![](https://assets.isu.pub/document-structure/220118120254-2b33ee4b4ef2cb9809f472de5ff5acd3/v1/2f2287850910dd9bba86bf395f380e30.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
4 minute read
Economie di montagna | Quando la passione diventa sviluppo
Convivenza e valorizzazione delle peculiarità locali sono una delle chiavi di lettura del futuro delle nostre montagne. In Alto Adige, nella Val di Funes, si è partiti da una razza che ha rischiato l’estinzione, quella delle “pecore con gli occhiali”
testo e foto di Andrea Formagnana
Advertisement
C’è una valle il cui paesaggio, in particolare la chiesetta barocca di San Giovanni di Ranui con le Odle a farle da quinta scenica, è il più iconico delle Dolomiti, raffigurato su riviste, cataloghi vacanze, virale sui Social come Facebook e soprattutto Instagram. È la Val di Funes. Siamo in Alto Adige. La valle si incunea tra la Val Gardena e la Val Badia. Qui però non esiste il turismo di massa. Esiste un turismo slow e che negli ultimi anni sta facendo un ulteriore salto di qualità con un’offerta ormai destagionalizzata. Visitare la Val di Funes a ottobre inoltrato, per esempio, quando nelle vicine valli gli alberghi ormai sono chiusi, può essere un problema in quanto si rischia di trovare il tutto esaurito.
LE PECORE CON GLI OCCHIALI
Certo il paesaggio è un attrattore. Non l’unico. Anche la gastronomia. In questo caso spicca quella di Oskar Messner. Oskar è l’anima di un interessante progetto di valorizzazione di una razza di pecore allevate nella valle che ha rischiato l’estinzione. Quando risali la valle da Chiusa, non appena si apre in pascoli ancora verdi anche in pieno autunno, ecco il primo incontro con queste pecore. In lingua tedesca, qui parlata, si chiamano Villnösser Brillenshaf.
In italiano sono le pecore con gli occhiali. All’altezza degli occhi infatti presentano delle caratteristiche macchie scure che fanno pensare a dei veri e propri occhiali da sole. Qualche anno fa Oskar, che è uno chef, decise di investire sulla valle e su questa razza di pecore. Con altri valligiani diede così vita al progetto “Furchetta”, progetto poi sostenuto dal Fondo Sociale Europeo. “Furchetta” garantisce agli allevatori della valle l’acquisto e un prezzo equo per la carne. Con il tempo il progetto si è esteso alla lana. Questa, inizialmente, veniva considerata uno scarto e per essere smaltita gli allevatori dovevano pagarla. Oggi non più. Del resto la lana di questa razza è una delle più pregiate delle razze autoctone italiane. Oggi la lana viene tosata e prende la strada di Biella, distretto dell’eccellenza laniera, dove viene lavata e pettinata, per tornare in valle. Qui le mani sapienti delle donne la trasformano in caldissime e ricercate berrette, oppure in pantofole o in giacche. Alla valorizzazione di queste lane ha aderito anche un vero e proprio colosso dell’abbigliamento tecnico di montagna. Un importante quantitativo di lana delle Villnösser Brillenshaf viene acquistata da questa azienda per essere lavorata e dare vita a prodotti prestazionali per l’alpinismo. Del resto le virtù termoregolatrici della lana non sono una novità.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/220118120254-2b33ee4b4ef2cb9809f472de5ff5acd3/v1/11be06804283b98c4e4a582e9f4f6405.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
le Villnösser Brillenschaf, ovvero le pecore con gli occhiali della Val di Funes
IL BENESSERE DELLA COMUNITÀ
Per quanto riguarda la carne, il progetto originale da cui Oskar era partito, oggi quasi tutti i ristoranti e gli alberghi della valle la propongono nei loro menù. E il ristorante di Oskar, il Pitzock, in centro a San Pietro, abitato cuore della Val di Funes, è diventato un punto di riferimento per la ristorazione di qualità, premiato da Slow Food, dal Club del Papillon, da Gault & Millau. Oskar si divide tra i fornelli e la sala, dove spiega ogni singola portata. Nel suo racconto traspare la passione che lo ha fatto rimanere nelle valle e lavorare per riuscire a creare un modello di sviluppo turistico integrato e sostenibile. In quello stesso locale, che porta il nome ladino della via – anche in questa valle un tempo si parlava questa antica lingua retoromancia – Oskar è cresciuto. Era la locanda del paese, punto d’incontro per la comunità, e nonostante la trasformazione impressa negli ultimi anni, da quando lui l’ha rilevata dal padre, questo non è venuto meno. Perché alla base di un turismo di qualità, un turismo slow, deve esserci il benessere della comunità ospitante.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/220118120254-2b33ee4b4ef2cb9809f472de5ff5acd3/v1/3038290e5800a3d59b5ec13fe95f768b.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
l’iconica chiesa di San Giovanni di Ranui
IL LUPO, LO SCIACALLO E GLI EQUILIBRI DA MANTENERE
Tutto bene, quindi, nella ridente e amena Val di Funes? Tutto bene ma c’è un “ma”… Il ritorno dei grandi predatori, il lupo in particolare, spaventa gli allevatori. E non c’è solo il lupo. Negli ultimi anni ha fatto la sua comparsa lo sciacallo dorato, un predatore che proviene dalle steppe del Caucaso. Un equilibro tra le esigenze degli allevatori – l’agricoltura e l’allevamento di montagna sono essenziali per la conservazione e la tutela del paesaggio umano che caratterizza le Alpi – e quelle di tutela delle specie animali non è semplice da trovare. Questa è la nuova sfida per Oskar e per i suoi compaesani.