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Le grotte, archivi del tempo

Quello che c’è sotto la superficie è molto importante e nell’ultimo decennio si è intrapreso un nuovo percorso per valorizzarlo. Montagne360 ha stimolato e accompagnato questo cambiamento, con una comunicazione solida e stimolante

di Tullio Bernabei

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La narrazione della montagna, con le sue tante sfaccettature, parte da un vantaggio incontrovertibile: la montagna si vede. Al contrario il racconto dei suoi vuoti, cioè delle grotte, si basa sull’invisibile, sull’eternamente oscuro e a volte molto, molto remoto. Ciò comporta due principali conseguenze: la prima è che – volenti o nolenti – i territori sotterranei tendono a essere poco comprensibili ai più, soprattutto nella loro tridimensionalità; la seconda è che – parlando di immagini – le difficoltà tecniche per realizzarle in questi luoghi non sono solamente alte, ma a volte addirittura insuperabili.

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE

Eppure quello che c’è sotto la superficie delle nostre montagne è molto importante: perché le grotte sono ecosistemi fragili e ancora poco conosciuti, riserve d’acqua dolce destinate a divenire strategiche entro pochi anni, depositi di informazioni climatiche e geologiche che possono aiutarci nel difficile percorso di adattamento che oggi dobbiamo necessariamente intraprendere come specie. In altre parole, le grotte sono archivi del tempo e della vita. Nell’ultimo decennio la nascita di un modo diverso e più “ampio” di vedere e descriverle, assieme alla disponibilità di nuove tecnologie, ha

permesso di intraprendere un percorso nuovo. Gli sforzi degli “autori” sotterranei hanno iniziato a rendere più familiari e comprensibili, anche al grande pubblico, gli ambienti ipogei. Montagne360 ha avuto l’onore e l’onere di stimolare e accompagnare questa piccola rivoluzione; lo ha fatto con puntualità e attenzione: un’attenzione che in passato era stata davvero molto ridotta, normalmente confinata in qualche breve notizia o affidata ad articoli molto occasionali. Queste pagine, invece, sono state teatro e contenitore di una comunicazione solida, regolare, stimolante e di solito accompagnata da immagini all’altezza. Non è stato un passaggio scontato. Non solo. Questa rivista, in qualche modo, ha indotto un salto di qualità nella narrativa speleologica costringendo gli autori a confrontarsi con la necessità di una divulgazione ampia e ben fatta, guardando oltre la solita platea degli addetti ai lavori (che peraltro è anche un po’ scaduta come preparazione culturale..).

IL GRANDE SCHERMO

Molto innovativa, in quest’ambito, è stata l’attenzione rivolta all’evoluzione del documentario e perfino del cinema speleologico, cogliendo un trend oggettivo che è anche in parte il risultato dei fattori citati prima. Nessuno in precedenza aveva analizzato questo campo con la ricchezza e la profondità di contributi apparsi a più riprese su queste pagine. In definitiva, se le grotte sono diventate un territorio meno alieno e più comprensibile, anche e soprattutto nella loro fragilità, questo spazio ha giocato un ruolo molto importante e dovrà necessariamente – almeno questa è la speranza – continuare a farlo.

Nelle foto di queste pagine, due momenti di esercitazione in grotta durante il corso di video documentaristica realizzato dalla Scuola Nazionale di Speleologia del Cai nel giugno 2019, sotto la direzione di Tullio Bernabei (foto Andrea Moretti)

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