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Indice 2020

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Quando le Alpi erano più calde

Nel corso dell’ultimo periodo interglaciale le temperature alpine aumentarono in misura maggiore che nel resto d’Europa

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Il moltiplicarsi degli studi paleoclimatici ha portato a un rapido incremento delle conoscenze su una materia che fino a un paio di decenni or sono era appannaggio esclusivo di una ristretta schiera di studiosi. L’esigenza di ricostruire le variazioni climatiche del passato – indispensabili nella creazione di modelli correlati a quelle odierne – ha portato all’affinarsi delle tecniche di datazione attraverso l’utilizzo di dati proxy, che sono proprietà chimico-fisiche dei diversi archivi naturali: organici – come il legno, i pollini, i coralli o i resti fossili – oppure inorganici come il ghiaccio e gli speleotemi, nome generico dei depositi secondari caratteristici (anche se non esclusivi) delle grotte carbonatiche: stalattiti, stalagmiti, pisoliti e altre forme di concrezione. Proprio all’analisi degli speleotemi si devono le più lunghe e accurate serie climatiche relative all’Europa, a cui l’Italia ha dato il proprio contributo con gli studi condotti all’Antro del Corchia, nelle Alpi Apuane, alla grotta Cesare Battisti, in Trentino, a Bossea (Alpi Marittime) e in altre località. Di particolare interesse è uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Communications Earth and Environment, condotto da ricercatori dell’università di Innsbruck in collaborazione con speleologi svizzeri della Foundation Naturerbe Karst und Höhlen Obwalden. Dall’analisi degli isotopi di idrogeno dei fluidi inclusi negli speleotemi provenienti da due grotte situate a circa 1700 metri di quota nello Schrattenkarst della Svizzera centrale, gli studiosi hanno ottenuto una precisa serie di dati climatici relativi all’ultimo periodo interglaciale, la fase di riscaldamento planetario che ebbe il suo apice fra 129.000 e 116.000 anni fa, prima del nuovo raffreddamento che innescò la glaciazione Würm. Allora, nonostante le temperature medie fossero soltanto di due gradi superiori a quelle odierne, il nostro pianeta era decisamente diverso: il livello marino era di 6-9 metri più alto, la calotta glaciale groenlandese era molto ridotta e sulle Alpi i ghiacciai rimanevano soltanto sui massicci più alti. I dati hanno confermato che in quel periodo le temperature erano superiori a quelle odierne, ma sono risultate nettamente più alte di quanto era prevedibile attendersi. In breve: se in Europa le temperature medie erano di due gradi superiori alle attuali, in alta quota lo erano di quattro gradi. Gli autori ipotizzano che «le aree a elevazione maggiore siano più suscettibili al riscaldamento delle terre basse», tendenza che pare confermata dall’evoluzione climatica in atto. Il periodo “caldo” fu anche caratterizzato da una forte instabilità; in particolare attorno a 125.500 anni fa vi fu un brusco calo delle temperature e anche la piovosità subì sostanziali fluttuazioni nell’arco di tempo considerato. Difficilmente gli eventi si ripetono con le stesse caratteristiche, soprattutto in un campo mutevole come quello climatico; ma che le Alpi e le altre grandi catene montuose siano più sensibili all’aumento delle temperature è un dato ormai assodato. Come scrivono gli autori nelle conclusioni dello studio: «questi risultati sono allarmanti alla luce dell’accelerazione del riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas serra di origine antropica e le regioni di montagna dovrebbero essere preparate a un aumento della temperatura ancora maggiore».

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