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Una questione sociale Gianluca Testa
Una questione sociale
Oltre le prestazioni, ecco la montagna inclusiva. Terapeutica per natura, da anni raccontiamo la sua dimensione più accogliente. La montagna è di tutti, per tutti. E da certe storie abbiamo solo da imparare...
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testo e foto di Gianluca Testa
Empatia, sensibilità e condivisione. Teniamo bene a mente queste tre parole, perché insieme reggono il peso di un mondo intero fatto di persone che si pensavano lontane o lontanissime dalla montagna, ma che invece hanno scoperto di poterla vivere appieno. Non ci sono contraddizioni nel pensare a una montagna inclusiva, accessibile o, più semplicemente, come un luogo fruibile da tutti. Non escludere è infatti uno di quei principi – o forse sarebbe meglio definirli “valori” – che dovrebbero appartenere a tutti coloro che la montagna la amano, la vivono e la esplorano. Indipendentemente che lo facciano in superficie, sottoterra o lungo scoscese parete verticali. Per troppo tempo abbiamo dato per scontato un concetto che nella realtà non trova sempre concreti riscontri. In molti associano ancora la montagna a sport estremi o comunque ad attività che mettono in gioco mente, fisico, preparazione atletica e tutte le conseguenti e infinite declinazioni del concetto di “prestazione”. Dall’altra parte c’è invece il rovescio della medaglia, ovvero quello spazio occupato da coloro che
Sopra, nella foto, il direttore di Montagne360 Luca Calzolari insieme ad Andrea Lanfri sul palco del Centro Culturale Compitese (Capannori, LU), nel giugno scorso, durante la prima presentazione pubblica dopo la conquista dell’Everest, avvenuta il 13 maggio 2022
sono solo apparentemente più predisposti al concetto d’inclusione ma che poi, a conti fatti, associano la montagna accessibile alla sola immagine della joelette.
OLTRE GLI STEREOTIPI
Nel corso degli anni la nostra narrazione è andata oltre i due opposti stereotipi. La montagna, un po’ come del resto accade per le nostre vite, non può e non deve essere l’opposizione di due estremi. C’è un mondo fatto di sfumature, e in quella variazione cromatica di emozioni, abilità e possibilità ci siamo noi. Noi, con le nostre fragilità e le nostre attitudini, noi con i nostri limiti e i nostri bisogni. Forti di questa consapevolezza, da sempre abbiamo dato spazio a esperienze dietro le quali si nascondevano storie solo apparentemente secondarie. Siamo così attenti e concentrati su record, conquiste e nuove scoperte che alla fine rischiamo di perderci il senso stesso del vivere la montagna, che poi si può riassumere in una sola parola: benessere. Di fatto stiamo parlando della qualità della vita. Cioè di una cosa che riguarda tutti, nessuno escluso. Tutti la cercano, tutti ne hanno diritto. Il ben-essere, ovvero lo stare bene, non riguarda solo la salute fisica e mentale. È anche una questione sociale e morale. Che c’entra la montagna? C’entra eccome. Perché nessun altro luogo offre le stesse opportunità. Nessun altro luogo è terapeutico e predisposto per natura all’inclusione come l’ambiente montano.
STORIE NON COMUNI
In tal senso, la nostra narrazione parte da molto lontano. Un percorso che ci ha spinto fino alla partecipazione al Festival nazionale del volontariato che per anni si è svolto a Lucca. Abbiamo condiviso esperienze di Montagnaterapia (neologismo al tempo sconosciuto alla maggioranza), di cura, d’inclusione. «Siamo soliti parlare della montagna in luoghi che parlano di montagna, rivolgendoci a chi spesso quelle parole già le conosce» scrisse al tempo il direttore di Montagne360, Luca Calzolari. «Ma ogni luogo è il luogo adatto». Nelle nostre narrazioni, come detto, siamo andati oltre il concetto stesso di joelette. Soprattutto abbiamo raccontato storie. Perché questo è il mestiere che ci appartiene. È la nostra attitudine, il nostro bisogno condiviso. Abbiamo raccontato le storie di chi arrampica con i non vedenti, di chi scende in grotta con i tossicodipendenti, di chi organizza trekking ed escursioni con persone che hanno disabilità psichiche e motorie, d’inserimenti lavorativi in rifugi sociali. E sì, abbiamo parlato a più riprese della Montagnaterapia. «Il passo dell’altro diventa il mio passo e la bellezza prende la forma di una disciplina che segue linee e percorsi solo apparentemente distanti» scrisse ancora Luca Calzolari, non moltissimo tempo fa. «La montagna aiuta ad abbattere i pregiudizi e le differenze, si fa sociale e trova la sua funzione e il suo spazio anche in ambito socio-sanitario. Perché la montagna cura, ma è molto di più di una semplice terapia. È anche il luogo per scoprire nuove libertà e recuperarne alcune. Magari proprio quelle che erano state smarrite lungo un altro percorso. Quello della vita». Abbiamo raccontato storie che hanno un nome e un cognome, come quello di Giuseppe Comuniello, alpinista cieco che per arrampicare si affida alla voce del suo istruttore. La corda che li lega in parete è per loro stessa ammissione una «metafora» del rapporto che li unisce. Non potrebbe essere diversamente.
LEZIONI DI VITA
Di storie come queste ne abbiamo raccontate tante, anzi tantissime. Impossibile esaurire la vastità di un mondo inclusivo che trova nell’altro la protesi sociale di un’esistenza vissuta solo a metà. A proposito di protesi, quelle vere: tra le varie parole di cui abbiamo abusato nella quotidianità c’è “eroe”. Ebbene, a volte tale attribuzione non avviene per caso. Tra le tante storie di ordinaria straordinarietà – o viceversa – ci sono state quelle di chi è riuscito a fare i conti con la propria disabilità individuando sogni e traguardi che a poco a poco vengono incredibilmente raggiunti. Abbiamo raccontato dei “due uomini e una gamba”, cioè della coppia formata da Massimo Coda e Andrea Lanfri. La causa dei loro mali (e dei loro conseguenti successi) è un incidente in montagna (per Massimo) e la meningite (per Andrea). C’è una cosa che rende Montagne360 una rivista diversa da tutte le altre: quando incontriamo qualcuno, non ci limitiamo a raccontare la sua storia. Ma la seguiamo, passo dopo passo. Anche quando l’andatura, metaforica o reale che sia, si compie con l’ausilio essenziale delle protesi. È il caso di Andrea Lanfri, che per la redazione è ormai un amico. L’abbiamo seguito sul Monte Rosa, poi lassù, fin sulla cima dell’Everest, e infine sul Kilimangiaro. Sta conquistando tutte le seven summits, che poi in realtà sono nove vette. L’eccezionalità della sua vita, dei suoi sogni e delle sue ambizioni l’abbiamo compresa e accolta fin da subito. Ora se ne sono accorti anche i media nazionali e internazionali. Ne siamo felici. Perché Andrea non c’insegna a scalare le montagne, ma a vivere. Una cosa che è assai più difficile.