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Scarpe grosse e cervello fino

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Salendo si impara

Salendo si impara

Queste pagine ci hanno mostrato come siamo mentre andiamo in montagna

di Natalino Russo

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In un suo racconto, Italo Svevo parla di una bambina che desidera fare un viaggio in treno. I suoi genitori la accontentano, ma quando è ormai nel vagone la bimba inizia a piangere. Piange perché dallo scompartimento in cui è seduta non vede il treno: non può vedere se stessa in viaggio. Il racconto si intitola Corto viaggio sentimentale ed è ripreso dallo scrittore tedesco Ingo Schulze, che lo cita per mostrare cosa la scrittura, e l’arte in generale, sia capace di fare: ci permette di guardarci mentre siamo seduti nel treno e viaggiamo. In questi dieci anni Montagne360 ci ha mostrato come siamo mentre andiamo in montagna, noi che la montagna, nelle sue molteplici accezioni, la amiamo e amiamo parlarne, scriverne, leggerne. Ce l’ha mostrato e ce l’ha anche chiesto, stimolando e accompagnando i cambiamenti che in un decennio si sono prodotti nei diversi ambiti montanari. Dall’alpinismo classico all’arrampicata sportiva, dalla speleologia alle spedizioni geografiche, dall’escursionismo al fertile mondo dei cammini.

UN UNIVERSO VARIEGATO

L’editoriale del primo numero, gennaio 2012, motivava la nascita di una nuova testata con la necessità di dare un’immagine dell’associazione. Darla al mondo e a se stessa. Mi pare che quell’operazione editoriale sia sostanzialmente riuscita e che sia andata ben oltre l’immagine. Quello stesso editoriale individuava dodici categorie per così dire chiave del discorso intorno alla montagna: abitanti, antropologi, artisti, famiglia, giornalisti, medici, politici, religiosi, scienziati, speculatori, sportivi, storici. Non sta a me dire se la rivista ha saputo trovare la giusta collocazione rispetto a queste categorie e alle loro voci talvolta dissonanti, ma mi pare ci abbia provato caparbiamente, alimentando riflessioni e contribuendo alla crescita dell’associazione, dei suoi iscritti e dei lettori in generale. Sì, perché tra le scommesse di questi anni c’è stato anche l’esperimento di andare nelle edicole, nell’era dei social network che entrano a gamba tesa ovunque, mutando il rapporto che abbiamo con la realtà e con la percezione di noi stessi. Insomma, quel “tre sei zero” che campeggia nella testata sembrava una trovata a effetto ma a ben vedere era una vera e propria dichiarazione di intenti, un piano editoriale ben preciso. Da lettore prima ancora che da collaboratore, mi pare che la rivista sia riuscita in molti casi a gettare uno sguardo a trecentosessanta gradi sul variegato universo che chiamiamo “montagna”.

LE VOCI DELLA MONTAGNA

Scarpe grosse e cervello fino. Su queste pagine mi è piaciuto leggere spesso le voci – plurale – di chi la montagna la vive, la esplora, la studia, la divulga. Le voci di chi la ama e si batte per proteggerla. Di chi la racconta anche attraverso la letteratura, il teatro, la fotografia, il cinema. In questa comunità hanno talvolta trovato spazio le mie foto e qualche mia storia di speleologia, avventura, esplorazione in vari posti e montagne del mondo. Hanno trovato ospitalità i libri, i racconti di spedizioni geografiche in foreste e deserti. E i resoconti dal Film Festival della Lessinia, che ho potuto raccontare qui edizione dopo edizione. Sono felice e onorato di averne avuto la possibilità. E adesso, così, senza una ragione apparente, mi viene in mente Emilio Buccafusca, pittore e poeta napoletano, medico, socio della Sezione di Napoli. Uomo del sud, viveva in città ma amava la montagna in modo viscerale. Mio nonno ne parlava spesso, e ne parla ancora mio padre. Erano amici. Buccafusca è sepolto su una piccola cima dei monti Trebulani, nel nord della Campania. Da lì si vedono le creste del Matese e, sul lato opposto, il mare. Lo sguardo spazia fino alle isole e al golfo e alle altre montagne della zona. A trecentosessanta gradi.

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