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Fotogrammi in movimento Antonio Massena

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Salendo si impara

Salendo si impara

Fotogrammi in movimento

Storie ed emozioni, musiche, suoni, silenzi e tecnica. Questo è il cinema, di cui il cinema di montagna è il segmento che abbiamo trattato su queste pagine

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di Antonio Massena

“F otogrammi d’alta quota” dal 2019 a oggi ha ospitato quaranta recensioni di film di montagna. Una panoramica di pellicole prodotte dal 1938 al 2021 che ha ripercorso a grandi tappe alcuni dei momenti più significativi. Attraverso storia, evoluzione del linguaggio cinematografico, critica ed estetica legati a questo specifico ambito. Un percorso che ha dato vita a espressioni artistiche che hanno avuto e tuttora mantengono la capacità di legare l’ambiente montano con la settima arte. Un paradigma ad ampio spettro di una continua metamorfosi artistica. La pittura, la scultura, la letteratura, la danza, l’architettura e il cinema abbracciano l’alpinismo e tutte le sue connessioni come arrampicata, speleologia, storia, geografia, escursionismo. La pratica della montagna si interseca con l’arte in un concetto intimamente legato all’alpinismo. Il cinema ha rappresentato, in alcuni momenti riconducibili al periodo compreso fra il 1922 e il 1945, un rilevante strumento di propaganda politica. La stessa che ritroviamo fino al 1984 nelle discussioni interne al Club alpino italiano in una visione finalizzata all’ampliamento della base sociale.

UN INCONTRO DI ANIME

Ma il cinema è soprattutto arte, come narrato nelle pagine di Montagne360: storie ed emozioni, musiche, suoni, silenzi e tecnica. Un racconto realizzato attraverso immagini in movimento che anche solo nel giro di pochi minuti hanno potenza esplicativa diretta. Guardare un film è immedesimarsi in esso incontrando l’animo e le suggestioni degli autori. Osservando lo scorrere dei fotogrammi per carpire l’essenza del racconto. Film pregevoli e altri meno che hanno segnato l’evoluzione del linguaggio cinematografico così come di pari passo si sono evolute le tecniche alpinistiche. Documentari, docufiction e fiction che hanno saputo documentare oltre un secolo (1903–2022) di storia alpinistica. Piccoli capolavori d’arte che a volte, pur snodandosi in pochi frame, riescono a raccontare emozioni e suggestioni meglio di un lungometraggio. Tuttavia, in entrambi i casi, ugualmente tutti degni di discussione e confronto. Così come in qualsiasi arte il giudizio critico è soggettivo. Creatività, confronto, condivisione, discussione, dibattito e anche scontro. Nulla è maggiormente vivificante di un dibattito a più voci che condividano la stessa passione. Un dibattito che può anche promuovere il recupero della socialità in tempi nei quali l’individualismo la fa da padrone.

FILM DI VITTORIE E DI SCONFITTE

Fotogrammi d’alta quota sottolinea l’evoluzione dell’alpinismo e del linguaggio cinematografico: da El Capitan (1978) di Fred Padula a Cinque giorni un’estate (1982) di Fred Zinnemann (con Sean Connery, Betsy Brantley, Lambert Wilson) a Grido di Pietra (1991) di Werner Herzog (con Vittorio Mezzogiorno, Donald Suthrerland, Stefan Glowacz, Hans Kammerlander), a La morte sospesa (2003) di Kevin McDonald a Verticalmente Demodé (2012) Davide Carrari (con Maurizio Zanolla – “Manolo”) passando per Stelle e tempeste (1955) di Gaston Rébuffat. Film di passioni, vittorie, sconfitte, luoghi e popolazioni sconosciute, così come della retorica delle parole di uno specifico periodo. Parole che si contrappongono all’ironia di altre espressioni e im-

A sinistra, Cerro Torre di Werner Herzog, 1991, manifesto francese (Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna - Cai Torino) e Touching the Void di Kevin McDonald, 2003, manifesto americano (Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna - Cai Torino)

magini come quelle legate al ’68. Una evoluzione/ rivoluzione dell’alpinismo, la contestazione dell’assunto del raggiungimento a tutti i costi della vetta e al contrario la voglia di misurarsi con le proprie capacità tecniche e fisiche. La vita di tutti i giorni e gli avvenimenti che hanno modificato la nostra società, così come narrato ad esempio da Cannabis Rock (2005) di Franco Fornaris. Storie di vicende umane che si intersecano con le montagne raccontate attraverso le immagini, storie di paure, di ansie, di morte. La montagna è tutto questo e gli autori cinematografici ce la mostrano attraverso le sue infinite sfaccettature.

IL PATRIMONIO DELLA CINETECA

Molti dei film che sono stati recensiti sulle pagine della rivista sono patrimonio della Cineteca del Club alpino italiano. Un patrimonio “visibile” di oltre seicento titoli e uno “invisibile”: cineprese, moviole, proiettori, videoregistratori, documenti fotografici, lettere che accompagnavano la concessioni dei prestiti delle attrezzature con le firme autografe, fra gli altri, di Reinhold Messner, Riccardo Cassin, Armando Aste, Carlo Mauri, Gianni Rusconi, Casimiro Ferrari, Gino Buscaini. La Cineteca custodisce la memoria cinematografica del passato, ma è anche un luogo vivo che di anno in anno si arricchisce di nuovi titoli, spaziando dall’alpinismo all’arrampicata, dalla speleologia all’ambiente, dall’etnografia al cinema di animazione. Seicento titoli, che coprono un periodo che va dal 1903, con Cervino 1901, alle ultime acquisizioni del 2021, messi a disposizione delle Sezioni del Club alpino per organizzare serate, rassegne ed eventi. La memoria storica di ogni patrimonio culturale e intellettuale non è solo il ricordo di luoghi, accadimenti e vicende che si sedimentano nella memoria degli individui di un gruppo sociale, ma è soprattutto, nel nostro caso, la testimonianza di un’epoca pioneristica nel campo dell’alpinismo e della sua documentazione filmica. Il patrimonio filmico della Cineteca traccia la storia dell’alpinismo e della sua trasformazione e dimostra come, negli anni, il linguaggio cinematografico, sia tecnico che narrativo, si sia evoluto passando dalla semplice documentazione alla creazione di video e film strutturati secondo nuovi canoni estetici. I lunghi passi compiuti dalla tecnologia, il passaggio dall’analogico al digitale, dalla pellicola ai nuovi supporti di memoria, hanno generato nuovi impulsi rivelando potenzialità impensabili fino a qualche decennio fa. Un percorso, quello del cinema di montagna, che ha dato vita a espressioni artistiche che hanno avuto, e tuttora hanno, la capacità di fondere l’ambiente montano con la settima arte. Nel 1921 Ricciotto Canudo, letterato e critico cinematografico, con una visione prospettica straordinaria affermò che «la cinematografia avrebbe unito in sintesi l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo».

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