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Il valore delle scelte

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Salendo si impara

Salendo si impara

Breve storia del mio rapporto con M360: sogni, compagni di viaggio, vocazioni e piccole grandi svolte rivoluzionarie

di Stefano Aurighi

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Durante un pranzo a Bologna una quindicina di anni fa, in una di quelle vecchie trattorie impermeabili al mutare del tempo e all’imperativo del finger food, uno dei commensali aveva proposto un gioco: «Se poteste scegliere il lavoro che davvero vi piacerebbe fare, quale scegliereste?». Era una provocazione, perché – secondo lui – tutti ci lamentavamo del fatto che avremmo voluto fare un altro lavoro, ma ognuno di noi, messo davanti alla possibilità di scegliere, si sarebbe trovato nella condizione di non sapere davvero cosa avrebbe amato fare. In sostanza, nessuno di noi aveva il proprio sogno. Ma io avevo risposto senza esitazioni: zaino in spalla, mettermi in cammino e campare di scrittura di ciò che avrei vissuto lungo i sentieri percorsi. Qualcosa del genere, pochi anni più tardi, si era avverato, perché Luca Calzolari mi aveva proposto di collaborare con la rivista, che ancora non si chiamava Montagne360, proponendomi il ruolo di caporedattore. Poi, certo, la realtà si era messa di mezzo, e quindi dello zaino in spalla manco l’ombra, e di sentieri idem, dato che il lavoro di redazione con un ruolo di coordinamento, in tutte le redazioni, consiste nell’essere imbullonati alla sedia davanti al computer. Ma il sogno aveva comunque trovato una propria forma, perché la mia scrivania era il medium, letteralmente, tra chi quei passi li percorreva davvero e la narrazione che ne sarebbe derivata sulle pagine della rivista.

UN LAVORO DI SQUADRA

Un lavoro di squadra, naturalmente, con Luca al timone e, per quel che riguardava la rivista, il gruppetto con cui condividevo gli spazi: Francesca Massai e il suo rigoroso senso estetico per la grafica, Carla Falato per le mille funzioni della segreteria e del raccordo con i Soci, Lorenzo Arduini, Chiara Borghesi e Patrizia Calzolari sul fronte dei contenuti de Lo Scarpone e dei social, oltre alla rete immensa di collaboratori sparsa in tutta Italia. L’operazione culturale, il respiro nuovo della rivista nell’idea di Calzolari, era chiaro: dall’alto delle montagne, riuscire a volgere lo sguardo a valle, perché il Socio Cai non era più, da tempo, solo il camminatore sui sentieri delle Alpi e degli Appennini o l’appassionato di sci e arrampicata, ma cittadino del mondo, intrecciato a doppio filo con tutte le opportunità legate all’esperienza dell’ambiente, con la montagna a fare da baricentro, ma in sintonia con tante altre possibilità. E, per tutti, una sorta di vocazione per la salvezza dell’ambiente, quasi che il proprio agire nelle varie attività outdoor ne fosse un elemento costituente. Un disegno che nelle pagine di Montagne360 si è sgranato attraverso i contributi di Max Goldoni e dei suoi “Echi sotterranei”, con la speleologia narrata come esperienza di conoscenza di un mondo così presente e determinante, pur se invisibile. O il portfolio fotografico a indagare il mondo dal micro al macro sui temi ambientali, culturali, storici e antropologici, senza dimenticare il mare – sì, proprio il mare – come orizzon-

Sopra, il Monte Civetta (foto Alexdp69, Wikimedia Commons) te per le proposte di trekking, recuperando un Sud a pieno titolo come frontiera per misurarsi in alcuni percorsi tra i più selvaggi del Paese. E naturalmente le emergenze ambientali, in cui – solo per citare qualche esempio – alluvioni, frane e altre emergenze a ogni angolo del pianeta sono state lette dallo sguardo severo di Mario Vianelli, per ricordarci quanto sia “nostro” ogni evento climatico pur agli antipodi rispetto alla nostra quotidianità, chiamandoci a risposte di responsabilità.

ANTENNE SUL TERRITORIO

I Soci al centro di ogni narrazione, antenne sul territorio di mille attività e custodi dei valori del Cai, e la montagna indagata da ogni punto di vista, anche nella sua funzione terapeutica, passando per le cronache di Carlo Caccia a fare da specchio alle novità dell’arrampicata, fino alla profondità di Roberto Mantovani, anima strutturale della cultura della montagna nelle pagine della rivista, in buona compagnia di Linda Cottino, le cui indicazioni di lettura sono sempre state un faro. Le classifiche hanno il difetto di escludere, ma la scrittura che ho amato di più è quella di Andrea Gobetti, che nella narrazione, apparentemente invisibile, si avvicina a quello che Kafka identificò come il senso di ogni grande opera: “Un’ascia per rompere il ghiaccio che è dentro di noi”. Con tutti questi elementi, composti in una sintesi che ogni mese prendeva forma nelle pagine della rivista, inforco le mie personalissime lenti per individuare, su tutti, il grande merito: volto lo sguardo (anche) a valle, Montagne360 è riuscita a dare voce a uno tra i gesti tra i più rivoluzionari, oggi e da sempre, e cioè quello del cammino, sganciandolo da latitudini e livelli altimetrici, restituendogli il valore assoluto di “scelta”, ognuno la propria.

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