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Il sentiero si fa camminando Flavio Ghio

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Lettere

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Il sentiero si fa camminando

Cinquant’anni fa l’utopia del Settimo grado di Enzo Cozzolino, un grado per tutti e per nessuno. Ricordo di un alpinista che ha lasciato il segno

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di Flavio Ghio*

Dieci anni fa, per evitare che il cammino alpinistico di Enzo Cozzolino cadesse nell’oblio, ho voluto scrivere un libro, dal quale, l’amico e regista Giorgio Gregorio ha tratto il film “Fachiri” echi verticali. Il libro resta inedito. Inviato a un editore, la risposta non è mai arrivata. Così ho instaurato un rapporto particolare con quel libro; ho iniziato a scrivere delle prefazioni a delle ipotetiche ristampe. Ne è venuto fuori un libro di prefazioni a un testo che un editore ha dimenticato nel cassetto. Pubblicarle un po’ alla volta, moltiplica un incerto piacere, simile a quello provato dal dottor S. nella pseudo-prefazione alla Coscienza di Zeno di Svevo, quando scrive: «le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia» (I. Svevo, La coscienza di Zeno, Garzanti, Milano, 2008, pag. 3). Per Kierkegaard scrivere una prefazione «è come affilar la falce, è come accordare la chitarra» ovvero è un esercizio meno impegnativo dell’opera di cui parla, è come «passar davanti alla finestra d’una signorinella e fissare il selciato». Anche il rischio è ridotto: nessuno acquista un libro per leggere la prefazione, nessuno si lamenterà per il suo contenuto.

DI-STANZE

Dopo l’affermarsi del sesto grado, ho avuto modo di notare l’universale inchino a una parola su cui l’arrampicata si stringe come la ciliegia al suo nòcciolo: la difficoltà. Affronterò il tema con lo sguardo laterale di una prefazione a un libro su Cozzolino, inedito appunto. Nel caso di Cozzolino, parlare della difficoltà significa parlare del settimo grado. Perché parlare di ciò che la scala aperta ha risolto da tempo? Perché il settimo grado è la causa per cui è nata

In apertura la Via dei fachiri, la prima traversata, percorso attuale. Sopra, 1971, Enzo Cozzolino nella palestra di roccia della "Napoleonica" vicino a Trieste si sfrega le mani con un pezzo di magnesite prima di un passaggio

A sinistra, 14 gennaio 1972, Via dei fachiri. alla ricerca del Settimo grado nell’Eldorado di Cima Scotoni. In basso, il sito sulla Strada Napoleonica dedicato a Enzo Cozzolino

e quindi non può generare a sua volta, ciò da cui è stata generata. Quella scala può generare solamente altri gradi, che chiamo digitali. Il Settimo di Cozzolino, invece, è un grado analogo. Il fatto che portino lo stesso nome non significa che siano la stessa cosa: il settimo digitale fa parte del sistema, il Settimo analogo ha rovesciato il sistema. Vengono confusi perché normalmente si parla dell’ignoto attraverso il noto ma per chi, come Cozzolino, è all’origine della storia, il noto, semplicemente non esiste. Oggi si parla di settimo grado riferendosi a una scala che lo contiene mentre, per Cozzolino, quel grado significava l’uscita da una scala. Ignorare questo aspetto ne ha stravolto il senso al punto che, per salvaguardare quell’esperienza originaria, sarebbe giusto scriverlo così: “Settimo”. Nel paradiso dove Cozzolino ci ha portato, siamo rimasti poco, spaventati dalla sua utopia; tra grado analogo e la ragioneria della scala, abbiamo scelto quest’ultima. Ci siamo rifugiati nel pensiero calcolante incapaci di sostenere lo sguardo di quell’infinito che la siepe della scala aperta nasconde dietro un infinito matematico, ombra senza vita dell’infinito vero, quello della vertigine

«Io sogno a occhi aperti una fantastica parete la cui roccia è particolarissima perché non presenta fessure per i chiodi»

esistenziale cantato da Leopardi e da Ungaretti. Siamo rimasti euclidei, quantitativi, incapaci di procedere nell’aria rarefatta del non misurabile. Dell’esperienza visionaria di Enzo Cozzolino è rimasto ben poco. Chi, senza rendersene conto, continua a salmodiare sulla sua bravura, dovrebbe meditare sul monologo finale di Roy Batty, il replicante umanizzato di Blade Runner: «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B bale-

Sopra, un cardo argentato alla base della torre di Babele. Sotto, Via dei fachiri, sosta con stelle alpine nare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Nel 1969, Cozzolino, alla sua terza stagione in montagna, ripeteva la via Lacedelli alla Scotoni, dove, in 17 anni, erano passati solo quattro famosi alpinisti: Piussi, Messner, Dibona, Gogna. Di quella salita, Gogna scrive: “Quando ormai siamo vicini alla seconda cengia, e cominciamo quindi a non veder l’ora che questa storia finisca, ci guardiamo un po’ in faccia. È paurosa. Hai visto che non ci sono chiodi? In certi tiri neanche uno… » (A. Gogna, Quando non si possono piantare chiodi, Rivista Mensile del Cai, febbraio 1970). Enzo annota sul libro delle salite: «Quinta ripetizione». Non scrive altro. Ritorna dopo due anni e apre la via dei fachiri. Allora il suo pensiero rimasto silenzioso, parla, e che parole! «Io sogno ad occhi aperti una fantastica parete la cui roccia è particolarissima perché non presenta fessure per i chiodi ma solamente appigli ed è talmente compatta da respingere persino un perforatore per i chiodi a espansione […]. Non esistono purtroppo pareti simili nella realtà ma qualcuna che vi assomiglia c’è. Me ne resi conto quando ripetei, tempo fa, la via Lacedelli alla Cima Scotoni, la cui parete, seppur vagamente, si avvicinava alla parete dei miei sogni» (E. Cozzolino, Aperta una nuova via sulla Cima Scotoni, Lo Scarpone n°3, febbraio 1972). Quale alpinista si è mai espresso così? Sono cose che noi umani non riusciamo nemmeno a immaginare. Cozzolino è stato poeta, queste parole dovrebbero essere riportate sulla targa a Trieste che lo ricorda, targa voluta non da un singolo, non da una sezione alpinistica ma da un’intera città e quindi a maggior ragione andrebbe rifatta. Contro l’ossidazione del Settimo da parte dell’ortodossia misurante, va ricordato che il Settimo grado di Cozzolino – come il Monte Analogo di Daumal – sono cammini non euclidei o utopici che dir si voglia. Il Settimo e il monte Analogo sono meglio decriptati dai versi di Machado: «Caminante, no hay camino, se hace camino al andar», ovvero «Camminatore, non c’è sentiero, il sentiero si fa camminando» (A. Machado, Poesías Completas, Espasa Calpe, Madrid, 1969, pag. 158).

FIORI E TEMPO

Nel 2012 lavorando con Giorgio Gregorio al film su Cozzolino, sotto la torre di Babele, dove è stato raccolto il suo corpo, ho trovato dei cardi argentati. Fiori senza stelo, incastonati nella terra, dalla quale non si lasciano strappare senza pungere. Nel 2014, l’amico Giorgio sulla via dei fachiri, ha trovato nella sosta sul pulpito del fachiro delle stelle alpine, e mi inviava la foto. Due fiori simbolici come la terra e il cielo: il primo parla della spinosa realtà della terra, il secondo di uno sguardo verso il cielo. Con Enzo li ho vissuti entrambi. Sui fachiri, lacrime di gioia quando ha gridato “Semo fora!” alzandomi oltre la cima. Lacrime di dolore, cinque mesi dopo guardando dalle ghiaie la torre di Babele, madre dei cardi spinosi.

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