatti ha iniziato a prendere forma già nell’ottobre del 2010. Le 10 aziende avevano già avviato importanti punti di contatto in occasione del Convegno delle infrastrutture lombarde, organizzato ogni anno da Confindustria, e tutte collaboravano al Laboratorio infrastrutture.
Una realtà importante che ha alla base un nuovo modo di fare business, un’inversione di rotta rispetto al passato per stare al passo con i tempi, per essere competitivi in un mercato globale e ricco di complessità come è quello di oggi Per passare dall’idea al progetto però Infrabuild ha dovuto attendere una legislazione dedicata, arrivata, almeno in parte, solo l’anno seguente. “Quando abbiamo scelto di formare Infrabuild – ha continuato Brivio - ci conoscevamo già perché partecipavamo a diversi tavoli di discussione organizzati da Confindustria ma abbiamo dovuto aspettare che ci fosse una legge che legittimasse le reti d’impresa prima di poter concretizzare il progetto”. E Confindustria, soprattutto Monza e Brianza, ha avuto una parte importante non solo nella nascita ma anche nello sviluppo di Infrabuild. L’attuale presidente di Confi ndustria Giovani Imprenditori, Jacopo Morelli è stato tra i primi a parlare di reti d’impresa e Renato Cerioli, presidente di Confindustria Monza e Brianza ha creduto molto in questo network tanto da sostenere la candidatura del progetto di Infrabuild per Expo 2015: Eco-village. Innovazione e sostenibilità queste sono le parole d’ordine di questo complesso all’avanguardia. I lavori sono iniziati in questi giorni e porteranno alla costruzione di un quartiere dove verranno implementate attività ad alto valore di ecosostenibilità e risparmio economico come: recupero dell’acqua piovana, generazione di energia rinnovabile, trasporti eco&sostenibili e costruzione di edifici a basso impatto ambientale. Grazie all’impiego delle costruzioni a secco e del legno massello superiore gli edifici di Eco-village non sono solo sostenibili dal punto di vista ambientale ma possono essere realizzati on demand e con minori tempi di realizzazione. “Grazie alle nuove tecniche – ha spiegato ancora Brivio – e ai nuovi materiali impiegati nella costruzione di Eco-village è possibile scegliere in cantiere in base 89
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“Nella aziende italiane si tende a non condividere il proprio know how. I manager pre-
Altre prospettive del progetto Ecovillege
feriscono tenere per sé le proprie idee, hanno paura e in questo modo non fanno crescere il proprio business. Bisogna superare il nanismo dell’economia italiana. La condivisione è un elemento fondamentale per noi” alle proprie esigenze. In questo modo non ci sono vincoli per il cliente e per il costruttore non ci sono rischi. In più i tempi si riducono del 25%.” Diversi vantaggi quindi che non esulano però dal confort delle abitazioni, anzi. Ecovillage è ispirato ad un nuovo concept di vita che mette al primo posto lo stare bene. “Oggi – ha dichiarato Brivio – si lavora con i numeri perdendo di vista quello che è davvero importante. La casa deve essere il luogo in cui si sta bene e in tempi in cui le persone riflettono molto e con molta attenzione su ogni acquisto piccolo o grande che sia questo fattore diventa determinante”. Il valore del lavoro di Infrabuild è stato riconosciuto non solo da Expo 2015. Alcuni dei progetti ideati dalla rete d’impresa saran-
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no esposti anche al Maxxi di Roma. Progetti così ambiziosi e importanti non sarebbero stati possibili se le PMI fossero rimaste separate. Unirsi in un network è stata la scelta vincente. | Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo Henry Ford www.infra-build.it
Since 1902 La prima organizzazione fra imprenditori sorta in Italia
CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA RIANZA
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provvigione degli agenti all’estero
Diritto alla
I diritti degli agenti che risiedono e operano nei diversi Paesi dell’Unione Europea non sono tutti uguali. La direttiva comunitaria 86 / 653 ha avvicinato le diverse legislazioni nazionali ma sono sempre i singoli stati membri a decidere come regolare le leggi in materia. Questo può comportare trattamenti anche molto distanti per gli agenti, vediamo come a cura dell’avvocato Vartui Kurkdjian
La direttiva comunitaria 86/ 653 sui contratti di agenzia aveva inteso ravvicinare le legislazioni degli Stati membri su questa materia, ma il trattamento previsto dalle diverse norme nazionali varia ancora molto. È quindi necessario valutare con cura quale diritto si possa applicare al contratto con agenti che risiedono in altri Stati comunitari. Ancora oggi molte aziende, travisando il ruolo limitato della direttiva, agiscono con gli agenti stranieri nella convinzione che la normativa comunitaria regoli uniformemente e completamente il contratto di agenzia nell’Unione Europea. Essa invece ha solo voluto garantire un minimo di diritti agli agenti, delegando agli Stati membri il ruolo di includere nella loro normativa alcune condizioni considerate come diritti minimi garantiti. Si deve quindi sottolineare che le singole nor92
mative nazionali possono regolare liberamente la materia e possono derogare in meglio in favore dell’agente rispetto a quanto previsto dalla direttiva. Tra le differenze che si rilevano confrontando le varie legislazioni nazionali, alcune riguardano le norme in materia di contabilizzazione delle provvigioni e del momento in cui queste devono essere corrisposte. Definizione di provvigione La direttiva comunitaria definisce in modo ampio la provvigione, facendovi rientrare “tutti gli elementi della retribuzione che variano secondo il numero e il valore degli affari”. Pertanto in caso vi siano dei pagamenti di rimborsi spese determinati in base al volume degli
Diritto comunitario
affari, questi saranno considerati a tutti gli effetti come provvigioni. Il riflesso di questa qualificazione si avrà più tardi, al momento di corrispondere l’indennità di clientela all’agente, momento in cui si prenderanno a base tutte le provvigioni che gli sono state corrisposte nel periodo previsto dalla legge. Se l’importo della provvigione non è stato determinato dal contratto, la direttiva rinvia alla media delle provvigioni che sono corrisposte agli agenti operanti nello stesso settore merceologico nel Paese dell’agente. Infine, la direttiva non disciplina la materia relativa alla provvigione se l’agente riceve una provvigione fissa, sganciata dai risultati economici del suo servizio.
Il diritto dell’agente può estinguersi solo se è certo che il contratto tra agente e preponente non sarà eseguito e se tale mancata esecuzione non è dovuta a circostanze imputabili al preponente La normativa maltese su questo punto chiarisce che la provvigione deve essere collegata al risultato economico dell’agente per poter considerare quest’ultimo come un lavoratore autonomo. Rimane quindi il rischio che il preponente, nel corrispondere un fisso, possa inconsapevolmente dar vita a un rapporto di lavoro subordinato. In ogni caso l’art. 6 della direttiva esclude l’applicazione delle previsioni in materia di pagamento delle provvigioni “qualora la retribuzione dell’agente non avvenga totalmente o parzialmente mediante provvigione”. Quando l’agente ha diritto alla provvigione? L’agente ha diritto alla provvigione quando la vendita è stata conclusa con il suo intervento o quando la vendita è stata conclusa con un soggetto che in precedenza l’agente aveva acquisito come cliente. La normativa di alcuni Stati membri, tra cui Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia e Svezia attribuisce all’agente il diritto alle provvigioni per il semplice fatto che gli è stata assegnata una zona o una fascia di clientela. Altri Stati richiedono invece che il diritto alla provvigione per le vendite provenienti dal suo territorio spetti all’agente solo se il contratto gli aveva attribuito tale territorio in esclusiva. L’Italia ha scelto quest’ultima soluzione. Provvigioni dopo il termine del contratto Le provvigioni relative agli affari che il preponente conclude subito dopo il termine del contratto con un agente sono dovute all’agente uscente solo se la conclusione dell’affare era dovuta soprattutto all’attività di quest’ultimo e a condizione che la conclusione dell’affare avvenga entro un termine ragionevole dalla conclusione del contratto. Solo la normativa belga e la normativa spagnola fissano espressamente tale termine: sei mesi in Belgio e tre mesi in Spagna. La direttiva comunitaria prevede anche che la provvigione, quando la situazione lo giustifica, possa essere ripartita tra l’agente uscente e il nuovo agente. Pagamento della provvigione La direttiva permette agli Stati di disciplinare il momento in cui è dovuto il pagamento della provvigione prevedendo che esso possa essere scelto tra: 1. il momento in cui il preponente accetta l’ordine del cliente 2. il momento in cui il preponente spedisce la merce 3. il momento in cui il cliente paga quanto dovuto al preponente. Tale momento non può essere dunque successivo al periodo in cui il cliente ha pagato il dovuto al preponente. La normativa italiana ha scelto l’ultima soluzione assieme alla maggioranza degli Stati membri, ma alcuni Paesi hanno legiferato in modo differente: la Germania ha optato per il pagamento delle provvigioni nel mese successivo a quello in cui il contratto tra preponente e cliente è stato concluso. Altri Stati invece seguono la prescrizione della direttiva che dispone per il pagamento delle provvigioni entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre in cui il contratto tra preponente e cliente è stato
concluso. In Estonia, Lettonia e Lituania la provvigione deve essere corrisposta al momento in cui il preponente spedisce la merce al cliente. La normativa di questi tre Paesi, al pari di quella finlandese, riconosce inoltre all’agente il diritto di ricevere degli anticipi sulle provvigioni in attesa del loro completo pagamento. Revoca del diritto alla provvigione Il diritto dell’agente può estinguersi solo se è certo che il contratto tra agente e preponente non sarà eseguito e se tale mancata esecuzione non è dovuta a circostanze imputabili al preponente. In particolare, la normativa ungherese prevede che il diritto dell’agente a ricevere la provvigione non venga meno se il preponente non esegue il contratto per cause a lui non imputabili o se ha accettato la revoca di un ordine che sia già stato trasmesso e accettato. La normativa spagnola invece ammette che all’agente non sia corrisposta la provvigione se il preponente dimostra che l’ordine non è stato eseguito per cause a lui non imputabili. In alcuni Stati membri la normativa afferma la nullità di qualunque patto contrario, volto ad ampliare il rischio dell’agente di non ricevere la provvigione per via di una mancata fornitura da parte del preponente. Il diritto applicabile al contratto di agenzia nell’Ue La determinazione del diritto applicabile al contratto di agenzia nei Paesi comunitari richiederebbe considerazioni piuttosto complesse. Cercando di semplificare, pertanto, possiamo chiederci quando gli agenti stranieri possano pretendere l’applicazione del loro diritto nazionale e delle regole appena prese in esame. Sotto questo aspetto molto dipende dal fatto che le regole siano costituite da: • norme derivanti dalla direttiva comunitaria definite da questa inderogabili, in particolare quando essa definisce nulli i patti contrari • contratto sottoscritto tra preponente italiano e agente straniero in cui si concorda che il contratto sia sottoposto al diritto italiano: le parti possono derogare alle norme del Paese dell’agente a condizione che in tale Paese non vi siano norme a tutela dell’agente che siano dal diritto locale considerate come norme di ordine pubblico internazionale (salvo quest’ultima ipotesi è dunque possibile applicare al contratto il diritto italiano in luogo di quello del Paese dell’agente) • mancanza di un contratto o contratto che non determina quale diritto nazionale sia applicabile (si applicherà il regolamento “Roma 1” che prevede l’applicazione del diritto del luogo in cui risiede la parte che svolge la prestazione contrattuale caratteristica e nel caso dei contratti di agenzia tale diritto è quello del Pese in cui risiede l’agente). Se l’azienda italiana non vuole trovarsi a gestire un contratto di cui ignora le condizioni deve pertanto provvedere a scegliere il diritto applicabile, tenendo conto che talvolta potrebbe essere più vantaggioso scegliere il diritto del Paese dell’agente dopo averlo accuratamente confrontato con la normativa italiana. |
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Italia - Germania: una collaborazione per abbattere le frontiere della comunicazione Realtà imprenditoriali di successo italiane e tedesche unite per condividere esperienze e conoscenze. Kilometro Rosso, dopo il successo dell’Innovation Executive conference Innovare per competere, è stato protagonista di un altro importante evento business, la convention organizzata in collaborazione con la Camera di Commercio Italo - Tedesca Kilometro Rosso come punto d’incontro tra economia italiana e tedesca. Il parco scientifico tecnologico ha ospitato una convention organizzata in collaborazione con la Camera di Commercio Italo-Tedesca, con l’obiettivo di far incontrare investitori ed imprenditori italiani, con gli enti tedeschi, in particolare con alcune regioni tedesche che si distinguono per l’eccellenza delle proprie specifiche competenze e per il proprio apporto tecnologico altamente innovativo, al fine di abbattere le frontiere della comunicazione e della conoscenza nell’ambito dell’innovazione, attraverso l’attività di networking e di condivisione dei saperi. All’evento, che ha avuto come
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fi lo conduttore l’innovazione nel mercato della tecnologia, hanno partecipato complessivamente oltre 120 persone: ben 60 le aziende italiane presenti. La Germany Trade & Invest (GTAI) ha presentato la Germania come leader nell’ambito della ricerca e dello sviluppo di nuove tecnologie, nonché come partner importante per gli investimenti. La GTAI e le otto Regioni tedesche che hanno preso parte all’evento, quali Baden-Württemberg, Heilbronn-Franken, FrankfurtRheinMain, Saarland, NordrenoVestfalia, Sassonia-Anhalt, Brandeburgo Orientale e Berlino, hanno permesso agli imprenditori italiani di conoscere le particolarità ed i punti di forza di ciascun Land ed aperto la strada alla cooperazione ed a un possibile futuro insediamento sul mercato estero. La scelta del Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso come luogo dell’incontro si è rivelata particolarmente adatta al fine di stimolare la collaborazione tecnologica ed abbattere le frontiere della comunicazione nell’ambito dell’innovazione. Le reazioni estremamente positive e i numerosi colloqui individuali che si sono tenuti durante la serata, nonché la partecipazione attenta, hanno confermato il pieno successo dell’incontro. I partecipanti italiani, grazie anche alle testimonianze delle tre realtà aziendali che hanno proposto le loro success stories, hanno potuto comprendere pienamente l’importanza di relazionarsi al contesto internazionale. Particolarmente interessante è stato infatti il contributo di Luft hansa, società tedesca attiva sul territorio italiano e quello di due aziende italiane che hanno intrapreso la strada della cooperazione con il mercato tedesco: Manuli Stretch SpA e Techint Industrial Corporation SpA. |
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marzo - maggio 2012
sottocosto. pricing per innovative sopravvivere Vendiamo Sicuri? Logiche di
in mercati competitivi
In un mercato competitivo le logiche di pricing messe in atto fi no ad oggi, basate sul costo unitario fisso, sono ormai superate. La teoria dei Vincoli fornisce una valida alternativa: il Throughput Accounting a cura di Sara Baroni, Organization Design Thinker Oxigenio Srl Campagne pubblicitarie martellanti hanno portato nel nostro vocabolario quotidiano la parola “sottocosto”, intendendo con esso la vendita ad un valore più basso del costo di produzione o di acquisto, e il manifesto di una politica di abbattimento dei prezzi. Dietro alla parola una logica di pricing ormai acquisita dalle aziende, secondo cui il prezzo viene calcolato sommando al costo di prodotto un ragionevole margine. Un modello consolidato che tuttavia, nella competitività dei mercati odierni, sembra non essere il più adatto a definire il giusto prezzo dei prodotti, ovvero quello che il cliente e disposto a pagare e per il quale si finisce lottando in interminabili e frustranti trattative al ribasso. II prezzo lo fa il mercato, o meglio la percezione che esso ha del nostro prodotto. Maggiore è la percezione di valore da parte del cliente, maggiore e il prezzo che sarà disposto a pagare. E allora via libera ad ogni iniziativa mirata ad innalzare la percezione di valore del target. Come? Un modo è mettersi nei suoi panni per comprendere il problema che gli impedisce di migliorare la propria condizione e al quale la nostra offerta potrebbe dare risposta. II problema del cliente è reso manifesto dagli effetti indesiderati (sintomi) che egli vive nella sua quotidianità, collegati tra loro da un rapporto di causa-effetto. Tanto più saremo bravi nell’isolare la causa comune che li genera tutti, tanto più la nostra soluzione, che agisce su quest’ultima, porterà valore al cliente. E il ruolo 96
del venditore? Accompagnare il cliente nel percorso logico di consapevolezza che ha portato noi ad elaborare l’offerta come soluzione alla causa di tutti suoi sintomi. Largo al marketing e alla comunicazione, dunque, ma non basta. L’impegno aziendale dovrebbe rivolgersi anche all’interno, con l’attivazione di un percorso di consapevolezza dei reali costi di prodotto. II modo in cui si guardano i numeri di un’azienda influenza le decisioni strategiche, e le politiche di pricing. Allora siamo sicuri che il modo tradizionale di guarda-
II prezzo lo fa il mercato, o meglio la percezione che esso ha del nostro prodotto. Maggiore è la percezione di valore da parte del cliente, maggiore e il prezzo che
sviluppate con la rivoluzione industriale, fanno capo al Cost Accounting, un modello allocazione dei costi che definisce il costo unitario di prodotto come base sulla quale poi determinare il prezzo. Se il modello ben si sposava con i business del passato, caratterizzati da costi in prevalenza variabili (lavoro diretto, materie prime), ha cominciato a mostrare i propri limiti quando la percentuale di costi fissi e diventata tanto significativa da rendere necessaria la redistribuzione di tali costi ai singoli prodotti. Da lì lo sforzo degli ultimi anni nello sviluppo di tecniche di allocazione sempre più sofisticate, reso vano tuttavia dall’inadeguatezza del modello di base per cui il costo del prodotto debba quantificare tutti gli sforzi locali assorbiti dallo stesso. Quando Eliyahu Goldratt negli anni ‘70 portò al mondo la Teoria dei Vincoli e il suo modello d’impresa sbilanciato, una nuova contabilità iniziò a porsi come valida alternativa al Cost Accounting.
sarà disposto a pagare re i numeri non sia fuorviante? Una riflessione interna all’azienda che porti ad una consapevolezza diversa dei numeri e del margine di guadagno può aiutarci ad affrontare il mercato con minore frustrazione. In un mondo in cui il prezzo risulta dai costi del prodotto più un margine di guadagno ragionevole, l’enfasi cade sulla definizione del costo unitario di prodotto. Le tecniche di contabilità dei costi che si sono
Throughput Accounting, questo il suo nome, nasce in un paradigma d’impresa in cui il risultato di sistema dipende dall’efficienza di un solo suo componente, e non dalla somma di tante efficienze locali. Come la forza di una catena dipende dal suo anello più debole, così il ritmo di prestazione di un’azienda (chiamato Throughput) dipende dalla capacità del suo elemento più debole, il vincolo. Throughput è il valore generato dall’azienda, la misura che rappresenta il ritmo al
Management e gestione d’impresa
La teoria dei vincoli La teoria dei vincoli oggi è una risposta alla resistenza che tutte le persone mostrano di fronte al cambiamento. Maggiore è il cambiamento, maggiore sarà la resistenza. Nasce con l’intuizione del fisico israeliano Eliyahu Goldratt in ambito industriale alla fine degli anni ‘70 e qui, oggi, riesce a portare valore con un approccio alla gestione d’impresa completo e focalizzato sui pochi fattori responsabili del risultato economico
finale. Il modello organizzativo si basa sull’idea che l’impresa è un sistema di processi, le cui interdipendenze ne regolano il funzionamento. La prestazione complessiva dell’impresa è determinata da un numero limitato di fattori - definiti vincoli utilizzati come leva per il controllo e la crescita. Esiste sempre un vincolo che limita la capacità di conseguire migliori risultati; se così non fosse la performance del si-
stema sarebbe infinita e così il suo profitto. In quest’ottica per migliorare la performance di un’organizzazione è necessario gestire il suo vincolo. I vincoli determineranno l’output del sistema sia che essi siano conosciuti e gestiti, sia che non lo siano. Tuttavia, soltanto nel primo caso diventano una buona opportunità, una leva reale per il business. Gestire il vincolo significa controllare la velocità con cui l’intero sistema genera valore. |
quale il sistema genera soldi attraverso le vendite, calcolato come il prezzo di vendita meno i costi totalmente variabili. Dipende da quanto tempo di vincolo andrà ad occupare. Tanto più il prodotto utilizzerà in modo esclusivo il vincolo, tanto maggiore dovrebbe essere il prezzo, a parità di throughput ottenibile. Le scelte commerciali (di mix e di prezzo), produttive e di investimento dovranno quindi essere valutate in funzione dell’impatto sul vincolo aziendale, per scoprire che qualche volta il sotto-
Throughput è il valore generato dall’azienda, la misura che rappresenta il ritmo al quale il sistema genera soldi attraverso le vendite, calcolato come il prezzo di vendita meno i costi totalmente variabili La prospettiva passa da locale a globale, ed alte efficienze di sistema sono ottenibili attraverso alta efficienza sull’unica risorsa da cui dipendono le prestazioni. La redditività si realizza solo alla fine della catena ed è generata dallo sforzo coordinato di tutti gli anelli; il fattore limitante sarà rappresentato dall’anello più debole della catena, quello sul quale si dovranno concentrare gli sforzi al fine di migliorare la performance complessiva. L’attenzione cade non tanto sul peso della catena, quanto più sulla sua forza. L’elemento di focalizzazione diventa il tempo di occupazione della risorsa vincolo da parte dei prodotti. E allora quanto costa un prodotto?
costo, non è proprio sottocosto, e offrire così nuovi argomenti di trattativa. | Ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla Publilio Siro
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Deserto del Namib
scoperta
Alla di un angolo di 98
Africa vera
Turismo a cinque stelle
Etosha Nat. Park
Swakopmund
Mudumu Nat. Park
Windhoek
Deserto del Namib
Deserti, cascate, parchi naturali, la Namibia è una terra di forti contrasti paesaggistici e culturali che proprio in questa sua anima divisa ritrova quella magia che incanta chiunque la veda. Dal parco di Chobe, a quello di Livingstone per ammirare le famose cascate Vittoria Hotelplan propone un tour attraverso questo luogo ricco di sfumature in collaborazione con Hotelplan Italia
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La Namibia è indubbiamente un crogiuolo di razze, culture e tradizioni, ma è anche un Paese dai mille contrasti paesaggistici, tanto da essere chiamata il “Diamante d’Africa” per le infinite sfaccettature con cui è in grado di incantare e ammaliare ogni visitatore: l’amante della natura e degli infiniti spazi del deserto così come l’appassionato di popoli, usi e costumi che sembrano appartenere a un mondo lontano. Madre Natura regna ancora incontrastata in questo piccolo angolo d’Africa. Tra le perle naturali da non perdere il Parco Etosha con i suoi 22.270 chilometri quadrati caratterizzati da deserti salini, savana e sconfinate pianure dove vivono oltre 114 specie di mammiferi e 340 di uccelli; le inconsuete formazioni granitiche tipiche della zona di Twifelfontein, “custode” tra l’altro di stupendi tesori artistici costituiti da 2500 incisioni rupestri di 6000 anni fa raffiguranti animali, loro orme e qualche figura umana; la “montagna bruciata” e la “foresta pietrificata”; la colonia di otarie più grande di tutta l’Africa au100
Turismo a cinque stelle
Sopra: Una delle etnie locali chiamata “Himba” Sotto: Giovani boscimani mentre accendono il fuoco
Deserto del Namib
strale, e, infine, il deserto del Namib caratterizzato da una distesa senza fine di dune di sabbia rossa, le più alte delle quali si
trovano a Sossusvlei. Per vivere tutto questo Hotelplan propone un nuovo tour per minimo due persone, il Self drive – Arco-
baleno africano 15 giorni e 14 notti. Dopo l’arrivo a Windhoek e il pernottamento al Villa Verdi Hotel, il viaggio proseguirà
verso il deserto del Namib. Il deserto si estende per 2000 chilometri lungo la costa dell’Africa Sud-occidentale, dal fiume Oliphants in Sudafrica fino a San Nicolau, in Angola meridionale. Il suo nome, originario della lingua Nama, lo descrive propriamente: il nulla, il “luogo di nessuno” e di conseguenza “Vasto Spazio Aperto”. E’ il più antico e più estremo deserto della Terra, insieme a quello di Atacama in Cile ed a quello della Bassa California; qui i paesaggi presentano una tale varietà che pur essendo desolati riescono ad offrire al visitatore un’intera gamma di emozioni. Dopo la prima colazione e il pernottamento al Namib Desert Lodge il tour proseguirà verso il Dne Sossusvlei e Sesriem Canyon. L’intera mattinata sarà dedicata all’esplorazione delle famose dune rosse. Per chi vor101
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marzo - maggio 2012
Silhouette di un Elefante al tramonto nel Parco Nazionale di Chobe
Sopra e sotto: Diversi tipi di fauna presenti sul territorio
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rà ci sarà la possibilità di salire su una di esse per ammirare il magnifico panorama e i giochi d’ombra. Al termine della visita si proseguirà per il piccolo e suggestivo Sesriem Canyon, una gola profonda 40 metri, tagliata nella roccia calcarea risalente a milioni di anni fa. Il quarto giorno sarà dedicato alla visita della cittadina di Swakopmund, situata nei pressi dell’oceano atlantico. Si consiglia la crociera nella baia di Walvis bay per ammirare le otarie, i delfini e i fenicotteri rosa. Il viaggio proseguirà a Swakopmund dove sarà possibile dedicarsi al relax e alla scoperta della cittadina della Namibia occidentale. Swakopmund sorge sulla costa atlantica, in corrispondenza della foce a delta del fiume Swakop, da cui prende il nome. Il giorno successivo si proseguirà in direzione nord verso Twyfelfontein. La giornata sarà dedicata all’esplorazione dell’area che include le pitture rupestri realizzate dai cacciatori San circa 6000 anni fa, le inconsuete formazioni granitiche tipiche di questa zona chiamate “Organ Pipes”, la “Montagna Bruciata” e la “Foresta Pietrificata”. I due giorni successivi si farà tappa a Etosha, parco nazionale dal 1907 che copre un’area di oltre 22.270 chilometri quadrati. Si pernotterà all’Etosha Safari lodge situato al di fuori del parco. Si proseguirà quindi in direzione nord verso Outjo e Grootfontein con pernottamento al Tsumkwe Lodge. Nel pomeriggio si potrà acquistare in loco un’escursione guidata al villaggio dei boscimani. Il decimo giorno si farà tappa a Caprivi con sistemazione presso il Ndhovu Lodge situato sulle sponde del fiume Okavango. Il resto della giornata sarà a disposizione per scoprire la riserva di Mahango o partecipare ad alcune attività acquatiche. Il giorno successivo si partirà per il parco nazionale Chobe con sistemazione al Chobe Safari Lodge situato non lontano dal centro di
Turismo a cinque stelle
INFO UTILI SU NAMIBIA Capitale: Colombo
La Namibia è indubbiamente un crogiuolo di razze, culture e
Lingue: Le lingue ufficiali sono l’inglese e il tedesco. A livello regionale sono diff usi l’Afrikaans e il Oshiwambo.
tradizioni, ma è anche un Paese dai
Religioni: La religione più diff usa è il cristianesimo, soprattutto nella sua versione luterana. È presente una piccola minoranza Musulmana, concentrata nella capitale.
essere chiamata il “Diamante d’Africa”
Norme sanitarie: Non è richiesta alcuna vaccinazione ma si consiglia di sottoporsi, previo parere medico, ad una terapia antimalarica nella stagione estiva locale (novembre-marzo). Si consiglia inoltre di stipulare un’assicurazione sanitaria che preveda oltre alla copertura delle spese mediche, anche l’eventuale rimpatrio aereo sanitario d’emergenza o il trasferimento in altro Paese. Fuso orario: La Namibia è un’ora avanti rispetto all‘Italia con l’ora solare, un’ora indietro quando in loco si adotta l’ora legale.
mille contrasti paesaggistici, tanto da per le infinite sfaccettature con cui è in grado di incantare e ammaliare ogni visitatore: l’amante della natura e degli infiniti spazi del deserto così come l’appassionato di popoli, usi e costumi che sembrano appartenere a un mondo lontano
Valuta: Dollaro namibiano. Documenti: L’unico documento necessario per soggiorni inferiori ai 90 giorni è il passaporto con validità residua di almeno 6 mesi dal momento dell’arrivo nel Paese. Quando andare: La migliore stagione per un viaggio in Namibia è la stagione fresca e secca tra maggio e ottobre, essa presenta giorni caldi e soleggiati e fredde notti, con temperature che vanno anche sotto zero.
Kasane. Nel pomeriggio sarà possibile partecipare ad una delle diverse attività proposte dal lodge. Il tour si concluderà con gli ultimi quattro giorni prima al Parco Nazionale Chobe con due fotosafari al giorno e successivamente a Livingstone. La quota per persona in Self drive, per il periodo dal primo Maggio al 31 Agosto, in camera doppia, è di 2.665 euro, in singola di 3.210 euro. La quota volo è di 714 euro (775 euro in alta stagione) con 390 euro di tasse aeroportuali. Le quote comprendono: pernottamenti negli hotel indicati o similari in trattamento come da programma, noleggio categoria Nissan X Trail 2x4 inclusiva di assicurazione “super cover” e chilometraggio illimitato. Le quote non comprendono: voli, visti, bevande ai pasti, mance, e tutto quando non espressamente indicato nel programma e nella voce “Le quote comprendono”. |
Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato Edgar Allan Poe
Panorama delle Cascate Vittoria
Uno scorcio di savana in Namibia
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Comocrea Textile Design Show
Promotion Expo
26 e 27 marzo 2012
Dal 21 al 23 marzo 2012
Sede: Spazio Villa Erba, Cernobbio (CO)
Sede: Fiera Milano City
Como crea si presenta con grandi novità, come i nuovi spazi espositivi inoltre è stata prevista- In aggiunta alle due edizioni programmate per il 26/27 marzo e 29/30 ottobre, un’edizione supplementare che si terrà il 25/26 giugno.
La fiera della comunciazione e del marketing di relazione, si svolge ogni anno nel mese di marzo, a Fieramilanocity e off re la gamma completa delle proposte del settore promozionale pensate per aiutare le imprese a comunicare in modo efficace, suscitare nuovo interesse e creare una relazione duratura con i clienti già conquistati.
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MCE-Mostra convegno Expocomfort/expobagno Dal 27 al 30 marzo 2012 Sede: Fiera Milano Rho-Pero (MI)
Ogni due anni Mostra Convegno Expocomfort è l’appuntamento da non perdere. Caldo, Freddo, Acqua, Energia: MCE presenta la panoramica completa delle più avanzate tecnologie per il comfort, per l’efficienza ed il risparmio energetico. Un pubblico mondiale: la domanda e l’offerta internazionale si incontrano qui per sviluppare business e scoprire i trend del futuro.
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MIART - Fiera Internazionale d’arte moderna e contemporanea Dal 13 al 16 aprile 2012 Sede: Fiera Milano City
MiArt e Milano: la Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea testimonia la città che la ospita. Cuore di questo Paese, Milano è capace, da oltre un secolo, di imporre linee e forme all’architettura, al design, alla moda: modernista e contemporanea allo stesso tempo e capitale del mercato dell’arte. E proprio con questa duplice anima, MiArt 2012 è costruita: una fiera in cui moderno e contemporaneo si fondono o si avvicinano in continui rimandi o in echi più o meno espliciti; in cui l’apertura agli espositori internazionali è un’ulteriore occasione per riflettere sulla continuità fra passato e presente.
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I prossimi appuntamenti
L’agenda delle Fiere
COSMIT 2012 Dal 17 al 22 aprile 2012 Sede: Fiera Milano Rho-Pero (MI)
La 51a edizione dei Saloni presenterà migliaia di prodotti di qualità destinati ai mercati di tutto il mondo, confermando Milano la capitale internazionale dell’arredo. Novità per EuroCucina che si apre al complemento e accessori per la cucina, riconfermato invece il layout che riunisce il settore Moderno del Salone Internazionale del Mobile in un unico padiglione. Buone notizie poi per il grande pubblico che potrà visitare i Saloni anche il sabato. Immancabili come sempre gli eventi collaterali in città.
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VENDITALIA - Mostra internazionale della distribuzione automatica Dall’8 al 12 maggio 2012 Sede: Fieramilanocity (MI)
VENDITALIA, l’Esposizione internazionale della distribuzione automatica, è la più grande rassegna nell’ambito del vending sia per le dimensioni dell’area espositiva che per il numero di aziende espositrici e di visitatori.
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XYLEXPO - Biennale mondiale delle tecnologie del legno e delle forniture per l’industria del mobile Dall’8 al 12 maggio 2012 Sede: Polo Fieristico Milano
Ogni due anni più di 90.000 operatori da tutto il mondo giungono a Milano per visitare la rassegna dedicata alle tecnologie per la lavorazione del legno ed alle forniture per l’industria del mobile, la mostra di settore più importante al mondo negli anni pari. Xylexpo è l’unico appuntamento in cui sono esposte nella loro completezza le nuove linee produttive, la tecnologia unita al prodotto in un lay-out fortemente innovativo.
ComprAntico 12 e 13 maggio 2012 Sede: Centro Fiera del Garda, Montichiari (BS)
ComprAntico è il nuovo mercato antiquario proposto dal Centro Fiera di Montichiari (BS). ComprAntico off rirà ai commercianti presenti l’opportunità di entrare in contatto con visitatori interessati ad un’offerta di antiquariato, modernariato e vintage ampia, accessibile e adatta al grande pubblico.
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Il tuo sito business è ancora Business&Gentlemen fermo all Età della Pietra? marzo - maggio 2012
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B&G - Business&Gentlemen Pubblicazione trimestrale www.businessgentlemen.it Anno V – numero 21 - marzo / maggio 2012
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