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Segnali dal clima | Il deserto e la nebbia

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Lungo le coste meridionali della penisola arabica la nebbia portata dal monsone estivo favorisce la crescita di una rigogliosa vegetazione

Umidità e deserto sembrano essere termini antitetici, ma esistono situazioni geografiche particolari che ne consentono l’unione dando vita a ecosistemi singolari. Ben noti sono i casi della Namibia e dell’ampio arco fra il Perù e il Cile settentrionale, dove fredde correnti oceaniche producono nebbie che mitigano l’estrema aridità della costa. Caso analogo, anche se con caratteristiche del tutto peculiari, si riscontra lungo le coste meridionali della penisola arabica e con maggiore evidenza della regione omanita del Dhofar, dove la scarpata dei monti costieri è ammantata dalla vegetazione di quella che gli ecologi definiscono “desert cloud forest”, con un contrasto tanto più stridente se si pensa che la zona confina all’interno con le propaggini del Rub’ al-Khali, l’immenso deserto sabbioso raccontato da Wilfred Thesiger in Sabbie Arabe. La presenza di queste “oasi verticali” è dovuta ai cicli stagionali che fra giugno e settembre portano fino alla costa il khareef, il monsone di sud-ovest che rinfresca le temperature grazie anche alla concomitante risalita di fredde acque profonde; l’aria oceanica scontrandosi con i rilievi costieri, alti più di 1500 metri, si innalza scaricando umidità prima di venire del tutto prosciugata dalle torride correnti ascensionali del deserto. Dal punto di vista quantitativo le precipitazioni sono piuttosto modeste, normalmente limitate a pioggerelle e a nebbie fitte e persistenti che sono fondamentali per alimentare sorgenti e wadi dove lo scorrimento idrico è stagionale e per la ricca vegetazione, costituita in prevalenza di acacie ma che comprende anche specie forse introdotte come il tamarindo, il baobab e l’olivastro; la pianta arborea più caratteristica è però la Boswellia sacra che produce una pregiata varietà di franchincenso, resina aromatica commercializzata a caro prezzo fin dalla più remota antichità. Le foreste della scarpata ospitano animali rari e minacciati come il camaleonte arabo (Chamaeleo arabicus), piccolo sauro che durante la stagione umida cambia colore divenendo verde, e la più consistente popolazione residua di leopardo arabo (Panthera pardus nimr), poche decine di esemplari che negli ultimi anni stanno mostrando una certa capacità di espansione in zone dove il felino era scomparso da decenni. Finora i cambiamenti climatici, pur evidenti in tutta regione, non sembrano influenzare l’andamento del khareef, e anche i modelli climatici sono discordanti nelle loro previsioni. Le minacce più immediate all’integrità delle singolari “foreste delle nuvole” derivano piuttosto dalla miopia degli interventi umani, soprattutto dal carico eccessivo di bestiame domestico che grava su una compagine vegetale già stressata dal clima durante i lunghi mesi di aridità. Negli ultimi decenni il numero di bovini e di capre è più che raddoppiato, e aumento di poco inferiore hanno avuto i dromedari; ciò è dovuto al miglioramento economico e alle sovvenzioni governative per l’acquisto dei mangimi, ma anche al persistere di valori “pastorali” che vedono nel possesso del bestiame una fonte di prestigio; ciò vale soprattutto per i dromedari, spesso affidati ai pastori del Dhofar da proprietari residenti altrove, che tengono gli animali per hobby o per le competizioni. Altra minaccia deriva dal turismo, in aumento in questa che d’estate è un’oasi di fresco, in una regione altrove caldissima: nuove strade e nuove costruzioni punteggiano la scarpata, relegando la vegetazione più sana e rigogliosa nei canali e nelle pendici più impervie.

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