7 minute read

Francesco Carrer Quando il mare diventa roccia

Next Article
Lettere

Lettere

Quando il mare diventa roccia

In Friuli-Venezia Giulia abbiamo percorso due itinerari con le ciaspole ai piedi: il primo nell’area di Fusine (Giulie), al confine con Austria e Slovenia, il secondo sopra Paularo (Carnia), a ridosso del confine austriaco

Advertisement

testo e foto di Dario Gasparo

“M a con gran pena le reca giù”… usiamo questo acronimo per memorizzare la partizione delle Alpi italiane. Reminescenze di antichi libri letti in biblioteca, oggi non verificabili in rete, mi portano ad azzardare che sia stato Aurelio Aureli a coniarla, ma poco importa. Al Friuli-Venezia Giulia spetta l’ultimo verso, che è anche un ossimoro: diciamo “giù” ma con le Alpi Giulie pensiamo al su. Prima di esse, il “re-ca” ricorda le friulane Alpi Carniche. I MONTI BASSI E SELVAGGI La mia regione è circondata dai monti: quelli sloveni, bassi e selvaggi, incorniciano Trieste da nord ed est. Da qui, 5 chilometri da casa mia, nel 2012 è partito per il suo lungo viaggio il lupo Slavc. Slavnik è il nome del monte sloveno dal quale si è avviato, da noi tradotto in “Taiano”. Unitosi a “Giulietta”, la femmina alfa che veniva dal sud Italia, ha dato la vita a più di una trentina di lupacchiotti che si sono insediati nella zona della Lessinia. Questo successo (fitness, in ecologia) è spiegabile

Sopra, dall’ampia distesa tra il Neddis e il Dimon, verso est, svettano il Jof di Montasio e il Sernio. A destra, lungo il sentiero che dal Rifugio Zacchi scende ai Laghi di Fusine, massi e piccoli abeti si nascondono sotto la neve con il mescolamento di geni diversi. E il Friuli-Venezia Giulia (mai chiamarlo solo “Friuli” per un giuliano!) è anch’esso un luogo di successo ecologico “per mescolamento”: punto di incrocio di genti diverse e crocevia di specie animali e vegetali provenienti dall’area balcanica, mediterranea, centro ed est europea. Così si spiega l’elevata biodiversità della regione. Lasciamo i bassi rilievi sloveni a est e indirizziamo lo sguardo a nord, sulle montagne più serie. A un centinaio di chilometri da Trieste primeggiano Chiedete a un bambino di disegnare un monte: se di carattere spigoloso disegnerà il Cervino, se pacato disegnerà il Mangart

i monti descritti dall’alpinista e scrittore Julius Kugy, che ne è stato il più illustre cantore: le Alpi Giulie. Appena più a sud, le prealpi, che danno il nome al Parco regionale. Aree molto apprezzate

Sopra, il sole tramonta dietro la catena del Mangart, specchiandosi nell’unica superficie del lago priva di neve per l’arrampicata, le sciate, le escursioni estive e invernali, il parapendio, il canyoning. Poco più a ovest, le Alpi Carniche, condivise con la Carinzia e parte del Tirolo. Presento due percorsi, uno per ciascuna catena, da fare con le ciaspole ai piedi: il primo nell’area di Fusine (Giulie), al confine con Austria e Slovenia, il secondo sopra Paularo (Carnia), a ridosso del confine austriaco.

LAGHI DI FUSINE L’area di Fusine è nota per il clima rigidissimo. Quando alla fine degli anni Ottanta ho gareggiato con gli sci da fondo nella “Tre confini” la temperatura era prossima a 30 gradi sotto lo zero. Il catino nel quale avviene l’inversione termica è caratterizzato da due splendidi laghi separati da una barriera morenica. Sopra di loro svetta la montagna per antonomasia, il Mangart. Chiedete a un bambino di disegnare un monte: se di carattere spigoloso disegnerà il Cervino, se pacato disegnerà il Mangart. Il Rifugio Zacchi, poco sotto ai 1400 metri di quota, è un ottimo punto di partenza per raggiungere la vetta del Mangart, passando per l’Alpe vecchia e il bivacco Nogara. La neve però è troppo abbondante e preferiamo dormire al rifugio, godendo della luna piena, per scendere il giorno seguente lungo l’Alpe Tamer e quindi giù con il sentiero 513 fino al lago superiore. Il silenzio, le ombre lunghe e rosate della sera

In alto, poco prima di arrivare al Rfugio Zacchi, il tramonto colora di rosso il Picco di Mezzodì (2063 m). Sopra, il sentiero nella pecceta, verso il Rifugio Zacchi. Sopra a destra, Il Rifugio Zacchi accoglie gli escursionisti in ogni periodo dell’anno evocano sentimenti serenità e pace. Le rocce sedimentarie raccontano la vita degli organismi che hanno popolato l’area e che con i propri gusci le hanno forgiate. Le spinte tangenziali dell’Era cenozoica hanno fatto il resto, incurvando e sollevando gli strati del fondo marino. Mare diventato roccia. Le montagne che circondano i Laghi di Fusine hanno infatti una storia di 200 milioni di anni, quando al posto dei laghi e delle rocce c’era il mare. Lo spessore dei sedimenti trasportati dai fiumi raggiunse alcune migliaia di metri, e se si pensa che un centimetro di sedimento richiede oltre 600 anni, comprendiamo quando la natura abbia lavorato alle sculture delle Ponze, del Picco di Mezzodì delle cime Strugova, Veunza, Mangart, Traunik, Bugonig. La conca valliva è aperta ai venti settentrionali che rendono la zona tra le più fredde della Regione. Quando sono salito sulla parete nord del Mangart lungo la ferrata dell’italiano – una parete a strapiombo di 800 metri – ho percepito le brezze di monte che precipitano verso i laghi, con l’aria fredda e pesante che rimane intrappolata nella conca. Ne consegue una fascia vegetazionale invertita rispetto al normale: alla faggeta mista ad abete rosso si sostituisce in basso una pecceta montana adattata alla forte alternanza fra caldo e freddo. I 14 kg di zaino e il passo deciso non ci fanno sentire i 6 gradi sotto lo zero. Il peso della neve piega

Sotto, la vista sulle montagne, ormai vicini al Lago Dimon. Sotto a destra, il manto di neve è accecante. In basso, dall’ampia distesa tra il Neddis e il Dimon, vista verso ovest con il Monte Dimon in primo piano. Sono ben visibili la Civetta, l’Antelao e la Tofana di Mezzo. Nell’altra pagina dall’alto, il Monte Mangart e luci e ombre verso il Monte Dimon gli esili faggi e mette alla prova la proverbiale resistenza dei rami di peccio. Gli uccelli sono già migrati verso climi più miti mentre diversi mammiferi, tra i quali l’orso, scelgono la difesa del letargo o il cambio di pelliccia, più folta e calda. I cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova i tetraonidi, evoluti in questi climi rigidi e abituati a ripararsi o mimetizzarsi con la neve. Scendendo a valle siamo incantati dal paesaggio, con le cunette di neve che disegnano profili sinuosi a nascondere massi, abeti, piccoli rilievi. Sui laghi apprezziamo le forme dell’acqua, in parte liquida e riflettente, in parte bianca e soffice e qua e là rigida e lucente. Una famiglia di germani reali increspa la superficie del lago, distorcendo le linee verticali dei fusti di peccio che si rispecchiano sull’acqua a creare suggestivi effetti fotografici. Da non perdere gli enormi massi erratici alti 30 metri, come il Pirona e il Marinelli, che nell’ultima era glaciale hanno cavalcato il lento incedere dei ghiacciai.

MONTE DIMON Ci spostiamo nelle Alpi Carniche. Partiamo dal Castel Valdaier lungo il sentiero 404. Trecentocinquanta metri in quota e passiamo la Cima Val di Legnan proseguendo a nord-ovest fino al monte Neddis, poco più basso di 2000 metri. Più in su, la vista che si apre cancella ogni dubbio sul perché mi trovo qui. Dall’ampia distesa tra il Neddis e il Dimon, dove si congiungono i sentieri

In una giornata limpida si apprezzano le colate dei nevai, i profili degli ultimi larici, il moto ondoso dei mughi cristallizzati sotto il manto nevoso

404 e 456, godiamo di una vista spettacolare a 360 gradi sui profili dei monti che svettano a 3050 chilometri di distanza. Volto lo sguardo verso est, dove sono visibili i monti ai quali sono più affezionato: Mangart, Jalovec, Triglav, Jôf Fuart, Jof di Montasio. In una giornata così limpida si apprezzano le colate dei nevai, i profili degli ultimi larici, il moto ondoso dei mughi cristallizzati sotto il manto nevoso. Verso ovest arriviamo con lo sguardo ai confini della nostra regione, riconoscendo le silhouette del Cridola e del Bivera, anch’essi a una cinquantina di chilometri di distanza. Una gioia per gli occhi che riaccende ricordi dolci associati a ciascuno di quei monti. E inevitabilmente anche ricordi tristi.

This article is from: