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Ice Stupa: riserve di ghiaccio contro la siccità

Pratiche semplici e ingegnose potranno aumentare la disponibilità idrica dei deserti freddi d’alta quota

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La necessità sempre più pressante di conservare l’acqua sta portando a ingegnose sperimentazioni di nuove pratiche, spesso efficaci nella loro semplicità. È il caso dell’umidità atmosferica raccolta con umili teloni sulle nebbiose costa del Perù e del Cile, oppure dei cumuli di ghiaccio artificiali allestiti nelle regioni dove le temperature sono molto al di sotto dello zero per diversi mesi all’anno. L’idea di base è molto semplice: ottenere riserve di ghiaccio che potranno permanere fino alla primavera inoltrata, garantendo così una preziosa riserva d’acqua durante il delicato momento della semina. È quanto si sta facendo nel Ladakh, regione semi-desertica e fredda nell’estremo nord dell’India dove l’acqua finora garantita dai ghiacciai e dai rari nevai è in diminuzione e non sempre accessibile. Il progetto Ice Stupa (icestupa.org), ideato e diretto dall’ingegnere Sonam Wangchuk, è impegnato nella creazione di accumuli di ghiaccio alti qualche decina di metri, ottenuti facendo zampillare nel gelo della notte acqua convogliata per gravità dal più vicino ruscello. L’ubicazione ombreggiata e la forma vagamente conica ne rallentano la fusione, rendendo una certa quantità d’acqua disponibile talvolta fino all’inizio dell’estate; e tutto questo con mezzi semplicissimi e a costi molto bassi. Dopo sperimentazioni in scala ridotta il primo stupa di ghiaccio è sorto nell’inverno 2014-15 nei pressi del villaggio di Phyang, a circa 3500 metri di quota, in collaborazione con il vicino monastero buddista (nella foto); l’acqua così ottenuta – preziosa perché disponibile prima dell’inizio dell’apporto dei ghiacciai, annidati a quote sempre più alte – ha consentito la crescita di cinquemila piantine di salici e pioppi, a tutt’oggi in gran parte sopravvissute e che sono un prezioso arricchimento ambientale e fonte di legna in un territorio che ne è privo. Nel 2020 sono stati 25 gli stupa di ghiaccio costruiti nel Ladakh, e l’esperienza si è estesa fino al Cile, dove sono in corso sperimentazioni nelle regioni interne del deserto di Atacama. La prossima sfida è di riuscire a coordinare da costruzione di decine di stupa situati in serie a quote differenti, così da potere irrigare zone sempre più ampie. Esperienza analoga, ma se possibile ancora più semplice, è quella dei ghiacciai artificiali creati con una tecnica probabilmente usata in passato ma perfezionata dall’ingegnere Chewang Norphel a partire dal 1987: un flusso d’acqua viene incanalato in una zona ombrosa e poco pendente, dove il rallentamento provocato da muretti e altri ostacoli la fa congelare; in questo modo, a costi irrisori, si formano “colate” di ghiaccio che possono raggiungere qualche metro di spessore e la lunghezza di qualche centinaio di metri, anche se presso il villaggio di Phutse, nel Ladakh, la prima realizzazione di Norphel si è allungata in un valloncello particolarmente favorevole per oltre 2 chilometri. E ancor prima i montanari del Baltistan e dell’Hindu Kush avevano trovato il modo di propagare i ghiacciai con una sorta di “semina” che prevede la posa in una buca ad alta quota (anche a più di 5000 metri, in un canale protetto dal sole e soggetto a valanghe) di blocchi di ghiaccio prelevati da un ghiacciaio “maschio” – formato da ghiaccio “nero”, ricco di morena – e da uno femmina, di ghiaccio chiaro. Da questo “seme”, ricoperto da crusca, segatura e polvere di carbone, in otto casi su dieci nascerà un nevaio che, clima permettendo, potrà evolvere in un ghiacciaio. Questa antica tecnica è stata impiegata anche dall’Aga Khan Rural Support Programme, che ha all’attivo la nascita di una ventina di nuovi ghiacciai nel nord del Pakistan.

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